Ulisse Aldrovandi
Ornithologiae tomus alter - 1600
Liber
Decimusquartus
qui
est
de Pulveratricibus Domesticis
Libro
XIV
che tratta
delle domestiche amanti della polvere
trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti - revisione di Roberto Ricciardi
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Qui naturam
eius seu causam effectricem constituunt, aiunt, animal hoc a natura
calidissimum, et in appetendo [205] in primis et nutriendo avidum ob
calorem quidem insitum cibum acceptum citius concoquere: itaque ob
aviditatem, naturae appetitum suum significare, quasi pascentem se
invitet, et excitet. Alii, qui rem quamlibet alicui certo sideri dicatam
esse volunt, non aliter ac lotum herbam, solarem esse existimant,
indeque fieri, ut Gallus, sub solis exortum canat, eodem modo, quo lotus,
eo exoriente, folia sua pandit, et occidente, contrahit, quasi occulta
quadam, et naturali ratione, redeunte ad ortum duce suo, uterque gaudeat:
atque haec quidem eorum est sententia, cuius opinionis etiam Cardanus
fuit, quod scilicet Solis robur sequatur. Albertus vero eius fuit
sententiae, ut Gallum ideo horas cantu suo distinguere crediderit, quod
aurae mutationes ex motibus solis contingentes facile sentiat. |
Coloro
che definiscono la sua natura, o principio creatore, dicono che questo
animale, molto caldo per natura, avido innanzitutto sia nel desiderare
che nel nutrirsi a causa del calore che infatti gli è insito, digerisce
più rapidamente il cibo che ha ingerito: pertanto a causa dell’avidità
egli manifesta l’istinto caratteristico della sua natura, come se
invitasse e spingesse se stesso a nutrirsi. Altri, che sostengono che
qualsiasi cosa è dedicata a un certo qual astro, così ritengono che
anche l’erba del loto
è solare, e ne consegue che il gallo canta verso il levar del sole così
come il loto dispiega le sue foglie quando sta sorgendo, e le richiude
quando tramonta, come se ambedue gioissero per un intimo e naturale
motivo, in quanto sta tornando a sorgere la loro guida: e ad ogni buon
conto la loro opinione, condivisa anche da Gerolamo Cardano,
è la seguente, che cioè segue la forza del sole. Invece l'opinione di
Alberto
fu che il gallo scandisce addirittura le ore col suo canto in quanto
avvertirebbe con facilità i cambiamenti dell’aria che si verificano
in seguito ai movimenti del sole. |
Alii
rursus ad naturam avis referunt, et salacitati eius eiusmodi
eventum ascribi oportere contendunt: cantu nempe veneris appetentiam
significari: idque inde probare nituntur, quod antequam usui venereo
sufficiat, conticescat, peracto subinde cucu<r>riat, tum eo magis
opinionem suam astruunt, quod etiam nonnullae aliae aves proclivitatem,
ac lubentiam ad initum quolibet praeeant cantu, quemadmodum alibi
attestatur etiam Plinius[1],
tum vero, ubi ait, Perdices
faeminas concipere supervolantium afflatu, saepe voce tantum audita
masculi. Contingere autem Gallinaceis autumant, quod fere
caeteris usu venire compertum est, ut peracto cibo, refecto per quietem
corpore, ac inde maxime vegeto libidinis titillentur pruritu:
intervulsus autem somnus, ac identidem repetitus cantus frequentiae
causam facile suggerat. Huius opinionis adagiorum author[2]
ab amico suo Leone acceptam adducit pro miraculo, ut ait Scaliger[3].
Leo vero ille, quem adagiorum author citat, causam in tria haec reijcit,
quod scilicet per noctem cibum depellens, eumque in omne corpus dividens
modificetur, quieteque plurima satietur, ut Democrito apud Ciceronem[4]
visum esse ait: secundo quod avis sit salacissima, et intercepti, et
frequentis somni: tertio ut Gallinarum foetificatio sit plenior et
foecundior. |
Altri
fanno di nuovo riferimento alla natura dell’uccello e sostengono che
bisogna ascrivere un siffatto evento alla sua lussuria: il desiderio
sessuale viene appunto manifestato attraverso il canto: e pertanto si
sforzano di dimostrare che prima di dedicarsi al rapporto sessuale se ne
sta zitto, e subito dopo averlo compiuto si mette a cantare, e tanto più
sostengono il loro punto di vista in quanto anche alcuni altri uccelli
anticipano con un qualsivoglia canto la propensione e il piacere per
l’accoppiamento, come in un altro punto attesta anche Plinio
quando in verità dice che le pernici femmine concepiscono attraverso
il respiro dei maschi che volano sopra di loro, spesso dopo aver solo
udito la voce del maschio. Ritengono che ai galli accada quello che
a quasi tutti gli altri per esperienza è risaputo accadere, e cioè
dopo che il cibo è stato digerito e che il corpo è stato ristorato
attraverso il riposo ed essendo perciò molto vigoroso, è allora che
vengono titillati dal prurito del desiderio sessuale: il sonno
interrotto, e altrettante volte ripreso, fornirebbe facilmente il motivo
della frequenza del canto. Come dice Giulio Cesare Scaligero,
l’autore degli Adagia – cioè Erasmo da Rotterdam,
che è di questa opinione, aggiunge di averla appresa dal suo amico
Ambrogio Leone
come cosa prodigiosa. Quel tale Leone, che l’autore degli Adagia
cita, colloca la causa in queste tre situazioni, che cioè durante la
notte rimuovendo il cibo e suddividendolo per tutto il corpo riacquista
il suo equilibrio e che si sazia di un abbondantissimo riposo, come, a
quanto afferma, sembrò a Democrito
in Cicerone:
in secondo luogo in quanto è un uccello molto lussurioso dal sonno
interrotto e frequente: in terzo luogo affinché la fetazione da parte
delle galline sia più abbondante e feconda. |
Mihi
eorum sententia plurimum arridet, qui ad occultam cum Sole amicitiam
confugiunt: siquidem alimenti desiderio non canere docemur, quod (ut
Scaligeri verbis utar) etiam satur canat: nec Gallinae, quoniam canit a
coitu: deinde canit praesente illa, quam tunc non init, nec noctu, cum
alioqui multas secum confertas habeat iacentes, et immotas, quibuscum
tamen non coit. |
Io
sono del tutto favorevole al punto di vista di coloro che ricorrono a
una segreta amicizia con il sole: dal momento che abbiamo la
dimostrazione che non canta per desiderio di cibo, in quanto (per
servirmi delle parole di Scaligero) canta anche se è sazio: né per
desiderio della gallina, in quanto canta dopo l’accoppiamento: infine
canta mentre essa è presente e non la sta montando, e neppure di notte
quando del resto ne ha parecchie che se ne stanno appollaiate strette a
lui, e immobili, con le quali tuttavia non si accoppia. |
Rursus
non desunt, qui nisi statutis horis canere Gallum dicant:
quinim<m>o Cardanus[5]
totum naturalem diem in octo partes dividere illum, author est, non
tamen oriente sole canere, sed cum accedit ad aurorae terminos, sic et
ante meridiem. Verum eiusmodi opinionem prorsus erroneam esse Iulius
Scaliger tam in excubiis, quam in lucubrationibus suis expertus testatur:
et revera alios etiam aliis frequentius interdiu potissimum canere
observamus, nullo servato tempore. Etsi vero veteres eorum cantu tempora
sua dividerent, haud tamen ideo credendum est, ea tam exacte, et minutim
distinxisse, ut horarum pulsus facit, sed circiter idem tempus fere avem
occin<u>isse. |
Inoltre
non mancano coloro che affermano che il gallo non canta se non a ore
fisse: anzi Cardano sostiene che esso suddivide tutto il giorno naturale
in otto parti, e tuttavia non canta quando il sole sta sorgendo, ma
quando si avvicina ai limiti dell’aurora, così pure prima di
mezzogiorno. Invece Giulio Scaligero, esperto sia nelle sue veglie fuori
casa che nelle sue elucubrazioni notturne, afferma che una siffatta tesi
è del tutto erronea: e in effetti osserviamo che alcuni cantano più
spesso di altri soprattutto durante il giorno, senza rispettare alcun
orario. In verità, anche se gli antichi frazionavano il proprio tempo
ricorrendo al loro canto, tuttavia non bisogna di conseguenza credere
che lo dividevano con tanta esattezza e in piccoli frammenti come lo fa
il battito degli orologi, ma che l’uccello cantava più o meno quasi
nello stesso momento. |
Cum
itaque ex nocturno Galli cantu tanta hominibus utilitas, qualem diximus,
cedat, haud desunt tamen, qui {ob[6]}
vocem eam quoties audiant, Gallo malam crucem imprecentur, pigri nempe,
et desidiosi homines, qui somno tantum, et ventri student: quales olim
Sybaritae fuere, qui Gallos, ut Athenaeus[7]
refert, in civitate haberi non permittebant. Erant autem gens
mollissima, effaeminata, ac adeo delicata, ut non solum hanc alitem in
urbe nutriri prohiberent, sed omnes etiam artes quae strepitum faciunt,
veluti fabrorum omnium, reijcerent. Ut vero et delicatis huiusmodi
homuncionibus consulamus, ut Gallum domi alere possint, qui neque cantet,
neque strepitum edat, inquimus, duobus id modis praestari posse, nulla
tamen illi allata noxa. Plinius[8]
enim circulo e {sarmentis} <ramentis> addito collo non cantaturum
promittit: Albertus capite, et fronte oleo inunctis. Haec experti, si
vera eorum authorum praecepta invenerint, Gallum ob futuram prolem
nutrire poterunt, ut ea saepius saturi somno commodius indulgere queant.
Praeterea castratus cantare desinit: idem victus facit tanquam
pudibundus: denique cum ovis incubat, ut Aelianus[9]
testatur, quasi eiusmodi officium virum dedecere non ignoret. |
Pertanto,
anche se dal canto notturno del gallo deriva agli uomini una così
grande utilità qual è quella di cui abbiamo parlato, tuttavia non
mancano coloro che ogni volta che odono quella voce augurano al gallo di
andare alla malora, evidentemente le persone pigre e oziose che si
dedicano solo al sonno e alla gola: come un tempo erano stati i Sibariti
che, come riferisce Ateneo,
non permettevano di tenere i galli in città. Costituivano d’altronde
una popolazione molto molle, effeminata e a tal punto delicata da
proibire non solo che questo uccello fosse allevato in città, ma era
tale da rifiutare anche tutte le attività che producono rumore, come
quelle di tutti gli artigiani. Ma, per venire in aiuto anche a siffatti
delicati omiciattoli, affinché possano allevare in casa un gallo che né
canti né faccia schiamazzo, diciamo che ciò può avvenire in due modi,
senza che tuttavia gli si rechi alcun danno. Infatti Plinio promette che
non canterà mettendogli al collo una collana fatta con scagliette
d’oro: Alberto, se gli verranno unti con olio la testa e la faccia.
Dopo aver sperimentato queste cose, riconoscendo come veri i precetti di
tali autori, potranno allevare il gallo in vista di una futura prole,
cosicché appagati da essa riescano ad abbandonarsi più spesso e più
piacevolmente al sonno. Inoltre, se è castrato, smette di cantare: e
quando è stato vinto si comporta da vergognoso: infine, quando cova le
uova, come attesta Eliano,
è come se fosse conscio che un siffatto compito non si addice a un
maschio. |
SALACITAS.
COITUS. PARTUS. Incubatus.
Generatio. Exclusio. |
LUSSURIA
- ACCOPPIAMENTO - DEPOSIZIONE Incubazione
- Generazione - Schiusa |
Salacissimum
animal Gallum esse quamvis ut Albertus scribit, ad unum ovum
foecundandum multoties cum eadem Gallina coeat, Oppianus[10]
prodidit. Quod sane, etsi aliae item dentur volucres, quarum libido apud
authores magis celebratur, ut in Aquilae historia diximus, cuius
congressu Martis et Veneris adulterium indicabant[11],
et Passer etiam strenuissimus in hac venerea pal<a>estra habeatur
athleta, verum esse videbimus, si Galli libidinem cum earum libidine
conferamus. |
Oppiano
di Apamea
ha tramandato che il gallo è un animale estremamente lussurioso
nonostante, come scrive Alberto, si accoppi numerose volte con la stessa
gallina allo scopo di fecondare un solo uovo. In effetti, anche se
esistono altri uccelli il cui istinto sessuale viene maggiormente
decantato da parte degli scrittori, come ho detto nel capitolo
dell’aquila, col cui accoppiamento simboleggiavano l’adulterio fra
Marte e Venere,
e anche se lo stesso passero viene ritenuto un atleta infaticabile in
questa palestra d’amore, vedremo che corrisponde al vero se
paragoniamo la libidine del gallo con la loro sensualità. |
[1] Plinio sta parlando delle pernici - Naturalis historia X,102: Nec in alio animali par opus libidinis. Si contra mares steterint, feminae aura ab iis flante praegnantes fiunt, hiantes autem exerta lingua per id tempus aestuant. Concipiunt et supervolantium adflatu, saepe voce tantum audita masculi, adeoque vincit libido etiam fetus caritatem, ut illa furtim et in occulto incubans, cum sensit feminam aucupis accedentem ad marem, recanat revocetque et ultro praebeat se libidini. Rabie quidem tanta feruntur, ut in capite aucupantium saepe caecae motu sedeant.
[2] Impossibile tradurre in modo adeguato questa frase alquanto sconnessa di Aldrovandi, che verosimilmente è una sintesi maldestra di un frammento di Conrad Gessner in Historia Animalium III (1555) pag. 383: Scribit in Divinationibus M. Cicero, Democritum hisce ferme causam adortum explicare, cur ante lucem concinant galli. Depulso (inquit) et in omne corpus diviso ac modificato cibo, cantus aedunt quiete satiati. Qui quidem, ut ait Ennius, silentio noctis favent faucibus, rursum cantu plausuque premunt alas. Sunt vero qui (huius sententiae est Ambrosius Leo Nolanus, cuius verba copiosius recitat Erasmus in proverbio, Priusquam gallus iterum cecinerit) salacissimae avitii eius naturae acceptum referri astruant oportere eventum eiusmodi. Nam cantu significari Veneris appetentiam, inde est argumentum evidens, quod antequam usui Venereo sufficiant, conticescunt. Esse porro in more avibus nonnullis, ut proclivitatem et lubentiam ad initium quolibet praeeant cantu, quum alibi comprobat Plinius, tum ait, Perdices foeminas concipere supervolantium afflatu, [...]. - Ma anche Gessner non è esente da critiche, in quanto, facendo riferimento al De divinatione di Cicerone (II,57) usa depulso senza indicare da dove il cibo viene rimosso (Cicerone dice che viene rimosso dal pectus, cioè dal gozzo) e quindi anziché usare il verbo mitificor di Cicerone (che significa far diventare tenero) usa modificato, che significa regolare, moderare, porre un limite. Aldrovandi addirittura usa modificetur riferito al gallo, il quale così si darebbe una regolata. In sintesi: l’originale di Cicerone dice quanto segue: [...]depulso enim de pectore et in omne corpus diviso et mitificato cibo, [...] - [...] infatti dopo aver rimosso dal petto [dal gozzo] e dopo aver suddiviso e fatto diventare tenero il cibo a favore di tutto il corpo, [...].
[3] Exotericarum exercitationum liber quintus decimus: de subtilitate, ad Hieronymum Cardanum (1557), exercitatio 239 Gallinaceus, & eius cantus. § The author of the Adagia is Desiderius Erasmus. (Lind, 1963)
[4] De divinatione II,57: Democritus quidem optumis verbis causam explicat cur ante lucem galli canant: depulso enim de pectore et in omne corpus diviso et mitificato cibo, cantus edere quiete satiatos; qui quidem silentio noctis, ut ait Ennius, "...favent faucibus russis|cantu, plausuque premunt alas." Cum igitur hoc animal tam sit canorum sua sponte, quid in mentem venit Callistheni dicere deos gallis signum dedisse cantandi, cum id vel natura vel casus efficere potuisset?
[5] Girolamo Cardano (Cardanus), De Subtilitate libri xxi (Nuremberg, 1550; Paris, 1550, 1551; Basle, 1554, 1560 (2), 1582, 1611); see also note where reference is made to J.C. Scaliger, Exotericarum Excrcitationum liber quintus decimus de Subtilitate, ad H. Cardanum, called Exercitationes for the sake of brevity in my notes. (Lind, 1963)
[6] Si espunge ob, che non dà senso.
[7] Deipnosophistaí XII,15,518d.
[8] Naturalis historia, XXIX,80: At gallinacei ipsi circulo e ramentis addito in collum non canunt. - Evviva il passaparola che non è affatto un’invenzione della nostra TV: infatti Aldrovandi se ne servì a iosa e proprio grazie al passaparola è stato capace di trasformare delle scagliette d’oro in tralci di vite. Vediamo questo iter che sa quasi di magico – una magia inversa rispetto a quella di re Mida – un iter al quale come al solito sottende Gessner, e che ritroveremo a pagina 242. Infatti Gessner a pagina 385 della sua Historia Animalium III (1555) fa un’errata citazione telegrafica di un passaggio di Plinio: Gallinaceis circulo e sarmento addito collo non canunt, Plinius. – Ma Plinio quando parla di un circulus messo al collo dei galli sta disquisendo di oro. Ecco il testo di Plinio Naturalis historia, XXIX,80: Non praeteribo miraculum, quamquam ad medicinam non pertinens: si auro liquescenti gallinarum membra misceantur, consumunt id in se; ita hoc venenum auri est. At gallinacei ipsi circulo e ramentis addito in collum non canunt. – Insomma, Plinio dice che le zampe delle galline sono in grado di distruggere l’oro, ma una collana fatta di pagliuzze d’oro ha il grande potere di far tacere i galli. - Questa magia opposta a quella di re Mida doveva essere abbastanza diffusa nel 1500. Infatti anche Pierandrea Mattioli nel suo commento a Dioscoride – sia in quello latino del 1554 che in quello postumo in italiano del 1585 – affinché non cantino fa cingere il collo dei galli con una collana fatta di sarmentis, cioè con un sarmento di vigna. Probabilmente il testo in possesso di Mattioli, di Gessner, e quindi di Aldrovandi, era corrotto e riportava sarmentis invece di ramentis. Ma se Gessner e Aldrovandi enucleano la citazione pliniana dal suo contesto, Mattioli cita tutta quanta la frase di Plinio: pagina 186 - Liber ii – cap. xliii – Gallinae, et Galli – Plinius cum de gallinis dissereret libro xxix. cap. iiii. haec inter caetera memoriae prodidit. Non praeteribo (inquit) miraculum, quanquam ad medicinam non pertinens: si auro liquescenti gallinarum membra misceantur, consumunt illud in se. Ita hoc venenum auri est. At gallinaceis ipsis circulo e sarmentis addito collo non canunt. - Neppure a Mattioli è balenato che quell’at ha un preciso significato: si tratta di una contrapposizione. Infatti l’oro, guastato dalle galline, è tuttavia in grado di prendersi una rivincita facendo ammutolire i galli. Ma nel 1500 nel testo di Plinio gironzolavano i sarmentis ed era giocoforza utilizzarli.
[9] La natura degli animali, IV,29.
[10] Oppian Ixeutica, in Dionysius, De Avibus, a paraphrase of Oppian in Poetae Bucolici et Didactici, etc. (ed. by F. S. Lehrs, Paris, Didot, 1851). (Lind, 1963)
[11] Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 404: Alectryon quidam adolescens Marti acceptus fuit, quem Mars aliquando cum Venere concubiturus in domo Vulcani pro vigile secum ducebat, ut si quis appareret, Sol oriens praesertim, indicaret. Ille vero somno victus cum Solis ortum non indicasset, Mars a Vulcano deprehensus et irretitus est. Qui postea dimissus, Alectryoni iratus in avem eum mutavit una cum armis quae prius gerebat, ita ut pro galea cristam haberet. Itaque memor deinceps huius rei alectryon, etiam nunc ales, id tempus quo Sol prope ortum est, quo scilicet Vulcanus domum reverti solebat, cantu designat. Fabulam memorant Lucianus, et ex eo interpretatus Caelius Rhodiginus, et Aristophanis Scholiastes, et Eustathius in octavum Odysseae, et Varinus. - Luciano, Il sogno ovvero il gallo - Óneiros ë alektryøn - 3.