Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti - revisione di Roberto Ricciardi

237

 


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Dum enim pugnant, naturae ductu terram feriunt, et plumas [237] circum collum erigunt, pennasque caudae, quantum possunt, sursum, atque d<e>orsum vibrant, assilientes interim, quo magis calcaribus suis, quae ob id ceu tela in cruribus agnata, teste Plinio[1], agnoscunt, hostem feriant: unde legas apud antiquissimum Lucilium[2] hos vel versus, vel versuum fragmenta.

Gallinaceus cum victor se Gallus honeste

Sustulit in digitos, primoresque erigit ungues.

Infatti, mentre combattono, colpiscono la terra per istinto naturale, e drizzano le piume tutt’intorno al collo e fanno vibrare le penne della coda il più possibile in alto e in basso, nel frattempo sferrando un attacco feriscono il nemico soprattutto con i loro speroni che, come riferisce Plinio, per questo motivo essi sanno essere come delle armi che sono spuntate sulle loro zampe: per cui puoi leggere nell'antichissimo Lucilio sia questi versi, sia frammenti di versi:

Quando un gallo è vincitore si regge con dignità sulle dita,

e solleva la punta delle unghie.

Ubi, teste Nonio, primores ungues pro anterioribus dixit: quod non putem, cum non iis unguibus, sed calcaribus dimicent, quae etsi in posterioribus tibiarum partibus fere sita sint, inter insiliendum tamen, cum scilicet adversarios feriunt, iis ita uti norunt, ac si ad anteriora locata forent. Ab eiusmodi certamine vulgare extat adagium: Gallus insilit, in eum, qui semel victus redintegrat certamen: quod sane saevissimum conspicitur: unde dicebat D. Augustinus[3]: Cum ecce ante fores advertimus Gallos Gallinaceos ineuntes pugnam nimis acrem. Et paulo post pugnam ita describit: Ut in eiusdem ipsis Gallis erat videre intenta proiectius capita, inflatas comas, vehementes ictus, cautissimas evitationes, et in omni motu animalium rationis expertium nihil non decorum: quippe alia ratione desuper omnia moderante: postremo legem ipsam victoris, superbum cantum, et membra in unum quasi orbem collecta, velut in fastum dominationis.

Dove, secondo Nonio Marcello, ha detto unghie primores nel senso di anteriori: ma io non la penserei così, in quanto combattono non con queste unghie, ma con gli speroni, i quali anche se sono situati praticamente nella parte posteriore del tarsometatarso, tuttavia, mentre spiccano l’assalto, cioè mentre feriscono gli avversari, hanno imparato a servirsene come se fossero situati anteriormente. Da siffatto modo di combattere deriva un adagio comune: Il gallo va all’assalto, rivolto a colui che una volta sconfitto riprende il combattimento: il che viene considerato come una cosa davvero molto spietata: per cui Sant’Agostino diceva: Quand’ecco davanti alla soglia osserviamo i galli che danno inizio a un combattimento troppo violento. E poco dopo descrive così il combattimento: Come nei suoi stessi galli era possibile vedere le teste tese in avanti in modo più spiccato, le loro mantelline rigonfie, i colpi violenti, lo scansarsi molto pronto, e in qualsiasi tipo di movimento nulla di sconveniente per degli animali sforniti di ragione: dal momento che un’altro tipo di ragione governa dall’alto tutte le cose: insomma la legge stessa del vincitore, il canto superbo e le membra raccolte per così dire in un solo movimento circolare, come in una ostentazione di potere assoluto.

Sed doctissime idem certamen hisce versibus quam breviter Angelus Politianus[4] complexus est:

Et regnum sibi Marte parant, quippe obvia rostris

Rostra ferunt, crebrisque acuunt assaltibus iras.

Ignescunt animis, et calcem calce repulsant

Infesto: adversumque, affligunt pectore pectus.

Victor ovans, cantu palmam testatur, et hosti

Insultans victo, pavidum pede calcat iniquo.

Ille silet, latebrasque petit, dominumque superbum

Ferre gemit: comes it merito plebs caetera regi.

Ma in modo molto abile Angelo Poliziano ha riassunto molto brevemente con questi versi lo stesso modo di combattere: E si procacciano il regno attraverso il combattimento, giacché vibrano i becchi contro i becchi, e con frequenti assalti acuiscono la loro ira. Si infiammano nello spirito e respingono il calcagno con un ostile calcagno, e urtano con il petto il petto che sta di fronte. Il vincitore esultando dichiara la vittoria col canto, e saltando sopra al nemico sconfitto, calpesta il pauroso col suo piede crudele. Costui se ne sta zitto e va in cerca di un nascondiglio, e si lamenta di dover sopportare un signore superbo: il resto del gruppo necessariamente si accompagna al re.

Quanquam etenim Gallus animal natura pugnax est, ac magnanimum, ut diximus, ubi tamen se sentit imparem in conflictu, mire deiectus, ac supplex profugit, seseque occultat pudore suffusus, risum spectatoribus movens. Ita apud Theocritum[5] {Amyntas} <Amicus> Pollucem ad certamen provocans. Tuus, inquit, ego, tu meus (nimirum victus) vocabere, quia φοινικολόφων, id est, alitum rubricristatarum talia sunt certamina. Signum autem victi, inquit D. Augustinus[6], elatas a cervice pennulas, et in voce, atque motu<,> deforme{,} totum et eo ipso naturae legibus, nescio quo<d> concinnum, et pulchrum.

Anche se il gallo, come abbiamo detto, è un animale per natura combattivo e magnanime, tuttavia quando in uno scontro si sente inferiore, se ne fugge estremamente scoraggiato e supplichevole, e si nasconde pervaso dalla vergogna, suscitando il riso in coloro che lo osservano. Così in Teocrito, Àmico, provocando Polluce al combattimento, dice: Io sarò chiamato la tua, tu sarai chiamato la mia (ovviamente, vittima) in quanto tali sono i combattimenti dei phoinikolóphøn, cioè, degli uccelli dalla cresta rossa. Sant’Agostino dice: Il segnale di quello che è stato vinto sono le piume erette del collo, e nella voce e nel modo di muoversi, una totale deformazione, e proprio per questo, secondo le leggi della natura, risiede qualcosa di armonioso e bello.

Idem scribunt Plinius[7], et Aelianus[8]: quorum {hic} <ille>: Quod si, inquit, palma contingit, statim in victoria canunt, seque ipsi principes testantur. Victus occultatur silens, aegreque servitium patitur, et plebs tamen aeque superba graditur, ardua cervice, cristis celsa. Caelumque sola volucrum {aspicit, crebro} <aspicit crebra,> in sublime caudam quoque falcatam erigens. {Ille} <Hic> vero clarius: Quod si, inquit, cum altero pugnans vincatur, idcirco non canit, quod ex illa mala pugna spiritus fracti illi vocem supprimant. Cuius offensionis verecundia confusus in primam quamque latebram sese occultat. Sed si ex certamine victoriam reportavit, tum oculorum eminentia, tum cervice erecta simul et cantus contentione insolenter effertur et triumphantis similis est.

La stessa cosa scrivono Plinio ed Eliano, il primo dei quali dice: Ma se tocca loro in sorte la vittoria, subito cantano vittoriosi, e si proclamano sovrani. Quello che è stato sconfitto si nasconde in silenzio e sopporta malvolentieri la sottomissione, tuttavia anche il popolo, ugualmente superbo, cammina a testa alta, con la cresta eretta. E il gallo è il solo fra gli uccelli a guardare spesso il cielo, alzando verso l’alto anche la coda ricurva come una falce. Ma il secondo dice in modo più chiaro: Ma se viene sconfitto mentre sta combattendo con un altro non canta in quanto la fierezza infranta da quel brutto combattimento gli fa perdere la voce. Turbato dalla vergogna di un simile scacco va a nascondersi nel primo buco che gli capita a tiro. Ma se dal combattimento ha conseguito la vittoria, sia con la prominenza degli occhi, sia tenendo il collo eretto non disgiunto da un accanimento nel cantare si insuperbisce in modo arrogante e diventa simile a un trionfatore.

Hallucinatur igitur alibi Aristophanis interpres, quando a Gallo victo victorem insectari scribit. Fugere autem victum ipsum Aristophanem minime latuisse, ex proverbiali istoc, quod alibi[9] protulit, dicto, est manifestum Πτήοσει[10] Φρύνιχος ὥσπερ ἀλέκτωρ, id est, horret Phrynichus sicut Gallus. Fuit autem hic Phrynichus[11] Melanthae filius, Atheniensis tragoediarum scriptor, quem Athenienses mille drachmis mulctarunt, quod Milesiorum excidium tragoedia complexus esset. Meminit eiusdem adagii Plutarchus[12], qui cum antea fuisset ferox{,} et insolens<,>[13] ex Socratis familiaritate, cuius singularem integritatem suspiciebat, coepit esse mansuetus ac modestus. Citat autem hunc senarium[14] e quopiam poeta.

Ἔπτηξ'ἀλέκτωρ ὡς κλίνας πτερόν, id est,

Pavidus refugit more Gallinacei

Cum victus alas ille submittit suas.

Pertanto in un punto l’interprete di Aristofane prende un abbaglio quando scrive che il vincitore viene inseguito dal gallo sconfitto. Che Aristofane non fosse assolutamente all’oscuro del fatto che lo sconfitto fugge è evidente da questo modo di dire proverbiale che egli ha citato in una sua composizione Ptëosei Phrýnichos høsper aléktør, cioè, Frinico trema di paura come un gallo. Dunque, questo Frinico fu figlio di Melanta e uno scrittore ateniese di tragedie che gli Ateniesi punirono con una multa di mille dracme in quanto aveva descritto in una tragedia - La presa di Mileto - l’eccidio degli abitanti di Mileto. Plutarco fa menzione dello stesso adagio, in quanto lui - Alcibiade - mentre prima era stato tracotante e insolente, grazie all’amicizia intima con Socrate del quale ammirava l’eccezionale onestà cominciò a essere tranquillo e moderato. Infatti Plutarco cita questo trimetro giambico da un qualche poeta:

Éptëx’aléktør høs klínas pterón, cioè,

Se ne fugge impaurito come un gallo

Quando dopo essere stato sconfitto abbassa le sue ali.

Usurpatur vero id adagium in male affectum, et commotum, aut etiam pavitantem. Πτήσσειν enim Graecis fugitare significat, atque expavescere. Peculialiter autem de avibus dicitur. Similiter superatus es a Gallo quopiam: iocus[15] proverbialis dicitur in servos, qui dominos a tergo sequuntur, supplices videlicet, et abiecti, cuiusmodi nimirum solent esse Galli superati in pugna. Non tamen animositate vincuntur hae alites, sed viribus, et eleganter antiquissimus Ion poeta Tragicus[16] his versibus ostendit.

Nec iam corpore, utroque, et ocello

Ictibus obtuso ille fatiscit,

[238] Robore sed labente gemiscit

Et vivus servire recusat.

In realtà questo adagio si usa nei riguardi di una persona che è travagliata, agitata, o anche in preda alla paura. Infatti per i Greci ptëssein significa fuggire, e anche ritirarsi spaventato. Infatti lo si dice in modo particolare a proposito degli uccelli. Parimenti si dice Sei stato sconfitto da un qualche gallo come facezia sotto forma di proverbio nei confronti di servi che seguono i padroni stando alle loro spalle, cioè supplichevoli e dimessi, proprio come sono soliti comportarsi i galli sconfitti in combattimento. Tuttavia questi uccelli non vengono sconfitti grazie al coraggio, ma grazie alla forza, e in modo elegante lo dimostra l’antichissimo poeta tragico Ione di Chio con questi versi:

E quando il corpo e ambedue i piccoli occhi

sono stati colpiti dalle stoccate, egli non desiste mai,

ma geme venendogli meno le forze

e si rifiuta di fare lo schiavo da vivo.


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[1] Naturalis historia X,47: Imperitant suo generi et regnum in quacumque sunt domo exercent. Dimicatione paritur hoc inter ipsos velut ideo tela agnata cruribus suis intellegentium, nec finis saepe commorientibus.

[2] Lucilius, in E. Warmington, Remains of old Latin: Loeb Classical Library. III (1938), 100, frag. 328-29; F. Marx, C. Lucilii Carminum Reliquiae (Leipzig, 1904), I, p.22, frag. 300. (Lind, 1963)

[3] De ordine, tomus I, liber I. (Aldrovandi)

[4] Rusticus 392-399.

[5] Idilli XXII 71-72: <Ἄμ.> σὸς μὲν ἐγὼ, σὺ δ’ἐμὸς κεκλήσεαι, αἴ κε κτατήσω. <Πολ.> ὀρνίθων φοινικολόφων τοιοίδε κυδοιμοί.

[6] Loco citato. (Aldrovandi) - Cioè, De ordine, tomus I, liber I.

[7] Naturalis historia X,47: Quod si palma contingit, statim in victoria canunt seque ipsi principes testantur; victus occultatur silens aegreque servitium patitur. Et plebs tamen aeque superba graditur ardua cervice, cristis celsa, caelumque sola volucrum aspicit crebra, in sublime caudam quoque falcatam erigens.

[8] La natura degli animali IV, 29: Un gallo sconfitto in un combattimento che lo oppone a un altro gallo non potrebbe più cantare; si sentirebbe troppo abbattuto nello spirito e andrebbe a nascondersi per la vergogna. Se invece vince, diventa spavaldo, rizza il collo e si dà le arie di un trionfatore. (traduzione di Francesco Maspero)

[9] Le vespe, 1490. (Lind, 1963)

[10] Questo verbo - πτήοσω - viene riportato da Gessner nel suo Lexicon graecolatinum (1537), ma è assente nei dizionari correnti dove al suo posto - nel senso di rintanarsi, farsi piccolo per la paura o sbigottito o preso da terrore - troviamo πτήσσω derivato da πέτομαι = io volo. Da notare che πτῆσις anche nel lessico di Gessner significa il volo.

[11] Se ne parlerà anche a pagina 273. – Vedi Eliano Variae historiae Libri XIIII - XIII,17: Proverbium, et de Phrynicho - Vesparum examen metuit Phrynichus velut gallinaceus: proverbium convenit in eos, qui damnum patiuntur. cum enim Phrynichus tragicus Mileti captivitatem ageret, Athenienses metuentem perhorrescentemque lachrymantes eiecerunt. (Claudii Aeliani opera quae extant omnia Graece Latineque, Tiguri, apud Gesneros Fratres, 1556, pagina 501– Iusto Vulteio VVetterano interprete)

[12] Life of Alcibiades 4.3. (Lind, 1963)

[13] La posizione di una virgola può far cambiare il senso della frase. Il merito di questa correzione lo dobbiamo a Gessner. Stando alla punteggiatura di Aldrovandi, sembrerebbe che Alcibiade fosse tracotante a causa della familiarità con Socrate. Invece accadde l'opposto: dopo essere diventato intimo di Socrate, Alcibiade cominciò a moderarsi. - Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 410: Meminit huius et Plutarchus in Alcibiade, qui cum antea fuisset ferox et insolens, ex Socratis familiaritate coepit esse mansuetus ac modestus. – Lind addirittura non ha capito – dalla nota a bordo pagina di Aldrovandi – che si trattasse di Alcibiade. Secondo Lind si tratta di un uovo non meglio identificabile: "Plutarch mentioned the same adage of a man who, fierce and insolent before, became gentle and modest when, through association with Socrates, he learned to know that philosopher's singular integrity of character."

[14] Nell'edizione degli Adagia di Erasmo del 1550 (Lugduni, apud Sebastianum Gryphium) questo proverbio corrisponde a II,2,26 (Chiliadis II Centuria II – XXVI).

[15] Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 410: Sumptum est ex Aristophane nisi me fallit memoria. Refertur ab {Eudemo} <Euelpide>, Erasmus. – L'errore Eudemo/Euelpide è contenuto nel proverbio IV,2,78 (Chiliadis IIII Centuria II – LXXVIII) degli Adagia di Erasmo del 1550 (Lugduni, apud Sebastianum Gryphium). – La spiegazione del misfatto di Erasmo, non emendato da Gessner, potrebbe essere assai semplice. Infatti Euelpide in greco viene abbreviato con Ἐυε. ma Erasmo potrebbe aver letto Ἐυδ., facendoci così scervellare alla ricerca di chi fosse questo fantomatico Eudemo. Erasmo manco si ricordava chi erano i personaggi degli Uccelli di Aristofane! Infatti la frase si trova ai versi 70-71: Ἐυε. ἡττήθης τινὸς | ἀλεκτρυόνος.

[16] Dovrebbe trattarsi del frammento 53.