Conrad Gessner
Historiae animalium liber III qui est de Avium natura - 1555
De Ovo
trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti
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Demetrius
Constantinopolitanus ὠοῦ τὸ κρόκον
dixit,
Eustathius τὸ ἐν τοῖς ὠοῖς κροκοειδές. Λέκιθος
(per iota in penult. malim per ypsilon) proprie
τὸ
ξανθόν τοῦ
ὠοῦ διὰ τὸ λέπει
κεύθεσθαι, Scholiastes
Aristophanis. Vitellum ovi lecithon dici a Graecis scio, et approbat ad
Glauconem primo Galenus. Caeterum λέκιθος
masc. gen. (Eustathio teste) leguminis genus est,
quod pisum (πίσον, Scholiastes
Aristophanis. apud Suidam πισσός
oxytonum duplici s.
scriptum non probo) alias nuncupant, quod in Pisa Elidis abunde nascatur:
refert autem colore luteum ovi, unde ei nomen. Λεκιθοπώλης masc.
gen. paroxytonum vero cum iota in ultima,
λεκιθόπωλις,
foeminini, mulier quae lecithon, id est pisum, et
synecdochice quaevis legumina vendit, ὀσπριόπωλις,
Suidas. aut vilissima omnino. tanquam nugivendula,
ut Plauti[1]
verbo utamur, Caelius. sunt qui etiam ova vendentem interpretentur, ut
Suidas habet, quod minus placet. |
Demetrio
di Costantinopoli - Demetrio Cidone?
- disse øoû tò krókon
- lo zafferano
dell'uovo, Eustazio di Tessalonica
disse tò en toîs øoîs
krokoeidés - ciò che ha
color zafferano presente nelle uova. Lékithos - il tuorlo
(con la iota nella penultima sillaba, preferirei con la y) propriamente
è il giallo dell'uovo che viene nascosto grazie al guscio - tò
xanthón toû øoû dià tò lépei keúthesthai,
il commentatore di Aristofane.
Io so che il tuorlo dell'uovo viene detto lékithos dai Greci e Galeno concorda nel primo libro del suo Ad
Glauconem de medendi methodo.
Del resto lékithos al maschile (ne
è testimone Eustazio) è un tipo di legume - il pisello
oppure la parte interna delle lenticchie
a seconda degli autori - che diversamente chiamano pisello (il
commentatore di Aristofane lo chiama píson, non sono
d'accordo con pissós
ossitono e con due s del lessico Suida),
in quanto nascerebbe in abbondanza nel territorio di Pisa dell'Elide:
infatti per il colore richiama il giallo dell'uovo, da cui gli è stato
attribuito il nome di lékithos.
Lekithopølës
parossitono di genere maschile, invece lekithópølis
di genere femminile con la
iota nell'ultima sillaba, è una donna che vende il lékithos, cioè il
pisello, e per sineddoche
vende qualsiasi tipo di legumi, ospriópølis - venditrice di legumi, lessico Suida. Oppure del tutto assai
spregevole, tanto quanto una venditrice di inezie, servendoci della
parola usata da Plauto - in Aulularia,
Lodovico Ricchieri.
Alcuni interpreterebbero lekithópølis
come colei che vende anche le uova, come riferisce
il lessico Suida, ma mi pare meno appropriato. |
Sed
Cornarius libro quinto Commentariorum in Galeni libros de compos. sec.
loc. Lecythopolae (inquit[2])
Graecis appellantur, non qui pisa aut ova vendunt, sed pulmentaria e
farinis leguminum elixatis et pinguedine aliqua conditis. nam edulium ex
cicere et reliquis leguminibus fractis ἔτνος
appellatur, sicut ex farina eorundem pulmentarium quod in aqua coquitur
pingui adiecto, λέκυθος
(malim per iota in penultima in hac significatione.
ut in Galeni etiam Glossis legimus, Λέκιθον
φακῶν, τὸ
ἔνδον τοῦ
λέπους. id
est lentium pars interior, intra corticem, vel a cortice separata) velut
in libro de boni et mali succi cibis Galenus ipse declarat. quare
κυαμίνη
λέκυθος, nihil
aliud est quam fabae lomentum elixatum. Ad clavos et callos facit
λέκυθος
κυαμίνη μετ’ὄξους
ἑψηθεῖσα, Paulo
lib. 3. cap. 80. Idem ὀρόβινον
λέκυθον, id
est ervi farinam sive lomentum habet libro 3. cap. 25. et Hippocrates in
Spuriis ad primum De muliebribus adiectis, Πτισσάνης (inquit[3])
λέκυθον
ἐμβαλών ἐν
χοέα
ὕδατος, ἕψε
μέχρι
λιπαρός
γεύηται. Caeterum
Artemidorus lib. 5. somnio 85.
λέκυθον
ovi testam appellat, nisi corrupta est lectio, et
κέλυφος
(aut λέπυρον)
fortasse legendum. Verba eius haec sunt: Ἔδοξέ
τις δοῦλος
παρὰ τῆς
δεσποίνης
ὠόν λαβεῖν ἑφθόν,
καὶ τὸν μὲν
λέκυθον
ἀποῤῥίψαι,
τῷ δὲ ὠῷ
καταχρήσασθαι,
Haec fere Cornarius. |
Ma
Janus Cornarius
nel quinto libro dei Commentari al De compositione medicamentorum
secundum locos di Galeno dice: Dai Greci vengono dette Lecythopolae
- venditrici di farina di legumi - non coloro che vendono piselli oppure
uova, bensì delle pietanze ottenute da farine lessate di legumi e
condite con un qualche grasso. Infatti un cibo ottenuto dal cece
e dagli altri legumi sminuzzati viene detto étnos - passato di
legumi, come anche viene detta lékythos - purè di legumi - una
pietanza ottenuta con una farina degli stessi che viene cotta in acqua
con l'aggiunta di grasso (preferirei che lékythos, con questo
significato, avesse la iota nella penultima sillaba, come leggiamo anche
nelle glosse di Galeno, Lékithon phakøn, tò éndon toû
lépous -
purè di lenticchie, la parte interna della buccia - cioè, la parte
interna delle lenticchie, all'interno della buccia, ossia separata dalla
buccia) come afferma lo stesso Galeno in De
bonis malisque succis. Per
cui la kyamínë lékythos - purè
di fave - altro non è che una crema di fave lessata. Giova alle
escrescenze e ai calli il purè di fave cotto con aceto - lékythos kyamínë met'óxous epsëtheîsa, in Paolo di Egina libro 3 capitolo 80. Sempre lui nel libro 3 capitolo 25 riporta: cioè
farina oppure crema di veccia - oróbinon lékython,
purè di veccia. E Ippocrate
nei libri spuri aggiunti al primo libro di De
morbis muliebribus dice: Ptissánës
lékython embaløn en choéa hýdatos, hépse méchri liparós geúëtai - fa bollire un purè di orzo mondato gettandovi un boccale di acqua
fino a quando risulta consistente. D'altra parte Artemidoro di Daldi
nel 5° libro sogno 85 di Onirocritica
chiama lékython il guscio dell'uovo, a meno che il testo sia
errato, per cui forse bisogna leggere kélyphos - guscio (oppure lépyron
- guscio). Queste sono le sue parole: Édoxé tis doûlos parà tës
despoínës øón labeîn hephthón, kaì tòn mèn lékython aporrhípsai
tøi dè øøi
katachrësasthai - si
è visto un servo prendere un uovo bollito dalla padrona, e gettare via
il guscio, e usare l'uovo, Janus Cornarius scrive più o meno queste
cose. |
Etymologia
quidem tum interiori leguminum parti ex qua farina fit, tum ovi luteo
fere convenire videtur, quoniam utrunque intra suum corticem continetur,
quanquam vitellus non immediate, διὰ
τὸ λέπει
κεύθεσθαι. Legumen
omne tribus modis manditur, inquit Athenaeus[4].
aut enim ex eo fit quod etnos dicitur, ut ex faba et piso. aut lecithos,
ut ex araco aut phace. aut ex aphaca et lente, Hermolaus. Meleager
Graecus author volumen singulare scripsit, lecithi et phaces
comparationem continens, Idem: ubi lecithus absolute pro sui generis
legumine accipiendus videtur: aut pro lente molita vel saltem a
corticibus separata, nam
φακόν
lentem crudam interpretantur, φακήν
coctam: potest autem coqui vel cum corticibus suis,
ut sic cocta φακῆ
dicatur: vel absque illis, λέκιθος.
Nec illud tacuerim lecython pro gutto oleario et
ampulla falso a quibusdam coepisse lenticulam vocari: nescio quam
perite, cum lenticula vasculum non sit magis quam id quod Graeci discum
vocant, etc. In summa lecithos pro
legumine, aliquando pro putamine, per iota scribitur: pro vitello per y.
pro ampulla per u. potius quam per y. Hermolaus. Verum pro ampulla per
u. ut Hermolaus putat, sed per y. penultima scribitur, prima vero per e.
longum, λήκυθος,
cum in aliis significationibus per ε.
scribatur, id est e.
breve. |
Quindi
pare che l'etimologia si accorda del tutto sia con la parte interna dei
legumi da cui proviene la farina che con il tuorlo dell'uovo, in quanto
ambedue sono contenuti all'interno del loro rivestimento, anche se il
tuorlo non è a diretto contatto, dià tò lépei keúthesthai -
è nascosto grazie al guscio. Qualsiasi tipo di legume viene mangiato in
tre modi, dice Ateneo.
Infatti da esso si prepara ciò che in greco è detto étnos -
passato di legumi, come con la fava e il pisello. Oppure si prepara il lékithos
- la parte interna delle lenticchie, come con la cicerchia
oppure con il phakós - la lenticchia. Oppure con la aphakë
- la veccia - e la lenticchia, Ermolao Barbaro.
L'autore greco Meleagro di Gadara
ha scritto una singolare composizione satirica che contiene un confronto
tra la parte interna della lenticchia e la lenticchia, sempre Ermolao,
il quale scrive: in essa sembra che lékithos vada inteso in
senso assoluto come un tipo particolare di legume, oppure come la
lenticchia macinata oppure per lo meno separata dalla scorza, infatti
intendono come lenticchia cruda il phakós, phakë quella
cotta: infatti può venir cotta sia con la sua scorza, cosicché cotta
in questo modo viene detta phakë, oppure è detta lékithos
senza la scorza. E non vorrei passare sotto silenzio che erroneamente da
alcuni si è cominciato a chiamare la lenticchia lékython nel
senso di boccetta per l'olio e ampolla: non so con quale grado di
competenza, dal momento che la lenticchia non è un vasetto più di
quanto lo sia ciò che i Greci chiamano diskós - piatto rotondo,
etc. In conclusione: lékithos viene scritto con la iota nel
senso di legume, talora col significato di guscio. Per significare il
tuorlo viene scritto con la y e con la u piuttosto che con la y per
significare un'ampolla, Ermolao. In verità nel significato di ampolla,
scritto con la u come ritiene Ermolao, invece va scritto con la y nella
penultima sillaba, mentre la prima sillaba va scritta con la e lunga - o
eta, lëkythos, mentre negli altri significati va scritto con la
epsilon, cioè con la e breve. |
Eustatius
in sextum Odysseae λήκυθον
olearium vas dictum scribit παρὰ
τὸ ἔλαιον
κεύθειν, quod
et ὄλπη
vocetur, διὰ
τὸ ἔλαιον {πεπάσθαι}
<πεπᾶσθαι>, ἤγουν
κεκτῆσθαι: e
pretiosa materia fieri solitum. non solum enim ad oleum simplex, sed
etiam ad unguenta eius, usus erat. Hinc forte verbum ληκυθίζειν
apud Strabonem lib. 13.[5]
(pro quo quidam inepte in Lexicon Graecolatinum vulgare retulit λυκιθίζειν)
μηδέν
φιλοσοφεῖν
πραγματικῶς,
ἀλλὰ θέσεις
ληκυθίζειν: quod
quidam exponit themata et argumenta fictitia elaborare. Varinus
interpretatur τὸ
μεῖζον βοᾶν
καὶ ψοφεῖν,
ληκυθιστήν vero non τὸν
μέγα βοῶντα, sed
contra τὸν
μικρόφωνον. |
Eustazio
nel commento al VI libro dell'Odissea scrive che il recipiente per olio
è detto lëkythos - ampolla - parà tò élaion keúthein
- in base al fatto di contenere l'olio, in quanto sarebbe anche detto ólpë
- ampolla dell'olio - dià tò élaion pepâsthai, ëgoun kektësthai
- per il fatto di acquisire l'olio, ovvero, di possederlo: abitualmente
è costituito da materiale prezioso. Infatti non era abitudine
servirsene solo per l'olio puro e semplice, ma anche per gli unguenti
che se ne preparavano. Da cui forse deriva il verbo lëkythízein
- declamare ampollosamente - presente nel libro XIII di Strabone
(invece di questo verbo qualcuno stoltamente ha riportato lykithízein)
mëdén philosopheîn pragmatikøs, allà théseis lëkythízein
- non filosofare per nulla partendo dai fatti, bensì declamare
ampollosamente questioni generiche: che qualcuno traduce con elaborare
temi e argomenti fittizi. Ma Guarino
interpreta tò meîzon boân kaì psopheîn, lëkythistën -
gridare maggiormente e strepitare come uno che declama con voce
enfatica, non uno che grida forte - tòn méga boønta, ma al
contrario come colui che ha la voce esile - tòn mikróphønon. |
Placenta
λεκιθίτης
dicebatur, cui admixtus erat vitellus ovi,
Eustathius. Theophrastus[6]
loti Aegyptiae radicem decoctam, lecithodem fieri ciboque gratam scribit:
hoc est araci leguminis alterius in modum: quanquam Theodorus albumen
ovi, quemadmodum in ea voce luteum intellexerit, vehementer miror. cum {lecythos}
<lecithos> vitellum ovi potius quam candidum significare videatur.
hoc primi vidimus, seu recte seu perperam: certe si erravimus, utilis et
eruditus error futurus est, Hermolaus. videtur autem aliquid in his
verbis esse corruptum, et sic legendum: Quanquam Theodorus albumen ovi
cur potius in ea voce quam luteum intellexerit, etc. Locus est apud Theophrastum de hist. plant. 4. 10.[7] Ubi Theophrasti verba sunt, φλοιός περὶ αὐτὴν μέλας, τὸ δὲ ἐντός λευκόν. ἑψόμενον δὲ καὶ ὀπτώμενον γίνεται λεκιθώδες. {ἡδύς} <ἡδύ> δὲ ἐν τῇ προσφορᾷ,
Ubi Gaza vertit, elixum assumque in speciem
albuminis verti, sed inepte, ut Hermolao etiam videtur. Verum is quoque
errat, lecithum hoc loco aracum legumen interpretatus: cum Dioscorides[8],
qui tortum fere caput de hac stirpe ex Theophrasto transcripsit, coctam
eius radicem scribat
τῇ ποιότητι ἀναλογεῖν λεκύθῳ ὠοῦ,
hoc est qualitate referre luteum ovi. Marcellus
pari saporis qualitate esse transfert. Sed forte ad substantiam potius
coloremque referri convenit. cum Theophrastus doceat partem internam
alias quidem albam esse, coctam vero λεκιθώδες
fieri. sic enim bilem quoque λεκιθώδες,
id est vitellinam dictam a coloris et crassitiei similitudine
apud veteres medicos novimus. |
La
focaccia veniva detta lekithítës - pane di farina di legumi,
alla quale era mescolato del tuorlo d'uovo, Eustazio. Teofrasto
scrive che la radice bollita del loto egiziano
diventa di colore simile al tuorlo - lekithødes - e gradevole
come cibo: questa è un'alternativa al legume detto cicerchia, anche se
mi chiedo assai meravigliato in che modo Teodoro Gaza
abbia potuto scambiare quella parola per albume dell'uovo invece che
tuorlo. Dal momento che lékithos sembra significhi il tuorlo
dell'uovo anziché l'albume. Di questo mi sono accorto per primo, sia
giustamente che erroneamente: certamente, se mi sono sbagliato, diventerà
un errore utile ed erudito, Ermolao Barbaro. In effetti sembra che
qualcosa in queste parole sia scorretto e che bisogna leggere così:
Anche se ci si chiede perché Teodoro in quella parola ha inteso
l'albume dell'uovo anziché il tuorlo, etc. Esiste un passaggio in
4,8,11 della Historia plantarum di Teofrasto in cui le parole di
Teofrasto sono queste: Phloiós perì autën mélas, tò dè entós
leukón. Epsómenon dè kaì optømenon gínetai lekithødes. Hëdý
dè en tëi
prosphorâi.
Laddove Gaza
traduce con: lessato e arrostito assume l'aspetto dell'albume, ma
stoltamente, come sembra anche a Ermolao. A dire il vero anche costui
commette qui un errore intendendo in questo passo lékithos come
se fosse il legume cicerchia: dal momento che Dioscoride,
il quale, quasi torcendo la testa, ha trascritto il testo da Teofrasto
relativo a questa pianta, scrive che la sua radice quando è cotta tëi
poióteti analogeîn lekýthøi
øoû, cioè,
per qualità è simile al tuorlo dell'uovo. Marcello Virgilio Adriani
traduce che come qualità ha lo stesso sapore - del tuorlo. Ma forse
conviene riferirsi piuttosto alla sostanza e al colore. Dal momento che
Teofrasto informa che del resto la parte interna è davvero bianca,
mentre quando è cotta diventa lekithødes - simile al tuorlo.
Infatti abbiamo appreso dagli antichi medici che per questo motivo anche
la bile è detta lekithødes, cioè simile al tuorlo, per motivi
di somiglianza circa il colore e la consistenza |
¶ Ovi
testam Serenus, aliqui putamen, Plinius[9]
calicem quoque vocant. Graeci[10]
κέλυφος,
quod Suidas interpretatur τὸ
λέπυρον τοῦ
ὠοῦ. item λέπος[11],
ut Anatolius, et λέμμα
Aristophanes[12].
Ovi putamen celyphanon dixit in Alexandra Lyocophron[13].
quanquam eo nomine quilibet censeri cortex valeat, Caelius. Hippocrates[14]
in libro de natura pueri τὰ
λεπύρια
dixit: Aristoteles ὄστρακον.[15] |
¶
Sereno
chiama testa il guscio dell'uovo, alcuni lo chiamano putamen
- guscio, Plinio
anche calix. I Greci dicono kélyphos, che il lessico
Suida interpreta tò lépyron toû øoû - il guscio dell’uovo.
Parimenti, come Anatolio,
dicono lépos, e Aristofane lémma. Licofrone
nella tragedia Alessandra disse kelýphanon - guscio,
anche se con tale parola potrebbe essere annoverato qualunque tipo di
rivestimento, Lodovico Ricchieri. Ippocrate in De natura pueri
disse tà lepýria - i gusci, Aristotele
óstrakon. |
[1] Aulularia 525: Megadorus - Ubi nugivendis res soluta est omnibus, | ibi ad postremum cedit miles, aes petit. -- Megadoro - Appena li hai pagati tutti, quei venditori di bagatelle, ecco che ti sbuca fuori un soldato che vuole la sua parte.
[2] Il commento riguarda una prescrizione di Galeno contenuta nel libro V capitolo I il cui titolo è De sugillatione sub oculis hypopion Graeci appellant. La prescrizione di Galeno è la seguente: Aut fabam fresam commanducatam imponito cum melle.
[3]
Πτισσάνη
è un'insolita variante di πτισάνη
che a seconda degli autori significa orzo mondato,
orzata, tisana di orzo mondato. Più corretta sembrerebbe la variante
insolita, dal momento che il vocabolo deriva da πτίσσω = mondare orzo o grano, pestare, schiacciare. Oggi per tisana - in base
a De Agostini 1995 - si intende una pozione ad azione blanda, contenente
piccole dosi di sostanze medicamentose. Si prepara per infusione,
macerazione, decozione, ecc. di cortecce, fiori o foglie di piante
officinali. Per lo Zingarelli 2008 si
tratta di una soluzione diluita di sostanze medicamentose ottenuta per
infusione di fiori di camomilla, di tiglio, malva e simili o per decozione
di cortecce o semi, usata come calmante o emolliente. Secondo il Dizionario
della lingua italiana di Niccolò Tommaseo e Bernardo Bellini (1865-1879):
Bevanda d'orzo cotto in acqua, o Vino fatto con orzo. Ma è nome anche
generico, e vuol dire qualsivoglia medicamento magistrale, che ha l'acqua
per eccipiente: contiene scarsi i principii attivi, e si prende tiepido
dagli ammalati come bevanda abituale.
[4] Deipnosophistaí IX,71,406c.
[5] Geografia 13.1.54 (Vocabolario della lingua greca, Loescher 2004).
[6] Historia plantarum 4.8.11 (Vocabolario della lingua greca, Loescher 2004). Teofrasto dice che la radice di questa pianta identificata come ninfea del Nilo (Nymphaea lotus L.) viene anche detta κόρσιον, kórsion.
[7] Historia plantarum 4.8.11 (Vocabolario della lingua greca, Loescher 2004): φλοιός δὲ περίκειται περὶ αὐτὴν μέλας, ἐμφερὴς τῷ κασταναικῷ καρύῳ· τὸ δὲ ἐντός λευκόν, ἑψόμενον δὲ καὶ ὀπτώμενον γίνεται λεκιθώδες. ἡδύ δὲ ἐν τῇ προσφορᾷ.
[8] IV,109
in Petri Andreae Matthioli Commentarii in libros sex Pedacii Dioscoridis
de medica materia (1554): decoctaque
lutei ovi qualitatem exhibet.
[9]
Naturalis historia XXVIII,19:
Huc pertinet ovorum, quis exorbuerit quisque, calices coclearumque protinus
frangi aut isdem coclearibus perforari.
[10] Cfr. Aristotele De generatione animalium II 743a 17.
[11] Lépos, guscio, è testimoniato in Ateneo II p. 55c, Nicandro Theriaca 943.
[12]
Aves 673.
[13] Lycophron, Alexandra (ed. by E. Scheer, Berlin, 1881), line 89. (Lind, 1963) – Il sostantivo neutro κελύφανον significa guscio e fu usato oltre che da Licofrone anche da Luciano.
[14]
Hippocrates Liber de Natura Pueri 22. (Lind,
1963)
[15]
De generatione animalium III 758b.