Lessico
Teodolinda
Nuremberg Chronicle - 1493
Introvabili nel web Theogilla nonché Theogilia. Raro Teodelinda. In inglese suona sia come Theodelinda che come Theodolinda. Paolo Morigia usò Teodolina. Per datazioni biografiche e post mortem rispondenti al vero si vedano i dati raccolti da Piero Majocchi (Università degli Studi di Padova) riportati alla voce del lessico dedicata alla chioccia con 7 pulcini del tesoro del Duomo di Monza.
Regina dei Longobardi morta nel tra 616 e 626. C'è chi riferisce il 628. L'obituario monzese del secolo XII/XIII riporta la data del 22 gennaio 627. Non si conoscono fonti altomedievali che attestino il luogo di morte. Se non bastasse, non si conosce né il luogo né la data di nascita. Figlia di Garibaldo, duca dei Bavari, sposò (589) Autari, re dei Longobardi, col quale concepì Gundiperga/Gundeperga/Gundeberga che nacque nel 591 (morì dopo il 652) che andò sposa ad Arioaldo duca di Torino (divenuto re dei Longobardi a spese del cognato Adaloaldo) e, alla morte di Arioaldo (636), sposò Rotari, nuovo re dei Longobardi.
Dopo la morte di Autari (Pavia 590), Teodolinda sposò Agilulfo che era duca di Torino. Questo secondo matrimonio venne celebrato a Lomello (PV) nell'autunno del 590. Dalla loro unione nacque nel 602 Adaloaldo che, grazie alla mediazione di Teodolinda, venne battezzato secondo il rito cattolico.
Fervente cattolica, con l'aiuto di Gregorio Magno Teodolinda si adoperò per la conversione del suo popolo dall'arianesimo al cattolicesimo, contribuendo notevolmente a raddolcire i rapporti con le popolazioni indigene. Fu larga di donazioni alla Chiesa e fece costruire a Monza la Basilica di San Giovanni Battista, donandole tesori, tra cui la corona ferrea, contenente, secondo la leggenda, un chiodo con cui Cristo venne crocifisso. Con essa sarebbero stati incoronati nel Medioevo i re d'Italia a cominciare da Berengario I (888); ma con certezza storica si sa che la prima incoronazione riguarda Enrico IV (1084). Altri monarchi furono successivamente incoronati con la corona ferrea, tra i quali vanno ricordati il Barbarossa (1156), Carlo V (1530), Napoleone I (1805) e infine Ferdinando I (1838).
Corona
Ferrea, metà del IX secolo - Oro, gemme e smalti
diametro 15 cm - altezza 3,5 cm
Duomo di Monza - Cappella di Teodolinda
Rimasta nuovamente vedova nel 616 di Agilulfo, resse il regno per il figlio Adaloaldo. Nel 628 circa morirono entrambi, Teodolinda probabilmente di vecchiaia, mentre Adaloaldo forse avvelenato. Fu venerata come beata, ma il suo culto (22 gennaio) non fu mai confermato ufficialmente dalla Chiesa.
Chioccia
con sette pulcini
di Teodolinda - secolo VI e interventi successivi
Anonimo - Argento sbalzato e dorato
Monza - Museo e Tesoro del Duomo
Sarcofago
di Teodolinda - 1308
Cappella di Teodolinda
Duomo di Monza
Non si conoscono fonti altomedievali che attestino il luogo di sepoltura di Teodolinda. Appare comunque probabile che essa sia stata sepolta a Monza, San Giovanni, benché le prime attestazioni del suo sepolcro nella chiesa risalgano solo ai secoli XII/XIII, dato che nessuna altra chiesa rivendica nel medioevo il sepolcro di Teodolinda, e poiché appare probabile che Teodolinda abbia fondato San Giovanni per esservi seppellita.
La tomba di Teodolinda viene traslata da terra e posta in un sarcofago collocato nella cappella di San Vincenzo nel transetto nel 1308 per il Necrologio monzese e nel 1310 per Galvano Fiamma. Dopo la traslazione dell'inizio del XIV secolo, tra la metà del XIV e il XVI secolo il sarcofago di Teodolinda viene rimosso dalla cappella di Teodolinda e collocato a ridosso di una delle pareti del transetto. Dopo 1889 il sarcofago viene ricollocato nella cappella di Teodolinda e innalzato su quattro colonne.
Il sarcofago di Teodolinda viene aperto nel 1941: vi viene trovato un tubo fittile datato alla "tarda antichità-altomedioevo"; chiodi; elementi decorativi in oro e altro forse guarnizioni di fodero di coltello; fili di broccato e punta di lancia in ferro. Non vi sono dubbi sull'appartenenza del corredo alla tomba di Teodolinda e perciò il corredo viene datato inizio VII secolo. Haseloff data il sarcofago di Teodolinda come tardoantico o comunque fine VI/inizio VII; il pettine e la chioccia sono ritenuti parte del corredo estratto dalla tomba nel 1308; vi si ritiene sepolto forse anche Adaloaldo, a causa del ritrovamento di un dente di uomo. In realtà non esiste alcuna relazione accertata tra gli oggetti ritrovati e un ipotetico corredo longobardo della regina.
© 2006 Piero Majocchi - Università degli Studi di Padova
Teodolinda
Particolare
degli affreschi dei fratelli Zavattari
Duomo di Monza
Teodolinda (... – 22 gennaio 627) fu regina dei Longobardi e regina d'Italia dal 589. Fu moglie prima di Autari e poi di Agilulfo. Figlia del duca bavaro Garibaldo, per parte materna era di ascendenza longobarda: sua madre, Valdrada, era infatti figlia di Vacone, re dei Longobardi tra il 510 e il 540. Così Teodolinda ereditò dal nonno il carisma della dinastia dei Letingi, di forte ascendenza sul popolo longobardo.
Le prime nozze con Autari
Nel 588, sfumato un precedente fidanzamento con una sorella del re dei Franchi, Childeberto II, il re dei Longobardi Autari concluse il fidanzamento con Teodolinda. La scelta aveva un preciso risvolto politico: fallito il tentativo di arrivare a una pacificazione con i Franchi, Autari aveva scelto lo scontro aperto, e di conseguenza cercato l'appoggio dei Bavari che, come i Longobardi, erano minacciati dai Franchi, allora in una fase di ascesa. Il matrimonio fu celebrato nei campi di Sardi vicino a Verona il 15 maggio 589; il fratello di Teodolinda, Gundoaldo, fu nominato duca di Asti.
Le seconde nozze con Agilulfo
La croce di Agilulfo - Museo del Duomo di Monza
Autari morì improvvisamente (forse avvelenato) dopo poco più di un anno dal matrimonio, il 5 settembre 590. Secondo il racconto di Paolo Diacono, commovente anche se di dubbia veridicità, in quei mesi la regina letingia avrebbe a tal punto conquistato i Longobardi da far sì che il popolo, spontaneamente, le offrisse la possibilità di scegliersi un nuovo marito e re. La scelta sarebbe allora caduta sul duca di Torino Agilulfo della stirpe di Anawas. Più verosimilmente quel matrimonio, celebrato nello stesso autunno del 590, era stato orchestrato dallo stesso Agilulfo, che nel maggio del 591, a Milano, avrebbe poi ricevuto l'investitura ufficiale a re in un'assemblea del popolo.
Teodolinda ebbe un notevole influsso sulle scelte politiche del marito. Cattolica (a differenza del marito e di gran parte del popolo longobardo, ariano e pagano), dopo un iniziale sostegno allo scisma cercò un avvicinamento con la Chiesa di papa Gregorio Magno, con il quale intratteneva uno scambio epistolare. Così furono restituiti beni alla Chiesa, reinsediati vescovi e avviati sforzi per comporre lo scisma tricapitolino che divideva il papa di Roma dal patriarca di Aquileia. Lo scisma tricapitolino o Scisma dei Tre Capitoli indica una divisione all’interno della Chiesa avvenuta tra i secoli VI e VIII, causata da un folto gruppo di vescovi per lo più occidentali che interruppero le relazioni con gli altri vescovi e con il papa. Prende il nome da un editto imperiale di Giustiniano intorno all'anno 545 contenuto in 3 capitoli, in ciascuno dei quali si condannano come eretiche 3 diverse persone e i loro scritti.
In quegli anni il monaco Secondo di Non, tricapitolino, fu primo consigliere alla corte. Il figlio di Agilulfo e Teodolinda ed erede al trono, Adaloaldo, nzto nel 602, fu battezzato con rito cattolico nel 603, mentre l'aperto incoraggiamento dato dalla coppia regale alla riforma monastica di san Colombano approdò, nel 612, alla fondazione del monastero di Bobbio.
La reggenza
Agilulfo morì nel maggio del 616 lasciando il titolo al figlio Adaloaldo ancora minorenne, ma già associato al trono dal 604. Una possibile insidia per la successione avrebbe potuto essere rappresentata dal fratello di Teodolinda, il popolare Gundoaldo duca di Asti, ma poco prima questi era stato assassinato, si sospetta per iniziativa della stessa coppia reale. Teodolinda rimase al vertice del potere accanto al figlio, esercitando una reggenza e ricevendo il grande sostegno del duca Sundrait, già comandante militare e uomo di fiducia di Agilulfo.
Come reggente, Teodolinda intensificò il suo appoggio alla Chiesa cattolica, anche per l'influsso esercitato dal consigliere latino Pietro. Non ci furono attacchi ai Bizantini, che pure in quegli anni erano in gravi difficoltà a causa della contemporanea pressione di Avari e Persiani, e anzi la diplomazia longobarda si impegnò nella ricerca di un accordo definitivo con l'imperatore. Lo scontento della maggior parte dei duchi si condensò intorno alla figura emergente di Arioaldo, duca di Torino e cognato di Adaloaldo (era marito di sua sorella Gundeperga). Nel 624, quando ormai Adaloaldo era maggiorenne ma non per questo Teodolinda aveva perso il suo influsso sulla politica, esplose il conflitto interno tra i ribelli e il re, sostenuto dal papa e dall'esarca di Ravenna.
Teodolinda morì nel 627 (628?), un anno dopo la detronizzazione del figlio, e fu sepolta, accanto al marito, all'interno del Duomo di Monza, da lei voluto; in seguito sarebbe stata canonizzata, ma il suo culto (22 gennaio) non fu mai confermato ufficialmente dalla Chiesa. Con la sua morte ha termine il periodo monzese dei re longobardi.
Teodolinda e Monza
La croce di Teodolinda - Museo del Duomo di Monza
Agilulfo e Teodolinda elessero Milano come propria capitale, al posto di Pavia, e utilizzarono Monza come residenza estiva. La storia di Teodolinda si intreccia così con quella di Monza, dove fece costruire un palazzo e una cappella palatina che poi, nel tempo, sarebbe diventata il nucleo primario del Duomo di Monza.
Secondo la tradizione, Teodolinda aveva promesso di erigere un tempio a San Giovanni Battista e aspettava un'ispirazione divina che le indicasse il luogo più adatto. Mentre cavalcava col suo seguito attraverso una piana ricca di olmi e bagnata dal Lambro, un giorno la regina si fermò a riposare lungo le rive del fiume. In sogno vide una colomba che si fermò poco lontano da lei e le disse "Modo" (qui); prontamente la regina rispose "Etiam" (sì) e la basilica sorse nel luogo che la colomba aveva indicato. Dalle due parole pronunciate dalla colomba e dalla regina venne il primo nome della città di Monza, Modoetia, ma già antico centro gallo-insubre e poi romano col nome di Muticia (o Modicia).
Nel 595 Teodolinda fece erigere un oraculum (cappella della regina) con pianta a croce greca; di questa prima costruzione rimangono oggi solo i muri, risalenti al VI secolo. Alla morte della regina, sebbene l'edificio non fosse ancora terminato, il suo corpo vi fu sepolto, al centro della navata sinistra. In epoca successiva la sua sepoltura fu traslata, sempre nel Duomo di Monza, nel sarcofago visibile sulla parete di fondo nella cappella detta di Teodolinda, dietro l'altare che custodisce la Corona Ferrea. Le pareti della cappella sono rivestite di affreschi (opera dei fratelli Zavattari) con le storie della vita della regina, narrate da Paolo Diacono.
Popolazione germanica appartenente probabilmente al ceppo dei Marcomanni (antico popolo germanico della stirpe dei Suebi stanziati in origine nella regione tra l'Elba e l'Oder) che nel sec. I si stanziò in Boemia (oggi in Repubblica Ceca, menzionata dalle fonti a partire dal sec. VI). I Bavari occuparono poi la Baviera, che da essi prese il nome. Seguì un periodo di espansione tanto a nord, oltre il Danubio, quanto a sud, dove fu fondato un ducato che raggiunse notevole potenza. Minacciato dal regno franco, lo Stato bavaro cessò di esistere con la sconfitta e la deposizione, a opera di Carlo Magno, del più noto duca bavaro, Tassilone III, da lui condannato a morte per tradimento nella dieta di Ingelheim (788),. poi graziato ma rinchiuso in diversi monasteri fino a quello in cui morì intorno al 794.
Teodolinda a Monza
Gli affreschi degli Zavattari del XV secolo
a cura di Primo Casalini
Il re, la regina, il falcone e la scimmia.
Il massimo splendore di Monza iniziò con l'arrivo dei Longobardi. È una storia diffusa ma non del tutto vera, perché Teodorico circa un secolo prima diede una buona mano con i suoi Ostrogoti, ma sta di fatto che ancor oggi a Monza, nel Museo Serpero - attiguo al Duomo - è conservato un tesoro di quei tempi con dei pezzi unici, malgrado alcune spoliazioni, ivi compresa quella del solito Napoleone. Nel Duomo è custodita la Corona Ferrea, che fu eseguita comunque in tempi posteriori rispetto a quelli di Teodolinda: è costruita attorno a una anello, il Sacro Chiodo, con sei segmenti d'oro uniti a cerniera, e decorata con smalti e pietre preziose. Inoltre, un po' prima della metà del '400, fu eseguita nella cappella a sinistra dell'altar maggiore una vasta decorazione ad affresco il cui tema è la storia di Teodolinda, una storia-leggenda, come vedremo poi. Il ciclo di affreschi fu eseguito dalla bottega degli Zavattari, una famiglia di artisti-artigiani di cui si hanno notizie per cinque generazioni, dagli ultimi anni del '300 all'inizio del '500. Come usava allora, non erano solo pittori, ma certamente miniatori e autori di disegni per vetrate di chiese; questa loro versatilità la si nota anche a Monza, nelle ricche decorazioni spesso dorate, in certe finiture a secco, il tipico lavorìo alla fine degli affreschi del gotico internazionale, la cui curiosa conseguenza è a volte di far assomigliare gli affreschi a delle enormi miniature.
Teodolinda fu per diversi motivi un fiore all'occhiello della chiesa di Roma. Anzitutto era cattolica, mentre ai suoi tempi i Longobardi prevalentemente erano ariani (l'eresia che negava la natura divina di Cristo) o pagani. Ma Teodolinda non era longobarda, era la figlia di Garibaldo duca di Baviera. Prima sposò il re longobardo Autari, e dopo la sua morte sposò Agilulfo, duca di Torino, che divenne re dei Longobardi anche in virtù di questo matrimonio. Fece costruire dal 595 in poi, vicino al suo palazzo di Monza, una chiesa dedicata a San Giovanni Battista, che dotò di rendite e tesori. Della chiesa costruita da Teodolinda non è rimasto nulla o quasi, era più o meno corrispondente come ubicazione all'attuale Duomo. Teodolinda fu sempre sostenuta da Papa Gregorio, poi San Gregorio Magno, e ricevette diversi doni dal Papa, come segno di attenzione della Chiesa di Roma che tramite Teodolinda mirava alla conversione dei Longobardi e a migliorare il trattamento riservato a molti vescovi; in quei tempi ad esempio il vescovo di Milano era esule a Genova, sotto protezione bizantina. Ancora oggi, nella liturgia, a Monza vige il rito romano, diverso dal rito ambrosiano utilizzato a Milano.
Un altro episodio di contrapposizione ci fu diversi secoli dopo, quando Monza fu la sede di Federico Barbarossa durante le sue lotte contro Milano. L'iniziatore della fortuna di Monza fu Teodorico, che apprezzava Monza sia perché prossima a Milano - in cui l'ostilità verso le popolazioni barbariche era più diffusa per la tradizione amministrativa e burocratica dell'impero - sia per la maggiore salubrità climatica. Nel 603 la chiesa appena costruita fu utilizzata per il battesimo di Adaloaldo, figlio di Teodolinda e di Agilulfo; il battesimo fu officiato dall'abate benedettino Secondo di Non, che era consigliere spirituale della regina. Teodolinda morì nel 627 e fu sepolta nella chiesa da lei voluta e realizzata.
Si esce dal castello
Vediamo quale storia raccontano gli Zavattari, e risalendo a ritroso vedremo quello che raccontano gli scrittori cui gli Zavattari fanno riferimento, cioè Paolo di Warnefrido (Paolo Diacono) e Bonincontro Morigia, e ancora più indietro come più o meno fu la storia vera in base ai documenti che ci sono rimasti, e soprattutto alle date, che hanno la testa dura, cioè se accertate dicono cose che non possono essere smentite. I tre livelli di racconto sono parzialmente diversi fra di loro e cercheremo di capirne il perché.
Cominciamo dagli Zavattari, per meglio dire da quelli che decisero il programma iconografico che gli Zavattari eseguirono. Le scene sono rappresentate in 45 riquadri disposti in cinque registri, e si leggono orizzontalmente da destra a sinistra, dal registro più alto a quello più basso.
La sorella di Childeperto, re dei Franchi, riceve gli ambasciatori di Autari, re dei Longobardi, e rifiuta di sposarlo. Allora gli ambasciatori si recano in Baviera e chiedono per Autari la mano di Teodolinda, figlia del duca Garibaldo. Poi vanno a Verona da Autari che si reca in incognito in Baviera per conoscere Teodolinda, che gli porge da bere. Autari torna in Italia e festeggia le nozze imminenti, ma i Franchi attaccano Garibaldo sconfiggendolo e Teodolinda fugge in Italia. Autari e Teodolinda si sposano presso Verona, e Teodolinda viene dichiarata regina dei Longobardi. Autari entra vittorioso in Reggio Calabria ma poco dopo muore a Pavia e si svolgono le sue esequie.
Teodolinda chiama Agilulfo, duca di Torino, per sposarlo, Agilulfo riceve il battesimo a Pavia, sposa Teodolinda e viene incoronato re dei Longobardi. Banchetto e caccia attorno a Pavia. Teodolinda sogna il luogo dove edificare la basilica di San Giovanni Battista, e il sogno si realizza a Monza; lo Spirito Santo sotto forma di colomba indica il posto giusto a Teodolinda. Si tagliano piante per procurarsi il legno necessario, fervono tutti i lavori, si distruggono idoli pagani per costruire nuovi tesori per la chiesa. Teodolinda e il figlio Adaloaldo si danno da fare, e l'arciprete riceve ben volentieri i doni. Muore Agilulfo. Arrivano reliquie da Papa Gregorio Magno. Muore Teodolinda e l'arciprete ne officia i solenni funerali. Con un salto temporale, Costante II, imperatore bizantino, sbarca a Taranto per abbattere il Regno Longobardo, ma viene dissuaso da un eremita che gli spiega che il regno è protetto da San Giovanni Battista per volontà di Teodolinda, e Costante II rinuncia alla sua impresa.
Ho abbreviato un po', perché gli ambasciatori vanno e vengono da una corte all'altra e si riceve, si banchetta, si beve e si fa musica di frequente, tutte occasioni ghiotte per le rappresentazioni cortesi degli Zavattari, ma ho lasciato intatto il succedersi degli avvenimenti.
La storia raccontata dagli Zavattari non è in fondo diversa da quella che racconta Paolo di Warnefrido nella sua Historia Langobardorum, scritta circa due secoli dopo gli avvenimenti e dalla cronaca di Bonincontro Morigia, scritta nel XIV secolo. In comune hanno l'atmosfera favolistica da “c'era una volta”. Da Bonincontro è tratto l'episodio etimologico di come a Teodolinda che riposava sulle rive del Lambro apparisse lo Spirito Santo sotto forma di colomba con un cartiglio con su scritto “Modo” e la regina rispondesse “Etiam” da cui Modoetiam, cioè Monza. C'è negli Zavattari una insistenza maggiore sui doni e sulle reliquie della chiesa, sugli interventi degli ecclesiastici, l'arciprete nelle scene finali è una specie di deus ex machina, ma più o meno è sempre la favola bella - con un fondo di realtà - della regina che converte i Longobardi alla vera fede. Un brano di Paolo di Warnefrido ha un singolare sapore di amor cortese ante litteram, e qui lo riporto tradotto in una pagina di Maria Grazia Tolfo nel sito Storia di Milano:
"Il re Autari mandò i suoi messaggeri in Baviera a chiedere in sposa la figlia del re Garibaldo. Questi li accolse con favore e promise loro sua figlia Teodolinda. Appena Autari conobbe la risposta di Garibaldo, volle vedere di persona la sua sposa e partì subito per la Baviera, portando con sé pochi uomini e un vecchio di fiducia, d'aspetto piuttosto autorevole. Quando furono ammessi alla presenza di Garibaldo, Autari, di cui nessuno conosceva la vera identità, si avvicinò a Garibaldo e gli disse: - Il mio signore Autari mi ha mandato qui apposta per vedere la vostra figliola, sua sposa e nostra futura regina, onde io possa poi descrivergli con precisione che aspetto ha. Garibaldo fece subito venire la figlia e Autari restò a guardarla in silenzio, poiché era molto graziosa. Infine, soddisfatto per la sua scelta, disse al re: - Vostra figlia è davvero bella e merita di essere la nostra regina. Ora, se non avete nulla in contrario, vorremmo ricevere dalle sue mani una tazza di vino, come ella dovrà fare spesso in avvenire con noi. - Garibaldo acconsentì e la principessa, presa una tazza di vino, la porse prima a colui che sembrava il più autorevole, poi la offrì ad Autari, senza immaginare neanche lontanamente che fosse il suo sposo: e Autari, dopo aver bevuto, nel restituire la tazza, sfiorò furtivamente con un dito la mano e si fece scorrere la destra dalla fronte lungo il naso e il viso. La principessa riferì arrossendo la cosa alla nutrice e questa le rispose: - Se costui non fosse il re che deve essere tuo sposo, certo non avrebbe osato neppure toccarti. Ma adesso facciamo finta di niente: è meglio che tuo padre non ne sappia nulla. Secondo me, però, quell'uomo è un vero re e un marito ideale.- In effetti Autari era allora nel fiore della giovinezza, ben proporzionato di statura, biondo di capelli e assai bello d'aspetto. Finalmente i Longobardi si accomiatarono dal re e in breve tempo furono fuori del territorio dei Norici. Ma non appena giunsero in vista dell'Italia, quando i Bavari che li scortavano erano ancora con loro, Autari si sollevò il più possibile sul cavallo e con tutte le forze scagliò la piccola scure contro l'albero più vicino, dicendo: - Tali colpi suol dare Autari!- " (Paolo Diacono, III.30)
Il sogno di Teodolinda
Secondo di Non, abate benedettino e consigliere spirituale di Teodolinda, compilò una cronaca, e circa due secoli dopo questa cronaca fu utilizzata da Paolo di Warnefrido (dal 787 in poi). Un'altra fonte da cui attinse fu l'Origo gentis longobardorum compilata attorno al 650 sulla base della tradizione orale. Per i Franchi era disponibile la Historia Francorum di Gregorio, vescovo di Tours: è la saga dei Merovingi fino al 590. Paolo era di nobile famiglia longobarda, ma strettamente legato a Carlomagno, difatti insegnò grammatica alla sua corte dal 782 al 786. Negli anni successivi, si ritirò nell'abbazia di Montecassino e lì scrisse la sua Historia Langobardorum, importante fra l'altro anche per quello che riguarda la presenza dei Longobardi a Cividale .
I Franchi erano da tempo i burattinai della situazione italiana, Paolo lo sa bene e ne tiene conto nella redazione della sua storia, anche se la chiude con la fine del regno di Liutprando (744), prima delle guerre finali tra Franchi e Longobardi. Quindi tira in ballo il fascino femminile per coprire le manovre che oltre ai Longobardi coinvolgevano almeno quattro altri attori: i Franchi, i Bizantini, il Papa e la popolazione goto-romana con cui bisognava pure fare i conti. Alcune date ci aiutano a capire come si svolsero le cose; gli eventi fondamentali si svolgono in quattro anni successivi: 588, 589, 590, 591.
588: non ci si mette d'accordo per il matrimonio di Autari con la sorella di Childeperto re dei Franchi, e subentra il fidanzamento di Autari con Teodolinda, figlia di Garibaldo, duca di Baviera. - 589: i Franchi guerreggiano con i Bavari, che vengono sconfitti, Teodolinda e il fratello Gundoaldo si rifugiano da Autari, che sposa Teodolinda il 15 maggio nei campi di Sardi vicino a Verona. - 590: il 5 settembre muore avvelenato (da chi?) Autari, poco dopo Teodolinda sposa Agilulfo che a novembre si proclama re dei Longobardi. - 591: a maggio Agilulfo viene accettato come re da tutti i duchi Longobardi.
Non ha proprio l'apparenza di una storia rosa, e così sarà anche in seguito, con Gundoaldo, fratello di Teodolinda, ucciso (da chi?) nel 612, con Adaloaldo, figlio di Teodolinda, sostituito come re nel 625 da Arioaldo, marito di Guneperga, figlia di Teodolinda, che in tempi successivi sposerà Rotari, quello del ben noto Editto, un complesso di leggi emanate nel 643, raccolte in 388 capitoli, esposti in buon ordine sistematico.
È l'incrocio di una faida familiare con la lotta politica, militare e religiosa che era in corso. Mentre sembra che anche Agilulfo si sia convertito al cattolicesimo, Arioaldo e Rotari, che vengono dopo, continuano a essere ariani. La politica di Teodolinda era probabilmente la più saggia, vista la situazione: appoggiarsi alla popolazione goto-romana e al Papa, che così manteneva un suo spazio di autonomia rispetto a Bisanzio. Ma l'abile diplomazia dei Bizantini e la forza militare dei Franchi rendevano precario un equilibrio del genere. Tempi aspri e difficili, in ogni caso.
Di queste crude storie di alto medioevo, gli Zavattari danno una rappresentazione che Renata Negri definisce benissimo: aprire la porta della cappella è come sollevare il coperchio di un cofanetto prezioso. L'oro è dovunque: nei cieli, nelle corone, nei gioielli, ma anche nei capelli, negli elmi, sulle vesti, negli strumenti musicali, sulle tavole imbandite, nella coppa che i reali fidanzati si scambiano, negli speroni, negli scettri sottili, che sembrano bastoncelli da passeggio, sui paramenti sacri, nelle croci astili, nei candelabri, perfino sulle candele, nelle bardature dei cavalli, numerosi e che sembra guardino incuriositi noi visitatori (anche un asino lo fa). Oro a rilievo sulle pastiglie di gesso predisposte, oppure punzonato sul fondo, come facevano per le carte da gioco, i Tarocchi Viscontei in cui gli Zavattari erano coinvolti con Bonifacio Bembo. Parte della decorazione a secco si è persa attraverso i secoli, anche a causa di vecchi restauri non appropriati, ma lo stato di conservazione è assai buono, se confrontato con quello di opere degli stessi tempi e dello stesso genere, che spesso sono completamente scomparse.
Quasi tutti i riquadri sono affollatissimi, i personaggi sbucano da tutte le parti, si accalcano uno dietro l'altro, sarebbe meglio dire uno sull'altro, ma sembra più che altro un soffice pigia pigia, anche per la rappresentazione dei corpi tutt'altro che anatomicamente vigorosa, sembra che siano le vesti a reggere i corpi, non viceversa.
La cappella è alta e relativamente stretta, come tante cappelle gotiche; i registri sono cinque uno sovrapposto all'altro, e quindi, anche se è buona l'illuminazione, si possono ammirare veramente nei dettagli - che in questo tipo di affreschi sono fondamentali - solo i primi due registri; occorrerebbe una specie di piattaforma su un elevatore, e non scherzo del tutto. Non è certo il solo caso di difficoltà visive nel contemplare opere d'arte: si ricordino gli affreschi di Piero della Francesca di Arezzo, anch'essi sulle pareti di una cappella gotica (e realizzati non molto tempo dopo gli affreschi di Monza). Ma anche più tardi, nel Cinquecento, non si badava sempre al punto di vista di chi guardava: il Correggio, nella cupola del San Giovanni Evangelista di Parma è rimasto per secoli pressoché invisibile, a meno di essere dotati di torce potenti – difatti ne tenne conto nella successiva cupola del Duomo, facendo aprire degli oculi nelle pareti. Lo stesso Michelangelo, nella Sistina, si accorse dopo aver dipinto il riquadro del Diluvio che le figure erano troppo piccole viste dal basso e cambiò completamente le modalità rappresentative. Mentre altri artisti erano spontaneamente attenti alla visibilità: Giotto nella cappella degli Scrovegni, ad esempio. Ho avuto la fortuna, qualche tempo fa, di ammirare gli Angeli a Saronno di Gaudenzio Ferrari da breve distanza, ed è tutta un'altra cosa che osservarli guardando dal basso, laggiù in fondo alla chiesa.
Sulla parete destra della cappella compare, vicino alla data 1444, la scritta seguente:
“Suspice qui transis, ut vivos corpore vultus
peneque spirantes, ut signa simillima verbis,
De Zavatariis hanc ornavere capellam
Praeter in excelso convexae picta truinae”
Il terzo verso per molto tempo fu male interpretato: si pensò che gli Zavattari fossero i committenti, non gli esecutori, e soltanto quando cominciarono a comparire i documenti ci si rese conto dell'errore. Il 1444 non è l'anno in cui tutti gli affreschi furono finiti, ma la fine di un primo ciclo e l'inizio del secondo. Difatti fu rintracciato un documento del 1445 in cui si stipulano accordi per un ciclo successivo, probabilmente per i riquadri dei due registri inferiori. Nel documento si citano Franceschino Zavattari e i figli Gregorio e Giovanni. Franceschino - che aveva un altro figlio, Ambrogio - era a sua volta figlio di Cristoforo, attivo nel Duomo di Milano nei primi anni del Quattrocento. Si ritiene quindi che l'esecuzione degli affreschi si sia svolta fra il 1440 ed il 1446. Nel contratto del 1445 risultano ben sette canonici con un solo fabbriciere in rappresentanza del comune; questa presenza preponderante spiega come mai negli affreschi spesso si trattino argomenti che riguardano la chiesa: doni, reliquie, battesimo di Adaloaldo, esequie di Autari ed infine di Teodolinda. Ma l'impressione visiva è in gran parte profana: è la vita cortese all'inizio del Quattrocento, il tipico tema del gotico internazionale. Anche a Castiglione Olona, in un contesto un po' diverso, qualche anno prima Masolino aveva fornito, nel convito di Erode, una rappresentazione da corte quattrocentesca, in cui diviene figurativamente secondario il tema tragico del martirio di San Giovanni Battista.
Nel 1441 aveva avuto luogo il matrimonio fra Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza, dopo un più che decennale fidanzamento tutto politico. Difatti Bianca Maria era figlia di Filippo Maria Visconti, Duca di Milano, e tramite questo matrimonio lo Sforza pensava di aprirsi la strada verso il potere, cosa che gli riuscì nel 1450, tre anni dopo la morte di Filippo Maria. Si è fatta quindi l'ipotesi assai intrigante che dietro la rappresentazione del matrimonio di Teodolinda con Agilulfo si adombrassero le nozze di Bianca Maria con Francesco, cosa non probabile perché Filippo Maria fino alla sua morte nel 1447 cercò sempre di tenere lo Sforza lontano dalla Lombardia. Ma nella cappella, ben 28 riquadri su 45 riguardano temi di carattere matrimoniale… Ci sono anche gli stemmi di Filippo Maria Visconti e di Francesco Sforza, quest'ultimo chiaramente apposto dopo la morte del Visconti. Sembra in definitiva molto probabile che la decorazione sia sorta per iniziativa dei canonici locali, sia pure con l'approvazione di Filippo Maria.
Negli affreschi hanno operato certamente più di due esecutori, anche se è chiaro che c'è una mente direttiva che organizza le rappresentazioni; non solo, negli affreschi eseguiti per ultimi è probabile che ci sia stato qualche intervento posteriore: maggiore attenzione alle fisionomie – veri e propri ritratti, specie se si tratta di ecclesiastici. Un tentativo di rappresentazione rinascimentale, ma l'ispirazione degli Zavattari è assai vicina a quella di Michelino da Besozzo, e prima ancora a Giovannino de' Grassi. Gli affreschi compiuti da Pisanello a Verona ed a Mantova attorno al 1435 erano certamente conosciuti, specie le scene del ciclo cavalleresco nel castello di Mantova. Sembra minore l'influenza degli affreschi di Masolino a Castiglione Olona, pure così recenti; molto diverso è il senso spaziale che in Masolino è toscano, sia pure con una prospettiva più sognata che reale. Inoltre l'episodio di Castiglione Olona è ben delimitato come tempo e come committenza, mentre Michelino da Besozzo e Antonio Pisanello erano assai noti agli Zavattari, e in genere nell'Italia settentrionale. Per comprendere la situazione, è bene ricordare la frase di André Chastel: “La Lombardia, il paese tradizionale dei tagliatori di pietre e dei buoni decoratori, grazie alle cave delle Alpi, è una regione lenta; era giunta tardi al gotico, e giunse tardi al Rinascimento”. Le prime opere di Vincenzo Foppa sono infatti della metà degli anni '50; si è pensato che se ne sia tenuto conto a Monza, ad esempio nei due dignitari che si guardano faccia a faccia da soli nel riquadro della scelta di Agilulfo come re dei Longobardi. Una epoca di graduale transizione quindi, in cui gli Zavattari, da artigiani assai concreti, si tengono vicini alle vecchie certezze, che erano poi quelle che i canonici desideravano da loro, non accorgendosi che in tal modo il loro programma di esaltazione ecclesiastica locale veniva offuscato dall'affollato, sorridente, profano racconto cortese.
Nella scelta delle immagini ho privilegiato i dettagli rispetto alle scene vaste, sia per ragioni di visibilità sia perché erano gli episodi che probabilmente gli Zavattari amavano più eseguire, trattando le grandi pareti del Duomo di Monza con lo stesso gusto con cui affrontavano le vetrate del Duomo di Milano, le miniature dell'ouvraige de Lombardie o addirittura le carte da gioco, i Tarocchi per i Visconti. Il gusto per le preziosità nelle opere d'arte di grandi dimensioni non finirà con loro: alla Pinacoteca di Brera c'è un'opera del 1494, la Pala Sforzesca, in cui lo sconosciuto autore, pur dopo aver visto il Foppa, Bramante e Leonardo (!) ha ancora il gusto per la materia e le preziosità che si trova negli affreschi degli Zavattari, solo che lo esprime con una pesantezza un po' greve, rispetto alla levità favolistica che ancor oggi apprezziamo negli affreschi di Monza.
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Theodelinda, queen of the Lombards, (c. 570 - 628) was the daughter of duke Garibald I of Bavaria. She was married first in 588 to Authari, king of the Lombards, son of king Cleph. Authari died in 590. Theodelinda was allowed to pick Agilulf as her next husband and Authari's successor in 591. She thereafter exerted much influence in restoring Nicene Christianity (the mainstream, in 1054 split by the East-West Schism in Roman Catholicism and Eastern Orthodoxy) to a position of primacy in Italy against its rival, Arian Christianity.
After the conversion of Authari to the Catholic faith, she started building churches in Lombardy and Tuscany, among them the cathedral of Monza and the first Baptistery of Florence. They were all dedicated to Saint John the Baptist.
The famous treasure of Monza contains the Iron Crown of Lombardy and the theca persica, enclosing a text from the Gospel of John, sent by Pope Gregory I (590-604) to her for her son Adaloald. Another of the gifts of this pope to the Lombard queen was a cruciform encolpion (reliquary) containing a portion of the True Cross.
Bonincontro Morigia (Monza, XIV secolo) è stato uno storico e uomo politico monzese. Le sue opere principali sono il Chronicon Modoetiense, nel quale espone la storia di Monza dalle origini alla sua epoca, e una cronaca di Milano dal 1300 al 1349.
Membro di una importante famiglia ghibellina di Monza, Bonincontro prese parte attiva alle lotte politiche della sua epoca, schierandosi con il partito dei Visconti, duchi di Milano. Fu anche membro del Consiglio dei Dodici che amministrava la città, e in un'occasione ambasciatore a Venezia.
Il Morigia è il primo autore conosciuto a riportare la leggenda secondo cui il nome latino di Monza (Modoetia) deriverebbe da una visione avuta in sogno dalla regina Teodolinda: una colomba (simbolo dello Spirito Santo) l'avrebbe invitata a porre in quel luogo la sua capitale, recando in bocca un cartiglio con la scritta Modo ("qui"), ed ella avrebbe risposto Etiam ("sì"). Alla cronaca del Morigia si ispirano parte degli affreschi dipinti nel Duomo di Monza dagli Zavattari.
Inoltre egli fu il primo biografo di san Gerardo dei Tintori, patrono di Monza insieme a san Giovanni Battista. Lo scritto su san Gerardo si trova nel Chronicon Modoetiense: esso elenca anche numerosi miracoli che il santo avrebbe operato. Di uno di questi il Morigia si dice testimone oculare.