Ulisse Aldrovandi
Ornithologiae tomus alter - 1600
Liber
Decimusquartus
qui
est
de Pulveratricibus Domesticis
Libro
XIV
che tratta
delle domestiche amanti della polvere
trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti
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Kiranides sanguinem
Galli erysipelata, et chimet<h>la[1] {sanari} <sanare> ait, et iis qui
marinum leporem[2] comederint, auxiliari. Item si quis allium
contriverit, et biberit calidum sanguinem cum vino, nullum reptile ei
nociturum. Ova quoque, teste Plinio[3] cocta, tritaque adiecto nasturtio adversus
serpentium ictus illinuntur: et alibi[4] etiam privatim contra haemorrhoidum morsum
illiniri ait luteum ovi, et sorberi. |
Kiranide
dice che il sangue di gallo guarisce le erisipele e i geloni e che fa
bene a coloro che avessero mangiato la lepre di mare. Parimenti se una
persona pesterà dell’aglio e berrà il sangue caldo con del vino,
nessun rettile potrà nuocergli. Testimone Plinio, anche le uova sode e
tritate con aggiunta di nasturzio vengono applicate contro i morsi dei
serpenti: e in un altro punto dice che il tuorlo d’uovo va spalmato in
modo particolare contro il dolore dovuto alle emorroidi e che va bevuto. |
Contra omnium phalangiorum, (vel ut ait
Rasis, aranearum) morsus remedium est quoque Gallinarum cerebrum cum
piperis exiguo potum in posca: ex Plinio[5], qui alibi[6] etiam fimum Gallinarum ad ictus scorpionum
prodesse ait. Kiranides idem adversus scorpionum ictus commendat.
Fel praeterea efficacissimum creditur scorpii[7], et {callionimi} <callionymi>[8] piscium, marinaeque testudinis, et
hy<a>enae[9] {vulneribus}, {maxime vero} <item> Perdicis,
Aquilae, et albae Gallinae<, Dioscorides>. Elephantiasi
deploratae Gallinae viperis saginatae medentur. Si bubo ortus sit in
peste, Gallus depiletur circa anum, et apponatur loco per horam, et in
alia hora apponatur alter, et sic fiat per totum diem. Sic venenum
attrahitur a corde Galli, et Gallus subito moritur.[10]
Serenus[11]
inter carbunculi remedia inquit: Est
qui Gallinae perducat stercore corpus. Quasi etiam stercus id ad
carbones valeat. |
Contro
i morsi di tutti i ragni velenosi (o, come dice Razi, i ragni) il
cervello di gallina rappresenta anch’esso un rimedio bevuto con acqua
e aceto con un pochino di pepe: lo si deduce da Plinio, che in un altro
punto dice che anche lo sterco di gallina torna utile contro le punture
degli scorpioni. Kiranide raccomanda la stessa cosa contro le punture
degli scorpioni. Inoltre è ritenuta molto efficace la bile dei pesci
scorfano e
lucerna, e della testuggine di mare e della
iena,
parimenti quella della pernice, dell’aquila e di una
gallina bianca, Dioscoride. Le galline ingrassate con vipere curano
un’elefantiasi a prognosi infausta. Se in corso di
peste si è
formato un bubbone si spiumi un gallo in sede perianale e lo si applichi
localmente per un’ora, e durante l’ora successiva se ne metta
un’altro, e si faccia così per tutto il giorno. In questo modo il
veleno viene attratto dal cuore del gallo e il gallo muore di colpo.
Sereno Sammonico quando parla dei rimedi contro il
carbonchio dice: C’è
chi ricopre il corpo con sterco di gallina. Come
se anche
questo sterco fosse efficace contro le lesioni cutanee del carbonchio. |
Ornithologus nescio
quo authore eiusmodi remedium ad morbos desperatos recitat, blandum
alioqui, et ad experiendum facillimum: nempe aegros intra duos ignes
ovorum albuminibus conquassatis perfricatos diebus aliquot, semel
quotidie restitutos iri. Non caret
quoque admiratione quod Marcellus empiricus memoriae prodidit. Ossiculum
extremum ex ala Gallinacea cochleario terebratum, nodisque septem licio
ligatum, atque ita brachio, vel cruri eius partis, quae inguina habet
suspensum, iis mirabile remedium exhiberi. Praeterea sunt qui ad {phrenesim}
<phrenesin> Gallum per medium fissum adhibeant, et tale levamentum
inde promittant, ut nisi ita allevietur aeger, de eo prorsus actum sit.
Lucianus[12] postremo author est, etsi
nimirum fabulas sapiat, et anilia deliramenta, longissimarum caudae
Gallinaceorum pennarum quae duae sunt, si quis dextram evulsam secum
ferat, tum a nemine conspectum iri, tum quod ianuis reseratis, et
foribus quamvis diligenter signatis omnia domus penetralia patescant. |
L’Ornitologo,
non so in base a quale autore, riferisce il seguente rimedio contro le
malattie senza speranza, che d’altra parte è blando, e facilissimo da
sperimentare: e cioè, gli ammalati torneranno a star bene se posti tra
due fuochi verranno strofinati con forza per alcuni giorni, e una volta
al giorno, con bianchi d’uovo sbattuti. E non manca di destare un
certo stupore ciò che Marcello Empirico ci ha tramandato.
L’ossicino più periferico dell’ala di pollo forato con lo strumento
appuntito per mangiare le chiocciole - oppure con un succhiello - e
legato con sette nodi a un filo, e così sospeso o al braccio o alla
gamba di quel lato che presenta delle tumefazioni inguinali, ne
rappresenta un rimedio meraviglioso. Inoltre alcuni contro la pazzia
usano un gallo tagliato a metà e garantiscono un tale sollievo
attraverso il suo impiego che se il malato non va incontro a
miglioramento per lui sarebbe proprio finita. Infine, anche se il tutto
ha sapore di favola e di delirio di donna anziana, Luciano scrive che
le penne più lunghe della coda dei galli, che sono due -
una per lato, le falciformi maggiori -, se uno reca con sé
quella di destra dopo averla strappata non verrà visto da nessuno, e
anche se le porte sono chiuse e le entrate sigillate con cura, tutti i
segreti di una casa si rendono palesi. |
Caeterum, ut
veterinarii, sive
{ἱπποατρίκοι} <ἱππιατρικοί - ἱππιατροί> hinc etiam aliquod percipiant emolumentum, placuit hic tamquam pro
epilogo adiungere aliquot remedia iumentorum quorundam morbis
convenientia. Equo
itaque ex pituita per nares laboranti,
fimum Gallinaceum per nares inflabis[13].
Anatolius strophoso equo ova quatuor in os confringit, curatque, ut cum
putaminibus simul deglutiat. Tussis in equo, inquit Theomnestus[14],
quam aestus, aut pulvis excitavit his remediis abigitur. Ova quinque cum
suis putaminibus in aceto acri, cum advesperascere coeperit, macerabis.
Diluculo deprehendes exteriorem callum intabuisse, sic ut ea prorsus
emollescant: qualia videri solent, quae intempestive ponuntur, et
praecoci partu Gallinarum {a}eduntur: quorum folliculus tactui non
renitens, in vesicae morem liquoris capax remanet. Ubi os diduxeris,
linguam educens, integra sigillatim faucibus impelles; singula auri
pigmento convolves. Sed caput sublime teneatur, dum singula devorarit.
Sub haec autem foenugraeci, aut ptisanae cremor melle dilutus infunditur;
ea triduo data vitium extenuabunt. Haec ille. |
Inoltre,
affinché anche i veterinari, o hippiatrikoí o hippiatroí
- i medici dei cavalli - ne traggano qualche vantaggio, mi è sembrato
opportuno aggiungere a questo punto come epilogo alcuni rimedi adatti
alle malattie di alcuni animali da tiro. Pertanto a un cavallo che sta
soffrendo di catarro nasale gli insufflerai attraverso le narici dello
sterco di pollo. Anatolio rompe quattro uova in bocca a un cavallo
sofferente di coliche e fa attenzione che le deglutisca insieme ai
gusci. Teomnesto dice: nel cavallo la tosse fatta insorgere dalla
calura oppure dalla polvere viene rimossa con i seguenti rimedi. Quando
avrà cominciato a farsi sera farai macerare cinque uova con i loro
gusci in aceto forte. All’alba controllerai che lo strato esterno si
sia ammorbidito, in modo che possano rammollirsi completamente: come
sogliono presentarsi quelle deposte anzitempo e che vengono emesse a
causa di un parto precoce delle galline: e il loro involucro, pur non
opponendo resistenza al tatto, rimane in grado di contenere il liquido
come se fosse una vescica. Quando gli avrai aperto la bocca, e
tirandogli fuori la lingua, le spingerai in gola intere una a una; le
ricoprirai una a una con del colorante color oro. Ma la testa deve
essere tenuta rivolta verso l’alto finché non le avrà inghiottite
una a una. Dopo queste si somministra un succo di fieno greco o di
orzo perlato stemperato nel miele; somministrate per tre giorni
attenueranno la malattia. Queste le sue parole. |
Afficiuntur
quandoque etiam equi inflatione ilium, et ventris: in quo casu Absyrtus,
et Hierocles fimum Gallinaceum, aut Columbinum, quantum manus capit, in
vino dissolvunt cum nitro, et inde clysterem iniiciunt. Si equus, ut fit
aliquando pennam devorarit, primo uratur in umbilico, deinde in os eius
stercus bovis tepidum inseratur, tum fiat phlebotomia. Demum omnia interiora Gallinae sanae in os
eius immittes, etsi ne ita quidem liberatur, minue diligenter ipsum: ex
Rusio[15].
Ut vero ferocitatem deponat, pennam Gallinae, quo volueris modo ei
deglutiendam praebe: Eumelus. Equa si marem non patitur, Gallinaceo fimo
cum resina {teribinthina} <terebinthina> trito naturalia eius liniri iubet Anatolius, eamque rem
libidinem in ea accendere pollicetur. Boum languor, et nausea saepe
discutitur, si integrum ovum Gallinaceum crudum ieiunis faucibus inseras,
ac postero die spicas ulpici[16],
vel allii cum vino conteras, et naribus infundas: Columella[17]. |
Anche
i cavalli vengono talora colpiti da gonfiore ai fianchi e alla pancia:
in tal caso Absirto e
Ierocle sciolgono nel vino con del salnitro
una quantità di sterco di pollo o di colombo che una mano può
contenere, e ne fanno un clistere. Se, come talora accade, un cavallo ha
inghiottito una penna, per prima cosa deve essere cauterizzato in sede
ombelicale, quindi gli si metta in bocca dello sterco tiepido di bovino
e quindi gli si faccia un salasso. Infine gli metterai in bocca tutte le
interiora di una gallina sana, e se anche in questo modo non ne viene
liberato, taglialo per bene a pezzetti: la fonte è Lorenzo Rusio. Ma
affinché perda l’impetuosità dagli da ingoiare una penna di gallina
nel modo che preferisci: Eumelo. Se una cavalla non tollera il maschio,
Anatolio prescrive di spalmare la sua area genitale con sterco di pollo
pestato con resina di terebinto, e garantisce che questo trattamento
risveglia in lei la libidine. La spossatezza e l’inappetenza dei
bovini vengono spesso rimosse se introduci in gola a digiuno un uovo di
gallina intero e crudo, e se il giorno seguente triti degli spicchi di
aglio upiglio o di aglio con del vino e li introduci nelle narici:
Columella. |
Attactio,
teste Rusio, dicitur, cum nervus pedis anterioris in iumento, a
posteriore crure (ut fit aliquando prae festinatione) laeditur. Hoc
malum si recens sit, prima vel {secanda} <secunda> die iunctura,
et locus scarificetur, ut per scarificationem sanguis exeat, postea
Gallus per medium scissus superponatur calidus cum omnibus intestinis.
Pelagonius adversus tussim iumenti e faucibus, vel gutture provenientem
mactatae recens Gallinae ventrem una cum stercore involvi iubet melle,
et iumento in fauces immitti adhuc calentem. Sunt qui ad ulcera
iumentorum utantur fimo Gallinaceo arido trito cribratoque inspergentes
mane, et vesperi succum sambuci immittentes per dies aliquot, ubi ulcera
primum abluerint vino, in quo sambuci folia decocta sint cum modico
sale. |
Come
riferisce Lorenzo Rusio, si dice attactio quando un tendine della
zampa anteriore in un animale da tiro viene leso dalla zampa posteriore
(come talora accade a causa dell’andatura veloce). Se questo trauma è
recente, il primo o il secondo giorno l’articolazione e la zona lesa
vanno incise in modo che il sangue fuoriesca attraverso l’incisione,
successivamente si applichi un gallo ancora caldo diviso a metà con
tutte le interiora. Pelagonio contro la tosse di un animale da tiro
che origina dalle fauci o dalla gola prescrive di amalgamare con miele
le interiora di una gallina appena uccisa unitamente allo sterco e di
introdurle ancora calde nelle fauci dell’animale. Alcuni contro le
ulcere degli animali da tiro usano sterco secco di pollo pestato e
setacciato, cospargendolo mattino e sera per alcuni giorni,
aggiungendovi succo di sambuco, dopo aver prima lavato le ulcere con
vino in cui sono state cotte foglie di sambuco con poco sale. |
Si hordeo malo, aut
nimio iumentum laeditur, remedium est pelliculam e ventre Galli siccatam
fumo, deterere, additisque octo scrupulis[18] piperis, et
quatuor cochlearibus mellis, et uncia pollinis ex thure, cum sextario
vini veteris tepefacto per os dare<,> Vegetius[19]. |
Se
un animale da tiro subisce dei danni per dell’orzo andato a male
oppure eccessivo, il rimedio è rappresentato dal tritare finemente la
membrana dello stomaco del gallo fatta seccare affumicandola, e
somministrarla per bocca dopo averci aggiunto otto scrupoli di pepe [9
g], e quattro cucchiai di miele e un’oncia [27,28 g] di polvere
d’incenso con un sestario [500 ml] di vino vecchio intiepidito:
Vegezio. |
[1]
Il sostantivo greco neutro chímethlon usato da Aristotele
significa gelone. Dioscoride usa invece il sostantivo femminile chimétlë.
- Chimetla è preso da Conrad
Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 395: Galli sanguis
erysipelata et chimetla sanat, et iis qui marinum leporem comederint
auxiliatur.
[2]
Plinio Naturalis historia XXXII,70: Lepus marinus ipse quidem
venenatus est, sed cinis eius in palpebris pilos inutiles evolsos cohibet.
[3] Naturalis historia XXIX,47: [...] adversus ictus serpentium cocta tritaque adiecto
nasturtio inlinuntur.
[4] Naturalis historia XXIX,42: Prodest
et tussientibus per se luteum devoratum liquidum ita, ut dentibus non
attingatur, thoracis destillationibus, faucium scabritiae. Privatim
contra haemorrhoidos morsui inlinitur sorbeturque crudum. § Le lezioni sono
discordanti: c’è chi riporta contra
haemorrhoidos morsui inlinitur, chi dà contra haemorrhoidas morsui
inlinitur, chi - come Gessner e Aldrovandi - riporta contra
haemorrhoidum morsum inlinitur. Contra regge l’accusativo. Se
l’accusativo è haemorrhoidas, allora è un accusativo plurale, e
il dativo morsui bisogna farlo reggere da inlinitur, cui forse
sarebbe più appropriato associare un ablativo. Insomma, la versione di
Gessner e di Aldrovandi sembrerebbe la più corretta dal punto di vista
sintattico, e oltretutto dal contesto pliniano si potrebbe evincere che il morsum
non è dei serpenti emorroide, bensì è il tormento suscitato dalle
emorroidi anali, delle quali si parla sempre al plurale - “Ho le emorroidi
che mi danno un dolore boia!” -, salvo che con l’ispezione o con la
palpazione si sia stabilito che di emorroide anale ne esiste una sola, e
allora il paziente imprecherebbe giustamente così: “Ho un’emorroide che
mi dà un dolore boia!”.- Conrad
Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 448: Prodest et
tussientibus per se luteum devoratum liquidum, ita ut dentibus non
attingatur{.}<,> thoracis distillationibus [destillationibus], faucium
{scabriciae} <scabritiae>{,}<.> privatim contra haemorroidum
morsum illinitur, sorbeturque crudum, (Dioscorides hanc vim albumini
tribuit.)
[5] Naturalis historia XXIX,88: Contra omnium morsus remedio est gallinaceum cerebrum cum piperis exiguo potum in posca, item formicae V potae, pecudum fimi cinis inlitus ex aceto et ipsi aranei quicumque in oleo putrefacti.
[6]
Naturalis historia XXIX,91: Prodest et gallinarum fimi cinis
inlitus, draconis iocur, lacerta divulsa, mus divulsus, scorpio ipse suae
plagae inpositus aut assus in cibo sumptus aut potus in meri cyathis II.
[7]
Plinio Naturalis historia XXXII,127: Muricum cinis cum oleo tumores
tollit, cicatrices fel scorpionis marini.
[8]
Plinio Naturalis historia XXXII,69: Callionymi fel cicatrices sanat
et carnes oculorum supervacuas consumit. Nulli hoc piscium copiosius, ut
existumavit Menander quoque in comoediis. idem piscis et uranoscopos vocatur
ab oculo, quem in capite habet.
[9]
Plinio Naturalis historia XXXII,154: Et hyaenam piscem vidi in
Aenaria insula captum. Doveva trattarsi di un tipo di sogliola, che potremmo
battezzare come sogliola iena. Ma qui il riferimento di Aldrovandi
sembrerebbe riguardare l’effetto terapeutico della bile del mammifero
carnivoro, cioè della iena, e non dell’omonimo pesce. - La notizia
proviene da Dioscoride II 71, il quale tuttavia non parla dell’impiego
della bile in caso di ferite, ma solo delle varie proprietà della bile: Est
autem omnis fellis vis acris, et excalfaciens: intensis tamen, et remissis
viribus differunt. Siquidem praestantius in effectu esse videtur fel marini
scorpionis, et piscis qui callionymus appellatur, marinae testudinis,
hyaenaeque: item perdicis, aquilae, gallinae candidae, et sylvestris caprae.
§ Per cui il nostro Ulisse manco aveva letto il testo di Dioscoride. A
differenza di quello di Aldrovandi – in cui viene tralasciato il
riferimento a Dioscoride - esatto è il testo di Conrad Gessner Historia
Animalium III (1555) pag. 398: Gallinarum et perdicum fella ad
medicinae usum caeteris praestant, Galenus. Fel efficacissimum creditur
scorpii et callionymi piscium, marinaeque testudinis et hyaenae: perdicis
item et aquilae, gallinaeque albae, Dioscorides.
[10] La ricetta viene citata da Gessner ed è tratta verosimilmente dal Consilium pro peste evitanda di Pietro da Tossignano. - Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 395: [...] Sic venenum attrahitur a corde galli, et gallus subito moritur, Petrus de Tusignano, sed locum prius scarificari iubet.
[11]
Liber medicinalis.
[12]
Il sogno ovvero il gallo - Óneiros ë alektryøn
- 28 - gallo Penso io a
curarti, Micillo; e, visto che è ancora notte, tirati su e seguimi, perché
voglio portarti proprio da Simone, e a casa degli altri ricchi, per farti
vedere come si sta da loro. - micillo
Com’è possibile, con le porte che sono chiuse? A meno che tu non voglia
costringermi a scassinare... - gallo
Assolutamente no. Però Hermes, al quale sono sacro, mi ha conferito questa
dote eccezionale: la penna della coda, la più lunga, quella che è così
morbida che si incurva, se uno... - micillo
Ne hai due fatte così. - gallo
Quella di destra — dicevo — se la strappo e la do da tenere a uno, per
tutto il tempo che io voglio questo tale è in grado di aprire qualunque
porta e di vedere tutto senza essere visto. - micillo
Non mi ero accorto, gallo, che anche tu eri un mago improvvisato. Ad ogni
modo, basta solo che mi dai la piuma, e, tempo un attimo, vedrai tutto il
patrimonio di Simone trasferito qui: andrò io nella casa, di nascosto, a
effettuare il trasloco, e lui ricomincerà da capo a prendere tra i denti le
pezze di cuoio per tenerle tese. - gallo
Così non si può. Hermes mi ha ordinato che, se quello che tiene la piuma
fa qualcosa del genere, devo gridare e farlo scoprire. - micillo
Non è credibile che Hermes, lui stesso un ladro, ce l’abbia a male con
gli altri se praticano la stessa arte. Ma andiamo lo stesso: cercherò di
stare lontano dall’oro, se ci riesco. - gallo
Strappami prima la piuma, Micillo... Cosa fai? Le hai strappate tutt’e
due! - micillo Così è più
sicuro, gallo; e poi pensa che il risultato è meno brutto a vedersi, se
non... zoppichi da una parte della coda.
(a cura di Claudio Consonni - Oscar Mondadori - Milano, 1994)
[13] La fonte è sconosciuta, come riferisce Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 399: Equo ex pituita per nares laboranti, fimum gallinaceum in nares inflabis, Obscurus.
[14]
Corpus Hippiatricorum Graecorum. (Aldrovandi) - Veterinariae
medicinae libri duo. (Lind, 1963)
[15]
Liber Marescalciae Equorum. - Vedi maniscalco.
[16]
Plinio Naturalis historia XIX,111-112: Alium ad multa ruris praecipue
medicamenta prodesse creditur. Tenuissimis et quae spernantur universum
velatur membranis, mox pluribus coagmentatur nucleis, et his separatim
vestitis, asperi saporis; quo plures nuclei fuere, hoc est asperius. Taedium
huic quoque halitu, ut cepis, nullum tamen coctis. [112] Generum differentia
in tempore — praecox maturescit LX diebus —, tum in magnitudine. Ulpicum
quoque in hoc genere Graeci appellavere alium Cyprium, alii antiskorodon,
praecipue Africae celebratum inter pulmentaria ruris, grandius alio. Tritum
in oleo et aceto mirum quantum increscit spuma. Quidam ulpicum et alium in
plano seri vetant, castellatimque grumulis inponi distantibus inter se pedes
ternos. Inter grana digiti IIII interesse debent, simul atque tria folia
eruperunt, sariri. Grandescunt, quo saepius sariuntur.
[17]
De re rustica VI,4,2: Saepe etiam languor et nausea discutitur,
si integrum gallinaceum crudum ovum ieiunis faucibus inseras, ac postero die
spicas ulpici vel alii cum vino conteras, et in naribus infundas; neque haec
tantum remedia salubritatem faciunt.
[18]
Vedi Pesi e misure.
[19]
Artis veterinariae, sive mulomedicinae libri quatuor.