Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

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Nam si in venis fuerit ultra gibba<m>[1] hepatis, aut in viis urinalibus, ovum nigrescet, et foetebit: sin citra concava hepatis, ut in or<o>bo[2] (colo, vel alterius intestini nomen legendum apparet) ovum rugas, et colorem citrinum contrahet ab<s>que foetore. Dioscorides[3] inter aconiti remedia enumerat ova in oleum evacuata, ita ut totum hoc cum muria misceatur, et sorbeatur tepidum. Idem etiam uti et Nicander[4] Gallinae pinguis carnem e pectore coctam, vel iusculum inde potum contra dorycnium[5] remedio esse scribunt. Lathyridis grana stomac<h>um l<a>edunt, itaque teste Plinio[6], inventum est, ut cum pisce, aut iure Gallinacei sumerentur.

Infatti se il veleno si sarà spinto nelle vene oltre la convessità epatica oppure nelle vie urinarie, l’uovo si annerirà e puzzerà: se invece si fermerà al di qua della concavità del fegato, come per esempio nella fava (è chiaro che bisogna leggere colon o il nome di un altro tratto dell’intestino) l’uovo si raggrinzerà e assumerà un colore citrino senza fetore. Dioscoride tra i rimedi contro l’aconito elenca le uova svuotate nell’olio, in modo da mischiare il tutto con salamoia, e di berlo tiepido. Anche lui, come pure Nicandro di Colofone, scrivono che la carne del petto di gallina grassa lessata oppure berne il brodino è un rimedio contro il doricnio o solano furioso. I semi di cicerchia ledono lo stomaco, e pertanto, come riferisce Plinio, si è scoperto che vanno assunti con pesce o con brodo di pollo.

Fungorum esus hominibus saepe pestilens visus est, et let{h}alis. Adversus hoc stercus Gallinaceum tam interne, quam externe utiliter in usum admittitur. Unde dicebat Dioscorides[7], Gallinaceum fimum privatim contra fungorum venena bibi ex aceto aut vino. Rasis ex {oximellite} <oxymelite> nimirum ut vomitus subsequatur: quod Rasis a Galeno[8] mutuatus videri potest; Cum medicum quendam, inquit, in Mysia Gallinaceo utentem stercore conspexissem in eis, qui ab esu fungorum suffocabantur, et ipse quoque sum usus in quibusdam urbem inhabitantibus, qui et ipsi fungos esitaverant, ipsum videlicet ad l{a}evorem contritum tribus, quatuorve oxycrati[9] aut {oximellitis} <oxymelitis> inspargens cyathis[10], et palam adiuti sunt, idque celeriter. Nam qui praefocabantur paulo post vomebant pituitosum humorem omnino crassissimum, et exinde plane liberati sunt symptomate. Aëtius vero adversus eosdem noxios fungos, Philagrius, inquit, Gallinaceum stercus album exhibet, ex posca, aut aceto mulso. Huius enim manifestum habemus experimentum, quod ad fungorum strangulationes auxilietur. Sed longe ante Aëtium Plinius[11], candidum fimum in hyssopo decoctum, aut mulso fungorum, boletorumque venena astringere dixit item {inflammationes} <inflationes>, ac strangulationes, quod miremur (inquit) cum si aliud animal gustaverit, id fimum, torminibus, et {inflammationibus} <inflationibus> afficiatur. Qua vero quantitate eiusmodi stercus in tali casu exhiberi debeat, docet obiter doctissimus Guilielmus Rondoletius[12], dum ait. Stercus Gallinarum adversus fungos praescribitur a drachma una ad drachmas duas. Dioscorides[13] item contra fungos Gallinarum ova cum posca pota conferre ait, addita aristolochiae drachma.

Agli uomini il mangiare funghi è spesso sembrato nocivo e letale. Per contrastare questo effetto si accetta l’uso dello sterco di pollo sia internamente che esternamente. Per cui Dioscoride diceva che specialmente contro i veleni dei funghi si deve bere lo sterco di pollo con aceto o con vino. Razi dice che va bevuto con ossimele – aceto misto a miele, ovviamente affinché ne derivi il vomito: sembra che Razi possa averlo tratto da Galeno, il quale dice: Dal momento che avevo visto in Misia un medico che si serviva di sterco di pollo in coloro che andavano incontro a soffocamento per aver mangiato funghi, e io stesso me ne sono servito in alcuni abitanti di Roma, i quali pure avevano mangiato funghi, cospargendolo cioè in tre o quattro ciati [150-200 ml] di acqua e aceto oppure di ossimele dopo averlo ridotto in polvere fino a renderlo quasi impalpabile, e ne hanno tratto giovamento in modo lampante, e ciò si è verificato rapidamente. Infatti, coloro che stavano soffocando, poco dopo vomitavano un liquido simile a catarro e molto ma molto denso, e da quel momento si sono liberati completamente della sintomatologia. Ma Ezio di Amida contro gli stessi funghi nocivi dice: Filagrio somministra sterco bianco di pollo con acqua e aceto oppure con aceto e miele. Infatti ne abbiamo la prova evidente che è di aiuto contro i soffocamenti da funghi - sindrome muscarinica. Ma molto prima di Ezio Plinio disse che lo sterco bianco fatto cuocere con issopo oppure con vino mielato riduce l’effetto dei veleni dei funghi e dei boleti – Boletus satanas, come pure i gonfiori intestinali e i soffocamenti, e dice che rimarremmo sorpresi dal fatto che se un altro animale dovesse assaggiare questo sterco, verrebbe colto da dolori e da gonfiori intestinali. Ma in quale quantità siffatto sterco debba essere somministrato in tale situazione ce lo dice per caso il dottissimo Guillaume Rondelet quando dice: Lo sterco di gallina contro i funghi lo si prescrive da una dracma [3,41 g] a due dracme. Parimenti contro i funghi Dioscoride dice che tornano utili le uova di gallina bevute con acqua e aceto con l’aggiunta di una dracma di aristolochia.

Si quis a cane rabido morsus sit, stercora Gallinarum cibo[14] permixta rabiem imminentem prohibere creduntur, quod ex Plinio transcriptum est, qui alibi ita scribit: Rabies canum Sirio ardente homini pestifera, quapropter obviam itur per triginta eos dies Gallinaceo maxime fimo mixto <canum> cibis, aut si praevenerit morbus, veratro. Idem[15] etiam, uti et Kiranides cristam Galli contritam efficaciter imponi aiunt. Aëtius vero ad felis morsum Galli stercus liquidum cum adipe Gallinaceo subigi iubet, atque imponi.

Se qualcuno è stato morsicato da un cane affetto da rabbia, si ritiene che le feci delle galline mescolate al cibo - del cane -  impediscono la comparsa di una rabbia che sta per esplodere, e ciò è stato dedotto da Plinio che in un punto scrive così: La rabbia dei cani nel periodo della canicola è mortale per l’essere umano, per cui la si combatte per quei trenta giorni soprattutto con sterco di pollo mescolato ai cibi dei cani, oppure, se la malattia si fosse già manifestata, con l’elleboro - oppure con il veratro. Lo stesso Plinio, così come anche Kiranide, dicono che viene usata con ottimi risultati l’applicazione della cresta di gallo tritata. Ma Ezio di Amida contro il morso del gatto consiglia di impastare sterco liquido di gallo con grasso di pollo e di mettercelo sopra.

Ad serpentium, aliorumque virulentorum animantium morsus non ipsae aves tantum per se calidae ad affectum locum impositae prosunt, sed partes etiam aliquot. Aëtius ad viperae morsum primo affectam partem scarificat, aut Gallinam dissecat, et interne adhuc calentem morsui imponit, atque illud frequenter repetit. Paulus[16] Gallinarum pullos eodem modo dissecat sed uterque, ut videtur, id a vetustioribus medicis, ac in primis Dioscoride mutuatus est, qui ita habet[17]: Dissectae Gallinae, et adhuc calentes appositae serpentium morsibus auxiliantur, sed identidem alias sufficere oportet. Et alibi[18]: Dissecti Gallinarum pulli, cum maxime tepent percusso loco applicentur. Mirum vero quod scribit Galenus[19], Gallinae carnes noviter occisae ita, ut diximus, morsibus impositas omnibus venenosis obsistere, atque curare praeter unius aspidis morsum. Contra  sentire videtur Plinius[20], inquiens: Cimicum natura contra serpentium morsus, et praecipue aspidum valere dicitur; item contra venena omnia {argumentum quod dicunt} <, argumento, quod dicant> Gallinas, quo die cimices ederint, non interfici <ab> Aspide, carnes quoque earum percussis plurimum prodesse.

Contro i morsi dei serpenti e di altri animali velenosi sono utili non solo questi stessi volatili applicati caldi sull’area interessata, ma anche alcune loro parti. Ezio di Amida contro il morso della vipera in primo luogo incide la parte interessata dal morso, oppure squarta una gallina, e quanto all'interno è ancora calda la mette sulla morsicatura, e lo ripete spesso. Paolo di Egina squarta i pulcini di gallina allo stesso modo, ma ambedue, a quanto pare, l’hanno dedotto dai medici più antichi, e innanzitutto da Dioscoride che così si esprime: Le galline squartate e applicate ancora calde sono efficaci contro i morsi dei serpenti, ma bisogna sostituirle con altre più volte. E in un altro punto: I pulcini di gallina squartati vanno applicati sulla parte colpita quando sono ancora molto caldi. Ma è sorprendente ciò che scrive Galeno, che la carne di una gallina appena uccisa applicata sui morsi così come abbiamo detto crea una barriera a tutte le sostanze velenose e fa guarire, eccetto il morso dell'aspide – Vipera aspis. Sembra che Plinio la pensi in modo opposto quando dice: Si dice che il materiale che costituisce le cimici è efficace contro i morsi dei serpenti e soprattutto delle vipere, parimenti contro tutti i veleni, e ne sia prova il fatto che dicono che le galline in quel giorno in cui hanno mangiato le cimici non vengono uccise dalla vipera, e che anche le loro carni sono di estremo beneficio per coloro che sono stati morsicati.

Nec[21] desunt, qui hisce tanquam discordia naturali quadam pugnantibus utantur. Verum huius rationem inire facillimum fuerit. Gallinae enim calida natura praeditae sunt; argumento, quod devoratum insigne virus conficiunt, et aridissima quaeque semina consumunt, item nonnunquam arenas, lapillosque ingluvie sua devoratos absolvunt. Itaque animantis <admoti> calore adiutus spiritus, ab {ista} <icta> parte impetum capessens, exiliensque secum venenum exigit. Obscurus[22] quidam ita ad huiusmodi virulentos morsus in viro Gallum, Gallinam vero in faemina imponi iubet et statim cor e vino bibi. Verum praeterquam, quod eiusmodi opinio anilis est, ita etiam doctiores alii cerebrum, non cor bibendum exhibent: ac in primis Plinius[23]: Cerebellum, inquit, Gallinaceum recentibus plagis prodest: id est, morsibus serpentium: et alibi[24]: Venena serpentium domantur Gallinaceorum cerebro in vino poto. Parthi Gallinae malunt cerebrum plagis imponere, quasi praestantius[25].

E non manca chi si serve di questi soggetti - dei pulcini - come se combattessero per una sorta di antagonismo naturale. In verità è estremamente facile giungere a capirne il motivo. Infatti le galline sono dotate di una natura calda, e ne sia prova il fatto che distruggono un singolare veleno che hanno inghiottito, e divorano qualsiasi tipo di seme per secco che sia, e parimenti talora dissolvono con il loro stomaco i granelli di sabbia e le pietruzze che hanno ingerito. E pertanto la forza vitale con l'aiuto del calore dell’animale che è stato applicato, prendendo slancio dalla parte del corpo colpita, e schizzando fuori, fa uscire con sé il veleno. Un autore sconosciuto consiglia di comportarsi come segue contro siffatti morsi velenosi, di applicare nell’uomo un gallo, ma una gallina nella donna e di berne subito il cuore con del vino. In verità, a parte il fatto che siffatto modo di vedere è da donna vecchia, così anche altri più qualificati danno da bere il cervello, non il cuore, e innanzitutto Plinio che dice: Il cervello di un pollo è utile in caso di ferite recenti: cioè, in caso di morsi di serpenti: e in un altro punto: I veleni dei serpenti vengono resi inoffensivi con il cervello dei polli bevuto con vino. I Parti preferiscono applicare sulle ferite il cervello di gallina, come se fosse più efficace.

Sed alibi etiam non uno, sed variis modis administratum cerebrum harum avium serpentium morsibus prodesse tradit, et docet idem Plinius[26]: Prodest item, inquit, {Gallinaceum cerebrum recentibus plagis sale viperino in cibo sumptum. Tradunt et ulcera tractabiliora fieri, et sanari celerius} <gallinacei cerebrum recentibus plagis. Sale viperino in cibo sumpto tradunt et ulcera tractabiliora fieri ac celerius sanari>. Item rursus[27]: Contra omnium {morsum} <morsus> remedium est Gallinaceum cerebrum cum piperis exiguo potum in posca. Et Sextus[28] videtur repetere, dum ait: Galli cerebrum cum posca adiecto pipere his, qui a vipera percussi sunt, vel morsi potui dabis, auxilium maximum experieris. [292] Alii autem authores {bibi} <lini>, non {lini} <bibi> volunt[29].

Ma sempre Plinio anche in un altro punto tramanda e insegna che il cervello di questi volatili giova in caso di morsi di serpenti se somministrato non in un modo solo, ma in diversi modi, e dice: Parimenti è efficace il cervello di gallinaceo in caso di ferite recenti. Riferiscono che con l’assunzione nel cibo di sale a base di vipera anche le ulcere diventano più trattabili e che guariscono più rapidamente. E ancora: Il cervello di pollo bevuto con acqua e aceto con pochissimo pepe è un rimedio contro le morsicature di tutti i ragni velenosi. E Sesto Placito Papiriense sembra ripeterlo quando dice: Darai da bere un cervello di gallo con acqua e aceto con l’aggiunta di pepe a coloro che sono stati colpiti o morsicati da una vipera, e sperimenterai un aiuto enorme. Ma altri autori sono dell’avviso che vada applicato e non bevuto.


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[1] Ultra regge l’accusativo. Credo che Aldrovandi lo sapesse, ma nel copiare da Gessner se ne è dimenticato. Magari è una svista dell’Obscurus, oppure di Gessner, oppure di chi fece l’annotazione al codice di Serapione, e che Ulisse non corregge. § Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 442: Nam si id in venis fuerit ultra gibba<m> hepatis, aut in viis urinalibus, ovum nigrescet ac foetebit. § Oppure è un semplice errore tipografico zurighese e poi bolognese.

[2] La lezione corretta dovrebbe essere orbo, cioè l’intestino cieco. Aldrovandi invece corregge Gessner, o meglio, non capisce l’annotazione tra parentesi che è di Gessner oppure dell’Obscurus che ha trovato l’annotazione al codice di Serapione. Orobus è la veccia, la fava, per cui Gessner – oppure l’Obscurus - drizzano le orecchie e pensano a orbus, all’intestino cieco, o a qualsiasi altro tratto dell’intestino, in quanto in questo caso la veccia proprio non ha nulla a che fare con l’apparato digerente. Ecco la prosecuzione del discorso tratto da Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 442: Sin citra concava hepatis, ut in orobo (colo, vel alterius intestini nomen legendum apparet,) ovum rugas et colorem citrinum contrahet, absque foetore. Hoc annotatum reperi in margine codicis cuiusdam Serapionis iuxta caput de urina, Obscurus. § Insomma: o Aldrovandi lasciava orobo e manteneva il testo fra parentesi, oppure doveva eliminare questo testo visto che aveva giustamente emendato orobo con orbo.

[3] Negativa la ricerca di questo rimedio nel libro VI, cap. 7 sia nella traduzione di Jean Ruel che nell’identico testo riportato da Pierandrea Mattioli nonché da Marcellus Virgilius. Vi compaiono come rimedio contro l’aconito non le uova ma solo lisciva cotta a lungo con gallina e vino: lixiviaque cum gallina, et vino decocta. § Si può presumere che Aldrovandi abbia fatto un download integrale della notizia da Gessner, ma non sappiamo dove Gessner l’abbia reperita. Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 441: Dioscorides inter aconiti remedia numerat ova in oleum evacuata, ita ut totum hoc cum muria misceatur, et sorbeatur tepidum.

[4] Alexipharmaca.

[5] Aleatoria è l'identificazione del dorycnium, tant'è che Pierandrea Mattioli in Commentarii in libros sex Pedacii Dioscoridis Anazarbei De Materia Medica (1554) deliberatamente non ne fornisce l'immagine, e non lo riporta nell'indice del suo Compendium de plantis omnibus (1571). Non vale dunque la pena accanirci nel voler identificare il dorycnium, che sull'esempio di Mattioli traduciamo con doricnio. Basti dire che Mattioli afferma di non avere mai visto il doricnio di cui parla Dioscoride in IV,70 e che quel doricnio contro la cui azione velenosa parla in VI,6 non corrisponde al precedente. Nel suo commento a Plinio, Umberto Capitani puntualizza che il doricnio può essere una solanacea affine all'erba morella alias Solanum nigrum , oppure è una specie velenosa di convolvolo. Mattioli nel commento a IV,70 di Dioscoride cita Galeno, che pure parlò del caleidoscopico doricnio: Dorycnii meminit Galenus libro VI simplicium medicamentorum, ubi de eius viribus ita scribit. Dorycnium temperamento papaveri simile est, & mandragorae, & iis qui sic refrigerandi vim habent: excellit aquea frigiditate admodum efficaci. Quamobrem modicum quidem soporem conciliat: largius vero sumptum interimit. § L'impiego di gallinacea pectora decocta viene suggerito da Dioscoride in VI,6 a proposito del doricnio travestito da manicon solanum, tradotto da Mattioli in solano furioso, e non per quello riportato in IV,70. Che questo benedetto doricnio sia caleidoscopico lo dimostra il fatto che - come riferisce Mattioli - Avicenna lo chiamava anche uva vulpina. § Vista l'indicazione dei gallinacea pectora decocta in caso di avvelenamento da manicon solanum, sulla scia di Mattioli lo etichettiamo come solano furioso.

[6] Naturalis historia XXVII,95: Lathyris folia habet multa lactucae similia, tenuiora, germina multa, in quibus semen tuniculis continetur, ut capparis, quae cum inaruere, eximuntur grana piperis magnitudine, candida, dulcia, facilia purgatu. Haec vicena in aqua pura aut mulsa pota hydropicos sanant; trahunt et bilem. Qui vehementius purgari volunt, cum folliculis ipsis sumunt ea, nam stomachum laedunt; itaque inventum est ut cum pisce aut iure gallinacei sumerentur.

[7] Dioscoride in IV,78 non afferma affatto di usare sterco di pollo in caso di avvelenamento da funghi, ma in caso di indigestione: largius tamen sumpti nocent. Remedio est nitri potus, aut lixivium cum acida muria [...] debellantur etiam gallinacei fimi potu ex aceto, aut eiusdem delinctu cum melle multo § In VI,23, quando Dioscoride parla degli effetti nocivi sia del veleno che dell’eccessiva quantità ingerita, dice: Adversus fungos gallinacea ova cum posca proficiunt, adiecta aristolochiae drachma. § Anche in questo caso la citazione è ricopiata dal testo di Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 399: Gallinaceum fimum privatim contra venena fungorum bibitur ex aceto aut vino, (vel oxymelite, Rasis,) Dioscor. [...] Galenus etiam adversus strangulationem a devoratis fungis gallinarum domesticarum fimum cum oxymelite bibi consulit, in Euporistis 1. 131. nimirum  ut vomitus subsequatur. Cum medicum quendam in Mysia gallinaceo utentem stercore conspexissem, in eis qui ab esu fungorum suffocabantur: et ipse quoque sum usus in quibusdam urbem inhabitantibus, qui et ipsi fungos esitarant, ipsum videlicet ad laevorem contritum tribus quatuorve oxycrati aut oxymelitis inspergens cyathis. et palam adiuti sunt, idque celeriter. nam qui praefocabantur, paulo post vomebant pituitosum humorem omnino crassissimum, et exinde plane liberati sunt symptomate, Galenus lib. 10. de simplicibus.

[8] Euporiston 131 et De simplicibus liber 10. (Aldrovandi)

[9] Il sostantivo neutro greco oxýkraton  equivale al latino posca, cioè un miscuglio di acqua e aceto.

[10] Vedi Pesi e misure.

[11] Naturalis historia XXIX,103: Gallinarum fimum, dumtaxat candidum, in hysopo decoctum aut mulso contra venena fungorum boletorumque, item inflationes ac strangulationes, quod miremur, cum, si aliud animal gustaverit id fimum, torminibus et inflationibus adficiatur.

[12] De ponderibus sive de justa quantitate et proportione medicamentorum liber cap. 10. (Aldrovandi)

[13] VI,23: Adversus fungos gallinacea ova cum posca proficiunt, adiecta aristolochiae drachma.

[14] Plinio parla di prevenzione della rabbia nei cani durante la canicola. Però Aldrovandi non ha assolutamente letto il testo di Plinio, ma solo quello di Gessner. Infatti dal testo di Gessner si potrebbe supporre che debbano essere gli uomini a mangiare le feci dei polli, ma non se ne ha la certezza. Invece, nella fantasmagorica trasformazione del testo di Gessner operata da Aldrovandi, è più che palese che chi deve pranzare - o cenare - con sterco di gallina non sono i cani, bensì gli esseri umani morsi da un cane rabbioso. § Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 400: Rabies canum sirio ardente homini pestifera, quapropter obviam itur per triginta eos dies, gallinaceo maxime fimo mixto cibis: aut si praevenerit morbus, veratro, Plin. § Plinio Naturalis historia VIII,152: Rabies canum sirio ardente homini pestifera, ut diximus, ita morsis letali aquae metu. Quapropter obviam itur per XXX eos dies, gallinaceo maxime fimo inmixto canum cibis aut, si praevenerit morbus, veratro.

[15] Naturalis historia XXIX,100: Aiunt et cristam galli contritam efficaciter inponi et anseris adipem cum melle.

[16] Epitomês iatrikês biblía eptá, Totius rei medicae libri VII per Janum Cornarium ... latina lingua conscripti, J. Hervagius, Basel 1556.

[17] De materia medica II,43.

[18] Dovrebbe trattarsi di un’invenzione di Gessner adottata da Aldrovandi. Infatti a mio avviso i polli contro i morsi dei serpenti non compaiono in Dioscoride, che in II,43, subito dopo le galline dissectae, consiglia di usare il loro cervello da bersi con del vino. § Ecco il testo di Gessner che contiene anche il prosieguo del testo di Aldrovandi. Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 395: Dissectae gallinae (gallinarum pulli, Aegineta) et adhuc calentes appositae, serpentium morsibus auxiliantur. sed identidem alias sufficere oportet (deinde folia olivae viridia trita cum oleo et sale supponere vulneri, Kiranides) Dioscor. Et alibi, Dissecti gallinarum pulli, cum maxime tepent, percusso loco applicentur. Nec desunt qui hisce tanquam discordia quadam naturali pugnantibus utantur. verum huius rationem inire facillimum fuerit. Gallinae enim calida natura praeditae sunt: argumento, quod devoratum insigne virus conficiunt, et aridissima quaeque semina consumunt. item nonnunquam arenas lapillosque ingluvie sua devoratos, dissolvunt. Itaque animantis admoti calore adiutus spiritus, ab icta parte impetum capessens exiliensque secum venenum exigit. Carnes gallinae noviter occisae, si morsibus imponantur, obsistunt omnibus venenosis et curant, praeter aspidis morsum, Galenus Euporiston 2. 143.

[19] Euporiston 2,143. (Conrad Gessner)

[20] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 394: Cimicum natura contra serpentium morsus et praecipue aspidum valere dicitur: item contra venena omnia argumentum, quod dicunt gallinas quo die cimices ederint, non interfici ab aspide: carnes quoque earum percussis plurimum prodesse, Plinius. § Plinio Naturalis historia XXIX,61: [...] cimicum, animalis foedissimi et dictu quoque fastidiendi, natura contra serpentium morsus et praecipue aspidum valere dicitur, item contra venena omnia, argumento, quod dicant gallinas, quo die ederint, non interfici ab aspide, carnesque earum percussis plurimum prodesse.

[21] Come già detto, questo testo non esiste in Dioscoride, ma è tratto da un’aggiunta personale di Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 395: Et alibi [Dioscorides], Dissecti gallinarum pulli, cum maxime tepent, percusso loco applicentur. Nec desunt qui hisce tanquam discordia quadam naturali pugnantibus utantur. verum huius rationem inire facillimum fuerit. Gallinae enim calida natura praeditae sunt: argumento, quod devoratum insigne virus conficiunt, et aridissima quaeque semina consumunt. item nonnunquam arenas lapillosque ingluvie sua devoratos, dissolvunt. Itaque animantis admoti calore adiutus spiritus, ab icta parte impetum capessens exiliensque secum venenum exigit.

[22] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 395: Obscurus quidam adversus virulentos morsus in viro gallum discerptum calentemque adhuc imponi iubet, in muliere gallinam: et statim cor (cerebrum potius) e vino bibi.

[23] Aldrovandi dà come riferimento liber 29, cap. 4. Se ai tempi di Aldrovandi la suddivisione del testo di Plinio corrispondeva alla nostra, il capitolo IV del libo XXIX è composto dal seguente brevissimo testo in cui manca il vocabolo cerebellum: Alia facto ab experimentis se cognominans empiricen coepit in Sicilia, Acrone Agragantino Empedoclis physici auctoritate commendato. § L'impiego di cerebellum (o cerebrum) in caso di ferite recenti preconizzato da Plinio si trova invece – come si vedrà tra poco - in Naturalis historia XXX,117: Draconum quoque adeps siccatus in sole magnopere prodest, item gallinacei cerebrum recentibus plagis. § Che le ferite recenti corrispondano solamente ai morsi di serpente è una pura illazione di Aldrovandi. I morsi di serpente sono senz'altro ferite recenti, ma Plinio si riferisce a qualsiasi tipo di ferita recente, come può esserlo il morso al collo del partner al culmine dell'orgasmo sessuale!

[24] Naturalis historia XXIX,78: Carnibus gallinaceorum ita, ut tepebunt avulsae, adpositis venena serpentium domantur, item cerebro in vino poto. Parthi gallinae malunt cerebrum plagis inponere. Ius quoque ex iis potum praeclare medetur, et in multis aliis usibus mirabile. Pantherae, leones non attingunt perunctos eo, praecipue si et alium fuerit incoctum.

[25] L’aggiunta quasi praestantius non esiste né in Plinio né in Gessner.

[26] Naturalis historia XXX,117 (Aldrovandi): Draconum quoque adeps siccatus in sole magnopere prodest, item gallinacei cerebrum recentibus plagis. Sale viperino in cibo sumpto tradunt et ulcera tractabiliora fieri ac celerius sanari. Antonius quidem medicus, cum incidisset insanabilia ulcera, viperas edendas dabat miraque celeritate persanabat. Trixallidum cinis margines ulcerum duros aufert cum melle, item fimi columbini cum arrhenico et melle, eademque erodentia sunt. § Da notare che in questo passo Plinio sta riferendo circa il trattamento di ferite e di ulcere in generale, non di ferite da morsi di serpenti. Anzi, sta parlando dell’utilità del veleno di vipera.

[27] Naturalis historia XXIX,88: Contra omnium morsus remedio est gallinaceum cerebrum cum piperis exiguo potum in posca, [...]. Plinio ha cominciato a parlare di ragni velenosi a partire dal paragrafo 84, e la terapia qui proposta è contro il morso di qualsiasi tipo di ragno velenoso. Quindi si tratta di morsi di ragni, e non di morsi di qualsivoglia animale.

[28] Liber medicinae ex animalibus.

[29] Che lo scambio di parole in questo contesto sia del tutto errato è testimoniato da due cose. In primo luogo il discorso terapeutico passa improvvisamente dal cervello al sangue di pollo, e si è appena finito di dire che Sesto Placito Papiriense prescrive di berne il cervello. Quindi è logico pensare che alcuni autori dicono il contrario: non berlo, ma applicarlo. Anche Lind (1963) concorda con il mio punto di vista, tant'è che specifica brain – cervello – anche se assente nel testo latino. Ma poi Lind non corregge lo scambio di bibi/lini operato o da Ulisse o dal tipografo: Other authors say the brains should be drunk and not smeared on the wounds.§ Ma la spiegazione del qui pro quo relativo a un'erronea trasposizione di bibi/lini non è assolutamente tipografica. È dovuta al vizio di Aldrovandi di arraffare spudoratamente e sconsideratamente dal testo di Gessner senza minimamente meditare sul contesto da cui sta estrapolando le frasi. Gessner a pagina 397 fa esatto riferimento alla sezione di Plinio in cui si parla di ragni velenosi e che inizia in Naturalis historia XXIX,84: Phalangium est Italiae ignotum et plurium generum: unum simile formicae, [...] (riferimento omesso da Aldrovandi) e solo al paragrafo 88 si legge finalmente la terapia orale di Plinio a base di cervello di pollo contro la morsicatura di qualsivoglia ragno velenoso elencato in precedenza: Contra omnium morsus remedio est gallinaceum cerebrum cum piperis exiguo potum in posca, item formicae V potae, pecudum fimi cinis inlitus ex aceto et ipsi aranei quicumque in oleo putrefacti. Poi Gessner passa subito a citare tre versi di Sereno Sammonico, il quale consiglia di applicare cervello di pollo sulle punture di insetto, e a questo punto Gessner fa una piccola digressione posta fra parentesi, dicendo che altri consigliano invece di berlo 'sto benedetto cervello. Aldrovandi ha estrapolato questa annotazione e l'ha inserita a casaccio tra impiego del cervello e impiego del sangue di pollo. § Ecco la fonte di Aldrovandi: Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 397: Contra omnium phalangiorum [397] (aranearum, Rasis) morsus remedium est gallinaceum cerebrum cum piperis exiguo potum in posca, Plinius. Ad cunctos autem morsus ictusque minorum, | Exiguo piperis cerebrum conspergito galli, | Quo lita (alii authores bibi, non lini volunt) sanescunt depulso membra dolore, Serenus. - Contro i morsi di tutti gli aracnidi velenosi (dei ragni, Razi) il cervello di pollo bevuto con acqua e aceto e con un pochino di pepe rappresenta un rimedio, Plinio. Ma contro tutte le morsicature e le punture degli insetti, | mettici sopra cervello di gallo con poco pepe, | e le aree che ne vengono ricoperte (altri autori sono dell'avviso che va bevuto, non applicato) guariscono con scomparsa del dolore, Sereno Sammonico.