Conrad Gessner

Historiae animalium liber III qui est de Avium natura - 1555

De Gallina

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

441

 


Si raccomanda l'opzione visualizza ->  carattere ->  medio del navigatore

Dictum est saepe pharmaca illa quae vim eximiam nullam obtinent, vehementioribus materiae instar admisceri. unde fit ut polychresta[1], hoc est multiplici usu celebria habeantur, et potentioribus (diversis) inserviant. Huiusmodi etiam ovum est, quod diverso insuper elixationis aut assationis accedente modo, magis etiam varium de se praebet usum. nam siccantibus humores pharmacis, elixando duratum, vel assatum vel frixum miscetur: iis vero quae contentos in thorace et pulmone humores incidunt, sorbile, hoc est leviter elixum dum incalescat tantum, Galenus. Idem in libro de boni et mali succi cibis, ovorum vires prope ad alicam accedere scribit.

Spesso si è affermato che quei farmaci che non posseggono alcuna facoltà speciale vanno mischiati come eccipienti a quelli più efficaci. Per cui si verifica che vengono giudicati famosi grazie al loro molteplice impiego, polychresta, e sono invece al servizio di quelli più potenti (dotati di azione differente). Anche l’uovo è dotato di queste caratteristiche, in quanto, siccome il modo di presentarsi è diverso oltre a quello bollito oppure arrosto, offre un suo impiego che è ancora più vario. Infatti viene unito ai farmaci che fanno seccare gli umori o sodo attraverso la bollitura, oppure arrosto oppure fritto: ma a quelli che agiscono contro i liquidi contenuti nel torace e nel polmone viene unito preparato à la coque, cioè bollito appena quel tanto che si riscaldi, Galeno. Sempre lui nel trattato De probis pravisque alimentorum sucis scrive che le facoltà delle uova si avvicinano assai al farro - Triticum dicoccum.

¶ De iisdem particulatim. Ova medentur apostematibus circa anum et pectinem: et supponitur licinium infusum in eis et in oleo rosarum, propter abscessus ani et percussionem eius, Avicenna. Et rursus, Emplastris apostemata prohibentibus miscentur ova: item clysteribus propter ulcera et apostemata: et erysipelata eisdem utiliter illinuntur cum oleo. Ova confracta contusa (illita) super tumores apostematum, prohibent ea augeri, et oleum rosarum cum eis mixtum, Petrus Aponensis in Problemata Arist. Cur pelles recenter detractae, maximeque arietum, verberum vulneribus et vibicibus admotae, et ova super confracta (ἐπικαταγνύμενα) prohibent ulcera, ne consistant, Aristoteles quaerit in Problematis 9. 1. Vide in Ariete G. quod autem ad ova, inquit ea viscositate sua cutim veluti agglutinare, et prohibere ne ulcerum calore nimio humores attrahi possint.

Dettagli sui rimedi ottenibili dalle uova intere. Le uova sono curative nei confronti degli ascessi perianali e in sede pubica: e si applica una benda inzuppata nelle uova e nell’olio di rose in caso di ascesso anale e di una sua lesione, Avicenna. E ancora: Le uova vengono mescolate agli empiastri che fanno regredire gli ascessi: parimenti ai clisteri per ulcerazioni e ascessi: e le si spalma con successo sulle erisipele con olio. Le uova rotte e sbattute (spalmate) sui gonfiori degli ascessi impediscono loro di accrescersi, mischiandovi anche olio di rose, Pietro d’Abano in Expositio problematum Aristotelis. Perché le pelli tolte da poco, e soprattutto degli arieti, applicate sulle ferite da frusta e sulle ecchimosi, e l’applicazione di uova spaccate (epikatagnýmena) impediscono alle ulcere di perdurare, Aristotele se lo chiede in IX,1 dei Problemata. Vedi nel capitolo dell’ariete paragrafo G. Per quanto riguarda le uova, dice che esse con la loro viscosità quasi agglutinano la cute e impediscono ai liquidi di poter essere attratti dall’eccessivo calore delle ulcere.

¶ Recentia illita adustiones ignis sanant, Kiranides. Ambusta aquis si statim ovo occupentur, pustulas non sentiunt. quidam ammiscent farinam hordeaceam, et salis parum, Plin.[2] Ova medentur adustioni ignis. uteris autem eis cum lana, et prohibent ulcerationem. ac similiter adustioni aquae etiam, Avicenna. Plura lege inferius inter facultates albuminis. Ova cum oleo trita ignes sacros[3] leniunt, betae foliis superilligatis, Plin.

¶ Quelle fresche spalmate fanno guarire le ustioni da fuoco, Kiranide. Le ustioni da acqua bollente, se vengono subito ricoperte con uovo, non danno luogo a vescicole. Alcuni vi mescolano della farina d’orzo e un pochino di sale, Plinio. Le uova fanno guarire un’ustione provocata dal fuoco. Devi usarle con la lana, e impediscono l’ulcerazione. E nello stesso modo anche in un’ustione dovuta all’acqua, Avicenna. Leggi maggiori dati più avanti tra le proprietà dell’albume. Le uova sbattute con olio mitigano le lesioni da carbonchio – da erisipela, da herpes zoster - legandoci sopra delle foglie di bietola, Plinio.

¶ Tumorem mamillae repelles agitato ovo cum vino quinquies copiosiore, eo liquore madefactum linteum imponens, Ex libro Germanico manuscripto. ¶ Ovo gallinaceo caput inlinito, postea aqua vel succo herbae cyclamini{s} caput lavato: hoc pacto lendes necati ultra non renascuntur, Marcellus. Galenus alicubi in opere de medic. compon. sec. locos, ova extergere negat.

Dopo aver sbattuto un uovo con una quantità di vino cinque volte maggiore potrai far regredire un gonfiore al seno ponendoci sopra un tovagliolo intriso con questo liquido, da un libro tedesco manoscritto. Spalma il capo con uovo di gallina, successivamente lavati con acqua o con succo della parte verde dei ciclamini: in questa maniera le lendini essendo state uccise non rinascono, Marcello Empirico. Galeno in un punto del trattato De compositione medicamentorum secundum locos nega che le uova riescono ad eliminarle.

¶ Dioscorides[4] inter aconiti remedia numerat ova in oleum evacuata, ita ut totum hoc cum muria misceatur, et sorbeatur tepidum. Verba Graeca sunt, Ὠά τε κενωθέντα ἐπὶ αὐτό καὶ χλιανθέντα, (Marcellus legit διεθέντα, quanquam vertit trita) σὺν ἅλμῃ καὶ ῥοφούμενα. Aegineta habet, Ὠά τε κενωθέντα ἐπὶ τὸ αὐτό, λειανθέντα, σὺν ἅλμῃ ῥοφούμενα. apparet autem vox λειανθέντα, corrupta a χλιανθέντα. Caeterum haec verba ἐπὶ αὐτό vel ἐπὶ τὸ αὐτό, Ruellius interpretatur in idem, scilicet oleum, quoniam impressi codices Graeci, proxime ante oleum nominant. tanquam id tum per se, tum cum absinthio potum prosit. Aegineta et Aetius non oleum eo loco, sed vinum merum vel per se vel cum absinthio potum auxiliari scribunt. et sic Marcellus {Vergilius} <Virgilius> quoque vertit, nec in annotationibus quicquam admonet, tanquam omnino in codice suo Graeco sic legerit.

¶ Dioscoride tra i rimedi contro l’aconito elenca le uova svuotate dentro all’olio, in modo che il tutto venga mischiato con salamoia e venga bevuto tiepido. Le parole greche sono: Øá te kenøthénta epì autó kaì chlianthénta – E le uova evacuate in esso e pestate (Marcellus Virgilus legge diethénta - disciolte, anche se traduce tritate), sùn hálmëi kaì rhophoúmena – con acqua salata e sorbite. Paolo di Egina riporta: Øá te kenøthénta epì tò autó, leianthénta, sùn hálmëi rhophoúmena – E le uova evacuate in esso, pestate, sorbite con acqua salata. In realtà sembra che il termine leianthénta sia una corruzione derivata da chlianthénta. Inoltre queste parole epì autó oppure epì tò autó, Jean Ruel le traduce nello stesso, cioè, nell’olio, in quanto i codici greci stampati le riportano appena prima di olio. Come se l’olio recasse giovamento sia da solo che bevuto con l’assenzio. Paolo di Egina ed Ezio di Amida scrivono che in questo caso non giova l’olio, ma vino puro bevuto o da solo o con assenzio. E così traduce anche Marcellus Virgilius, e nelle sue annotazioni non dà alcun avvertimento, come se nel codice greco a sua disposizione avesse letto proprio come abbiamo appena detto.

Cornarius ex Aetio lib. 13. cap. 61., sic reddit, Ova in unum vasculum evacuata, conquassata et tepefacta, ex muriaque absorpta. Rursum Marcellus ὠά κενωθέντα ovorum putamina vertit, quod ea tantum ovis depletis et evacuatis supersint, et quod apud Aeginetam legatur λειανθέντα, quam vocem ipse exponit trita et infracta. Nicandri[5] quoque versus citat ceu qui pro sua opinione faciant: Πολλάκι δ’ὀρταλίχων ἁπαλὴν ὠδῖνα κενώσας, | Ἀφρόν ἐπεγκεράσαιο θοοῦ δορπήϊα κέπφου. Mihi quidem Nicander nequaquam de putaminibus ovorum sentire videtur, sed de ipsis ovis (syne<c>dochice dico, pro albumine et vitello tantum) evacuatis, ita ut tota ovi interna substantia in vase aliquo una cum muria conquassetur et misceatur, bibaturque. nam pro muria (hálmen Dioscorides vocat) Nicander spumam marinam dixit, qua scilicet pasci et inescari solent cepphi[6] marinae aves. Sic et Nicandri Scholiastes sensisse videtur, scribens: Ova deplere praecipit et cum spuma marina miscere. Et Hermolaus ex Dioscoride, Ova in patinam depleri et subigi cum salsugine iubet.

Johann Haynpol, alias Janus Cornarius, traduce da Ezio di Amida libro XIII capitolo 61 nel modo seguente: Le uova svuotate in un piccolo recipiente, sbattute e intiepidite, e bevute con acqua salata. Invece Marcellus traduce øá kenøthénta – uova evacuate – con gusci d’uovo, in quanto dopo che le uova sono state svuotate ed evacuate rimangono solo i gusci, e in quanto in Paolo di Egina si legge leianthénta – pestate, una parola che costui traduce con pestate e rotte. Cita anche dei versi di Nicandro di Colofone che sarebbero di supporto al suo punto di vista: Polláki d’ortalíchøn hapalën ødîna kenøsas, | Aphrón epenkerásaio thooû dorpëïa képphou – Spesso degli uccelli il molle uovo svuota, mischia la spuma di mare e i cibi del veloce gabbiano. In realtà a me sembra che Nicandro non vuole affatto intendere gusci d’uovo, ma le uova stesse svuotate (io dico che usa una sineddoche, intendendo solamente albume e tuorlo), in modo che tutto il contenuto dell’uovo venga sbattuto e mescolato in un vaso insieme ad acqua salata, e quindi bevuto. Infatti Nicandro invece di acqua salata (Dioscoride la chiama hálmë) ha detto spuma di mare, cioè quella con cui si suole pasturare e adescare i gabbiani, uccelli marini. Sembra che abbia inteso in questo modo anche il commentatore di Nicandro, scrivendo: Prescrive di svuotare le uova e di mischiarle con la spuma di mare. Ed Ermolao Barbaro deducendolo da Dioscoride: Prescrive di svuotare le uova in una scodella e di sbatterle con acqua salata.

¶ Lac cum ovo et rosaceo valet ad oculorum phlegmonas, Galenus lib. 10. de simplicib. Ad oculorum dolores et vigilias[7]: Mulsam instillato, et ovum praemaceratum (nimirum in mulsa) ac putamine mundatum, in duas portiones secato, et super oculum deligato, et somno occupabitur, Idem Euporiston 3. 18. ¶ Cibo quot modis iuvent, notum est, cum transmeent faucium tumorem, calfactuque obiter foveant, Plinius[8]. Dantur et tussientibus cocta (ad duritiem nimirum. haec enim Graeci ἑφθά absolute vocant, et haec etiam proprie teri possunt. quanquam et sorbilia per se ad tussim prodesse non est negandum) et trita cum melle, Idem[9]. Ad tussim, Ovum melle teres domitum ferventibus undis, et sumes, Serenus. Vide infra in Ovo duro. ¶ Equo strophoso ova quatuor in os confringe, et ut simul cum putaminibus deglutiat cura, Anatolius. Ova gallin. numero quatuor adijciuntur cerato cuidam podagrico apud Aetium 12.43.[10] ¶ Infunduntur et virilitatis vitiis singula, cum ternis passi cyathis amylique semuncia a balneis, Plinius[11].

¶ Il latte con uovo e olio di rose è efficace contro le infiammazioni degli occhi, Galeno libro X del De simplicium medicamentorum temperamentis et facultatibus. Contro i dolori oculari e le conseguenti notti insonni: Fa delle instillazioni di idromele, e taglia in due parti un uovo premacerato (ovviamente in idromele) e ripulito dal guscio e fa una fasciatura sopra agli occhi, e il malato verrà preso dal sonno, sempre Galeno – Oribasio - Euporista III,18. ¶ In quanti modi le uova tornano utili come cibo, è noto, dal momento che riescono a passare attraverso la gola gonfia, e nel frattempo con il loro calore esercitano un effetto benefico, Plinio. Vengono date cotte anche a coloro che hanno la tosse, (ovviamente sode; infatti i Greci senza mezzi termini le chiamano hephthà - lesse, e proprio queste possono venir tritate; benché non si debba negare che anche quelle à la coque giovano in sé e per sé contro la tosse) e tritate con del miele, ancora Plinio. Contro la tosse: Pesterai un uovo con del miele dopo averlo fatto bollire, e te lo prenderai, Sereno Sammonico. ¶ A un cavallo che soffre di coliche rompi quattro uova in bocca e fa attenzione che le deglutisca insieme ai gusci,. Anatolio. In Ezio di Amida XII,43 vengono aggiunte quattro uova di gallina a un empiastro a base di cera per la gotta. All’uscita dal bagno, contro i disturbi della virilità si somministrano anche le uova uno alla volta insieme a tre ciati [circa 150 ml] di vino passito e una semioncia [circa 14 g] di amido.

¶ Pars II. De oleo ovorum. Oleum de ovis experientia plurima probatum est cutim expurgare, impetiginem, serpiginem, et alia cutis vitia persanare, capillos regignere, ulcera maligna et fistulosa curare. Vitelli ovorum elixando duratorum triginta, aut circiter, manibus friati, in sartagine terrea plumbata (sartagine lapidea, Monachi[12] in Mesuen) frigantur igni mediocri, movendo cochleari ligneo aut ferreo, donec rubescant, et oleum ab his resolvatur, quod pressi cochleari largius remittent. Vel iidem vitelli elixando indurati mola frangantur, deinde in offas tundantur, et torculari exprimantur, quale in oleo amygdalino explicuimus, et oleum destillabit. Vel ipsi vitelli corpulento [442] vasi (cucurbitae destillatoriae) oleumque in capitellum (alembicum) ignis violentia attollatur, qualiter oleum philosophorum post dicendum, Io. Mesues paraphraste Iac. Sylvio[13].

Sezione 2 – L’olio ottenuto dalle uova. In base a una vasta esperienza si è dimostrato che l’olio ottenuto dalle uova deterge la pelle, fa guarire perfettamente l’impetigine, la tigna – o tricofizia - e altre malattie della pelle, fa rigenerare i capelli, guarisce le ulcere maligne e associate a fistole. Si facciano friggere a fuoco basso in una padella di terracotta rivestita internamente di piombo (in una padella di pietra, Callistus Monachus filius Mercurii [?] commentando Mesuè il Giovane o Pseudo Mesuè) circa trenta tuorli di uova rese sode con la bollitura e sbriciolati con le mani, rimestando con un cucchiaio di legno o di ferro fintanto che sono diventati rossi e ne fuoriesca l’olio, e se vengono spremuti con il cucchiaio lo rilasciano in quantità maggiore. Oppure si spezzino con una macina gli stessi tuorli fatti sodi con la bollitura, quindi li si schiacci facendone degli ammassi e li si sprema con un torchio come abbiamo spiegato a proposito dell’olio di mandorle, e l’olio gocciolerà. Oppure questi stessi tuorli in un vaso panciuto (zucca distillatoria), e l’olio venga fatto salire in un capitello (alambicco) dalla violenza del fuoco, così come poi bisognerà dire successivamente circa l’olio dei filosofi, Mesuè il Giovane parafrasato da Jacques Dubois.


441


[1] L’aggettivo greco polýchrëstos in Galeno significa ‘di grande uso o utilità’.

[2] Naturalis historia XXIX,40: Eadem cum oleo trita ignes sacros leniunt betae foliis superinligatis. Candido ovorum in oculis et pili reclinantur Hammoniaco trito admixtoque et vari in facie cum pineis nucleis ac melle modico. Ipsa facies inlita sole non uritur. Ambusta aquis si statim ovo occupentur, pusulas non sentiunt — quidam admiscent farinam hordeaciam et salis parum —, ulceribus vero ex ambusto cum candido ovorum tostum hordeum et suillo adipe mire prodest.

[3] Discussa è l’interpretazione di cosa fosse l’ignis sacer, che magari fu anche chiamato ignis Persicus – fuoco persiano. Umberto Capitani e Ivan Garofalo (Naturalis historia di Plinio, libro XXVIII, Einaudi, 1986) non citano il carbonchio, e puntualizzano che Celso in De medicina V,26,31 e 28,4  fa una distinzione fra erisipela e herpes zoster (o fuoco di Sant’Antonio), per cui il fuoco sacro dovrebbe poter corrispondere all’herpes zoster. Affascinanti problemi insoluti di medicina antica!

[4] Negativa la ricerca di questo rimedio nel libro VI cap. 7 sia nella traduzione di Jean Ruel che nell’identico testo riportato da Pierandrea Mattioli nonché da Marcellus Virgilius. Vi compaiono come rimedio contro l’aconito non le uova ma solo lisciva cotta a lungo con gallina e vino: lixiviaque cum gallina, et vino decocta. – Difficile sapere dove Gessner abbia reperito questa citazione, che oltretutto – dopo una peregrinazione linguistica di difficile comprensione - conduce a vino e assenzio come possibile antidoto. § Sta di fatto che in Ruel, Mattioli e Virgilius, Dioscoride prescrive contro l’aconito anche vino - μετ’οἴνου - e assenzio.

[5] Alexipharmaca vv. 165-166.

[6] Il sostantivo greco maschile képphos significa gabbiano, talora anche folaga. Sulla sua identificazione si potrebbe comunque discutere assai, come ci insegna D’Arcy W. Thompson in A Glossary of Greek Birds, 1966 (1895).

[7] Aldrovandi - per la stessa ricetta ricavata da Euporista III,18 - a pagina 288 fa un’aggiunta assente in Gessner: i dolori oculari sono presenti in coloro che hanno la febbre: Ad dolores oculorum, et vigilias, quibus febricitantes frequenter torquentur, Galenus mulsam instillat, et ovum praemaceratum (nimirum in mulsa) ac putamine mundatum, in duas portiones secat, et super oculum deligat, aegrumque somno fruiturum pollicetur.– Per dirimere dove sta il vero, con tempo e voglia si può controllare il testo di Euporista.

[8] Naturalis historia XXIX,48: Cibo quot modis iuvent, notum est, cum transmeent faucium tumorem calfactuque obiter foveant. Nullus est alius cibus, qui in aegritudine alat neque oneret simulque vim potus et cibi habeat.

[9] Naturalis historia XXIX,47: Dantur et tussientibus cocta et trita cum melle et cruda cum passo oleique pari modo.

[10] La ricetta è un po’ discordante – anche per numero di uova - da quanto Gessner riporterà a pagina 447: Ovorum quinque candida adijciuntur cerato cuidam podagrico refrigeranti apud Aetium 12.43. § Il motivo della discordanza è ovvio, essendo quella di pagina 447 un'altra ricetta riferita da Ezio - Ceratum Jacobi Psychristae, ad ferventes pedum inflammationes – che in effetti richiede cinque bianchi d'uovo.

[11] Naturalis historia XXIX,47: Infunduntur et virilitatis vitiis singula cum ternis cyathis passi amylique semuncia a balneis; adversus ictus serpentium cocta tritaque adiecto nasturtio inlinuntur.

[12] In base alla struttura della frase tra parentesi dovrebbe trattarsi di un non meglio identificabile Monachus. Nell’opera curata da Gessner Nomenclator insignium scriptorum (1555) nel capitolo dedicato alla medicina sono reperibili alcuni Monachus, ma il più indiziabile a mio avviso sarebbe Callistus Monachus filius Mercurii, che scrisse a proposito di oli. Il titolo riportato a pagina 151 del Nomenclator suona così: Callisti Monachi Mercurii filii lib. de Pulsibus, de antidotis, de emplastris, de Oleis. - Era un manoscritto in greco.

[13] Come dimostrano le annotazioni di Gessner fra parentesi, la parafrasi di Jacques Dubois è un po’ fuligginosa, e forse è anche un po’ scorretta dal punto di vista sintattico. Altrettanto fuligginosa è la mia traduzione.