Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

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Ingentes ergo animos, et vigiles custodias, necnon summum erga suos amorem Dani, qui se hoc nomine nuncuparunt, pollicebantur, unde hactenus in usu ipsis fuisse constat, Gallos semper in militia habere binas maxime ob causas, nimirum, ut tum virtutem eorum imitarentur, tum pro horologiis cantus eorum haberetur.

Pertanto i Danesi, che si chiamarono con tale nome – De hanen Danen – galli, si impegnavano a possedere uno spirito forte, a essere delle sentinelle vigili, come pure a nutrire un sommo amore nei confronti dei loro famigliari, per cui fino a questo momento risulta che presso di loro è rimasta l’usanza di avere i galli sempre nel loro esercito soprattutto per due motivi: sia per imitarne il coraggio, sia perché il loro canto servisse al posto degli orologi.

Subiungit autem idem Goropius Gallorum mox nomen alios imitatos esse, sed qui a Danis illis fortasse Cimmeriorum sobole, genus ducerent: illos, ut nonnihil a parentibus distinguerentur, Alanen se nominasse, quasi dicerent, se omnes aut omnino Gallos esse. Al enim omnem, Han Gallinaceum notare: hinc Alani appellationem, quae gens Ptolomaeo suprema fere ad septentrionem ponitur, a Suobenis non longe remota, et rursus in Sarmatia Europaea sub eiusdem nominis montibus. Ait denique, et probat ex eodem Galli etymo Albanos, {Alonorsos} <Alanorsos>, {Rosolanos} <Roxolanos> eiusdem cum Alanis originis, et linguae fuisse; Albanos vero dictos fuisse quasi montanos Gallos, ex Alb, quo montes significant, et Han, quo Gallinaceus dicitur, {Alonorsos} <Alanorsos>, quasi Alanos degeneres, et spurios ab Horson filium meretricis significante; {Rosolanos} <Roxolanos> quasi equestres Alanos, a Ros, quod equum denotat. Et quem admodum Sacae Alpini Sacalpini, ita Alanos, sive Danos montanos, Albanos esse nominatos, atque hinc fieri potuisse, ut post omnes se Alanos dixerint, eo quod omnes Gallinacei nomen haberent, et id praesertim, cum iam Dani e Sarmatia in Cherronesum {Cymbricam} <Cimbricam>, et Norvvegiam, et insulas vicinas commigrassent, adeo ut tota fere Sarmatia et Asiatica, et Europaea posterioribus temporibus Alania coeperit dici.

Lo stesso Goropius aggiunge che ben presto altri parafrasarono il nome dei galli, e precisamente coloro che traevano origine da quei Danesi forse discendenti dei Cimmeri. Essi, allo scopo di distinguersi un po’ dai loro progenitori, si chiamarono Alani, quasi a voler significare che erano tutti quanti o totalmente dei galli. Infatti Al significa tutto e Han significa gallo: da cui il nome di Alano, un popolo nordico che da Tolomeo viene collocato quasi all’estremo settentrionale, non molto lontano dagli Sloveni e anche nella Sarmazia europea ai piedi delle montagne dallo stesso nome. Dice infine, e ne dà la prova, che gli Albani, gli Alanorsi e i Rossolani ebbero la stessa etimologia dal gallo, la stessa origine e lingua degli Alani. Gli Albani vennero così denominati quasi fossero galli di montagna, da Alb con cui indicano le montagne e Han con cui viene chiamato il gallo, gli Alanorsi sono per così dire Alani imbastarditi e fasulli che prendono il nome da Horson che significa figlio di una meretrice; i Rossolani sono per così dire degli Alani a cavallo, da Ros che denota il cavallo. E come i Saci Alpini sono i Sacalpini, così gli Albani sono detti Alani o Danesi di montagna, e da ciò può essersi verificato che successivamente si chiamarono tutti quanti Alani in quanto tutti portavano il nome del gallo, e soprattutto dal momento che i Danesi già erano emigrati dalla Sarmazia nel Chersoneso Cimbrico - la penisola dei Cimbri, la Danimarca -, in Norvegia e nelle isole vicine, tant’è che nei tempi successivi quasi tutta la Sarmazia, sia asiatica che europea, cominciò a essere chiamata Alania.

Quem Procopius Honoricum vocat (qui Gizerici filius et Vandalorum imperii h{a}eres, tyrannice atque immani saevitia per ignes atque alia suppliciorum tormenta ad Ar{r}ianam sectam compulisse legitur) alii Hunericum, nonnulli Heinricum, vel potiore scriptura Henricum appellant. Hunericus autem teste Hadriano Iunio[1] Gallinaceorum, Gizericus Anserum copiis affluentem significat: Heinricus vero domiciliis divitem, aut laris et sanguinis paterni magna progenie clarum.

Colui che Procopio chiama Onorico (che, da quanto si legge, era figlio di Genserico ed erede dell’impero dei Vandali e che comportandosi da tiranno e con selvaggia ferocia usando il fuoco e altri tormentosi supplizi costrinse - i Cristiani d’Africa - ad abbracciare l’Arianesimo) altri lo chiamano Unerico, alcuni Heinricus o, scrivendolo più correttamente Henricus. Secondo Hadrianus Junius, Unerico significa colui che possiede polli in abbondanza, Genserico oche: Enrico significa ricco di dimore, oppure illustre per una numerosa progenie derivata dal focolare e dal sangue paterno.

Galeazius apud Italos maxime nomen proprium est: sed haud scio, an a Gallo: certe tamen novi {Ma<t>thiae} <Matthaei> Vicecomitis cognomento magni (nobilissima haec Mediolanensium familia est) primogenitum a Gallo Galeazium, seu potius Galliatium nomen accepisse, quod haec ales tota nocte, cum nasceretur, cantaret, quasi pater sub felicibus huius volucris auspiciis natum significare vellet. Galliciorum familia[2] nunc extincta, olim in hac urbe generis claritate floruit, et turris ab eis fabricata etiamnum nobilitatis eorum extat testimonium, hanc autem a Gallis avibus nomen habere nonnulli volunt. Ἱππαλεκτρυών Aristophani[3] nominatur, id est, Equorum Gallus hoc versu.

Μεγάλα πράττει κἄστι νυνὶ ξουθὸς  ἱππαλεκτρυών.

Magna facit, et est nunc Gallorum equus.

Galeazzo per gli Italiani è un importantissimo nome di persona, ma non so se deriva dal gallo: di certo tuttavia sono venuto a conoscenza che il primogenito di Matteo Visconti soprannominato il Grande (questa è una nobilissima famiglia di Milanesi) prese il nome di Galeazzo, o meglio di Galliatius, dal gallo, in quanto, mentre stava nascendo, questo volatile cantò per la notte intera, come se il padre volesse alludere che era nato sotto i fausti auspici di questo uccello. La famiglia dei Galluzzi - o Gallucci - ora estinta, un tempo si distinse in questa città – Bologna - per nobiltà di schiatta, e la torre da loro costruita ancora adesso si erge come testimone della loro superiorità, e alcuni sono dell’avviso che questa famiglia deriva il nome dai galli, gli uccelli. In Aristofane viene nominato l’hippalektryøn, cioè il gallo dei cavalli - l’ippogallo, con questo verso:

Megála práttei kásti nunì xouthòs hippalektryøn.

Si dà grandi arie, e adesso è il cavallo dei galli – un ippogallo.

Iam vero praeter plantas, quae mox sequuntur, et ab harum avium partium potissimum similitudine nomen habent, etiam processus unus ossis[4] λιθοειδοῦς, ab inferiori eius parte exoriens, solidus, oblongus, et subtilis instar styli, vel acus πλῆκτρον, id est calcar dicitur. Plinius[5] Alectorolophon vocat herbam, et Romanis cristam vocari asserit, et folia habere similia Gallinaceae cristae, caulem tenuem, semen in siliquis[6]. Quibus verbis multi herbarii nostri plantam quandam, quam Dodonaeus[7] depingit ob florum congeriem, multiplici<s>, et densae Gallinacei cristae modo fastigiatam, ob folia multo magis ad simplicis cristae figuram accedentia Alectorolophon, sive cristam Gallinaceam, sive cristam Galli appellarunt. Nascitur passim in pratis, et arvis utrobique otiosa, et inutilis.

Ma, oltre alle piante che tra poco seguono e che prendono il nome soprattutto dalla rassomiglianza con le parti anatomiche di questi volatili, esiste anche un processo della rocca petrosa dell’osso temporale del cranio umano, il quale nasce dalla sua porzione inferiore e che è solido, allungato e sottile come uno stilo o come un ago, che viene detto plêktron, cioè sperone. Plinio chiama un’erba alectorolophos e asserisce che dai Romani è detta cresta - Rhinanthus crista-galli - Cresta di gallo - e che ha le foglie simili alla cresta di un gallo, un fusto sottile, il seme contenuto in baccelli – in capsule orbicolari. Con tali parole molti nostri erboristi hanno denominato alectorolophos, o cresta di pollo, o cresta di gallo, una pianta che Rembert Dodoens raffigura con una moltitudine di fiori, con la sommità fatta come una cresta di gallo multipla e fitta, con foglie che si avvicinano molto di più all’aspetto di una cresta semplice – ma è un Rhinanthus crista-galli. Il Rhinanthus nasce qua e là nei prati e nei campi e in entrambi i casi è superfluo e inutile.

Io. Baptista Porta[8] venerem ciere ea ratione scribit, quod cristae Gallinaceae imaginem repraesentet, eoque magis cum et Gallus salacissima avis ad venerem inutilis reddatur dempta crista. Verum quod folia aspera ferre dicat, hirta, verrucis, et rugis nonnihil aspera, verbasci pube, et aliquibus sclaream dici, in eo non parum mihi allucinari videtur. Siquidem id Gallitrico, non alectrorolopho Plinii convenit. Haud me latet tamen recentiores herbarios aliam herbam alectorolophon vocare, sed quae nec ipsa Gallitricum sit, at fistularia aliis dicta, quod ad fistulas, et sinuosa ulcera prosit, aliis item p<h>thirion, sive pedicularis ab effectu, quia in pratis ubi provenit depascentibus iumentis, pecorique pediculorum copiam gignit. Flores edit cristae Gallinaceae similes, sed minores et rubescentes. Provenit in uliginosis locis ipsis infesta.

Giambattista Della Porta scrive che stimola il desiderio sessuale perché riproduce l’aspetto della cresta di un gallo, tanto più in quanto il gallo, uccello estremamente lussurioso, viene reso inetto all’accoppiamento una volta che la cresta gli è stata recisa – enorme fandonia! In verità, siccome dice che ha delle foglie ruvide, ispide, un po’ rugose per la presenza di escrescenze e di grinze, dotate della pelosità del verbasco, e che da alcuni è detta sclarea, a questo proposito mi sembra che abbia preso un non piccolo abbaglio. Dal momento che queste caratteristiche si addicono al gallitrico - o sclarea - e non all’alectorolophos di Plinio. Non sono tuttavia all’oscuro del fatto che gli erboristi più recenti chiamano alectorolophos un’altra erba, che non sarebbe neppure il gallitrico, bensì quella che da altri viene detta fistularia in quanto reca beneficio nelle fistole e nelle ulcerazioni serpiginose, da altri parimenti detta phthirion o pidocchiosa - pedicolare - dal suo effetto, in quanto nei prati dove cresce provoca una marea di pidocchi negli animali da soma e nel bestiame che se ne nutrono. Produce dei fiori che sono simili a una cresta di gallinaceo, ma più piccoli e rossicci. Cresce nei luoghi umidi e reca loro del danno.

Gallitricum vero longe diversa herba est, et Horminis haud dubio congener, estque nulli non nota sub Sclareae nomine: alii centrum Galli vocant, alii matrisalviam. Horminum tamen non est, quo nomine descripsit, et pinxit Fuchsius. Nam folia habet multo maiora, nempe verbasci, admodum hirta. Tota planta odorem spirat non ingratum, sed tam vehementem, ut capitis gravitatem faciat. Sylvaticus hanc herbam cum Sideritide Heraclea, quam hodie eruditi quidam herbam Iudaicam, vel {tethrait} <tetrahit>[9] Arabice et vulgo herbariorum <dictam> [251] esse putant confundit.

Il gallitrico è un’erba molto diversa, e senza dubbio appartiene allo stesso genere dell’ormino - Salvia pratensis, ed è noto a tutti con il nome di sclarea: altri lo chiamano sperone di gallo, altri madrisalvia. Tuttavia l’ormino non è quello che con questo nome ha descritto e raffigurato Leonhart Fuchs. Infatti possiede delle foglie molto più grandi, cioè come quelle del verbasco, e oltremodo ruvide. Tutta quanta la pianta emana un odore che non è spiacevole, ma tanto forte da provocare un peso alla testa. Matteo Silvatico confonde quest’erba con la siderite eraclea - Galeopsis tetrahit, che oggi alcuni eruditi ritengono essere detta anche dai comuni erboristi erba giudaica o tetrahit in arabo.


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[1] In Batavia. (Aldrovandi)

[2] “Gentile signor Corti, in quell'annuario ecclesiastico della metà del XVII secolo che già le segnalai, è più volte citata la famiglia Galluzzi o Gallucci, e anche la loro Torre che si trova nel luogo ancor oggi denominato Corte Galluzzi, contiguo alla basilica di San Petronio. Il cognome Galluzzi o Gallucci è indicato come di origine bolognese; il cognome Gallizzi non è mai citato nel libro; ritengo però che si tratti della stessa famiglia.” (e-mail del 14-4-2005 di Adriano Guarnieri – Ufficio Stampa Arcidiocesi di Bologna) – L’annuario cui il signor Guarnieri fa riferimento è un annuario ecclesiastico della Diocesi di Bologna – Bologna perlustrata - il cui autore fu probabilmente Masini e che forse risale al 1666.

[3] Uccelli, 800. Coro degli uccelli: [...] Diitrefe per ali ha solo le damigiane; eppure è stato eletto caposquadra e poi ipparco: era un niente e ora si dà grandi arie, che sembra un ippogallo fulvo.
L’ippogallo viene nominato anche nelle Rane ai versi 932 e 937:
Euripide: ... quando il dramma era ormai giunto a metà e il Pubblico cominciava a sentirsi annichilito, lui veniva fuori con tutta quella sua inventiva animalesca: caprocervi, ippogalli, e altre storie simili! e il Pubblico là stupefatto a bisbigliare: quanto è grande Eschilo!
Pubblico: Si! si! faceva proprio così! uah, ha, ha! È vero! è vero!
Pubblico: Ippogallo! me lo ricordo anch'io! sarà cavallo gallina o gallina cavallo?

[4] Contrariamente al solito si è costretti a ricorrere a una traduzione non letterale, altrimenti l’ermetico testo di Aldrovandi risulterebbe incomprensibile.

[5] Naturalis historia XXVII,40: Alectoros lophos, quae apud nos crista dicitur, folia habet similia gallinacei cristae plura, caulem tenuem, semen nigrum in siliquis. Utilis tussientibus cocta cum faba fresa, melle addito et caligini oculorum. Solidum semen coicitur in oculum nec turbat, sed in se caliginem contrahit; mutat colorem et ex nigro albicare incipit et intumescit ac per se exit.

[6] In realtà non si tratta di baccelli, caratteristici delle leguminose, bensì di capsule orbicolari, quindi di formazioni rotondeggianti. Salvo dover attribuire al latino siliqua, oltre a quello di baccello, anche quest’ultimo significato, che forse è dovuto a una terminologia troppo recente rispetto ai tempi di Plinio.

[7] Liber 4, cap.57. (Aldrovandi) - Si può presumere, in mancanza di altre indicazioni, che Aldrovandi faccia riferimento all’opera di Dodoens più famosa, nonché fornita di illustrazioni: Stirpium historiae pemptades sex sive libri XXX (1583).

[8] Phytognomonica liber IV, cap. 12. (Aldrovandi) § La citazione di Aldrovandi è corretta. Infatti nel testo di Della Porta troviamo: Et inter animalium mores est gallinaceus gallus luxuriosissimus inter aves, ex Oppiano. Et cristae luxuriam designant, nam dempta gallo crista, demitur & luxuria. § Quest'affermazione di Giambattista Della Porta - tolta la cresta gabbata la lussuria del gallo - è priva di fondamento, come tante sue affermazioni di tipo biologico. Può darsi che il gallo, per riprendersi dal trauma dell'ablazione della cresta, se ne stia mogio mogio per qualche giorno. Anzi, senz'altro se ne starà mogio mogio, finché non sente più dolore. Se l'ablazione della cresta comportasse una successiva perdita perenne dell'abituale libido (etichettata come lussuria, ma che lussuria non è, in quanto è sì un eccesso – questo è il significato di lussuria – ma un eccesso richiesto da Madre Natura per la fecondazione dell'uovo quotidiano), se l'ablazione della cresta comportasse una definitiva perdita dell'abituale libido, allora vedremmo che i galli combattenti, una volta sottoposti ad ablazione della cresta per ragioni di lavoro, non avrebbero più discendenza alcuna. Se non muoiono combattendo, ecco che trasmetteranno ai discendenti proprio il meglio di se stessi, con enorme soddisfazione dell'allevatore. Ma c'è di più, e precisamente l'opposto di quanto afferma Giambattista, che senz'altro non sta riferendosi a un gallo evirato cui è stata asportata anche la cresta, cosa del tutto inutile, visto che si ridurrebbe spontaneamente e rapidamente di volume. Come si specifica nell'apposito capitolo di Summa Gallicana, nel gallo non capponato all'asportazione della cresta fa seguito un aumento di volume dei testicoli e un incremento della produzione di spermatozoi. Questo fenomeno è dovuto presumibilmente al fatto che, essendo la cresta un importante deposito di ormoni maschili, l’ipofisi risponde alla sua ablazione aumentando la secrezione di gonadotropine che hanno come bersaglio le ghiandole sessuali. § Insomma, passato il dolore dovuto alla cresta recisa e grazie all'intervento dell'ipofisi, il gallo riprende a essere lussurioso come al solito, e non dedito alla castità per il resto della sua esistenza, come invece si evince dal testo di Giambattista.

[9] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 403: Alectorolophos, quae apud nos crista dicitur, folia habet similia gallinacei cristae, Plin. Sylvaticus gallitricum vel centrum galli vulgo dictum interpretatur, cuius semen (inquit, oculis immissum) caliginem ad se trahit. Eandem alibi scarleam vocat, (ut nostri scharlach) quod visus claritatem renovet. Et alibi, Eraclea (Heraclea) est (inquit) quae Latine ferraria nigra vocatur: quam recentiores centrum galli, et gallitricum sylvestre vocant. Videtur autem de sideritide Heraclea sentire, quam hodie eruditi quidam herbam Iudaicam vel tetrahit Arabice et vulgo herbariorum dictam esse putant: quibus ego quoque potius assenserim.