vol. 3° - IX.

L’uovo di Aldrovandi


1. L'uovo: fra mito e leggenda

Nell'immaginario umano l'idea dell'uovo rappresenta la realtà primordiale che racchiude in germe la molteplicità degli esseri, oltre a simboleggiare il rinnovamento periodico della natura.

La nascita del mondo a partire da un uovo è un'idea comune a molti popoli antichi - Celti, Greci, Egiziani, Fenici, Giapponesi - e a popolazioni siberiane e indonesiane. Nelle tradizioni cinesi e di alcuni popoli asiatici arcaici - Tibetani, Indù e Vietnamiti - il Caos, prima del verificarsi di ogni distinzione fra Cielo e Terra, aveva la forma di un uovo di gallina; dopo 18.000 anni - numero simbolo di un periodo indefinito - l’uovo Caos si aprì, consentendo così agli elementi pesanti di formare la Terra, yin, mentre gli elementi leggeri e puri formarono il Cielo, yang.

Ecco il Big bang, diverso nella forma ma non nella sostanza.

Il mito dell'uovo esisteva anche nel Perù precolombiano. L’Eroe Creatore chiede al padre, il Sole, di creare gli uomini per popolare la terra e questi invia appunto sulla terra tre uova: da quello d'oro balzano fuori i nobili, da quello d'argento le donne e da quello di rame nasce il popolo.

Secondo alcune civiltà primordiali il mondo ha la forma di uovo e in tutte le cosmogonie esso svolge il ruolo di immagine e modello della totalità. Generalmente l'uovo fa seguito al caos come principio di organizzazione e, pur non essendo mai assolutamente primo, è considerato il contenitore del germe dal quale si svilupperanno la manifestazione e le prime differenziazioni.

Nell'immaginario universale l'uovo è anche uno dei simboli del rinnovamento periodico della natura. In realtà, più che la genesi di tutte le cose, in questa visione naturalistica esso rappresenta la rinascita e, considerato nel suo ciclo biologico, è emblema di immortalità e di resurrezione.

Da qui prende corpo la tradizione dell'uovo di Pasqua e delle uova colorate per festeggiare gli equinozi primaverili. Più prosaicamente l’uovo viene pure interpretato come simbolo di prosperità: sognare molte uova, o una gallina che ne depone parecchie, è promessa di prossima grande ricchezza. Ecco perché il donare un uovo, o una sua riproduzione non commestibile, è considerato sempre e comunque  un esplicito augurio di prosperità.

La sua forma perfetta, riprodotta in qualsivoglia materiale, colore e dimensione - celeberrime le preziose uova di Fabergé, decorative quelle di alabastro colorato e di vetro, celebrative quelle russe dipinte, storiche quelle di struzzo legate in metallo nobile che ornavano i salotti ottocenteschi, modeste ma utili le uova in legno che servivano per rammendare le calze - la sua forma perfetta, dicevamo, ha evidentemente intrigato artisti e artigiani di tutti i tempi. Molti scultori si sono cimentati con la sua liscia superficie e l’uovo è un tema pittorico alquanto ricorrente.

Con queste premesse, e in quest'ottica, anche il portauovo - - rappresenta il supporto ideale della Materia, una sorta di Atlante che sostiene il mondo: un binomio perfetto di elementi che si integrano e si completano a vicenda.

Se consideriamo la parola uovo dal punto di vista etimologico, ecco che questo vocabolo potrebbe già di per sé costituire un mito, passibile delle interpretazioni più disparate.  

Giacomo Devoto, nel suo Avviamento alla etimologia italiana, ci fa sapere che uovo deriva dal latino ovum, che a sua volta deriva da una base ow- attestata nell'area latina, greca e iranica, mentre nell'area slava e germanica ricorrono i tipi oi/ei, tanto che in tedesco l'uovo è scritto Ei ma si pronuncia Ai, ed è di genere maschile, come in italiano.  

A mio avviso il pronunciare una parola in un modo anziché in un altro è una questione puramente anatomica e fisiologica.  

L'Accademia della Crusca mi ha risposto che è d'obbligo scrivere perché con l'accento acuto, ma sfido chiunque a pronunciare questo vocabolo con la e finale ben chiusa: richiederebbe uno sforzo dell'apparato fonatorio.  

Ma, nella scelta delle parole e delle loro radici, dev'esserci anche stata, in tempi antichissimi, una predilezione che per lo più non fu di tipo onomatopeico. Penso che si volesse poter esprimere con la bocca ciò che un oggetto, un'azione, un'idea, suscitava nella mente.  

L'uovo ha contorni continui, armoniosi, talora quasi rotondi ad ambedue i poli, distensivi, anti stress, per cui credo non sia distante dal vero il fatto che i nostri antenati abbiano scelto di esprimere tutto ciò con un movimento orbicolare delle labbra che non richiede il minimo sforzo e che esprime anche una certa meraviglia non disgiunta da una sensazione di gioia.  

Hanno scelto di chiamare l'uovo oòn in greco, ovum in latino, dove, a mio parere, quella lettera u incupisce alquanto la sonorità iniziale e si contrappone all'allegra sonorità di tutto quanto il vocabolo greco.  

Trovata piuttosto infelice è l'aver trasformato ovum in uovo.

Ma i Toscani, che oltre a essere depositari del nostro idioma hanno pure uno spirito frizzante, diranno sempre e solo ovo, un termine che, chissà perché, il Vocabolario Treccani classifica come di uso popolare. Proprio in questo caso bisognava ricordarsi che spesso vox populi equivale a vox Dei. Siamo, come al solito, di fronte alle incongruenze linguistiche.  

Se passiamo ad analizzare il latino ovum dal punto di vista grafico, è evidente che inizia con la lettera o, anch'essa rotondeggiante come l'oggetto che vuole identificare.  

Qualcuno potrebbe obiettare che in greco oòn si scrive con l'oméga iniziale, cui è sottoscritta una iota - - a ricordo del fatto che un tempo la iota seguiva l'oméga, per cui si diceva oiòn, e si potrebbe altresì obiettare che l'oméga minuscola - ω - non ricorda per nulla la silhouette di un uovo.  

Sì, d'accordo, l'oméga minuscola può ricordare la leziosa rotondità di un bel paio di natiche. Ma altrettanto non può dirsi dell'oméga maiuscola - Ω - che sembra un uovo di Colombo - di Cristoforo Colombo - appoggiato ritto su di un piano, ma con la punta, e non con la base, come si era invece egregiamente esibito il nostro Genovese.  

Le stesse considerazioni possono essere applicate alla base oi dell'area slava e germanica.  

Ma il mio vocabolario di greco di Lorenzo Rocci che da decenni tengo sempre a portata di mano, se per un'infinità di altri vocaboli greci dà l'etimologia sanscrita, nel caso di oòn riporta solamente: latino ovum - inglese egg. Punto e basta.  

In sanscrito uovo si dice anda, di genere neutro, come lo sono il latino ovum e il greco oòn.

Perché neutro? Perché si tratta di un oggetto? No.

Perché da un uovo possono nascere sia maschi che femmine che ermafroditi, per cui ecco ritornare il concetto della realtà primordiale che racchiude in germe la molteplicità degli esseri.  

Il sanscrito anda è una bella parola, anch'essa armoniosa e ad ampio respiro, ma altrettanto non può dirsi del quechua ronto qualora venisse pronunciato come andrebbe scritto, cioè runtu.

José de Acosta verso la fine del 1500 scriveva a proposito del Perù:

"Debbo dire che sono rimasto sorpreso alla vista delle galline, che, senza dubbio, erano allevate qui molto prima dell'arrivo degli Spagnoli. E questo risulta ancor più chiaro dal fatto che i nativi possedevano già dei termini per designarli: la gallina si chiama gualpa e l'uovo ronto."

Historia natural y moral de las Indias Libro cuarto Capítulo XXXV De aves que hay de acá, y cómo pasaron allá en Indias - Pero dejando estas aves, que ellas por si se gobiernan, sin que los hombres cuiden de ellas, si no es por vía de caza; de aves domésticas me he maravillado de las gallinas, porque, en efecto, las había antes de ir españoles; y es claro indicio tener nombres de allá, que a la gallina llaman gualpa y al huevo ronto; y el mismo refrán que tenemos de llamar a un hombre gallina, para notalle de cobarde, ese propio usan los indios. Y los que fueron al descubrimiento de las islas de Salomón refieren haber visto allá gallinas de las nuestras. (Fué impreso en Sevilla, casa de Juan de León, junto a las Siete Revueltas, 1590)

Ancor oggi, nel nuovo millennio, questa lapidaria affermazione di José de Acosta su gualpa e ronto potrebbe tenerci occupati per ore nell'inseguire i miti e le leggende che in Sudamerica il pollo e l'uovo hanno già suscitato e non hanno ancor finito di suscitare.  

Ma torniamo all'area mediterranea.  

Uno dei miti che il mondo greco ci ha trasmesso e che oltre a un particolare fascino racchiude future belligeranze protratte, è quello di Leda. Leda sposò Tindaro re di Sparta. Ed ecco entrare in scena un uccello, spesso simbolo di fecondità, tant'è che anche lo Spirito Santo viene raffigurato nella vesti di una candida colomba.  

L'uccello di Leda è un cigno - forse perché la bellissima figlia di Testio re d’Etolia voleva sperimentarlo anche a cavatappi - sotto le cui spoglie si è intrufolato il sommo Zeus. Zeus - cioè il cigno - giace con Leda e dal sollazzo ne sbuca un uovo dal quale - non si sa incubato da chi e se per nove mesi o meno - nacquero Elena e Pollùce.  

Castore, l'altro Diòscuro (cioè il giovane, il ragazzo, il figlio di Zeus che al genitivo fa Diòs), forse anche lui nacque da un secondo uovo generato grazie al cigno, ma coloro che non vogliono un Tindaro tanto cornuto dicono che Castore era figlio del re, il quale si era presa la rivincita appena dopo Giove. Da questo secondo uovo, insieme a Castore, nacque anche Clitennestra, poi sposa dello sfortunato Agamennone re di Micene, sfortunato e cornuto sì, ma un po’ se l’era voluta: pur di partire per Troia aveva sacrificato agli dei la figlia Ifigenia, e Clitennestra, essendone la madre, questa malefatta proprio non la perdonò al marito, anche se era il capo della spedizione greca contro Troia.  

A parte le corna e gli intrallazzi amorosi di Leda tramandati in altre versioni che è futile disquisire, i Dioscuri andavano sempre in coppia: Castore giù a domar cavalli, Polluce giù a dar pugni a dritta e a manca in quanto eccelleva nel pugilato.  

Elena invece aveva sposato Menelao, anch'egli re di Sparta, ma un bel giorno fuggì con Paride e la guerra di Troia ne fu il prolisso epilogo durato quasi nove anni.  

Comincio a dubitare che l'uovo sia sempre e in ogni caso foriero di avvenimenti gioiosi!

2. Prodromi

È estremamente raro che un'invenzione si produca dal nulla. Per quanto un uomo sia geniale, tutte le scoperte godono sia di un clima che di circostanze particolari in grado di permetterne la comparsa oltre a favorirne il risalto. Le eccezioni a questa regola sono rarissime o poco attendibili.

Inoltre c'è qualcosa di perverso che accomuna tutti coloro che hanno lasciato un'impronta in campo scientifico: le loro ricerche, se condotte antecedentemente, non avrebbero probabilmente avuto alcuna risonanza, mentre più tardi quelle stesse ricerche li avrebbero collocati in ritardo rispetto ai loro contemporanei.

Fig. IX. 1 - Ulisse Aldrovandi
e il suo secondo volume di Ornitologia

Insomma, una scoperta scientifica è qualcosa di irrepetibile, come irrepetibili sono gli attimi e le creature che si dipanano lungo il fiume dell'eternità.

Queste premesse suonano come sofismi, ma sono indispensabili per giustificare i preliminari con cui cercheremo di collocare Ulisse Aldrovandi in un preciso momento storico e scientifico, nonché di ipotizzare la sua influenza su quei posteri che avrebbero poi rappresentato delle pietre miliari nell'affascinante mondo dell'embriologia.

Il problema dello sviluppo degli organismi viventi, in particolare degli animali, sin dall'antichità fu intimamente connesso a quello della loro generazione e della loro riproduzione. Aristotele (384-322 aC) descrisse lo sviluppo dell'uovo di pollo indicando in particolare la formazione del cuore e dei primi vasi, e ammise che l'embrione si sviluppa gradualmente per effetto di un principio formativo - l'anima - che agisce su una materia relativamente amorfa: si tratta della cosiddetta teoria epigenetica.

Fig. IX. 2 - Aristotele

La fonte aristotelica sui metodi che furono seguiti per osservare lo sviluppo dell'embrione di pollo, nonché il principio di stabilirne un raffronto con quello dei vivipari, è costituita dal capitolo 29 del De natura pueri di Ippocrate (circa 460-370 aC) - in realtà un trattato pseudo-ippocratico, attribuibile forse al genero Polibo - nel quale a ragione può ravvisarsi l'origine dell'embriologia scientifica.

Galeno (circa 130-200 dC) sviluppò e perfezionò il sistema medico di Ippocrate, tant'è che nei secoli successivi si parlò di sistema ippocratico-galenico, permettendo così alla medicina di possedere solide basi su cui fondarsi. Le università, istituite in Italia con autorizzazione papale o imperiale a partire dall'XI-XIII secolo (Bologna 1088, Padova 1222, Napoli 1224), fornivano al futuro medico i canoni del sistema ippocratico-galenico, canoni che i lettori commentavano negli Studi e che i medici applicavano con criteri deduttivi e dialettici sostanzialmente affini a quelli dei teologi e dei giuristi.

Fig. IX. 3 - Ippocrate e Galeno

Non solo: anche l'insegnamento dell'anatomia avveniva praticamente allo stesso modo, in quanto il professore, dall'alto della cattedra, leggeva e commentava il testo di Galeno, mentre in basso un barbiere preparava l'oggetto anatomico sul cadavere umano e un dimostratore andava man mano indicando con la bacchetta il corrispettivo di quanto Galeno aveva descritto. Ma purtroppo Galeno, anche se anatomico eccelso, fu essenzialmente un settore di animali, e talora un vivisettore.

L'anatomia moderna nacque solo quando il professore, sceso dalla cattedra, abbandonò il testo divenuto dogmatico per tradizione, prese il coltello prima impugnato dal barbiere e si mise a trattare l'oggetto anatomico con le proprie mani, a osservarlo e a descriverlo senza pregiudizi.

 

Fig. IX. 4 - Lezione di anatomia con il professore ex cathedra. L’interesse per le dissezioni anatomiche fu una caratteristica di Aldrovandi, che prima di laurearsi in medicina nel 1553 aveva organizzato delle sedute autoptiche a casa sua. Ovviamente le sedute nell'abitazione di Aldrovandi non si svolgevano come ci mostra quest’immagine.

Il cammino per raggiungere questa meta fu lungo. Infatti la dissezione del corpo umano fu vietata nell'epoca romana e per tutto il Medioevo. Dopo Eudemos, anatomista del III secolo aC, la scuola alessandrina continuò a sezionare corpi umani ancora per breve tempo, finché nel II secolo aC si tralasciò di esercitarsi sull'uomo per passare alle scimmie. Edelstein, in The History of Anatomy in Antiquity, fornisce la motivazione più convincente - anche se non definitiva - del perché venne a cessare la dissezione sistematica del cadavere umano: nel mondo antico il corpo privo di vita era tenuto in grande rispetto e i confini tra vita e morte non erano ben definiti. Inoltre il morto, se non propiziato a dovere, poteva recare maligni influssi ai vivi. Per un breve periodo ad Alessandria questi sentimenti furono soverchiati dal diffondersi delle filosofie di Platone e di Aristotele che vedevano nell'anima l'unica parte dell'uomo degna di considerazione, ma il mutato clima di pensiero causato dalla conquista romana avrebbe presto provocato il risorgere degli antichi tabù.

Solo a partire dal 1316 - e grazie a Mondino de' Liuzzi - la dissezione umana venne realizzata nella scuola anatomica bolognese. Mondino doveva avere non poco coraggio: infatti nel 1300 la Chiesa di Roma aveva stabilito in Bologna un legato pontificio e solo Sisto IV (1471-1484) concesse con una bolla la dissezione del cadavere umano, seguita da quella di Clemente VII (1523-1534). Inoltre dal 1512 al 1860 Bologna fu saldamente inserita nello Stato della Chiesa, vivendo una vita mediocre che ebbe riflessi anche sulla sua università.

È trascorso un lustro prima che venissi costretto a desistere dall'avere tra le mani il testo della bolla o di qualsivoglia altra ordinanza emessa da Sisto IV per consentire le autopsie. Lo stesso dicasi per la sua datazione precisa. Potremmo giungere a una supposizione che non ha nulla di blasfemo. Esiste un aforisma attribuito a Martin Lutero irreperibile nella doviziosa raccolta delle sue sentenze, un aforisma che anche il web attribuisce a Lutero senza indicarne la fonte. Esso suona così: "Il denaro è sterco del diavolo." E sui papiri delle matricole universitarie esso compare in un succinto colloquio tra due amici, uno dei quali era posseduto da Dio e che così esordisce:

- Il denaro è merda del diavolo!
E l'altro subito ribatte:
- Oh Diavolo, vieni a cagare in casa mia!

Per cui potremmo supporre che Sisto IV concesse le autopsie solamente a voce, come è il caso della massima di Martin Lutero.

Ecco l'atto finale della mia ricerca dell'autorizzazione scritta di Sisto IV circa le autopsie, atto finale che si è svolto sotto la regia di Monsignor Giuseppe Antonio Scotti impegnato in Vaticano, al quale così scrissi il 3 gennaio 2009:

Carissimo Monsignor Scotti,

Scusi se esordisco con "carissimo", ma il colloquio telefonico che abbiamo avuto mi ha fatto sentire vicino a lei come se ci conoscessimo da parecchio tempo. Ecco il mio quesito, che giace irrisolto da alcuni anni:

1 - Qual'è la data precisa in cui Sisto IV concesse l'autorizzazione alle autopsie?

Altro quesito di rimando:

2 - È possibile avere tra le mani il documento – ammesso che esista – col quale concesse tale autorizzazione?

La datazione mi servirebbe per aggiornare il mio sito là dove parlo di Sisto IV. Non voglio tediarla con le notizie che seguono. Vorrei solo discolparmi del disturbare lei adducendo qualche antefatto.

A fine marzo 2006 mi misi in contatto telefonico col Dr Marco Buonocore (Biblioteca Apostolica) che così mi rispose via e-mail:

Pregiatissimo Dottore Elio Corti, ho fatto una prima ricerca presso l'Archivio Segreto Vaticano, in particolare nelle sezioni Indice dei Brevi anno 1472 e Schedario Garampi s. v. Università, Studio, Medicina etc., ma non ho trovato nulla. D'altronde nell'articolo di Fabio Astolfi, da Lei gentilmente trasmessomi, non viene indicata nessuna referenza bibliografica da dove è stata tratta l'informazione: purtroppo è un modo di precedere per nulla "scientifico", in quanto vengono riportate notizie di seconda mano, senza che se ne sia appurata almeno la fondatezza testuale. Spesso, infatti, mi capita di dover risolvere problemi di analogo tenore, in cui una notizia, desunta da chissà quale fonte, viene ripetuta pedissequamente senza alcuna verifica. Al momento, quindi, non riesco ad andare avanti. Nel caso riuscisse a recuperare la fonte "scientifica" da dove è stata tratta questa notizia e poi ripetuta senza la corretta citazione primaria, potrei effettuare ulteriori scrutini. Dall'articoletto dell'Astolfi, sembra che questo documento sia notissimo a chi si occupa di chirurgia e credo, pertanto, che in qualche manuale di chirurgia (non moderno, ma dei secoli passati) si possa trovare il rinvio alla fonte originaria, cioè al luogo di conservazione di questa "Bolla di Sisto IV". In attesa di ulteriori precisazioni, porgo distinti saluti. Marco Buonocore.

Perdetti i contatti col Dr Buonocore. Nell'aprile 2007 feci riprodurre Statuta Collegii Almae Urbis Medicorum (1676) dalla Biblioteca Sormani di Milano, ma la notizia che mi serviva è assente. A nulla valse la consultazione di La fabbrica del corpo – Libri e dissezione nel Rinascimento di Andrea Carlino (Piccola Biblioteca Einaudi, 1994). Anche qui la bolla è sbollita, sì, sbollita, evaporata nel nulla. A settembre 2008 contattai il collega Luciano Sterpellone, storiografo della medicina, e questa fu la sua deludente risposta, senza offrirsi di venire in Vaticano per risolvere il busillis:

« Nel limitato tempo di cui (purtroppo) dispongo, ho cercato invano di dare una risposta al tuo quesito, ma le fonti (del tutto attendibili) alle quali ho attinto sono anch’esse vaghe e imprecise. Ergo, le due date in questione restano sub iudice. Alcune di quelle riferite in vari testi, contraddittorie tra di loro, allargano ulteriormente lo hiatus. D’altronde Sisto IV (emise la prima bolla già nel 1471, lo stesso anno della sua elezione; e nel ’78 emise quella che in pratica autorizzava l’Inquisizione spagnola. L’ordinanza (non so se fu una bolla) per il riordinamento dell’Ospedale di Santo Spirito - quella che forse conteneva l’accenno alla Medicina - viene datata “tra il 1473 e il ‘76”.»

Per cui, Monsignor Scotti, mi affido a lei. Grazie davvero dell'attenzione e del tempo che mi ha dedicato. E che Dio ci benedica! Cordiali saluti.

Mercoledì 28 gennaio arrivava la batosta dal Vaticano grazie alla dedizione di Monsignor Scotti:

Caro Dottore, eccomi nuovamente a Lei, purtroppo senza avere risposte positive alla sua domanda. Infatti così mi risponde il Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, Mons. Cesare Pasini, al quale ho fatto riferimento per saperne di più:

"Carissimo Monsignore, come promesso, ho fatto ulteriormente cercare notizie, riguardo alla richiesta del dottor Elio Corti. Purtroppo non ne emerge nulla e penso che si dovrà rispondere con un nulla di fatto. Me ne spiace, ma il dottor Antonio Manfredi, che pure ha cercato in proposito, mi segnala che non ha notizie in proposito.Un caro saluto, don Cesare Pasini"

E così la nostra corrispondenza sembrerebbe infrangersi sulla difficoltà oggettiva ad attingere a ulteriori fonti. Un caro saluto e buona ricerca. Don Giuseppe.

Subito ringraziai Monsignor Scotti con queste parole:

Carissimo Monsignor Scotti,

Mi arrendo. È difficile che io mi arrenda, ma a questo punto non so più a chi rivolgermi e Lei è estremamente affidabile. Lo si desume dal suo modo di intrattenere i contatti. Se per caso verrò a capo del busillis sarà un piacere comunicarglielo. Cordiali saluti e un sentito grazie.

E Fernando Civardi, informato della luteraneità della vicenda che tanto mi ha impegnato, ci aggiungeva la sua di batosta, ricorrendo ai versi 95&96 del canto III dell'Inferno di Dante al fine di porre un suggello definitivo al mio desiderio di sapere:

Vuolsi così colà dove si puote | ciò che si vuole, e più non dimandare.

Caron dimonio dagli occhi di bragia si calmò a queste parole, e io debbo fare altrettanto se voglio continuare a essere un buon diavolo.

Ben altra aria era respirabile a Padova, dove l'inglese e protestante William Harvey (1578-1657), lo scopritore della vera circolazione del sangue, giunse fra il 1588 e il 1600. Padova si trovava allora sotto il controllo e la protezione della Repubblica di Venezia nonché in un momento di inquietudine per i movimenti di Controriforma. Harvey, informato delle misure repressive dell'Inquisizione romana istituita nel 1542 da Paolo III, non poteva sperare di meglio che il trovarsi in un ambiente cosmopolita dal liberalismo religioso: libertà di pensiero e di espressione, pur così vicino a Roma!

Fig. IX. 5 - William Harvey (Folkestone 1578 - Londra 1657)
e il suo celebre trattato De motu cordis del 1628

Insomma, era un momento in cui lo sguardo degli studiosi stava cambiando, in particolar modo quello dei precursori, che avevano in comune alcuni problemi: l'obiettività, una certa indipendenza di carattere (e Ulisse lo fu sin fa bambino), un gusto critico contro l'istituzione galenica e contro l'ordine stabilito in senso generale.

Ma bisognava essere guardinghi. Se Leonardo - che credeva solo a ciò che vedeva - si astenne dal pubblicare le sue scoperte per paura dell'Inquisizione, una vittima illustre fu invece Galileo Galilei che venne condannato il 22 giugno del 1633, dovendo quindi abiurare in ginocchio la dottrina copernicana e ammettere il proprio errore.

   

Fig. IX. 6 - Galileo Galilei (Pisa 1564 - Arcetri 1642)
e il suo microscopio

A Bologna Aldrovandi doveva cercare di non sgarrare: nel 1549, insieme ad altri sette intellettuali bolognesi, cadde sotto il sospetto di eresia e la sua mente vivace lo portò al medesimo traguardo un'altra volta, nel 1571. Quasi nulla si sa del perché Ulisse fosse stato accusato. Ma non tutto il male vien per nuocere: in occasione della prima imputazione si recò a Roma, volle restarvi per discolparsi personalmente e nel frattempo si dedicò a visitare le antichità romane, scrivendo poi un saggio sulle statue antiche pubblicato col nome di Le Antichità de la Città di Roma (1556).

Non solo, in quanto ebbe modo di entrare in contatto con due esperti ittiologi: Guillaume Rondelet [1] e Paolo Giovio [2] . Con essi si dedicò all'osservazione di ciò che facevano e di ciò che catturavano i pescatori romani, gettando il seme per la collezione di pesci che successivamente doveva formare un importante nucleo del suo museo bolognese.

La riforma dell'anatomia, oltre a Mondino de' Liuzzi, ebbe altri celebri precursori: Leonardo da Vinci (1452-1519) e Iacopo Berengario da Carpi (circa 1460-1530). Ma trovò il suo grande alfiere nel belga Andrea Vesalio (1514-1564) che nel De humani corporis fabrica vibrò colpi definitivi al dogma galenico. Violentissima fu la reazione dei galenisti, ma ormai si era avviata la critica dei testi, che mirò a liberare i trattatisti classici dalle intrusioni, soprattutto arabe, e che sfociò nella scoperta della circolazione del sangue: forse la massima rivoluzione che la medicina possa registrare nel suo curriculum storico e che non è qui il caso di analizzare.

 

Fig. IX. 7 - Girolamo Fabrizi d'Acquapendente
detto anche Fabrizio (Acquapendente,Viterbo, 1533 - Padova 1619)

L'autore di questa rivoluzione - come già detto - fu William Harvey, discepolo a Padova di Girolamo Fabrizi d'Acquapendente (1533-1619). Costui, oltre a essere stato il fondatore di un'importante scuola di medicina pratica, si distinse in modo particolare per gli studi di embriologia e di fisiologia: De formato foetu (1604) e De formatione ovi et pulli pubblicato postumo nel 1621 e che contiene il risultato di una ricerca che impegnò il Fabrizi dal 1601 al 1604.

Ma Aldrovandi pubblicò con lieve anticipo la sua Ornithologia: infatti il primo volume è del 1599, il secondo - che contiene le sue osservazioni sull'embrione di pollo - è del 1600, e il terzo fu stampato nel 1603, a Bologna come i primi due.

Perciò sotto il profilo tipografico - e quindi divulgativo - le osservazioni di Aldrovandi sul pulcino anticiparono quelle del Fabrizi di ben 4 lustri. Ma sotto il profilo scientifico le anticiparono di circa 40 anni, in quanto le osservazioni di Aldrovandi si erano svolte nel maggio e nel giugno del 1564 quando aveva un’ottima vista, che gli avrebbe dato seri problemi solo nel 1593.

Intorno al 1595 in Olanda veniva realizzata una sorta di microscopio da Johannes e Zacharias Janssen, rispettivamente padre e figlio. Si trattava di due lenti montate su di un tubo scorrevole. In Italia il primo microscopio composto fu costruito da Galileo intorno al 1624 e lo chiamò occhialino. Né questo occhialino, né forse un suo antenato - come quello del 1352 - capitò mai fra le mani di Aldrovandi che morì nel 1605, e possiamo quasi avere la certezza che se Aldrovandi avesse usato anche una semplice lente d’ingrandimento per le sue ricerche sull’embrione di pollo anziché la sua vista che doveva essere alquanto buona, non avrebbe omesso di segnalarlo.  

Marcello Malpighi (Crevalcore, Bologna, 1628 - Roma 1694)

L'ingrandimento ottico fu elevato al rango di strumento di scienza solo nel 1609-1610, per cui più fortunato, se così si può dire, fu un conterraneo di Aldrovandi: Marcello Malpighi (1628-1694) di Crevalcore, a 30 km da Bologna, e che a Bologna si laureò in medicina e filosofia e dove insegnò, alternando i soggiorni bolognesi con quelli di Pisa, Messina e Roma.

Fig. IX. 8 - Uno dei primi microscopi del XVII secolo
magari del tipo usato da Malpighi.
Con strumenti di questo genere
non si otteneva un elevato numero d’ingrandimenti
né un’immagine perfetta,
ma quel che si otteneva bastò a rivoluzionare la scienza.  

L'adozione sistematica del metodo microscopico assicurò a Malpighi il titolo di fondatore dell'anatomia microscopica, e quando scoprì i capillari chiuse definitivamente il circuito sanguigno lasciato aperto da Harvey.

Malpighi usò il microscopio anche per studi embriologici: sul baco da seta - De bombyce (1669) - e ovviamente sul quasi abusato fin dai tempi ippocratici embrione di pollo - De formatione pulli in ovo e Appendix de ovo incubato, rispettivamente del febbraio e dell'ottobre 1672 - in cui descrisse dettagliatamente la cicatricula (o discoblastula o blastoderma) oltre alle membrane che avvolgono l'embrione, e quasi altrettanto dettagliatamente l'area vascolare abbracciata dal seno terminale, il tubo cardiaco nei vari segmenti che lo compongono, gli archi aortici, i somiti, le pliche e il tubo neurale, le vescicole cerebrali, le vescicole ottiche, l'abbozzo ghiandolare del fegato, i polmoni, i reni, le ghiandole del prestomaco e i follicoli delle piume.

Facciamo un salto indietro nel tempo in quanto non possiamo tacere un personaggio che ricorre frequentemente nell'Ornithologia di Aldrovandi: Alberto. Quando Ulisse si addentra in una diatriba relativa a un argomento scottante che a suo giudizio richiede una definitiva messa a punto, ecco che comincia a citare Ippocrate, Aristotele, Galeno, Plinio, Varrone, e chi più ne ha più ne metta, ma quasi sempre non manca di chiedere il conforto oppure di criticare le osservazioni di Alberto Magno - o Albertus Teutonicus -, l'unico scienziato al quale i posteri, a partire dal XIV secolo, abbiano assegnato l'epiteto di grande. Nato nel 1193 (o perlomeno prima del 1200) in Svevia, a Lauingen, sulla riva sinistra del Danubio, intorno al 1229 entrava nell'ordine dei Domenicani. Dopo soggiorni a Colonia, Friburgo, Strasburgo e Parigi, intorno al 1249 è di nuovo a Colonia dove rimarrà fino alla morte (1280) e dove ebbe come discepolo Tommaso d'Aquino.

Fig. IX. 9 - Alberto Magno o Albertus Teutonicus: molto importanti furono i suoi contributi in campo scientifico, soprattutto in zoologia e botanica. Nel 1941 fu eletto Patrono dei Cultori delle Scienze Naturali.

Alberto inaugurò una nuova tradizione: plasmare una grande enciclopedia scientifica, coltivare la filosofia e le scienze in quanto tali e non più come semplici strumenti teologici. Diede grande impulso alla scienza sperimentale occupandosi di geografia, astronomia, alchimia, medicina, zoologia e botanica. In queste due ultime branche i suoi contributi sono oltremodo degni di nota e a lui di deve, per esempio, la prima descrizione dell'uovo matreshka, cioè dell'uovo nell'uovo. Fu beatificato nel 1622, e il 16 dicembre 1931 Pio XI lo dichiarò santo e dottore della Chiesa. Il 16 dicembre 1941 Pio XII lo elevò a Patrono dei Cultori delle Scienze Naturali. La sua festa ricorre il 15 novembre.

Di pollo si può morire. Forse al termine di questa sezione sarete morti di noia, ma a qualcuno toccò veramente di morire a causa del pollo e in ben altro modo, dovuto al suo violento spirito indagatore. Si tratta del londinese Francesco Bacone (1561-1626) che stava vivendo, come Aldrovandi, il momento della contrapposizione ai dogmi del passato. Mentre per un filosofo rinascimentale la natura è un insieme ordinato e armonico, per Bacone essa è una forza estranea e resistente che bisogna assoggettare al volere dell'uomo.

L'esperimento cessa così di essere una pura e ripetuta osservazione, per diventare invece una sollecitazione, una tortura cui l'uomo sottopone la natura: sollecitazione, osservazione e confronto dei fatti al fine di coglierne, al di sopra degli aspetti variabili, le regolarità costanti. Infatti nel Novum Organum (1620) Bacone afferma:

“[...] quandoquidem natura rerum magis se prodit per vexationes artis quam in libertate propria.”

cioè:

[...] dal momento che la natura delle cose si mostra maggiormente se sottoposta a vessazioni
anziché lasciando che sia lei stessa a farlo.”

Si tratta del metodo induttivo, caratteristico della filosofia baconiana, che si differenzia da quella di Aristotele non tanto per il fatto di porre l'accento sull'induzione dell'esperimento, quanto perché tale metodo non consiste in una semplice enumerazione di dati particolari, bensì in una serie di domande che l'uomo pone alla natura allo scopo di assoggettarla al suo dominio, la cui manifestazione finale sfocia nella tecnica.

Fig. IX. 10 - Francis Bacon o Francesco Bacone (Londra 1561-1626)
Nell'inverno del 1626 morì di pollo.

Tanto sollecitò la natura Bacone, che a un certo punto pare essersi ribellata. Narrano i biografi antichi che Sir Francis, in viaggio per Londra durante il lungo e rigido inverno del 1626, a Highgate incappò nella neve e scese dalla carrozza per compiere un esperimento: voleva rendersi conto se un pollo morto, dopo essere stato congelato, si sarebbe conservato meglio con il freddo, un piccolo esperimento, quindi, sulla conservazione e resistenza dei corpi morti. Si mise così a imbottire e ad avvolgere di neve un pollo, ma si raffreddò, riportandone una polmonite mortale. I dati biografici inerenti la singolare causa di morte sono tratti da Encyclopedia Britannica (1957) e da Encyclopedia of Philosophy (1967).

Dal titolo di questa sezione è chiaro che ci dedicheremo all'analisi di ciò che Aldrovandi ha precisato oppure smentito circa l'uovo di pollo, dalla sua formazione alla nascita del pulcino. Prima di addentrarci in questo dedalo è opportuno sapere quale fosse la formazione universitaria di Ulisse Aldrovandi, nato a Bologna l'11 settembre 1522.

Nel 1539 si dedicò allo studio di lettere, logica e legge, conseguendo il dottorato in quest'ultima disciplina nel volgere di 7 anni. Nel 1548 e nel 1549 fu a Padova dove continuò gli studi di logica e di filosofia, ma si dedicò pure alla matematica e alla medicina; solo nel 1553 conseguiva il dottorato in filosofia e medicina a Bologna senza mai esercitare l'arte cerusica, preferendo impartire lezioni di logica privatamente.

Nonostante ciò, si dedicò per 33 anni all'insegnamento pubblico di svariate discipline naturalistiche, ma in realtà la sua carriera di insegnante durò per ben 43 anni. Si spense a Bologna il 4 maggio 1605.

Fig. IX. 11 - Il conte di Buffon (Montbard, Digione, 1707 - Parigi 1788) 
Non ebbe la mano tenera nella critica ad Aldrovandi,
che riteneva di una prolissità oppressiva.

Ad Aldrovandi possono essere mosse svariate critiche - molto spesso per peccati veniali, talora per peccati mortali, nonché per un peccato dal sapore di quello di Adamo ed Eva - peccati che spesso hanno la loro origine non tanto dal fatto di non poter disporre di un computer e di un congruo editore di testi, bensì dal particolare momento che tutti gli scienziati d'allora stavano vivendo: il faticoso e pericoloso distacco dai dogmi del passato.

Chi non ebbe la mano leggera nei suoi confronti fu Buffon (1707-1788) che, oltre ad averlo apprezzato moltissimo, lo tacciò tuttavia di una prolissità oppressiva, pur riconoscendo che le sue descrizioni, del tutto esatte ma per altro monotone, sono degne di fede.

Sì, Aldrovandi è stato prolisso, magari anche monotono, ma la spiegazione è semplice: innanzitutto era una mente superiore il cui scibile spaziava al di là dell'immaginabile; poi, se Ulisse voleva sbarazzare il campo dagli errori del passato, era costretto a darne la dimostrazione piena, e ciò non è possibile se non vengono citati per intero i passi contenenti informazioni errate o del tutto discutibili.

Oggi, data la libertà di pensiero, questo modo di procedere sarebbe quasi inammissibile, mentre a quei tempi ha permesso di radunare una mole di antichi dati scientifici che altrimenti si sarebbero in gran parte irrimediabilmente perduti.

Passiamo ora all'uovo di Aldrovandi. Potremmo esporre l'argomento in base ai dati dell’odierna biologia e pertanto suddividerlo in:

§ dati innovativi

§ dati dubbi

§  errori.

Ma ritengo più logico seguire l'impostazione data da Aldrovandi, cogliendo man mano ciò che di più interessante si offre alla nostra attenzione.

Pertanto analizzeremo il contenuto del II volume di Ornithologia nella sua edizione originale del 1600 a partire da pagina 199 dove si apre il paragrafo Anatomica e che appartiene al capitolo I del Libro XIV - qui est de Pulveratricibus Domesticis, De Gallo Gallinaceo et Gallina - per finire con pagina 228 dove si chiude il paragrafo Salacitas, Coitus, Partus.

3. Gonadi, utero ed embrione

Ne I Dipnosofisti di Ateneo di Nàucrati [3] Alessandro di Mindo afferma che nei polli i testicoli si trovano sotto al fegato; Alberto riferisce che le ovaie si trovano sopra la coda e all'esterno del corpo mentre i testicoli giacciono al suo interno, là dove in altri animali si trovano i reni. Plinio parla di pietruzze rinvenute nella vescica di galli, quasi ad affermare che gli uccelli siano dotati di vescica; forse Plinio si è riferito a quei sassolini che troviamo frequentemente nei polli quando viene aperto lo stomaco muscolare o ventriglio.

A questo punto Aldrovandi, stufo di ipotesi, così esordisce:

Nos in commune{m} virorum studiosorum, atque maxime eorum, qui naturae arcana perscrutantur, aliquot Gallinas Excellentiss. M. Antonio Ulmo secandas exhibuimus, ut admirabile naturae in generandis ovis artificium indagaremus.

A vantaggio di tutti gli studiosi, e soprattutto di coloro che indagano i misteri della natura, ho fornito all'eccellentissimo Marco Antonio Olmo alcune galline per essere sottoposte a dissezione, al fine di scoprire la meravigliosa abilità della natura nel generare le uova.

         

Fig. IX. 12

A sinistra l’utero di gallina di Olmo: si tratta di una delle 9 immagini che Olmo fornì ad Aldrovandi dopo aver sottoposto a dissezione alcune galline, come Aldrovandi stesso gli aveva commissionato.

A destra ovidutto di gallina: rappresentazione schematica che non rispetta le effettive lunghezze dei vari segmenti.  

Marcus Antonius Ulmus: non ho trovato note biografiche relative a Marco Antonio Olmo. Possiamo desumere qualcosa dalla sua bibliografia, che attesta la sua provenienza, i suoi interessi scientifici e il fatto che probabilmente da Padova a un certo punto si trasferì a Bologna. Ecco le sue pubblicazioni in ordine cronologico, che per lo più furono edite a Bologna da Giovanni Battista Bellagamba, lo stesso editore di cui si servì Aldrovandi per il II e il III volume della sua Ornithologia. Per il titolo della seconda pubblicazione, che riguarda l’utero e l’apparato genitale femminile, possiamo dedurre che Aldrovandi dovesse stimare alquanto il collega padovano sotto il profilo ginecologico, dal momento che gli affidò la dissezione dell’ovidutto di gallina.

1) Opinio Marci Antonii Ulmi Patavini philosophi, et medici, de fine medico barbae humanae quae sunt fragmenta, desumpta ex eius opere, cuius est index titulus: Philosophia, et medicina barbae humanae. - Francesco Gadaldini, Modena, 1599.

2) Marci Antonij Ulmi Patavini philosophi, et medici Bononiensis, Uterus muliebris hoc est de indicijs cognoscendi temperamenta uteri, vel partium genitalium ipsius mulieris. Liber unus. - Giovanni Battista Bellagamba, Bologna, 1601.

3) Marci Ant.nii Ulmi Patavini, Physiologia barbae humanae. - Giovanni Battista Bellagamba, Bologna, 1601.

4) Marci Antonii Ulmi Patavini, Physiologia barbae humanae. Editio altera. - Giovanni Battista Bellagamba, Bologna, 1603.

Olmo inserì il frutto della sua accuratissima dissezione in 9 immagini, 3 delle quali dedicate alla conformazione dell'utero, le rimanenti alla generazione dell'uovo. Fu così possibile dedurre che la conformazione dell'utero di gallina - cioè dell'odierno ovidutto - è molto diversa da quella dei vivipari. Oltre al fatto di essere posizionato nella metà sinistra dell'addome, invece di possedere una sola apertura verso l'esterno è dotato di due orifizi: un orifizio inferiore e rivolto verso l'esterno attraverso il quale l'uovo esce ormai pienamente formato, un orifizio superiore e rivolto verso l'interno attraverso il quale penetra l'uovo appena iniziato, allo scopo di assumere la sua forma definitiva.

Esiste un punto cruciale sul quale si batte Aldrovandi, confortato nella sua tesi dall'esatta osservazione di Ippocrate secondo il quale il pulcino proviene dal vitello mentre l'albume serve solo da nutrimento, come già aveva affermato Alcmeone di Crotone (sec. VI aC) al quale si era associato Anassagora (499-428 aC). Infatti Aristotele asserisce una tesi diametralmente opposta: il pulcino si formerebbe dall'albume e non dal tuorlo; allo stesso tempo afferma che se il tuorlo è già stato circondato dall'albume, l'uovo non può tramutarsi in fecondo, nonostante sia necessario l'intervento del seme maschile.

Allora Aldrovandi si chiede come mai per Aristotele non sia possibile la fecondazione dell'uovo se la gallina si accoppia quando l'uovo è già avvolto dall'albume, dal momento che a nessuno può sfuggire il fatto che in una siffatta condizione il seme potrebbe mischiarsi più facilmente all'albume anziché al tuorlo. Lo stesso Aristotele, infatti, insegnava che le uova dei pesci vengono rese feconde quando già deposte, e precisamente quando il maschio spruzza il seme su di esse.

Fig. IX. 13 - Disco germinativo e blastoderma secondo Malpighi

A sinistra, cicatricula di uova subventanee, cioè non fecondate; a destra, cicatricula di uova deposte il giorno precedente l'osservazione e non ancora covate. Queste immagini non rispettano le dimensioni reali né le proporzioni delle due cicatricule. Mettono tuttavia in evidenza che Malpighi, grazie al microscopio, fu in grado di descrivere nei particolari ciò che invece Aldrovandi doveva osservare solo a occhio nudo, ma intuendo che si trattava del seme, mentre Aristotele, anch'egli senza microscopio, si era espresso in senso diametralmente opposto.

Ma il dissenso fra Aldrovandi e Aristotele non si limita a quest'asserzione riguardante l'albume. Infatti il filosofo greco non riteneva assolutamente necessaria alla generazione quella chiazza simile a una goccia d'acqua congelata che si trova a ridosso del tuorlo e che, nell'uovo fecondato, corrisponde alla cicatricula o discoblastula o blastoderma, il cui diametro nel pollo, all'atto della deposizione, misura mediamente 4 mm, e che oggi sappiamo essere costituita da 40.000-60.000 cellule. Nell'uovo non fecondato la stessa formazione ha dimensioni lievemente minori ed è rappresentata da un dischetto biancastro del diametro di circa 3,5 mm - il disco germinativo - costituito da citoplasma e dal nucleo femminile in degenerazione. Ecco il dissentire di Aldrovandi da Aristotele:

Hanc autem [guttam] Aristoteles nihil conferre putat ad generationem: quae res veritati refragari videtur, cum ova quae ea carent, omnia infoecunda [infecunda] sint, quare ego eam cum spermate eandem esse credo.

Ma Aristotele ritiene che questa [goccia] non contribuisce per nulla alla generazione: è chiaro che ciò è in contrapposizione al vero, dal momento che le uova che ne sono prive sono tutte quante infeconde, per cui io sono dell'avviso che essa corrisponde al seme.

Ritengo si tratti di una delle più brillanti intuizioni di Aldrovandi, in quanto è una deduzione che non poteva ancora ricevere conforto dal microscopio.

4. Accoppiamento

Salacissimum animal Gallum esse quamvis ut Albertus scribit, ad unum ovum foecundandum [fecundandum] multoties cum eadem Gallina coeat, Oppianus prodidit. Quod sane, etsi aliae item dentur volucres, quarum libido apud authores magis celebratur, ut in Aquilae historia diximus, cuius congressu Martis et Veneris adulterium indicabant, et Passer etiam strenuissimus in hac venerea palestra [palaestra] habeatur athleta, verum esse videbimus, si Galli libidinem cum earum libidine conferamus. Aquila enim, et Passer, similesque salaciores alites aliae salacitatem suam toto anni tempore minime exercent, ut facit Gallus noster, qui singulis diebus quinquagesies, et amplius uxores suas, quas plurimas habet, init, cum contra unica illi contenti sint.

Oppiano di Apamea [4] ha tramandato che il gallo è un animale estremamente lussurioso nonostante, come scrive Alberto, si accoppi numerose volte con la stessa gallina allo scopo di fecondare un solo uovo. In effetti, anche se  si trovano altri uccelli la cui libido presso gli scrittori viene allo stesso modo maggiormente decantata, come ho detto trattando della storia dell'aquila, col cui accoppiamento simboleggiavano l'adulterio fra Marte e Venere [5] , e anche se lo stesso passero viene ritenuto un atleta infaticabile in questa palestra d'amore, vedremo che corrisponde al vero se paragoniamo la libidine del gallo con la loro sensualità. Infatti, l'aquila e il passero, e altri simili uccelli tra i più lussuriosi, non si dedicano affatto alla lussuria durante tutto l'arco dell'anno come invece fa il nostro gallo, il quale si accoppia con le sue consorti, che ha in gran numero, per ben cinquanta e più volte al giorno, mentre quegli altri uccelli si accontentano di una sola compagna.

Interessante è l'etimologia di salax, che al superlativo assoluto fa salacissimus: deriva dal verbo latino salio che significa saltare. In effetti il gallo salta sulla gallina, ma lo stesso doveva accadere tra uomo e donna ai tempi dei Romani, e non solo allora.

Quindi, Aldrovandi accetta pienamente questa ipersessualità del gallo, di questo gallo più atleta del passero nelle schermaglie d'amore, ma non sappiamo se si tratta di una sua osservazione sui galli del 1500, se è un suo calcolo probabilistico, oppure se trattasi di una leggenda tramandata nei secoli fino a lui, e da lui nei secoli a venire, come dimostra un compendio dell'Histoire Naturelle di Buffon ad opera di un fantomatico C.S.B.M. e che risale al 1822, e dove, a pagina 125 di questo melenso e moraleggiante bigino, ci è dato leggere: «Il gallo è lussuriosissimo, e calca la gallina all’aria aperta sin cinquanta volte al giorno.»  

Ma il Buffon integrale dimostra un senso critico da scienziato. Infatti a pagina 68 del II volume della sua Histoire naturelle des oiseax (Paris, 1771), oltre a citare Aldrovandi come fonte dei 50 accoppiamenti giornalieri, esprime il dubbio che siano tutti quanti in grado di fecondare le uova:

"[...] mais quand il en auroit cinquante [poules] chaque jour, on prétend qu'il ne manqueroit à aucune (Aldrovande, tom. II, lib. XIV): à la vérité personne ne peut assurer que toutes ses approches soient réelles, efficaces & capables de féconder les oeufs de sa femelle."

Sta di fatto che 50 e più accoppiamenti al giorno mi sembrano eccessivi: se consideriamo che per le razze leggere il numero di galline concesse a un gallo perché fecondi tutte le uova si aggira su 10, massimo 12 individui, allora dovremmo osservare un gallo Livorno accoppiarsi perlomeno 5 volte al giorno con ciascuna delle sue compagne.

Tra un po' di corteggiamento e d'accoppiamento, il gallo avrebbe poco tempo a disposizione per le rimanenti attività nell'ambito dell'harem. Più realistico, e senza dubbio basato su dati statistici, è il numero di accoppiamenti giornalieri riferito da Sharp (1998): un gallo sessualmente attivo può accoppiarsi 20-30 volte al giorno, ma non tutte le copule si concludono con l'eiaculazione.

Aldrovandi vuole anche addentrarsi in un campo minato: il gallo bisex, quasi sorvolando però sulla gallina virago.

Infatti per la prima evenienza egli riporta, manipolato e trasfigurato, ciò che scrisse Claudio Eliano in La natura degli animali (4,16). Invece, come vedremo in IX-6, Aldrovandi si limiterà ad accennare solo di sfuggita a un fatto che fin dall'infanzia attirò la mia attenzione, e senz'altro anche la vostra: quando in un pollaio manca il gallo, è frequente osservare una gallina che ne assume il ruolo nei confronti delle compari.

Insuper non hinc tantum Galli salacitas cognoscitur, quod tanta frequentia cum propriis uxoribus coeat, sed in eo magis, quod ut Aelianus etiam refert, si illae desint, a masculino genere minime sibi temperet, sed in media etiam corte, qui recentior advenerit, cum ineat.

Inoltre la lussuria del gallo non si riconosce solo da questo, che cioè si accoppia con così grande frequenza con le proprie femmine, ma ben più dal fatto che, come riferisce anche Eliano, se esse mancano, non si astiene assolutamente dal sesso maschile, dal momento che anche nel bel mezzo del cortile si accoppia con quello che vi è arrivato fresco fresco.

Stavolta Aldrovandi, ispirato da Gessner, ha mistificato assai, a differenza di Gessner, il testo di Eliano, che è piuttosto lapidario, privo di qualsiasi finalità moralistica antiomosessuale. Eliano vuole semmai semplicemente dire che un gruppo di galli è pericoloso come può esserlo un gruppo di uomini nei confronti di uno straniero, di un intruso. Infatti Eliano apre 4,16 con poche parole riferite al gallo e finisce il capitolo senza più parlare del gallo - o meglio dei galli - ma solo di pernici. Ecco come inizia il capitolo: “I galli [alektryónes] quando sono in gruppo saltano addosso tutti quanti al nuovo venuto. E la stessa cosa fanno anche le pernici domestiche nei confronti di una appena giunta e non ancora addomesticata.[...]” Ed ecco il testo fuorviante in senso antiomosessuale adottato da Aldrovandi e stilato da Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 384: Si foeminarum facultas non sit, omnes subigunt in cohortem suam recentem venientem, Aelianus.

Nella mia esperienza non ho mai osservato un gallo accoppiarsi con un altro gallo, salvo che nel 2010. Credo che ciascuno di noi sia a conoscenza del fatto che non è necessario che il nuovo venuto debba trovarsi di fronte a un drappello di galli per venire attaccato e doversi difendere. Basta un solo gallo già presente per dare il via a una zuffa che ha lo scopo di stabilire a chi dei due tocchi la supremazia, che ci siano o non ci siano galline a fare da spettatrici. Infatti Eliano non cita assolutamente l’assenza di galline come motivazione dell’attacco in massa al nuovo venuto. Per esprimere il fatto che quando i galli sono in gruppo danno addosso al nuovo venuto egli usa il verbo anabaínø, che può essere inteso anche come atto di accoppiamento, ma solo in lontana istanza, in quanto anabaínø significa per lo più salire, come quando si sale su una nave o come quando si monta in sella.

Plutarco, come vedremo tra poco, nel ricordare che esisteva una legge contro i galli omosessuali, si contrappone alla mia esperienza e al significato della frase di Eliano, dando così ragione ad Aldrovandi. A mio avviso quella del gallo bisex - o del gruppo di galli bisex - è una voluta trasfigurazione moralistica di una semplice lotta corpo a corpo per stabilire una gerarchia in seno al gruppo. Anche i tre trattati di etologia del pollo a mia disposizione non riportano casi eclatanti di comportamento omosessuale da parte del gallo. Tuttavia in campo scientifico, specialmente in quello comportamentale, bisogna essere alquanto probabilisti e quindi fare tesoro delle asserzioni di Aldrovandi e di Plutarco, corroborate da quelle di Giambattista Della Porta che vedremo nel paragrafo dedicato alla fisiognomia.

Per rimanere nell’ottica del probabilismo, ho voluto porre la domanda sull’osservazione di eventuali comportamenti omosessuali nel gallo a Ramon Reyes, appartenente da quattro generazioni alla nutrita schiera degli appassionati di galli da combattimento. Ramon esclude l’omosessualità nei galli d’arena, mentre non si sente di poterlo escludere negli altri galli. Il messaggio e-mail in castigliano non è ortograficamente corretto poiché Ramon, di origine peruviana, dispone di una tastiera non spagnola in quanto vive nella provincia canadese dell’Ontario.

24-8-2002 - Para responder a su pregunta, se sabe que el gallo de combate jamas podra ser homosexual porque su espiritu combativo se lo impide. Y se sabe que estos gallos durante combate quedan ciegos pero siguen luchando con los pulmones atravesados llenos de sangre pero igual siguen luchando, aun con los intestinos afuera siguen luchando. Esa palabra (lucha) es el simbolo de su existencia de ser gallo de combate (gallo salvaje) y su espiritu de perseverante existencia (sobrevivencia) ha hecho que sea un simbolo universal de machismo (hombradia). El hombre llevando el gallo al cautiverio ha hecho consaguinidad que esto, lamentablemnte, degenero su comportamiento del gallo que se convertio desopues en gallo domestico que pudo vivir juntos con otros gallos sin que existiera la pelea. Esto llevo a los extremos comportamientos de estas aves. Tanto es asi, que la naturaleza es tan fuerte que no solamente cambio al hombre en su comportamiento sino tambien a las bestias. Por ejemplo: caballos, toros, cerdos, y perros. Mas aun al gallo (de combate) dandole plumas de gallina para que su rival lo vea como gallina - pero esta gallo de  nombre (gallo gallina) o gallino - son los mas bravos que pueden existir en el mundo de gallo de combate. Alli demonstrando bravura y machismo hasta la muerte pero sin embargo este tipo de gallo que usted menciona no lo he visto en los gallos de combate. Asi que para resumir, digo que es posible en gallo domestico que exista el homosexualismo pero no en gallo de combate.”

Aldrovandi ritiene più che doveroso richiamare i lettori alla moralità e dare quindi una lisciata alla Chiesa che per ben due volte l'aveva inquisito. Non tralascia inoltre di scagliarsi contro lo scambio dei partners, uno svago grazie al quale si rendono peccatori non solo i galli, ma anche le galline, che si lasciano assalire da uccelli di genere diverso dal loro.

Ob tam foedum, et horrendum Galli facinus olim, teste Plutarcho lex erat, ut Gallus si Gallum inisset, quamvis etiam Gallina abesset, vivus combureretur. Unde videre licet, qua mulcta eiusmodi nefarium scelus prisci punirent in hominibus, si id in brutis faciebant: nec sane immerito, cum eiusmodi flagitiosi, et nequam homines, qui talem peccatum committunt, humanae naturae vim inferant, et interitum humano generi procurent, in sterili solo semine effuso, quod in Ona filio Iudae severe admodum vindicavit Deus. Quare lege pontificia tales a coetu hominum arcentur, turpiusque adulterio visum est stuprum virile.

Per un così ripugnante e orrendo crimine del gallo, un tempo, testimone Plutarco [6] , esisteva una legge per cui, se un gallo si fosse accoppiato con un gallo, e benché mancasse la gallina, doveva essere bruciato vivo. Per cui è possibile rendersi conto con quale condanna gli antichi punissero un simile empio misfatto negli esseri umani dal momento che lo facevano negli animali privi di raziocinio: e senz’altro non a torto, dal momento che coloro che commettono un simile peccato sono tanto scellerati e uomini di nessun valore da far violenza alla natura umana e causare lo sterminio al genere umano con lo spargimento del seme su uno sterile pavimento, cosa che Dio ha punito in modo estremamente severo in Onan [7] figlio di Giuda. Per cui, per legge pontificia, soggetti simili debbono essere allontanati dal consesso umano, e lo stupro tra maschi è stato catalogato come più turpe dell'adulterio.

Sed ut unde digressa est oratio revertatur, Gallus noster in maiorem adhuc longeque detestabiliorem libidinis notam incurrit, dum cum aliis etiam volucribus, quae sui generis non sunt, ut cum Phasianis, et Perdicibus, ut postea dicemus, coeat, quod testatum etiam reliquit Aristoteles. Sed forte Gallinis magis adhuc vitio vertendum est, quod et illae ab iisdem volucribus sese iniri permittant, adeo ut multi {diversas} <diversos> ex iis cum aliis coeuntibus foetus excludi promittant.

Ma, perché il discorso torni là da dove è partito, il nostro gallo incorre in un tratto di libidine maggiore e ben più detestabile quando, come diremo in seguito, si accoppia pure con altri uccelli che non appartengono al suo genere, come fagiani e pernici, cosa di cui ha lasciato testimonianza anche Aristotele. Ma forse se ne deve fare ancora più colpa alle galline del fatto che anch’esse permettono di essere copulate dai medesimi uccelli, tant’è che parecchi garantiscono che prole differente nasce da quelle che si accoppiano con altri uccelli.

Se nell'uomo simili comportamenti vengono giustamente e severamente puniti dalla legge pontificia, nel caso del gallo esiste una spiegazione del tutto naturale della sua lussuria, per cui il re del pollaio non può essere condannato all'ostracismo nonostante commetta un onanismo da polluzione, la quale è però involontaria:

Tantae in his volucribus libidinis salacitatisque causa est genitale semen, in iis maximopere redundans, cuius irritationem perferre nequeuntes, in libidine proruunt. Tanta vero seminis copia abundant, ut Clearchus apud Athenaeum author sit, eos non solum cum vident faeminas [feminas] id emittere, verumetiam cum vocem earum exaudiunt.

In questi uccelli il seme genitale, in essi particolarmente abbondante, è causa di così grande libidine e lussuria che, non potendo sopportarne l'azione irritante, si lanciano nella libidine. Hanno infatti una così grande abbondanza di seme che Clearco afferma in Ateneo che essi non solo lo emettono quando vedono le femmine, ma anche quando ne sentono la voce.

Insomma, fin dall'antichità un dato è certo: i galli non hanno mai avuto bisogno di Viagra! Ma la lussuria del gallo ha una sua precisa spiegazione biologica: oggi sappiamo che i molteplici accoppiamenti di questo lussurioso impenitente dipendono dal fatto che egli deve regolarsi sull'orologio ovarico della gallina. Infatti il ciclo ovarico della gallina domestica - che già ai tempi di Aristotele deponeva senza soluzione di continuità, fatta eccezione per i due mesi del solstizio invernale - è uno dei cicli più brevi del regno animale. E se il gallo si accoppia ripetutamente con una stessa gallina non è per fecondare uno stesso uovo - come affermava Alberto - ma perché ogni giorno è potenzialmente in arrivo un altro uovo che deve essere fecondato.

E ora ecco il gallo effeminato, che forse è un cappone da sviluppo, al quale Aldrovandi, nell'interesse dell'allevatore, contrappone quello baldanzoso ed efficiente nell'assicurare una prole numerosa:

Verum haud omnes Gallos aeque salaces esse con­stat, nam quidam eorum a primo naturae ortu ita, teste Aristotele, effaeminati [effeminati] nascuntur, ut neque cucuriant, neque faeminas [feminas] ineant. Sed venerem eorum, qui tentent supervenire, sponte patiantur. Et Theophrastus author est, referente Athenaeo, agrestes cortalibus ad venerem procliviores esse. At cum nos agrestibus careamus, interest nostra etiam noscere, qui salaciores in iis sint. Siquidem tales ad partus promovendos in primis agricola sibi compa­rare debet. Eos autem ita internosces. Sunt, teste Varrone, lacertosi, rubenti, erectaque crista, rostro brevi, pleno, acuto, oculis ravis, aut nigris, palea rubra, collo vario, feminibus pilosis, unguibus longis, cauda magna, frequentibus pinnis.

A dire il vero, risulta che non tutti i galli sono lussuriosi alla stessa stregua: infatti, testimone Aristotele, alcuni di loro già fin dalla nascita si ritrovano naturalmente così effeminati che né cantano, né si congiungono con le femmine. Invece, spontaneamente sopportano le bramosie di quelli che tentano di calcarli. Anche Teofrasto [8] asserisce, come ci fa sapere Ateneo, che i galli che vivono nei campi sono più inclini al sesso rispetto a quelli allevati in pollaio. Ma, dal momento che abbiamo penuria di quelli che vivono nei campi, è di nostro interesse anche sapere quali fra loro sono più lussuriosi. Dal momento che innanzitutto l'agricoltore deve procurarsi soggetti siffatti per promuovere le nascite. Così li riconoscerai fra gli altri. Testimone Varrone [9] , sono muscolosi, hanno cresta rossa ed eretta, becco corto, robusto, aguzzo, occhi grigio giallastri oppure neri, bargigli rossi, collo screziato, cosce [gambe o tibiotarsi] ben impiumate, dita lunghe, coda grande, penne abbondanti.

5. Fisiognomia

Fig. IX. 14 - Giambattista Della Porta

Giambattista Della Porta, amico di Aldrovandi, nacque a Vico Equense o forse a Napoli nel 1535, e quivi morì nel 1615. Inventò e descrisse strumenti ottici fra i quali, pare, anche il cannocchiale, che allora forniva solo 3 ingrandimenti angolari; sperimentò la camera oscura, la lanterna magica e un primo rudimentale termometro; studiò inoltre l'alchimia e l'astrologia. Scrisse A soli 25 anni pubblicò il suo primo lavoro dal titolo Magiae naturalis libri IIII (1558) in cui viene sviluppata la concezione magico-spiritualistica del mondo simile a quella di Paracelso, un’opera che venne successivamente espansa in 22 libri e compendiata in un solo volume nel 1584 quando l’autore aveva 49 anni; in questa forma il trattato ebbe grande popolarità e venne tradotto dal latino nelle principali lingue europee, quindi ripubblicato in latino per circa un secolo in diversi Paesi. Nel 1560 fondò a Napoli l'Accademia dei Segreti della Natura. Si dedicò anche alla fisiognomia, termine usato dalla scuola aristotelica per designare la scienza che deduce la psicologia delle persone dalle caratteristiche corporee, soprattutto del volto. Nel mondo antico la fisiognomia ebbe largo impiego sia nella mantica che nella medicina e nel periodo rinascimentale lo ebbe grazie alle ricerche di Gerolamo Cardano, nonché di Giambattista Della Porta che nel 1586 pubblicò De humana physiognomonia libri IIII.

Aldrovandi doveva essere a conoscenza degli scritti dell'amico napoletano – anch’egli nelle mire dell’Inquisizione – in quanto talora ne trae notizie fantasiose, talora ne riporta per intero la descrizione di un'incubatrice per circa 300 uova che il Della Porta aveva ideato e che garantiva una schiusa pari al 94-97% [10] . Quindi Aldrovandi doveva non essere digiuno in campo fisiognomico, e nel brano che segue ce ne dà una piccola lezione, forse attingendo i dati parzialmente da Conrad Gessner, il quale li aveva attinti da Aristotele.

Quantum vero ad avis petulantiam attinet, crediderim etiam pullum illum Gallinaceum, quem Liviam Tyberium adhuc in utero gestantem, exclusisse aiunt in manu, cum exploratura an marem esset par<i>tura, ovum {incubandi} <incubanti> Gallinae subduxisset, idque nunc sua, nunc ministrarum manu adeo fovisset ut pullus excluderetur, non tantum sexum in Tyberio portendisse, ut multi volunt, sed salacitatem etiam et procacitatem eam, qua ille mox famosissimus fuit. Quinim<m>o quicunque nasum concavum, et frontem habent rotundam, et caput sursum eminens rotundum, ut Galli, luxuriosi vulgo putantur.

Per quanto riguarda la foga del gallo, io sarei dell’avviso che quel pulcino di gallina, che dicono che Livia Drusilla, mentre portava ancora in utero Tiberio, avesse fatto schiudere in mano, in quanto, allo scopo di sapere se avrebbe partorito un maschio, aveva sottratto l’uovo a una chioccia, e lo aveva scaldato ora con la sua mano ora con quella delle ancelle fino al punto di nascerne un pulcino; non solo aveva presagito il sesso di Tiberio, come molti sostengono, ma anche quella lascivia e quella sfrenatezza per la quale in seguito fu famosissimo. Così, tutti quelli che hanno il naso concavo [convesso?] e la fronte rotondeggiante e un capo arrotondato e saliente come i galli, vengono usualmente ritenuti dei lussuriosi.

Non si può tacere l'errore in cui cade Aldrovandi narrando il fatto dell'uovo covato in mano da Livia e dalle sue ancelle. La notizia proviene da Plinio - non citato in questo brano - il quale riferisce invece che l'incubazione avvenne tra il tepore delle mammelle. Ecco perché se Aldrovandi avesse avuto a disposizione un computer forse non avrebbe commesso questo errore. Infatti, 20 pagine dopo, lo stesso episodio viene riferito in modo corretto, citando Plinio e l'incubazione tra i seni femminili.

Non voglio salvare Aldrovandi a ogni costo. Vorrei solo sottolineare che, come vi sarete già accorti, gli errori tipografici presenti nel testo originale sono alquanto numerosi, talora tali da mettere in discussione l'esatto significato di una frase. Orbene, non si può escludere che nel manoscritto il tipografo abbia letto manu invece di sinu e abbia pure adattato al femminile l'aggettivo suus. Tuttavia, e giustamente, Capponi non è dell'avviso che si tratti di un errore tipografico, bensì che il qui pro quo mano/seno sia dovuto al fatto che in questo momento Aldrovandi sta attingendo la notizia da una fonte diversa da quella pliniana. Che tale fonte sia stato il fantasmagorico Della Porta?  

A posteriori, grazie alla pubblicazione in Internet della traduzione inglese del testo di Della Porta, possiamo essere praticamente certi che la fonte del qui pro quo mano/seno non è stato il famoso napoletano. Infatti nel libro IV, cap.26, del Magiae naturalis Giambattista Della Porta dice chiaramente che Livia metteva l’uovo tra i seni, sia suoi (in her bosom) che della sua nutrice (into her nurse's bosom): “And I have seen women to foster and hatch eggs between their breasts in their bosoms, and under armpits. Livia Augusta, when she was young and great with the child of Nero, by Caesar Tiberius, because she earnestly desired to bring first a boy. She made use of this omen to try it by. She fostered an egg in her bosom, and when she must lay it aside, she put it into her nurse's bosom, that the heat might not abate, Pliny.” (Magiae naturalis, 1584 - 1658 English Editon)

La fonte del qui pro quo è stata invece Svetonio De vita Caesarum, Tiberius 14.2: Praegnans enim Livia cum, an marem editura esset, variis captaret ominibus, ovum incubanti gallinae subductum nunc sua nunc ministrarum manu per vices usque fovit, quoad pullus insigniter cristatus exclusus est. – La soluzione è semplice: Plinio la raccontava in un modo e Svetonio, pochi lustri più tardi,  in un’altro.

La morfopsicologia non è mai stata oggetto di pratica da parte mia - e oltretutto è una branca medica piuttosto complessa - per cui non posso giudicare se corrisponda al vero che naso concavo, fronte rotonda e vertice da gallo abbiano come risultato un Latin lover.

La notizia relativa a naso concavo = lussurioso proviene da Aristotele, ma non è suffragata da Adamanzio, medico e sofista ebreo di Alessandria del IV sec. dC, autore di uno scritto fisiognomico Sui venti e di un’epitome dell’opera fisiognomica di Antonio Polemone. Le parole precise di Aristotele possiamo desumerle da Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 382:

Οἱ τὴν ῥῖνα ἔγκοιλον ἔχοντες τὰ πρὸ τοῦ μετώπου περιφερῆ, τὴν δὲ περιφέρειαν ἄνω ἀνεστηκυῖαν, λάγνοι, ἀναφέρεται ἐπὶ τοὺς ἀλεκτρυόνας, Aristot. in Physiognom. hoc est, ut innominatus quidam transfert: Quicunque nasum concavum habent, et frontem rotundam, et sursum eminens rotundum, luxuriosi, refertur ad gallos. Adamantius nihil tale habet.

Oi tën rîna énkoilon échontes tà prò toû metøpou peripherê, tën dè periphéreian ánø anestëkuîan, lágnoi, anaphéretai epì toùs alektryónas, Pseudo Aristotele nel trattato di fisiognomia (811a), cioè, come traduce un anonimo: Tutti quelli che hanno un naso concavo, e una fronte rotonda, e la sommità del capo arrotondata, sono dei lussuriosi, e il riferimento è ai galli. Adamanzio non riferisce nulla del genere.

 

Conviene subito sottolineare che l’aggettivo greco énkoilon non ammette dubbi: significa solo e solamente concavo.

Mi sono concesso una piccola ricerca. In una moneta dell'epoca imperiale, e precisamente un aureo, il naso di Tiberio Claudio Nerone visto di profilo risulta alquanto rettilineo, forse appena tendente all'aquilino. Nettamente aquilino, se non addirittura tapiroide, è il naso rappresentato in Illustrium imagines dell’archeologo e numismatico italiano Fulvio Andrea (1517).

In un sesterzio coniato sotto Tiberio il naso è rettilineo, mentre si presenta concavo nel disegno che ricalca un particolare dell’Ara Pacis Augustae, quando Tiberio era ancora felicemente sposato con Giulia, figlia di Augusto, e quando imperatore non lo era ancora (lo fu dal 14 al 37 dC).

Esistono altre fonti iconografiche relative a Tiberio, ma quelle che lo ritraggono di profilo non sono a mia disposizione, e poi, visto il graduale nonché millenario passaggio del naso da concavo a convesso da me racimolato, non verremmo a capo di nulla anche se disponessimo di dati misconosciuti e ancora da dissotterrare.

Non è detto che Aldrovandi riferisca un'errata foggia del naso di Tiberio - cioè concavo - in quanto bisogna solo decidere come tradurre concavus. Questo aggettivo può raramente assumere il significato di convesso e convexus, più facilmente di concavus, può assumere un significato opposto, cioè concavo. Se il naso di Tiberio aveva una gobba, ecco che allora la concavità della gobba era rivolta verso la cavità del naso. Non è un gioco di parole. Si tratta solo di stabilire da quale punto avviene l'osservazione di una linea curva. Il latino offre frequenti tranelli di questo tipo. Ma si tratta anche di stabilire se Aldrovandi conoscesse il naso di Tiberio attraverso Fulvio Andrea oppure attraverso l’Ara Pacis.

Fig. IX. 15 - Rinoplastica medica o artistica?

 

Naso concavo: particolare dell’Ara Pacis Augustae con Tiberio e la seconda moglie Giulia. Al tempo dell’Ara pacis, eretta fra il 13 e il 9 aC,  Tiberio non era ancora imperatore.

 

Naso rettilineo: l’imperatore Tiberio in un sesterzio.

 

Naso nettamente convesso: l’imperatore Tiberio in Illustrium Imagines del 1517.

 

Naso appena convesso:
l’imperatore Tiberio in un aureo. Sul recto la madre Livia Drusilla, sempre tenuta nella massima considerazione dal figlio.

Qualunque naso avesse, frutto di una rinoplastica dovuta verosimilmente solo agli artisti e non ai cerusici, un lussurioso impenitente Tiberio doveva indubbiamente esserlo. Trascrivo testualmente dal settimanale Sette, n.12, 1999, pag. 131:  

«Carlo Emilio Gadda amava i pettegolezzi anche perché per un romanziere sono uno strumento di lavoro, ma non solo per questo. Ricorda Giulio Cattaneo, biografo di Gadda: "Egli [il Gadda] si infervorava parlando di Tiberio imperatore a Capri che faceva il bagno in piscina mentre frotte di ragazzi, detti pisciculi [non viene specificata la pronuncia, cioè, se piscìculi, cioè piccoli pesci, oppure un italianizzato piscicùli vista la loro duplice mansione; ndA], gli passavano a nuoto sotto il corpo mordendogli i coglioni e provocando supreme delizie."»

 

 

Naso adunco o aquilino:
magnanimi e animo regale

 

 

Naso curvo appena si stacca dalla fronte:
ladro e rapace

 

 

Naso ben rilevato dalla faccia:
buono, forte e prudente

 

 

Naso grosso all’apice:
pigri come il bue

 

  Naso aguzzo all’estremità:

crudele, iracondo come i cani

Naso tutto grosso:
senza nessun sentimento, essendo il porco animale assai brutale

Fig. IX. 16 - Dal De humana physiognomonia libri IIII di Giambattista Della Porta

"Il naso corrisponde alla verga; ché, avendolo alcuno lungo e grosso, overo acuto e grosso, o breve, 
il medesimo si giudica di quella, così le nari rispondono ai testicoli."

E ora preparatevi a tradurre dall’italiano all’italiano.

Ecco cosa dice Della Porta circa il naso che a noi interessa:

Naso cavo innanzi la fronte rotonda, e quel che sovrasta rotondo

Così dice l’antica traslazione della fisonomia di Aristotele: quei ch’hanno il naso corvo, rotondo innanzi la fronte e quel che sovrasta rotondo, son lussuriosi, e si referiscono al gallo. Io, non intendendo questa sorte di naso, così per la corrozione del testo greco di Aristotele, come per la traslazione dell’interprete, cominciai a contemplar il naso del gallo, e considerandolo diligentemente, spero aver accomodato il senso et il resto. Ha il gallo dinanzi la fronte ne’ confini del naso un certo concavo, come una vallicella, e quella parte del naso dinanzi alla fronte rotonda; e la fronte poi dal naso infin alla radice dei capelli come una mezza circonferenza di cerchio. Onde potrai dir così la traslazione del testo: quelli che hanno dinanzi al naso un certo cavo, e le parti del naso dinanzi la fronte rotonde, e poi nella fronte sorgere una mezza circonferenza, e quel che segue. Questi io giudicarei anche di lussuria nefanda; perché i galli, pernici e quaglie corrompono l’uso di Venere et hanno un naso somigliante; e mentre le femine covano l’uova, i maschi combattono, et usano i vinti in luogo di femine, come abbiam detto un’altra volta; et io ho conosciuto molti amici ch’hanno avuto simil naso, e sono stati imbrattati di questa orribile sporchezza. Fingono i Poeti Giove trasformato in Aquila aver rapito Ganimede, volendo forse notar questo sotto una simil fabula. Eliano dice che l’icneumone [mangusta] sia ancor di questa schiera. Di questa sorte di naso ho veduto assai Satiri e Silvani scolpiti dagli antichi. E di questo naso fu ancora Socrate, che, come dice Senofonte, fu simile a’ Sileni di naso schiacciato. E come si legge in Massimo Tirio abusò Alcibiade, e non fu così pudico come scrive Platone.

Non so voi, ma io ho capito ben poco. Sta di fatto che il concavus di Aldrovandi va tradotto con concavo in quando sarebbe da riferire a quel certo concavo, a quella vallicella che il nostro Giambattista deve aver osservato con una delle sue invenzioni ottiche. Noi, comuni osservatori a occhio nudo, diremmo che chi ha il naso da gallo ha un naso convesso, visto che anche l’opercolo che ricopre parzialmente ciascuna narice non è concavo bensì convesso. Ma si vede che a quei tempi quella minutissima concavità aveva un’importanza fisiognomica enorme nell’attribuire una lussuria nefanda. Insomma, non era necessario spiare il prossimo nella sua vita privata per incriminarlo. Alla polizia bastava il naso dell’accusato.  

6. Come concepiscono le galline

Ad Aldrovandi sfuggiva l’intima ragione per cui le galline, tanto come la donna, possono produrre l’uovo senza intervento del maschio. Questo tipo di ovulazione della gallina è dovuto al fatto che la sua attività preipofisaria spontanea è in grado di regolare l’ovodeposizione senza l’intervento di stimoli esterni, pur risentendo tuttavia di quello luminoso. L’ovulazione provocata è invece presente nella femmina di piccione, che necessita di un evento esterno: coito, eccitamento visivo. Sì, infatti pare che alla femmina di piccione basti guardarsi in uno specchio per deporre un uovo pur in assenza del maschio. Ma essa si spinge oltre, in quanto anche l'instaurarsi di un rapporto amoroso con l'allevatore le è sufficiente per deporre, qualora le venga accarezzato il dorso con le dita o le vengano lisciate le penne del collo: lo afferma Grzimek.

A dire il vero, quanti di noi sanno, per esempio, che invece nel gatto e nel furetto i follicoli ovarici, benché maturino a ogni ciclo, non si rompono se non nel caso che si verifichi l'accoppiamento? E che nella coniglia il follicolo inizia a maturare proprio nel momento in cui si accoppia? Ciò che accade nei gatti e nei furetti è ammesso anche in campo umano per quei rari casi di concepimento in cui un'unica scappatella, pur con le debite precauzioni e i dovuti calcoli, ha avuto un esito imprevisto e magari indesiderato. Cerchiamo quindi di essere benigni nei confronti del nostro Ulisse quando accetta l’ipotesi delle uova generate grazie al vento o alla polvere, in quanto ai suoi tempi non si parlava certo di ormoni!

Da un punto di vista puramente anatomico la maggior parte delle ghiandole endocrine è nota da tempo immemorabile. Così, per esempio, l'ipofisi fu descritta da Galeno. Vesalio, usando il termine latino pituita che significa muco, denominò l’ipofisi ghiandola pituitaria nella convinzione che secernesse il muco nasale. Solo nel 1849 la prima azione ormonale fu osservata e descritta in termini corretti da Arnold-Adolph Berthold di Gottinga (1803-1861) che castrò dei galletti: quelli lasciati senza testicoli divennero capponi, mentre quelli ai quali lasciò cadere un loro testicolo fra le anse intestinali divennero fenotipicamente dei galli e il successivo esame anatomico mostrò che il testicolo si era attaccato all'intestino e aveva ottenuto una buona irrorazione sanguigna. Ma tale esperimento non venne riconosciuto nella sua importanza, tant'è che la prima descrizione anatomoclinica dell'acromegalia ad opera di Andrea Verga nel 1864 venne inserita lungo la linea di sviluppo della craniologia e non dell'endocrinologia.

Ma Aldrovandi ha ben chiaro un concetto: senza gallo l'uovo è sterile.

Videamus modo, quid commodi nobis Gallorum coitus praestet, quod sane exiguum cuiquam videri posset, quando Gallinae absque eorum opere pariant ova, sed cum istaec generationi inepta sint, totam pullificationem Gallis acceptam referre debemus. Concipiunt itaque Gallinae duobus modis, vel ex congressu cum Gallo, vel per sese. Quae posteriori modo generantur ova, irrita, subventanea, et hypenemia dicuntur, quoniam e vento concepta credantur. Hoc enim ex veteribus non Varro tantum, sed ipsemet Aristoteles, et inter recentiores Albertus memoriae prodiderunt. In Lusitania, inquit Varro, ad Oceanum monte Tagro quaedam e vento certo tempore concipiunt equae, ut hic Gallinae quoque solent, quarum ova hypenemia appellant.

Diamo adesso uno sguardo a quale utilità sia per noi il coito dei galli, anche se a qualcuno senza dubbio potrebbe sembrare di poco conto, dal momento che le galline depongono uova senza il loro intervento, ma siccome tali uova sono incapaci di generare, dobbiamo attribuire tutta quanta la creazione della prole come dovuta ai galli. Ordunque, le galline concepiscono in due modi, o accoppiandosi col gallo, o da sole. Le uova generate nella seconda maniera vengono dette sterili, ventose e piene di vento in quanto si crede vengano concepite a causa del vento [11] . Infatti tra gli antichi ce lo hanno tramandato non solo Varrone ma anche lo stesso Aristotele e, tra i più recenti, Alberto. In Lusitania, dice Varrone [12] , sul monte Tagro nei pressi dell’oceano in un determinato periodo certe cavalle concepiscono per effetto del vento, come qui da noi sono solite fare anche le galline, le cui uova le chiamano piene di vento.

   

Fig. IX. 17 - Mons Tagrus e Montemor: il Tagrus si trovava alle spalle di Olisippo come il Montemor si trova alle spalle di Lisbona. Purtroppo, dopo aver disturbato a dritta e a manca, non ho avuto la conferma dell’identità dei due rilievi. Infatti così mi ha molto gentilmente risposto il Maggiore António Pereira dell’Istituto Geografico dell’Esercito Portoghese: Exmo Sr. Dr., depois de várias buscas efectuadas nos nossos arquivos, o Instituto Geográfico do Exército informa que não foi possível encontar nenhum topónimo que tivesse evoluido para "Mons Tagrus". O que lhe podemos fornecer é a maior altitude de Montemor, que é de 356,72 metros, embora o Instituto Geográfico do Exército não lhe possa garantir que é o "Mons Tagrus". Com os melhores cumprimentos.

Ed ecco la gallina virago:

Haud improbo etiam Plinii sententiam, qui mutua inter se libidinis imaginatione ova talia concipere dixit. Omnino etenim verisimile est, seminalis materiae redundantiam ingentem pruritum, ac titillationem in partibus genitalibus excitare, unde postmodum sese concepisse imaginentur, maxime si altera faemella, ut quandoque fit, alteram ineat.

Non disapprovo anche l’affermazione di Plinio [13] , il quale ha detto che concepiscono tali uova a causa di reciproche fantasie libidinose. Infatti è del tutto verosimile che la sovrabbondanza di materia seminale ecciti un grandissimo prurito e una titillazione nelle parti genitali per cui successivamente immaginano che esse stesse hanno concepito, soprattutto se una femmina, come talora succede, si accoppia con un’altra.

Attamen cum contra afferri potest, ἁφήν non simpliciter pulverem, sed illum praecipue, quo pal<a>estritae post unctionem inspergebantur, significare, ut Budaeus annotavit: et cum pulveratrices sint Gallinae, et pulveratio quoque contrectatio quaedam, et affricatio sit: hoc quoque modo sterilia huiusmodi ova ab eis concipi posset sit verisimile.

Tuttavia, dal momento che si può obiettare che haphën non significa semplicemente polvere, ma soprattutto quella di cui si cospargevano gli atleti dopo essersi unti, come Guillaume Budé [14] ha osservato: ed essendo le galline delle razzolatrici nella polvere ed essendo anche il riempirsi di polvere un qualche tipo di toccamento e di sfregamento, è verosimile che anche in questo modo da esse possano venir concepite siffatte uova sterili.

7. La fuoriuscita dell'uovo

In ambedue i primi passi tratti da Aristotele - e che tra poco vedremo - Aldrovandi non si permette di contestare l'autorità del Maestro greco. Era invece il caso che si recasse in un pollaio, nel suo pollaio. Se proprio non voleva dedicarsi a un'esplorazione cloaco-vaginale come da bambino ha fatto qualcuno di noi per poter degustare un uovo appena deposto, Aldrovandi poteva perlomeno tallonare una gallina e aspettare che si sgravasse.

Tra poco potremo inoltre dedurre che Aldrovandi non era molto avvezzo al pollaio in quanto si rifugia dietro all'espressione diapedesi uterina per giustificare un guscio imbrattato di sangue – essendo la diapedesi un’effusione, una trasudazione -, senza addurre altri possibili cause. Si vede che non gli capitò mai, come invece accadde al sottoscritto, di dover suturare l'orifizio cloacale lacerato e sanguinante di una gallina che aveva appena deposto, la quale, nonostante il trattamento antibiotico per via generale, finì di morire per un ascesso quasi inevitabile insorto in sede di sutura.

Ubi perfectum est [ovum], absolvitur, atque exit putamine, dum paritur, molli, sed protinus durescente, quibuscunque emergit portionibus, nisi vitio vulvae defecerit.

Quando è ultimato, l’uovo viene liberato, e mentre viene partorito se ne esce con il guscio molle, ma che subito si indurisce, e se ne esce con tutte le sue parti a meno che sia imperfetto a causa di una malformazione dell’utero.

Perfecto enim ovo, durum ac rigidum evadit ita modice, ut exeat adhuc molle, siquidem dolorem moveret, si ita exiret. Egressum statim refrigeratum duratur, evaporato humore quam primum, qui exiguus est, relictaque portione terrena.

Infatti, quando l’uovo è ultimato, se ne esce duro e rigido in modo così modesto da fuoriuscire quasi molle, dal momento che susciterebbe dolore se uscisse nel modo suddetto. Dopo essere uscito, venendo subito raffreddato, si indurisce in quanto subito evapora l’umore che è esiguo e rimane la parte terrosa.

Parituram sese Gallina clamore prodit, eodemque peperisse se testatur, quod si impediatur, mox tamen sibi relicta cantum absolvit: eiusmodi cantum Columella singultum appellasse videri potest, dum ait: Parituras se Gallinae testantur crebris singultibus interiecta voce acuta. Sunt qui dolere eas, cum pariunt, arbitrantur. […] Verum nunquid ob ingressum in vulvam aërem doleant, si modo verum est, quod doleant, aliis diiudicandum reli<n>quo. Profecto parere eas sine dolore ex Aristotele colligitur, dum, ut antea quoque diximus, testam membranam mollem fuisse scribat ante partum. […] Nec obstat, quod aliquando visa fuerint ova cruore suffusa, quale mihi allatum fuit ad [a.d.] XVI. Kal. Maii, domi meae natum, cuius putamen totum erat punctis, et maculis, et lineolis sanguineis cruentatum, non enim id ex uteri laesione fieri putarim, sed potius ob diapedesim, seu transudationem copiosioris sanguinis, quo venas uteri plus aequo aliquando turgere contingit.

Una gallina fa sapere schiamazzando che sta per partorire, e sempre schiamazzando annuncia di aver partorito, e se lo si impedisce, non appena viene lasciata a se stessa si mette a cantare. Pare che Columella [15] abbia definito come singhiozzo questo modo di cantare quando dice: Le galline annunciano che stanno per partorire attraverso numerosi singhiozzi con l’interposizione di una voce acuta. Ci sono alcuni che ritengono che esse soffrono quando partoriscono. […] A dire il vero, lascio ad altri il compito di decidere se soffrono per entrata di aria nell’apparato genitale, se poi è vero che soffrono. Senza ombra di dubbio si può dedurre da Aristotele che esse partoriscono senza dolore dal momento che, come ho già detto prima, egli scrive che prima del parto il guscio è un involucro molle. […] E non è in contrasto il fatto che talora si siano viste uova soffuse di sangue, come quello nato nella mia tenuta che mi fu portato il XVI giorno prima delle Calende di Maggio[il 16 Aprile], il cui guscio era tutto imbrattato di sangue sotto forma di punti, macchie e piccole striature, e non sarei dell'avviso che ciò si verifica per una lesione dell’utero, ma piuttosto a causa della diapedesi, ossia della trasudazione di una certa quantità sangue, a causa del quale talora accade che le vene dell’utero si inturgidiscano più del normale.

Ma c’è dell’altro. Dai tempi di Aldrovandi in poi l’etologia del pollo può essere andata incontro a metamorfosi. Penso di no, altrimenti ci sarebbe stoffa per ingaggiare una tediosa dissertazione qualora accettassimo che ai tempi di Ulisse le galline rompevano i timpani prima di deporre l’uovo.

Oggi le cose stanno in questi termini: le galline più vip hanno la ventura di andare a esplorare col gallo dove deporre l’uovo, lo decidono insieme e lo fanno in assoluto silenzio. La gallina si accovaccia e spesso il gallo monta di guardia finché la consorte si è sgravata.

La gallina può dare il segnale di voler deporre emettendo dei periodici co-co-co che hanno un volume del tutto sommesso anche se di tonalità tendente all’acuto, ed emette i suoi co-co-co mentre gironzola come assorta, quasi fingendo di cercare qualcosa.

Dopo aver deposto, la gallina si sofferma a coccolare il frutto del parto e poi esce dal nido cominciando a cantare a squarciagola, facendo un gran clamore - o un gran casino che dir si voglia – imitata spesso dalle altre galline che in quel momento stanno vagabondando. Ma, ciò che rompe effettivamente i timpani, è quando anche la schiera dei galli si unisce al coro delle femmine, cantando però come una gallina che ha deposto, e un gallo che canta da gallina è mille volte più petulante e indisponente perché non ha la voce adatta per farlo. È come quando Luciano Pavarotti vuole cantare dei brani che solo il Reuccio, solo Claudio Villa poteva elargire senza tema di sgarrare.

D’estate, con le finestre aperte, sono stato costretto parecchie volte a cercare di zittire questo assordante coro lanciando in frutteto caraffate di acqua, che tuttavia ottengono solo una momentanea interruzione del clamore, essendoci sempre un ultimo gallo che emette un’ultima vociata femminea, subito ripresa dal coro unanime che pare posseduto da un ciclo periodico coatto, come quello di certi cani che non riescono a smettere di abbaiare, un ciclo reiterantesi e automantenentesi.

Finché pian piano, e in tempi variabili, il tutto va spegnendosi. Questo reiterarsi ciclico e coatto del canto è correttamente messo in evidenza da Ulisse quando afferma: “…e sempre gridando testimonia di aver partorito, e se lo si impedisce, non appena venga lasciata a se stessa, si mette subito a cantare.”

Se io fossi un corvo mi precipiterei a cogliere il frutto di un sì elaborato parto, e il corvo è tanto intelligente che lo farebbe se potesse individuare il nido, essendo ormai capace di rubare persino i soldi appena partoriti da un bancomat.

Infatti, non ho mai capito perché la gallina annunci a tutto il mondo che è nato un futuro pulcino e un prelibato boccone, del tutto dimentica che i predatori sono sempre in agguato e contravvenendo quasi stupidamente a tutte le regole del mimetismo.

Non si tratta di un canto di dolore, bensì di gioia, e probabilmente la gallina deve avvertire un gran sollievo dopo essersi sgravata, un punto questo su cui Ulisse non si sbilancia. Un corpo estraneo in cloaca - fatte le debite eccezioni - non fa piacere neppure agli esseri umani. Inoltre, se le espressioni esprimono qualcosa come è loro dovere esprimere, la defecazione viene spesso eufemizzata in beneficio di corpo.

Non dimentichiamo poi il fatto che in vagina, dove l’uovo soggiorna pochissimo, si verifica una rivoluzione, ovviamente nel puro senso etimologico del termine: l’uovo, che era andato scendendo col polo acuto quasi fosse uno spartineve, giunto in vagina si rigira in modo tale da uscire dalla cloaca col polo ottuso. Per la gallina una siffatta rivoluzione potrebbe magari risultare in qualche modo piacevole come la suzione del capezzolo da parte del neonato, ma la distensione orizzontale della vagina da parte dell’uovo è alquanto rapida e improvvisa e non passa senz’altro inavvertita alla partoriente.

Ovviamente solo una gallina transgenica del quarto millennio ci direbbe come stanno le cose, sia durante che dopo il parto e perché canta, ponendo fine a queste nostre insulse elucubrazioni in cui manca la voce della prima attrice. I palmipedi schiamazzano, e schiamazzano parecchio. Ma non ho mai colto un’anatra o un’oca in flagrante schiamazzo sia prima che appena dopo aver deposto: loro partoriscono in silenzio e c’è da presumere che le sensazioni da cui vengono pervase durante lo sgravamento non siano molto dissimili da quelle della gallina. Aspettiamo quindi anche il palmipede transgenico.

Ciò che è certo, ammesso che il Gallo rosso della giungla sia il principale progenitore del pollo domestico, è che un Gallo della giungla puro, oggi sempre più raro, è un essere estremamente silenzioso, come sottolinea ancora una volta Khin May Nyunt, tanto da non sbraitare affatto e tanto da non sbattere assolutamente le ali in modo osceno come invece fanno i nostri polli quando vengono maneggiati. E la sua consorte adotta la silenziosità anche dopo aver deposto l’uovo.

E stando alle affermazioni di Ludo Pinceel (2001) non solo la femmina di Gallus gallus non si sgola nell’annunciare al mondo intero il gaudium magnum della nuova nascita: si comporta così anche la femmina del Sonnerat che lui alleva. Anche Nicholas Collias (2001) mi ha affermato di non aver mai udito una femmina di Gallus gallus cantare dopo aver deposto l’uovo.

Eppure, ciò che accade e che viene percepito nell’ultimo tratto dell’apparato genitale, è identico nei palmipedi, nelle galline della giungla, nella gallina domestica. Potrebbe quindi trattarsi, nell’ultimo caso, di un tratto comportamentale che si è evoluto per motivi che la gallina transgenica ci riferirà. A mio parere le nostre galline non gridano di dolore, altrimenti lo farebbero anche gli altri pennuti appena citati.

Comunque: Aldrovandi non ha mai avuto un pollaio, oppure il pollaio ce l’aveva ma molto distante da casa, oppure ai suoi tempi le galline facevano casino sia prima che dopo aver deposto l’uovo. Soprattutto Aldrovandi, poiché privo di esperienza diretta, non ha meditato sulle parole di Columella, che danno ragione al sottoscritto.

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[1] Guillaume Rondelet: medico e naturalista francese (Montpellier 1507 - Réalmont 1566). Professore di medicina nell'Università di Montpellier, si specializzò nel campo dell'anatomia. È ricordato soprattutto per i suoi studi sugli organismi acquatici, pesci e invertebrati, e fu tra i primi a esporli in opere a carattere monografico. Tra queste merita di essere ricordata De piscibus marinis (1554), nella quale sono illustrate con ottime xilografie moltissime specie di pesci e di invertebrati di mare e di acqua dolce.

[2] Paolo Giovio: storico e vescovo (Como 1483 - Firenze 1552). Compiuti gli studi di medicina a Pavia e a Padova, dal 1516 si stabilì a Roma protetto da Leone X che lo nominò professore in quell'università, e da Clemente VII di cui era medico personale e che nel 1528 lo fece vescovo di Nocera; nel 1548, reputandosi trascurato da Paolo III, si trasferì a Firenze, alla corte di Cosimo I de' Medici.

[3] I Dipnosofisti, o I Sofisti a banchetto, è un’opera di Ateneo di Nàucrati, erudito greco del II-III secolo dC del quale conosciamo solo quanto ci dice egli stesso incidentalmente nella sua opera: nacque a Nàucrati, in Egitto, e fu a Roma ai tempi dell'imperatore Commodo al quale sopravvisse però di parecchi anni. Ecco la trama dell'opera: durante un convito offerto da un ricco pontefice romano in occasione delle feste Parilie, numerosi dotti greci (letterati, filosofi, medici, giuristi) prendono spunto dalle vivande per dissertare sui più svariati argomenti. L'opera, di pura compilazione, s'inserisce nella tradizione erudita di età alessandrina. Prolissa e praticamente illeggibile, ha peraltro un valore inestimabile per la lessicografia oltre che per le notizie e i frammenti di autori e di opere perdute, soprattutto della commedia greca.

Alessandro di Mindo o Alessandro Cornelio - Alessandro, grammatico greco, soprannominato Polìstore o Poliìstore per la sua grande erudizione, nacque a Mileto oppure a Mindo in Caria (Asia Minore) e fiorì intorno al 70 aC. Fu fatto prigioniero da Silla (Lucius Cornelius Sulla) quando aveva liberato la Paflagonia (92 aC) e fu condotto come schiavo di guerra a Roma, venne poi liberato da Silla o forse da Cornelius Lentulus (assumendo il nome di uno dei due personaggi), divenne cittadino romano ed ebbe la possibilità di usufruire di larghi sussidi bibliografici, eccellendo come autore di numerosissime compilazioni, soprattutto di argomento storico e geografico. Le sue opere (delle quali quasi nulla è rimasto) furono comoda fonte di erudizione per un gran numero di storici ed esercitarono un certo influsso sull'annalistica romana. Dei frammenti superstiti (Müller, Fragmenta Historicorum Graecorum, iii.) sono importanti quelli relativi agli Ebrei, in quanto contengono citazioni tratte da autori ebrei andati perduti.

[4] Oppiano di Apamea: poeta di Apamea sull’Oronte, in Siria, del III secolo dC. Compose Cynegetica (La caccia), poema in 4 libri in esametri che ha per tema la caccia, dedicato all'imperatore Caracalla dal quale ricevette una moneta d'oro per ogni verso, e Ixeutica (Caccia col vischio) sull’uccellagione. La citazione di Aldrovandi è tratta da Ixeutica.

[5] E dagli con l’uccello! Leda se la spassava con un cigno e Venere con un’aquila. Marte o Ares era figlio di Era e di Zeus; era il dio della guerra amato da Afrodite che con lui tradì Efesto e da cui ebbe i figli Armonia, Phobos (la Paura), Deimos (il Terrore), e forse anche Eros e Anteros. Per assicurare l’intimità dei suoi incontri con la dea della bellezza, Ares aveva messo di sentinella il giovane Alettrione perché avvertisse i due amanti del sopraggiungere del giorno. Ma un bel dì il guardiano si addormentò e il dio, infuriato, lo mutò in gallo con il compito di annunciare a gran voce la nascita del giorno. Il povero Alettrione forse era un predestinato! Infatti in greco il suo nome significava già gallo ancor prima che lo diventasse.

[6] Plutarco: storico greco (Cheronea, Beozia, ca. 46 - ca. 125). Di agiata famiglia borghese, studiò ad Atene. Fu più tardi a Roma dove ebbe molti amici e dove venne nominato da Adriano procuratore dell'Acaia. Ma la sua vita passò soprattutto nella cittadina natale, tra gli studi e i doveri sacerdotali nel non lontano santuario di Delfi. Un catalogo dei suoi scritti, detto di Lampria, elenca 277 opere che si dividono in due gruppi: gli Scritti morali e le Vite parallele. Aldrovandi si riferisce agli Scritti morali.

[7] Per l’allucinante sceneggiata biblica relativa a Onan & company si veda il II volume XXII-6.6.

[8] Teofrasto: filosofo greco (Ereso, isola di Lesbo, ca. 370 - Atene ca. 285 aC). Nato da ricca famiglia, dapprima seguì qualche lezione di Platone ad Atene, ma poi si unì ad Aristotele e ne divenne il più stretto discepolo, fino a sostituirlo come capo della scuola peripatetica.

[9] Aldrovandi ha praticato qualche piccolo taglio assolutamente non esiziale al testo del Rerum rusticarum III,9 di Varrone che suona così: “Gallos salaces qui animadvertunt, si sunt lacertosi, rubenti crista, rostro brevi pleno acuto, oculis ravis aut nigris, palea rubra subalbicanti, collo vario aut aureolo, feminibus pilosis, cruribus brevibus, unguibus longis, caudis magnis, frequentibus pinnis;[...]”

[10] Vedi Vol. I, VIII, lettura 2, dove sono contenuti anche alcuni dati biografici dell’ingegnoso partenopeo.

[11] Ecco il relativo testo di Plinio X,160: “Et ipsae autem inter se, si mas non sit, feminae aeque saliunt pariuntque ova inrita, ex quibus nihil gignitur, quae hypenemia Graeci vocant.” Delle cavalle ne parla in VIII,166: “Constat in Lusitania circa Olisiponem oppidum et Tagum amnem equas favonio flante obversas animalem concipere spiritum, idque partum fieri et gigni pernicissimum ita, sed triennium vitae non excedere.”

[12] Secondo l’edizione del De re rustica della UTET, la frase completa di Varrone contenuta in II,1 è la seguente: “In fetura res incredibilis est in Hispania, sed est vera, quod in Lusitania ad oceanum in ea regione, ubi est oppidum Olisipo, monte Tagro quaedam e vento concipiunt certo tempore equae, ut hic gallinae quoque solent, quarum ova hypenemia appellant.” Olisipo, Olisippo, Olisippona, Ulisippo, altro non sono che le diverse grafie latine dell’attuale Lisbona, un tempo colonia fenicia col nome di Alis Ubbo – cioè baia amena – e dal 205 aC insediamento romano. Il Mons Tagrus potrebbe corrispondere all’odierno Montemor: una collina alta 356,72 metri.

[13] Plinio X,166: “Inrita ova, quae hypenemia diximus, aut mutua feminae inter se libidinis imaginatione concipiunt aut pulvere, nec columbae tantum, sed et gallinae, perdices, pavones, anseres, chenalopeces. Sunt autem sterilia et minora ac minus iucundi saporis et magis umida. Quidam et vento putant ea generari, qua de causa etiam zephyria appellant. Urina autem vere tantum fiunt incubatione derelicta, quae alii cynosura dixere.”

[14] Guillaume Budé - Budaeus in latino - nacque a Parigi nel 1467. Cominciò a dedicarsi agli studi con un certo ritardo, ma quando prese il via giudicava inutile il tempo da dedicare al cibo e al sonno, tanto che il giorno delle nozze si ritagliò uno spazio di 3 ore per dedicarsi ai suoi libri. Ciò che coltivò con assiduità maggiore fu la lingua greca e pare essere stato il primo a dissodare la materia spinosa delle monete e delle misure dell’antichità. Morì il 23 agosto 1540.

[15] Columella, De re rustica VIII,5: “Adsiduus autem debet esse custos et speculari parientes, quod se facere gallinae testantur crebris singultibus interiecta voce acuta. »