Ulisse Aldrovandi
Ornithologiae tomus alter - 1600
Liber
Decimusquartus
qui
est
de Pulveratricibus Domesticis
Libro
XIV
che tratta
delle domestiche amanti della polvere
trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti
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Qui
rem altius repetunt, quam oportet, notantur hoc versu Horatiano[1].
Nec gemino bellum Troianum orditur ab ovo. Ἐξ ὠοῦ
ἐξῆλθεν, ex
ovo {prodidit}[2] <prodiit>: aiunt
dici solitum de magnopere formosis, ac nitidis, quasi neges communi
hominum more natos, sed ex ovo more Castoris, et Pollucis. Siquidem est
in poetarum fabulis, Ledam {Tyndaris[3]
<Tyndari>} <Thestii> filiam ex Iovis concubitu duo peperisse
ova, e quorum altero prodiere gemini Castor, et Pollux insigni forma
iuvenes: ex altero nata est Helena, cuius species literis omnium est
nobilitata. Ovo prognatus eodem: hoc fortassis simpliciter dictum <est>
ab Horatio.[4]
Quandoquidem ad fabulam quoque respicit Ledae, quae gravida ex Iove in
Cycnum conversum ovum peperit, unde gemini prognati, et Castor, et
Pollux, ut diximus. Hoc vero
ovum Pausanias[5]
refert ostendi apud Lacedaemonios suspensum taeniis a testudine templi. |
Coloro
che risalgono a una cosa partendo da più lontano di quanto è
necessario vengono bollati con questo verso di Orazio:
Né si incomincia a parlare della guerra di Troia partendo
dall’uovo gemellare - quello con due tuorli da cui nacque Elena. Ex
øoû exêlthen, È uscito da un uovo: dicono che viene
abitualmente detto di giovani molto belli e attraenti, come se tu
negassi che sono nati nel modo abituale per gli esseri umani, bensì da
un uovo come Castore e
Polluce. Dal momento che nelle favole dei
poeti si trova il fatto che Leda, figlia di Testio - moglie di Tindaro,
da un rapporto sessuale avuto con Giove partorì due uova, da uno dei
quali nacquero i gemelli Castore e Polluce, dei ragazzi dalla bellezza
spettacolare: dall’altro uovo nacque Elena, il cui aspetto è stato
decantato dalle opere letterarie di tutti. Nato dallo stesso uovo:
questo proverbio forse è stato detto solo da Orazio. Dal momento che
riguarda anche la favola relativa a Leda la quale, resa gravida da Giove che si era trasformato in
cigno, partorì un
uovo dal quale nacquero i due gemelli Castore e Polluce, come abbiamo
detto. Pausania riferisce che questo uovo viene esposto presso gli
Spartani e che è tenuto sospeso con bende dalla volta di un tempio. |
Verum
si quis hoc dictum deflectat {ad} <ab>
iisdem natos parentibus, aut ab eodem eruditos praeceptore aut ita
consimilibus ingeniis, ut eodem ovo nati videri possint, aeque fuerit
proverbiale, veluti, si dicas, Vultus, ingenium, mores, facta, ac
prorsus omnia sic huic cum hoc conveniunt, ut iures eodem prognatos ovo.
Aristoteles quidem ostendit
iuxta naturam fieri posse, ut ex eodem ovo duo pulli nascantur[6]. |
In
verità se qualcuno mutasse questo assioma in nati dagli stessi
genitori, o istruiti dallo stesso precettore, o in così
simili per carattere che si potrebbe pensare che sono nati dallo stesso
uovo, sarebbe equivalente come proverbio, come se tu dicessi: Il
volto, il carattere, il comportamento, le azioni, e insomma per tutte
quante le caratteristiche essi corrispondono talmente l’uno
all’altro che saresti pronto a giurare che sono nati dallo stesso
uovo. Infatti Aristotele dimostra che può accadere che secondo natura
da uno stesso uovo nascano due pulcini. |
Extant
apud authores aliquot similitudinis adagia, quorum de numero est. Non
tam ovum ovo simile de
rebus indiscretae similitudinis. Hinc dicebat Tullius[7]:
Vides ne ut in proverbio sit
ovorum inter se similitudo? {Tamen
hoc accepimus Deli fuisse complures, qui Gallinas alere quaestus causa
solerent: ovum cum inspexerant, quae id Gallina peperisset, discernere
novisse.} <Tamen hoc accepimus, Deli fuisse complures salvis rebus
illis, qui gallinas alere permultas quaestus causa solerent: ei cum ovum
inspexerant, quae id gallina peperisset dicere solebant.> Idem
proverbium refertur a F. Quintiliano. Usurpatur, et a Seneca[8]
in libello, quem in Claudium Imperatorem lusit. Ovorum vero inter se
miram, ac prope indiscretam similitudinem saepenumero apud animum meum
non sine stupore perpendi. Alium enim alii si compares, fallitur examen,
hebescitque intuentis obtutus: tanta prorsus parilitas est, tantaque
geminitudo[9].
Ὠΐου πολύ
λευκότερον, id
est, ovo multo candidius, Sappho
dixit Apud Athenaeum[10]. |
Presso
gli autori si trovano alcuni adagi relativi alla similitudine, alla
marea dei quali appartiene il seguente: Un uovo non è poi così
simile a un uovo, a proposito di cose che hanno una somiglianza
indistinguibile. Per cui Marco Tullio Cicerone diceva: Ti
rendi conto di come è proverbiale la similitudine delle uova tra loro?
Nondimeno, siamo venuti a sapere questo, che a Delo, senza danno per
quelle cose, sono stati moltissimi ad allevare abitualmente
numerosissime galline per motivi di lucro. Essi, una volta che avevano
guardato un uovo, erano soliti dire quale gallina l’avesse deposto.
Lo stesso proverbio viene riferito da Marco Fabio Quintiliano.
Viene impiegato anche da Seneca in un libello che si è dilettato a
comporre nei riguardi dell’imperatore Claudio. Numerose volte ho
valutato scrupolosamente nella mia mente non senza stupore la
sorprendente e quasi perfetta somiglianza delle uova tra loro. Infatti
se li paragoni l’uno all’altro l’ago della bilancia viene
ingannato e la vista di chi sta guardando si indebolisce: assolutamente
tanto grande è l’uguaglianza e tanto grande è la equivalenza. Øíou
polý leukóteron, cioè, Molto
più candido di un uovo, ha
detto Saffo in
Ateneo. |
FABULA. |
LEGGENDA |
Lucianus[11],
et ex eo Caelius {Rhodoginus} <Rhodiginus>[12],
iuvenem quendam nomine Alectryonem vocatum, hoc est, Gallum, Marti adeo
familiarem factum fuisse fabulantur, ut cum eo subinde commessaretur,
foretque amorum illius conscius. Sicubi ergo ad Venerem itaret Mars,
adfuisse comitem Alectryonem. Quia vero suspectum, praecipue habebat
solem, ne rem conspicatus Vulcano renunciaret, pro foribus excubare
adolescentem iussisse, ut ubi comparuisset sol, indicaret. Forte autem
evenisse, ut cum sopitus excubias proderet adolescens, fieretque
speculatio caeca, ac superveniente clam Sole, Mars Venusque complexi
deprehenderentur, in utramque quod dicitur, aurem Alectryonis fiducia
decumbentes. Factum itaque certiorem Vulcanum catenis praetenuibus
utrumque mox illaqueasse, irretisseque[13],
quas ad eum usum diu antea erat commolitus: sed emissum denique e
vinculis eiusmodi Martem, in Alectryonem prorsus factum commotiorem, nec
prius iram deferbuisse, quam in eius nominis avem deformasset male fidum,
custodem, atque ita ut crista videretur celsus, sicuti cum hominem
ageret, galeam gestaret. |
Luciano,
e Lodovico Ricchieri desumendola da lui, raccontano la favola di un
certo giovane detto Alettrione di nome, cioè Gallo, il quale era
diventato talmente amico di Marte da diventare subito suo commensale e
al corrente dei suoi intrallazzi amorosi. Pertanto, siccome Marte si
recava spesso da Venere, Alettrione doveva fare da accompagnatore.
Poiché Marte aveva soprattutto il sospetto che il Sole, se si fosse
accorto della cosa, la riferisse a Vulcano, ordinò al giovane di
montare di guardia davanti all’ingresso, affinché appena il Sole
fosse comparso lo rendesse noto. Ma per caso avvenne che, siccome il
giovane che si era addormentato era venuto meno al suo servizio di
guardia e la sorveglianza era diventata cieca, e che con l’arrivo del
Sole a loro insaputa Marte e Venere furono colti abbracciati, in quanto
si dice che essi se ne stavano a letto confidando su ambedue le orecchie
di Alettrione. Vulcano, diventato ancora più certo, in seguito
intrappolò e irretì tutti e due con delle catene molto sottili che in
precedenza aveva a lungo rielaborato a tale scopo: ma infine quando
Marte venne liberato da tali catene divenne proprio alquanto irritato
nei confronti di Alettrione, e non fece sbollire la sua ira prima di
aver trasformato in un volatile con il suo nome il mal fidato guardiano,
e in modo tale che sembrasse fiero della sua cresta così come quando
viveva da uomo ostentava il cimiero. |
Atque
hinc Gallos ex antiqui admissi memoria, ut se Deo expurgent, illatique
damni formula satisfaciant, morem perpetuo servare diu ante ut
praecinant, ubi mox oriturum praesenserint solem: unde Ausonius[14] Ter
clara instantis Eoi Signa
canit serus, deprenso Marte, satelles. |
E
per questo i galli, per scusarsi presso Dio del ricordo dell’antico
misfatto, e per scontare la pena sul modello del danno arrecato, per
sempre debbono osservare l’usanza di cantare molto tempo prima, non
appena hanno avuto il presentimento che il sole sta per sorgere: per cui
Ausonio: Dopo
che Marte è stato scoperto, la tonta guardia del corpo canta tre volte
gli squillanti segnali dell’Aurora che incalza. |
APOLOGI. |
FAVOLE |
Canis et Gallus - Canis, et Gallus inita societate iter faciebant,
vespere autem superveniente, Gallus conscensa arbore dormiebat, at canis
ad radicem arboris excavatae. Cum Gallus, ut assolet, noctu cantasset,
vulpes, ut audivit, accurrit, et stans inferius, ut ad se descenderet
rogabat, quod cuperet, {commendabili} <commendabile> adeo cantu
animal complecti. Cum autem is dixisset, ut ianitorem {potius}
<prius> excitaret ad radicem dormientem, ut cum ille aperuisset,
descenderet. Et illa quaerente, ut ipsum vocaret, canis statim
prosiliens, eam dilaceravit. <Affabulatio.> Fabula significat prudentes
homines {inimico} <inimicos> insultantes ad fortiores astu mittere.
<Aesopus.> |
Il cane e il gallo - Un cane e un gallo, alleatisi tra loro, viaggiavano insieme, e al sopraggiungere della sera il gallo dormiva su un albero su cui era salito, ma il cane presso la radice di un albero dal tronco vuoto. Siccome il gallo, come è suo solito, aveva cantato durante la notte, la volpe, come lo udì, si precipitò, e rimanendo in basso lo pregava che scendesse da lei, in quanto bramava abbracciare un animale così degno di lode per il canto. Ma il gallo disse di svegliare prima il portinaio che dormiva presso la radice, affinché quando costui l'avesse concesso lui sarebbe sceso. E mentre lei chiedeva che lui stesso lo chiamasse, il cane, alzandosi improvvisamente la sbranò. Morale. La favola significa che le persone assennate quando insultano dei nemici, incaricano coloro che sono più forti ricorrendo a uno stratagemma. Esopo. |
[1] Ars poetica 146-147: Nec reditum Diomedis ab interitu Meleagri, | nec gemino bellum Troianum orditur ab ovo; [...].
[2] L'errore viene ripetuto 2 volte: nel testo e nella nota a bordo pagina. § Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 457: Ex ovo prodiit, Ἐξ ὠοῦ ἐξῆλθεν, aiunt dici solitum de magnopere formosis ac nitidis: quasi neges communi hominum more natus, sed ex ovo, more Castoris et Pollucis.
[3] Gli errori passano di mano in mano come le caramelle, o, per essere più à la page, come uno spinello. La fonte dell’errore secondo cui Leda era figlia di Tindaro, e non sua moglie, e neppure figlia di Testio, è rappresentata come al solito da Erasmo da Rotterdam, da cui ghermisce l’errore sic et simpliciter Conrad Gessner. Poi Aldrovandi lo fa suo, cercando di propinarcelo, aggiungendo però un Tyndaris che in Gessner suona correttamente Tyndari. - Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 457: Siquidem est in poetarum fabulis Ledam Tyndari filiam, ex Iovis concubitu duo peperisse ova, e quorum altero prodiere gemini Castor et Pollux, insigni forma iuvenes: ex altero nata est Helena, cuius forma literis omnium est nobilitata, Erasmus.
[4]
Satirae 2,1,26: Castor gaudet equis, ovo prognatus eodem. §
Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 457: Ovo prognatus
eodem. Hoc fortassis simpliciter dictum est ab Horatio.
[5]
Description of Greece
III, Laconia, 16,1: Near is a sanctuary of Hilaeira and of Phoebe. The
author of the poem Cypria calls them daughters of Apollo. Their
priestesses are young maidens, called, as are also the goddesses,
Leucippides (Daughter of Leucippus). One of the images was adorned by a
Leucippis who had served the goddesses as a priestess. She gave it a face of
modern workmanship instead of the old one; she was forbidden by a dream to
adorn the other one as well. Here there his been hung from the roof an egg
tied to ribands, and they say that it is the famous egg that legend says
Leda brought forth. (Description of Greece with an English
Translation by W.H.S. Jones, London, William Heinemann Ltd., 1918)
[6] Aldrovandi ne ha già trattato ampiamente a pagina 194.
[7] Già citato a pagina 232. Academica II 57: Videsne ut in proverbio sit ovorum inter se similitudo? Tamen hoc accepimus, Deli fuisse complures salvis rebus illis, qui gallinas alere permultas quaestus causa solerent: ei cum ovum inspexerant, quae id gallina peperisset dicere solebant.
[8] Apocolocyntosis 11: Ego pro sententia mea hoc censeo:" atque ita ex tabella recitavit: "quandoquidem divus Claudius occidit socerum suum Appium Silanum, generos duos Magnum Pompeium et L. Silanum, socerum filiae suae Crassum Frugi, hominem tam similem sibi quam ovo ovum, Scriboniam socrum filiae suae, uxorem suam Messalinam et ceteros quorum numerus iniri non potuit, placet mihi in eum severe animadverti, nec illi rerum iudicandarum vacationem dari, eumque quam primum exportari, et caelo intra triginta dies excedere, Olympo intra diem tertium."
[9] Chi ha scritto questa
frase non è stato Aldrovandi, bensì Lodovico Ricchieri . § Conrad
Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 457: Ovorum inter se
miram ac prope indiscretam similitudinem, saepe numero apud animum meum non
sine stupore perpendi. Alterum
enim alteri si compares, fallitur examen, hebescitque intuentis obtutus:
tanta prorsum parilitas est, tantaque geminitudo, Caelius.
[10] Deipnosophistaí II,50,57d.
[11] Il sogno ovvero il gallo - Òneiros ë alektryøn.
[12] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 404: Fabulam memorant Lucianus, et ex eo interpretatus Caelius Rhodiginus, et Aristophanis Scholiastes, et Eustathius in octavum Odysseae, et Varinus. - Raccontano questa favola Luciano e Lodovico Ricchieri che l'ha tradotta dal suo testo, e il commentatore di Aristofane, ed Eustazio di Tessalonica nel commento al libro VIII dell'Odissea, e Guarino. - Are telling this fable Lucian and Lodovico Ricchieri who translated it from his text, and the expounder of Aristophanes, and Eustathius of Thessalonica in the commentary of the 8th book of the Odyssey and Varinus.
[13] Aldrovandi ne ha già accennato a pagina 230, dove commette un madornale errore: a essere irretito era stato Vulcano e non Marte. Forse con un po’ più di attenzione, oppure con l’aiuto di un computer, non avrebbe commesso l’errore di pagina 230.
[14] Griphus ternarii numeri 2. - Versi già citati a pagina 254.