Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti - revisione di Roberto Ricciardi

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Atque ut is calor conservetur, est tunicae illi {circumdicta} <circumducta> [231] caro multa, densaque ac crassa: ut non sit mirum aves solidissima quaeque posse conficere. Cum itaque iam ita omnia devorent, naturaque ventriculum largita sit tam mirifice calidum, iure merito de edacibus, helluonibusque hominibus ac omnia sua ligurientibus natum est adagium Gallorum incusato ventrem[1], quod ex Aristophane[2] desumptum videtur: ait enim:

Mihi dixerat ventrem esse Gallinacei
Velociter enim concoquet hoc argentulum.

E, affinché questo calore venga conservato, intorno a quella tunica si trova disposta molta carne densa, e spessa: tant’è che non ci sarebbe da stupirsi che degli uccelli sono in grado di sminuzzare tutte le cose più solide. Pertanto, dal momento che in questo modo possono senz’altro divorare qualunque cosa, e che la natura ha concesso uno stomaco così straordinariamente caldo, a giusta ragione a proposito di quegli uomini che sono voraci e molto ghiotti, e che leccano tutte le loro cose, è nato il proverbio Dovrai aver da ridire della pancia dei galli, che sembra sia stato desunto da Aristofane: infatti dice:

Mi aveva detto che avevo una pancia di un gallo
Infatti digerirà in fretta questa monetina d’argento.

Ut modo partum Gallinarum promoveamus, commodumque ex iis nobis percipiamus, cibos convenientes exhibebimus, cavebimusque ne devorent, quae sterilitatem inducant. Columella[3] pro optimis cibariis praeberi scribit hordeum pinsitum, et viciam, nec non cicerculam, tum etiam milium, aut panicum: sed haec ubi {utilitas} <vilitas> annonae permittit: ubi vero ea est carior, excreta tritici minute commode dari: quod per se id frumentum, etiam quibus locis vilissimum est, non utiliter praebeatur <, quia obest avibus>. Posse etiam lolium decoctum offerri, nec minus furfures modice a farina excretos: hos vero si nihil habeant farris, non esse idoneos, nec tantum appeti <ieiunis>. Palladius[4] ova maiora parere tradidit, et saepius, si hordeum semicoctum exhibeatur. Rasis idem facti<ta>turas promittit Nasturtii seminibus tritis, cum furfure, et cum vino {subactas} <subactis>, ac in cibum oblatis. Item magna ova tibi parient Gallinae, si testam Laconicam tusam furfuribus, et vino admiscueris, et subactam Gallinis obieceris: item ad eundem effectum rubricam dissolutam cibo earum admiscebis.

Ma per dare impulso alla deposizione di uova da parte delle galline e per poterne ricavare un utile, dovremo dare dei cibi adatti, e faremo attenzione che non divorino quelle cose che sono in grado di indurre sterilità. Columella scrive che degli ottimi mangimi da dare sono l’orzo pestato e la veccia, nonché la cicerchia, quindi anche il miglio oppure il panico: ma questi due quando il basso prezzo di mercato dei cereali lo permette: ma quando è più elevato, si può benissimo dare della pula di frumento in piccola quantità: in quanto tale frumento intero, anche in quelle località in cui è a costo molto basso, non viene dato da mangiare con profitto, poiché è nocivo ai volatili. Si può anche dare del loglio cotto e inoltre della crusca poco impoverita di farina: infatti se la crusca non possiede più farina, non è adatta, e neppure viene desiderata quando sono digiuni. Palladio ha tramandato che depongono uova più grandi, e più frequentemente, se viene dato da mangiare dell’orzo semicotto. Razi garantisce che lo faranno abitualmente coi semi tritati di nasturzio impastati insieme alla crusca e al vino e offerti come cibo. Parimenti le galline ti deporranno delle uova grandi se mischierai con delle crusche e con del vino un vaso in terracotta della Laconia frantumato, e lo darai da mangiare alle galline dopo averlo impastato: parimenti, per ottenere lo stesso effetto, dovrai mescolare al loro cibo della terra rossa polverizzata.

Sunt qui parere nequeuntibus Gallinis Melanthii semen, quod vulgo gith vocatur, exhibeant. Matthiolus[5] experientia sese compertum habere asserit Gallinas, quae hyeme, quo tempore propter algoris saevitiam raro ova parere solent, cannabis semine vescuntur, numerosiore ovorum partu gaudere, et Brasavola per totam hyemem ova {a}edere testatur. Quod certe insigni privilegio fecerint, cum alioqui, teste Simeone Sethi, cannabis semen in homine genituram instar caphurae exiccet. Sunt qui furfuribus coctis tanta crassitie, quanta sumi a Gallina poterunt matura Urticae semina immiscent, et sic per hyemem incalescere, et foecundiores fieri promittunt: aliqui etiam urticas exiccant, manibus atterunt, in futuram hyemem servant, et in aqua pro illarum cibo decoquunt ob eandem scilicet causam.

Vi sono alcuni che darebbero da mangiare alle galline che non riescono a deporre le uova. il seme della nigella, che dal popolo è detto gith. Pierandrea Mattioli asserisce di aver personalmente scoperto attraverso l’esperienza che in inverno, stagione in cui di rado sono solite deporre uova a causa dei rigori del gelo, quelle galline che si cibano del seme della canapa godono di una deposizione di uova più numerosa, e Antonio Brasavola dichiara che depongono uova per tutta la durata dell’inverno. Certamente l’avranno ottenuto grazie a un singolare privilegio, dal momento che peraltro, testimone Simeon Sethi, negli esseri umani il seme della canapa prosciuga il liquido seminale come la canfora. Vi sono alcuni che mescolano i semi maturi di ortica alla crusca cotta fino a farla diventare tanto densa quanto può essere assunta da una gallina, e assicurano che in questo modo durante l’inverno si riscaldano e diventano più feconde: alcuni fanno anche seccare le ortiche, le sminuzzano con le mani, le conservano in vista dell’inverno che verrà, e le fanno cuocere bene in acqua come cibo destinato a loro, ovviamente per lo stesso motivo.

Sed Brasavola ex semine urticae idem promittit, quod alii ex cannabis semine. Aliqui item viscum decoquunt: cuius quidem pabulo foecunditatem dari cuicunque animali, Plinius alibi[6] author est. Crescentiensis gralegae, sive rutae caprariae[7] semen dicere quosdam asseverat, mirabiliter foecunditatem Gallinarum augere. Contra vinacea sterilitatem inducunt. Quae res nostras mulieres minime latet, quando prorsus cavent ne toto eo tempore, quo pariunt, ea degustent. Unde Andreas a Lacuna non parum hallucinatus videri potest, {γόνιμα} <γόνιμον>[8] quod ex vinaceis acinis cohiberi Florentinus scribit, firmitudinem vertens, cum foecunditatem transferre debebat: sed, ut videtur nominis vicinitate falsus {μόνιμα} <μόνιμον> legit.

Ma Brasavola garantisce dal seme dell’ortica la stessa cosa che altri promettono dal seme della canapa. Parimenti alcuni fanno cuocere a lungo il vischio: Plinio in un passo scrive che usandolo come cibo si può procurare la fecondità a qualsiasi animale. Pier de’ Crescenzi sostiene che alcuni affermano che il seme della galega, ossia della capraggine, aumenta in modo straordinario la fecondità delle galline. Invece le vinacce inducono la sterilità. Cosa che non è assolutamente sconosciuta alle nostre donne, dal momento che fanno di tutto per evitare che le assaggino durante tutto il periodo in cui depongono uova. Per cui Andrés de Laguna sembra aver preso un abbaglio non da poco traducendo con vigore la parola gónimon – fertile - che Florentino scrive venir bloccato dagli acini delle vinacce, mentre doveva tradurre con fecondità: ma, a quanto pare, deve aver letto mónimon – stabile - in quanto tratto in inganno dalla rassomiglianza del vocabolo.

Vetus item hactenus opinio inolevit fabarum esum Gallinis sterilitatem conciliare: inde, ut apparet, nata, quod Theophrastus[9] earum putamina radicibus arborum apposita vitam penitus tollere scripserit: etsi interim nullam Gallinarum mentionem faciat, tantum abest, ut earum esum illis interdicat ut postmodum Clemens[10]<,> Apollonius[11], Avicenna, multique recentiores fecerunt. Cum vero fabas inflare nulli non notum sit, et inflantia omnia venerem ciere, plane videre nequeo, cur ob dictam causam Gallinae earum esu abstinere debeant. Quare etiam eorum sententiam probare minime possum qui Pythagoreos tradunt fabarum esum vetasse, quoniam comesae mulieres infoecundas reddant[12]. Quinim<m>o contra Plutarchus[13] aliam causam affert, cur Pythagoras a fabis abstineri voluerit, nempe quod omnia legumina spiritum, et humorem impurum ingenerent in corporibus atque hanc ob causam ad venerem incitent. In eadem sententia Cicero[14] fuisse videtur, cum scribit ad hunc modum. Iubet igitur Plato sic ad somnum proficisci corporibus affectis, ut nihil sit, quod errorem animis perturbationemque adferat. Ex quo etiam Pythagor{a}eis interdictum putatur, ne faba vescerentur, quod habe{a}t inflationem magnam {in cibis} <is cibus>, tranquillitati mentis qu<a>erenti vera contrariam.

Parimenti un’antica credenza che si è mantenuta fino ai nostri giorni ha inculcato la convinzione che il mangiare le fave causa sterilità alle galline: a quanto sembra nata dal fatto che Teofrasto avrebbe scritto che i loro baccelli collocati alle radici degli alberi tolgono completamente la vita: anche se nel contempo non fa alcuna menzione delle galline, è così lontano dal proibire loro di mangiarle, come hanno successivamente fatto Tito Flavio Clemente, Apollonio Discolo, Avicenna e molti autori più recenti. Ma dal momento che è noto a chiunque che le fave danno gonfiore, e che tutte le cose che danno gonfiore stimolano la sessualità, non riesco assolutamente a rendermi conto perché per tale motivo le galline debbano astenersi dal mangiarle. Anche per questo motivo non posso assolutamente trovarmi d’accordo con l’opinione di coloro che tramandano che i seguaci di Pitagora avevano vietato di mangiare le fave, in quanto una volta mangiate rendono infeconde le donne. Anzi, Plutarco riferisce invece un altro motivo per cui Pitagora avrebbe voluto che ci si astenesse dalle fave, e cioè in quanto tutti i legumi producono all’interno del corpo uno spirito e un umore impuro - il favismo - e che per questo motivo istigherebbero ai rapporti sessuali. Sembra che Cicerone sia stato dello stesso avviso, quando scrive nel modo seguente: Pertanto Platone consiglia di andare a dormire con il corpo preparato in modo tale che non ci sia nulla che sia in grado di recare all’animo irrequietezza e turbamento. Anche per questo motivo si ritiene che ai seguaci di Pitagora fosse stato vietato di mangiare fave, in quanto questo cibo procura una grande flatulenza, dannosa alla tranquillità della mente per colui che va alla ricerca delle verità.

Hieronymus {Merculiaris} <Mercurialis>[15] denique medicus nostri aevi longe celeberrimus, mihique amicissimus non tantum in eadem mecum opinione est, sed de Theophrasti verbis etiam dubitare videtur, et revera nostri agricolae ut uberiorem segetem faciant, fabam prius seminant, quod pinguedinem quandam in terra relinquere noscant, unde subsequenti anno frumenti copiam maiorem colligant, tantum abest, ut sterilitatem agris inferre existiment. An vero earum cortices, ut vult Theophrastus, arbores extinguant, an non, compertum minime habeo et penes illum fidem eius relinquo. Esset vero super hac re diligens, prudensque agricola consulendus. Ego itaque fabas Gallinis minime interdixerim, sed potius laudaverim. Nam et {Bavatos} <Batavos> audio apud quos fabae vilis annona est, Columbis dare, ut ad venerem alacriores reddantur, et per consequens citius pariant.

Infine Girolamo Mercuriale, medico molto ma molto celebre dei nostri tempi e mio grande amico, non solo è della mia stessa opinione, ma sembra che dubiti anche delle parole di Teofrasto, e in verità i nostri agricoltori, al fine di rendere il terreno più fertile, prima seminano la fava, in quanto sono a conoscenza del fatto che lascia nella terra come una sostanza grassa per cui l’anno successivo raccolgono una maggior quantità di frumento, per cui non pensano assolutamente che causi una sterilità ai campi. Ma non ho assolutamente potuto accertare se, come pretende Teofrasto, i loro baccelli facciano morire gli alberi oppure no e lascio a lui la sua convinzione. Ma su questo argomento bisognerebbe consultare un agricoltore preciso e assennato. Pertanto io non proibirei assolutamente le fave alle galline, ma piuttosto le approverei. Infatti sento dire che anche gli Olandesi, presso i quali le fave sono delle derrate alimentari di scarso valore economico, le danno ai colombi affinché diventino sessualmente più attivi, e di conseguenza depongano più in fretta.


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[1] Aldrovandi, da buon prestigiatore, manipola il proverbio di Erasmo, per cui da Gallorum incusare ventres crea un Gallorum incusato ventrem, e lo fa passare come suo, tralasciando di citare la fonte. Ben diversamente si è comportato Gessner nel riportare tutta la sfilza di proverbi desunti da Erasmo. Se a qualcuno desse fastidio questa mia ennesima filippica contro Aldrovandi, la riprova sta nel fatto che Mihi dixerat ventrem esse Gallinacei | Velociter enim concoquet hoc argentulum corrisponde al 100% con quanto scritto da Erasmo. - Nell'edizione degli Adagia di Erasmo del 1550 (Lugduni, apud Sebastianum Gryphium) questo proverbio corrisponde a II,10,97 (Chiliadis II Centuria X – XCVII).

[2] Dalla commedia composta nel 422 aC: Σφῆκες - Le vespe, 794-95. Ecco il relativo testo completo. È Filocleone che parla: Ἀλεκτρυόνος μ'ἔφασκε κοιλίαν ἔχειν, | "Ταχύ γοῦν καθέψεις τἀργύριον", ἦ δ'ὃς λἑγων.

[3] De re rustica VIII,4,1: Cibaria gallinis praebentur optima pinsitum hordeum et vicia, nec minus cicercula, tum etiam milium aut panicum. Sed haec ubi vilitas annonae permittit; ubi vero ea est carior, excreta tritici minuta commode dantur. Nam per se id frumentum, etiam quibus locis vilissimum est, non utiliter praebetur, quia obest avibus. Potest etiam lolium decoctum obici, nec minus furfures modice a farina excreti, qui si nihil habent farris, non sunt idonei, nec tamen appetuntur ieiunis. § È assai verosimile che Aldrovandi abbia dedotto minute dal testo di Gessner (Historia animalium III, 1555, pag. 432): ubi vero ea est carior, excreta tritici minute commode dantur. nam per se id frumentum, etiam quibus locis utilissimum est, non utiliter praebetur, quia obest avibus. Oppure Aldrovandi ha dedotto il testo di Columella dalla stessa fonte utilizzata da Gessner. Sta di fatto che, se si usa l'avverbio minute associato a quia obest avibus, questo minute lo si traduce benissimo con "in piccola quantità", visto che nuoce ai polli. Invece Aldrovandi omette quia obest avibus, per cui bisognerebbe emendare con minuta. Ma vale la pena emendare aggiungendo quia obest avibus di Columella (e di Gessner) e lasciare inalterato minute.

[4] Opus agriculturae I, XXVII De gallinis, 1: Hordeo semicocto et parere saepe coguntur et reddunt ova maiora. Duobus cyathis hordei bene pascitur una gallina, quae circuit.

[5] Commentari a Dioscoride III, 148. (Aldrovandi)

[6] Plinio, parlando del visco: NH XVI,251: Fecunditatem eo poto dari cuicumque animalium sterili arbitrantur, contra venena esse omnia remedio. Tanta gentium in rebus frivolis plerumque religio est. - XXIV,12:  Quidam et galbanum adiciunt pari pondere singulorum eoque modo et ad vulnera utuntur. unguium scabritias expolit, si septenis diebus illinantur nitroque conluantur. quidam id religione efficacius fieri putant prima luna collectum e robore sine ferro, si terram non attigerit; comitialibus mederi, conceptum feminarum adiuvare, si omnino secum habeant; ulcera commanducato inpositoque efficacissime sanari.

[7] La citazione non è tratta direttamente da Pier de' Crescenzi, bensì da quella fonte inesauribile rappresentata da Conrad Gessner Historia animalium III (1555) pag. 426: Gralegae (Rutae caprariae) semen dicunt mirabiliter foecunditatem gallinarum augere, Crescentiensis. – La dimostrazione che la fonte è Gessner è rappresentata dalla sinonimia fra galega – o gralega – e ruta capraria reperibile nelle opere botaniche dello zurighese. – Gessner deve aver tratto il testo di de' Crescenzi da un'edizione latina di Ruralium commodorum libri XII e magari da quella edita a Basilea nel 1548 che va sotto il nome di De omnibus agriculturae partibus et de plantarum et animalium generibus. Infatti nell'edizione del 1490 della traduzione italiana di Ruralia commoda non ricorre la voce singola Gralega come invece avviene nell'edizione latina del 1548, perlomeno nel libro VI dedicato alle erbe. – Ecco il testo di de' Crescenzi: Gralega dicitur impinguare terram si viridis vertatur in eam. Itidem dicitur quod eius semen mirabiliter facit ovare gallinas. (liber VI, pag. 216 De omnibus agriculturae partibus et de plantarum et animalium generibus, 1548)

[8] Il download è verosimilmente avvenuto da Conrad Gessner in Historia Animalium III (1555), pag. 432: Maxime observandum ne vinaceos acinos vorent, ut qui foecunditatem (Andreas a Lacuna vertit firmitudinem. legit enim {μόνιμα} <μόνιμον> non {γόνιμα} <γόνιμον>, quod non probo) earum cohibeant, Florentinus.- Si emenda in base a Geoponica sive Cassiani Bassi Scholastici De re rustica eclogae – recensuit Henricus Beckh (Teubner, 1994) – 14,7,4: Ὅταν δὲ ὠοτοκῶσι, παρατηρεῖν μάλιστα χρή, ὅπως μὴ γίγαρτα φάγωσι. τὸ γὰρ γόνιμον αὐτῶν ἐπέχει. Oltretutto Gessner nel suo Lexicon graecolatinum (1537) γόνιμος solo come sostantivo maschile e non come aggettivo, anche se poi, incomprensibilmente, lo traduce come aggettivo: Γόνιμος. ου. ὁ. fertilis, naturalis, genitalis, prolificus.

[9] De causis plantarum V,21. (Aldrovandi) – In Theophrasti Eresii opera omnia (Fridericus Wimmer – Parigi, Didot, 1866) non esiste il capitolo 21. Il libro V finisce con il capitolo 18. Come suggerito da Roberto Ricciardi, verosimilmente si tratta del libro IV,14,2: Inter legumina rubigine maxime corripitur faba, tum propter foliorum multitudunem in partibus omnibus, tum quia densa seritur, tum etiam quia propter raritatem maxime humorem attrahit, denique quia omnium maxime terrae propinquum fructum habet: maxime enim partes inferae putrescunt, quoniam minime a vento teguntur. Ac omnino legumina ejusmodi rubigini sunt obnoxia.

[10] Stromata, 3. (Aldrovandi)

[11] Historia mirabilium. (Aldrovandi)

[12] Ciò che dice Aldrovandi è vero. Infatti Pitagora diceva che mangiare le fave è lo stesso che mangiare la testa dei genitori. E Luciano, nel suo dialogo Il sogno ovvero il gallo - Òneiros ë alektryøn - fa esprimere Pitagora, reincarnatosi in un gallo, con queste parole: 5 - gallo Perché tu non conosci, Micillo, qual è la ragione di ciò, né cos’è che si conviene a ciascuna vita. Effettivamente a quel tempo io non mangiavo le fave: ero filosofo. Ora invece le mangerei, perché è un alimento buono per i volatili, a noi non interdetto. Ma, se ci tieni, allora ascolta com’è che prima ero Pitagora e adesso sono così, e quante vite passate ho già alle spalle, e cosa ci ho guadagnato da ciascuna nel loro succedersi. (traduzione di Claudio Consonni)

[13] Problemata (Aldrovandi). – Quaestiones conviviales II,3,1 635 E – VIII,8,2 729A – De Iside 352F, 359F – Moralia 286D – Aetia Romana 95,286E: Ἔστι δὲ τὰ ὄσπρια (= τοὺς κυάμους) πνευματώδη καὶ περίττωμα ποιεῖ πολλῆς καθάρσεως δεόμενον. Ἤ ὅτι καὶ πρὸς συνουσίαν παρορκᾷ διὰ τὸ φυσῶδες καὶ πνευματικὸν;

[14] De divinatione I, XXX, 62: Epicurum igitur audiemus potius? Namque Carneades concertationis studio modo ait hoc, modo illud; at ille quod sentit: sentit autem nihil umquam elegans, nihil decorum. Hunc ergo antepones Platoni et Socrati? Qui ut rationem non redderent, auctoritate tamen hos minutos philosophos vincerent. Iubet igitur Plato sic ad somnum proficisci corporibus adfectis, ut nihil sit, quod errorem animis perturbationemque adferat. Ex quo etiam Pythagoreis interdictum putatur, ne faba vescerentur, quod habet infiationem magnam is cibus tranquillitati mentis quaerenti vera contrariam.

[15] Variae lectiones IV,5. (Aldrovandi) - Edito a Venezia nel 1570 da P. e A. Meietus. (Lind, 1963)