Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

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[249] DENOMINATA.

ETIMOLOGIE

A gallo fit Gallina; a Gallina Gallinaceus: quae postrema vox vel Gallo additur ad differentiam, ut alibi[1] diximus, vel pro eo dicitur, quod ex Gallis, et Gallinis est, ut pullus Gallinaceus, ova Gallinacea Varroni[2], ᾠά ἀλεκτόρεια Synesio[3], Fel Gallinaceum Ciceroni[4], et ὀρνίθεια κρέα, Gallinaceae carnes Xenophonti[5]. A Gallo etiam Gallulo verbum est, pro pubem emitto, unde rursus Gallulasco {Naevio}[6] <Novio> pro pubesco, quod pubescentes vocem grandiorem ad Galli Gallinacei similitudinem faciant: Puerum mulieri praestare, inquit Nonius, nemo scit, quanto melior sit, cuius vox gallulascit, cuius ramus iam roborascit. Aristoteles[7] id τραγᾷν appellabat, simili nempe metaphora ab hirco, qui τράγος Graecis dicitur.

Da gallo viene gallina, da gallina viene gallinaceo: quest’ultima parola o viene aggiunta a gallo per differenziarlo, come abbiamo detto in un altro punto, oppure lo si dice per indicare qualcosa che prende origine dai galli e dalle galline, come pulcino di gallinaceo, uova di gallinaceo in Varrone, øiá alektóreia in Sinesio, fiele gallinaceo in Cicerone, e ornítheia kréa, carni di gallinacei in Senofonte. Esiste anche il verbo gallulo derivato dal gallo, che sta per mi spuntano i peli al pube – come riferito da Nonio Marcello, e a sua volta in Novio da gallulo abbiamo gallulasco che sta per sto diventando adulto, in quanto coloro che si trovano nel periodo della pubertà emettono una voce più forte a somiglianza del gallo. Nonio Marcello – riferendo parole di Novio - dice: Nessuno sa che un ragazzo è migliore di una donna, quanto sia migliore quello la cui voce diventa maschia, quello la cui verga sta prendendo vigore. Aristotele chiamava ciò tragâin - entrare nella pubertà; sfogare tutto in foglie -, evidentemente con una metafora simile derivata dal caprone, che dai Greci viene detto trágos.

Gallare item verbum, quod, Nonio teste, Varroni<s> {Eudaemonibus} <Eumenidibus>[8] insanire est: Deam Gallantes, inquit, vario {retinebant} <recinebant> studio, eodem namque {vetustas} <venustas> hic <ad>est Gallantibus[9]. An vero eiusmodi verbum a Gallo[10] derivetur, Nonius non addidit. Caeterum a Gallina fit Gallinarius, qua voce Plinius[11], et Cicero[12] pro Gallinarum custode utuntur, qui alias Varroni[13], et Columellae[14] Gallinarius curator dicitur: cui etiam Gallinarium locus vocatur, in quo nutriuntur. Idem pro Gallinario officinam[15] dixit. Gyb. Longolius vulgo cohortem dici putat, ut videtur, ex Varrone, qui[16] ita scribit: In Urbana quoque domo cortem facere poterimus, in qua pascere Ciconias, Grues, Pavones, Gallinas, Anseres, et similia dabitur ad usus quotidianos. Sed si Italorum Corte a {Latinore} <Latinorum> corte, seu cohorte dimanet, locus erit diversus, attamen Gallinis destinatus. Hi enim la corte dicunt locum, eum nempe, quem aream Latini nuncupant, et in quo frumenta secta teruntur. Quare mea sententia Gallinarium a cohorte plurimum differt. Etenim Gallinarium vulgus a pullis Gallinaceis, qui simul cum matribus suis noctu illi a Gallinario custode includuntur, pullarium semper vocavit, Italique servato etiamnum eo nomine, pullaro vocant, et Hispani el gallinero donde duormen [duermen?] las Gallinas, hoc est, Gallinarium, ubi Gallinae dormiunt. In corte vero dormire nemo dixerit. Quod vero eiusmodi aediculam, ubi nempe noctu potissimum habitant, et quo interdiu pariturae revertuntur, ovaque incubant officinam cohortalem sive cortalem[17] ob id appellari inquiat, non possum non laudare. Nam ut omnia in nostris officinis parantur, quae in usum humanum cedunt, ita ibi ova, et pulli, quae in cibum.

Lo stesso accade per il verbo gallare, che, come riferisce Nonio Marcello, nella satira menippea Eumenidi di Varrone significa delirare. Nonio riporta: Quegli invasati alla stregua dei sacerdoti di Cibele cantavano la dea con vario entusiasmo, e infatti qui grazie allo stesso è presente la gioia in questi invasati. Ma Nonio non ha specificato se tale verbo deriva da Gallo – sacerdote di Cibele. D’altronde da gallina origina gallinarius, e Plinio e Cicerone si servono di questa parola per indicare il custode delle galline, il quale gallinarius in Varrone e Columella viene altrimenti detto curator: in Columella viene detto gallinarium anche il luogo in cui vengono allevate. Ancora lui ha detto officina per il pollaio. Gisbert Longolius ritiene che dalla gente comune viene detto cortile, desumendolo, a quanto pare, da Varrone, il quale scrive così: Anche in una casa di città potremo costruire un recinto in cui sarà possibile allevare cicogne, gru, pavoni, galline, oche e animali simili per gli usi quotidiani. Ma se la corte degli Italiani derivasse da cors o cohors dei Latini, sarà un luogo diverso, tuttavia destinato alle galline. Infatti costoro chiamano la corte un luogo, e cioè quello che i Latini chiamano aia, e in cui vengono trebbiati i cereali dopo essere stati mietuti. Per cui a mio avviso il pollaio differisce moltissimo dalla corte. E infatti il popolo ha sempre chiamato pullarium il gallinarium derivandolo dai pulcini di gallinacei che di notte vi vengono rinchiusi insieme alle loro madri dal custode delle galline. E gli Italiani, avendo tuttora conservato tale vocabolo, lo chiamano pullaro, e gli Spagnoli el gallinero donde duermen las gallinas, cioè, il pollaio dove dormono le galline. Ma nessuno si sognerebbe di dire che dormono nel cortile. Per il fatto che - Longolius - dice che tale casetta, in cui appunto abitano soprattutto di notte e nel quale di giorno fanno ritorno quando stanno per deporre e quando covano le uova, proprio per questo viene detta officina cohortalis o cortalis - laboratorio del cortile -  non posso non lodarlo. Infatti come nei nostri laboratori viene preparato tutto ciò che serve all’uso umano, così qui vengono preparati uova e pulcini, che servono come cibo.

Ἀλεκτρυονοπώλης dicitur Polluci, qui eiusmodi aves vendit, quemque nos vulgo pollarolum, quasi pullos venditantem appellamus. Putat autem usurpari posse tale vocabulum, cum Phrynicus[18] usus sit voce ἀλεκτρυοπωλητήριον, assertque simul ἀλεκτρυοφόρον ex Aeschinis {Acciocho} <Axiocho>, quos annumerari posse ait τοῖς ὀρνιθευταῖς, seu ὀρνιθοθήραις.

In Giulio Polluce viene detto alektryonopølës colui che vende siffatti volatili, e che noi comunemente chiamiamo pollarolo, come se vendesse dei pulcini. Infatti ritiene che tale vocabolo possa essere impiegato dal momento che Frinico comico figlio di Eunomide si è servito della parola alektryopølëtërion e allo stesso tempo sostiene che alektryophóron proviene dal dialogo Assioco di Eschine di Sfetto - o Socratico, e dice che tali termini possono essere attribuiti agli uccellatori - toîs ornitheutaîs, o ornithothërais.

Notanda porro diversa scriptura in his tribus compositis, et primum syllaba no excedere caetera procul dubio, vitio typographi, qui parum fuit attentus. Caeterum, ut ἀλεκτρυοπώλης, sive ἀλεκτρυονοπωλής is est, qui venditat Gallinaceos seu Gallinas, ita ἀλεκτρυοπωλητήριον, sive ἀλεκτρυονοπωλητήριον est ipse locus, seu forum, ubi venditantur, et ἀλεκτρυονοφόρος, sive ἀλεκτρυοφόρος is qui baiulat Gallinas seu Gallinaceos emptos, et vendendos portat. Unde nos etiam forte ὀρτυγοφόρον dicere poterimus. Nam ὀρτυγοκόπος non est in usu, teste Polluce. Videtur autem significare eos qui has aves venales gestant, vel ad ludos potius. Nam ὀρτυγοκόπος dicitur, qui in ludo Coturnicem digito ferit.

Da notare inoltre la scrittura diversa nelle seguenti tre parole composte, e che la prima è più lunga delle altre per la presenza della sillaba no, senza dubbio per un errore del tipografo che è stato poco attento. Del resto, come alektryopølës o alektryonopølës è colui che vende galli o galline, così alektryopølëtërion o alektryonopølëtërion è il luogo stesso, o mercato, dove vengono venduti, e alektryonophóros o alektryophóros è colui che porta sulle spalle le galline o i galli che ha acquistato, e che trasporta quelli che devono essere venduti. Per cui forse potremo anche dire ortygophóron - che trasporta le quaglie. Infatti ortygokópos - battitore di quaglie - non è usato, testimone Giulio Polluce. Sembra infatti indicare coloro che trasportano questi volatili per essere venduti, o meglio, destinati ai combattimenti. Infatti viene detto ortygokópos colui che durante un combattimento trasporta una quaglia su un dito.

Porro Gallicinium[19] ea pars noctis appellatur, in qua Galli cantant, ut scribit Macrobius[20]. Primum diei tempus dicitur, mediae noctis inclinatio: deinde Gallicinium: inde conticinium, cum et Galli conticescunt, et homines etiam tum quiescunt. Id temporis spatium ἀλεκτρυοφωνία Graecis dicitur, ut quidam in {lexecon} <lexicon> vulgare Graecolatinum retulit, sed apud D. Marcum[21] ἀλεκτρυοφωνία scribitur, ubi Salvator noster discipulos admonet saepius, ut vigilarent. Ait autem. Vigilate ergo (nescitis enim {quomodo} <quando> Dominus domus veniat, sero {in} <an> media nocte, an Galli cantu, an mane). Ne cum venerit repente inveniat {nos} <vos> dormientes.

Inoltre viene detta gallicinium quella parte della notte in cui i galli cantano, come scrive Macrobio. Il primo periodo del giorno viene detto volgere della mezzanotte: quindi gallicinium: quindi conticinium quando anche i galli tacciono e quando anche gli esseri umani riposano. Quell’intervallo di tempo - il gallicinium - viene detto dai Greci alektryophønía, come qualcuno ha riportato nel lessico corrente grecolatino, ma nel vangelo di San Marco si trova scritto alektorophønía, nel passo in cui il nostro Salvatore ammonisce i discepoli di vigilare abbastanza spesso. Infatti dice: Pertanto vigilate (infatti non sapete quando il padrone di casa possa arrivare, tardi o a mezzanotte, o al canto del gallo o al mattino). Affinché essendo arrivato all’improvviso non vi trovi addormentati.

Danos populos doctissimus Ioannes Goropius[22] a Gallo Gallinaceo ideo sese denominari ait voluisse, quod cum belli studiis potissimum oblectarentur, atque in iis non tam avaritia, quam generoso animo ducti, victoriam, et laudes potius quam divitias quaererent, Gallinaceus Gallus inter omnia animalia naturae dotes ad hunc scopum necessarias habere videretur. Ab hoc igitur, tum bellicae laudis, et generosissimi animi, tum indolis regalis, et strenui militis, et ad omnia momenta vigilis optimo exemplari nomen non solum mutuari voluisse, verum pro symbolo, et synthemate quodam sibi accipere. Vocasse enim se De hanen, et composite per concisionem Danen, aspiratione in media litera de [250] more eorum delitescente.

Il dottissimo Ioannes Goropius dice che i Danesi hanno voluto prendere il nome dal gallo perché, sebbene si dilettassero soprattutto nell’applicarsi alla guerra e vi fossero indotti non tanto dalla cupidigia bensì dal loro spirito nobile cercando vittoria e lodi piuttosto che ricchezze, sembrava loro che tra tutti gli animali il gallo possedesse le doti naturali necessarie a tale scopo. Pertanto, da questo ottimo modello sia di qualità guerresche e di spirito nobilissimo, sia di indole regale e di strenuo combattente, e di sentinella sempre pronta, non solo hanno voluto prendere il nome, ma anche assumerlo come simbolo e come una specie di vessillo. Infatti si chiamarono De hanen e con arte, ricorrendo a un’abbreviazione, Danen, con caduta dell’aspirazione in mezzo alla parola come è loro costume fare.


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[1] A pagina 189.

[2] Rerum rusticarum III,9,10: Si ova gallinis pavonina subicias, cum iam decem dies fovere coepit, tum denique gallinacia subicere, ut una excudat. Gallinaciis enim pullis bis deni dies opus sunt, pavoninis ter noveni.

[3] In Epistolis. (Aldrovandi)

[4] De divinatione II,29: Cum rerum natura, tanta tamque praeclara, in omnes partes motusque diffusa, quid habere potest commune non dicam gallinaceum fel (sunt enim qui vel argutissima haec exta esse dicant), sed tauri opimi iecur aut cor aut pulmo quid habet naturale, quod declarare possit quid futurum sit?

[5] Anabasi IV,5,31. (Lind, 1963)

[6] Aldrovandi si affida – forse erroneamente - alla sua fonte autorevole, Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 402: Gallulo, pubem emitto. unde gallulasco, pubesco, quod pubescentes vocem grandiorem ad galli gallinacei similitudinem faciant. Cuius vox gallulascit, Naevius. - Già ai tempi di Gessner esisteva un qui pro quo di difficile soluzione: Chi usò il verbo gallulasco? Fu Nevio oppure Novio? Gallulasco non ricorre neppure nei frammenti delle opere comiche di Nevio pubblicate da www.fh-augsburg.de. Nonio Marcello in un'edizione della Compendiosa doctrina stampata a Parma nel 1480 così si esprime alla voce gallulare: pubescere. Novius in exodio: Puerum mulieri praestare nemo scit quanto melior sit: cuius vox gallula sit: cuius iam ramus roborascit. – È palese l'errore gallula sit invece di gallulascit, ma si tratta di parole di Novio presenti in un exodium, cioè la breve rappresentazione farsesca con cui terminava uno spettacolo teatrale di maggiore estensione. – Una conferma che gallulasco viene usato da Novio proviene sia dal dizionario della lingua latina di Ferruccio Calonghi (Torino, 1957) sia dall'edizione della Compendiosa doctrina curata da Lindsay (1903). Altre fonti moderne riportano invece gallulasco come dovuto a Nevio. – Noi ci atteniamo a quanto scrisse Nonio Marcello.

[7] Historia animalium V,14: I caproni grassi sono meno fecondi (è per questo che delle vigne poco produttive si dice che «fanno il caprone»), ma se dimagriscono possono accoppiarsi e generare. (traduzione di Mario Vegetti)

[8] Stando a Nonio Marcello – che rappresenta la fonte varroniana - i frammenti citati da Aldrovandi provengono non da Eudaemones, bensì dalla satira menippea Eumenides di Varrone, come risulta chiaramente dall'edizione della Compendiosa doctrina di Nonio stampata a Parma nel 1480, dove si legge: Gallare est ut bacchare. Varro in eumenidibus: [...]. Anche www.intratext.com - seppur con delle varianti  rispetto alla citazione di Aldrovandi – riporta il testo relativo ai gallantes come appartenente a Eumenides. – La fonte di un quasi fantomatico Eudaemones di Varrone potrebbe essere rappresentata da Fragmenta poetarum veterum Latinorum curato da Robert Estienne (1503?-1559) e edito nel 1564 dal figlio Henri Estienne (1528?-1598), il famoso Stephanus. In tali Eudaemones di Estienne sono contenuti frammenti che equivalgono più o meno a quelli riportati da Nonio e da www.intratext.com come appartenenti a Eumenides. Invece nell'Eumenides di Robert Estienne non ricorre neppure una parola di quelle riportate da Nonio e da www.intratext.com. – La cosa meriterebbe un'indagine simil-poliziesca che esorbita dai nostri compiti. Si emenda con Eumenides. Basta così. Altrimenti ci trasformiamo anche noi in gallantes.

[9] Saturae Menippeae Eumenides – La ricostruzione dei frammenti è assai discordante a seconda delle fonti. Aldrovandi potrebbe aver consultato Nonio Marcello oppure l'ampia raccolta curata da Robert Estienne - Fragmenta poetarum veterum Latinorum - pubblicata nel 1564. Per motivi di comprensibilità del testo si emenda in base a quello fornito da www.intratext.com:
1205 31,140: aedilis signo, synodiam gallantes vario recinebant studio - CXL. 119,1: cum illo veni, video gallorum frequentiam in templo, qui cum e scaena coronam adlatam imponeret aedilis signo, synodiam gallantes vario recinebant studio.
1206 31,139: quae venustas, hic adest gallantibus, quae casta vestis aetasque - CXXXIX. 119,1: nam quae venustas, hic adest gallantibus, quae casta vestis aetasque adulescentium, quae tenera species.

[10] Aldrovandi ha la stramaledetta abitudine – o riverenza - di far iniziare con la G maiuscola sia il gallo che i Galli – i Francesi – nonché i Galli – i sacerdoti di Cibele – e chi più ne ha più ne metta. Così non si sa mai se sta riferendosi all'uccello che fa chicchirichì oppure a qualcuno che giustamente deve essere scritto con la G maiuscola. Sta di fatto che gallare deriva proprio da Gallo, ma inteso come sacerdote di Cibele. La conferma ce l'abbiamo sia dal passo dell'Eumenides appena citato sia da A Dictionary of Greek and Roman Antiquities (John Murray, London, 1875) che a pagina 566 alla voce Galli (the priests of Cybele) riporta: There exists a verb gallare which signifies to rage (insanare, bacchari) and which occurs in one of the fragments of Varro (p. 273, ed. Bip.) and in the Antholog. Lat. vol. i. p. 34, ed. Burmann.

[11] Naturalis historia X,155: Traditur quaedam ars gallinarii cuiusdam dicentis, quod ex quaque esset.

[12] Academici priores II,86: An tibi erit quaerendus anularius aliqui, quoniam gallinarium invenisti Deliacum illum, qui ova cognosceret?

[13] Rerum rusticarum III,9,7: Inter duas ostium sit, qua gallinarius, curator earum, ire possit.

[14] Columella usa curator solo quando parla dei pavoni. De re rustica VIII,11,2: Nec curator aliud facere debet quam ut diei certo tempore signo dato iuxta villam gregem convocet, et exiguum hordei concurrentibus obiciat, ut nec avis esuriat et numerus advenientium recognoscatur. – L'erronea citazione, con piccole modifiche sintattiche, è tutta quanta di origine gessneriana. Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 402: Gallinarius Plinio et Ciceroni 4. Academ. custos est gallinarum qui Varroni et Columellae gallinarius curator dicitur.

[15] De re rustica VIII,3,1: Totius autem officinae, id est ornithonis, tres continuae exstruuntur cellae, quarum, sicuti dixi, perpetua frons orientem sit obversa. – VIII,3,8: Haec erit cohortalis officinae dispositio. Ceterum cohors ipsa, per quam vagantur, non tam stercore quam uligine careat.

[16] Negativa la ricerca della frase in Rerum rusticarum I,II,III di Varrone. Per cui bisogna presumere che si tratti di una frase di Longolius. § Presunzione insulsa dopo l'analisi della trascrizione ultimata nel gennaio 2006 da Fernando Civardi. del Dialogus de avibus et earum nominibus Graecis, Latinis, et Germanicis (1544) dove a pag. 14-15 circa cohors etc. possiamo leggere: pamphilus. Aedicula ista, quae horreo incumbit, unde nunc gallinae crocitantes devolant, putas ne veteribus nomen aliquod separatum habuisse?  longolius. Non aliter ac ipsas gallinas. Nam tota ista aedicula, nunc gallinarium, nunc cohors dicitur, a qua et ipsa aves cohortales a Latinis appellantur at altera ista aedicula, cuius parietibus corbes affixos, in iisque gallinas incubantes, officina cohortalis ob id appellatur, quod non aliter ac in officinis nostris cuncta parantur quae in usum huma<n>um veniunt, ita istic ova et pulli, quae in cibum. § Pertanto la fonte di questa citazione di Aldrovandi rimane irrisolta, essendo negativa anche la ricerca in Columella e Palladio (martedì 13 maggio 2008).

[17] Aldrovandi parla dell’officina cohortalis a pagina 203 e 229. § Grande la bagarre circa l'interpretazione dei personaggi di cui si parla se non si disponesse delle fonti, per esempio del Dialogus de avibus di Longolius. Tant'è che Lind (1963) taglia corto e omette di tradurre non possum non laudare: No one has said they sleep in the corte. I cannot deny that a small house of this kind, where the hens stay particularly at night and where in the daytime they return to lay their eggs and to incubate them, should be called the courtyard workshop. For as all things which are needed for human use are prepared in our workshops, so in the hens' workshops eggs and pullets are prepared for food.

[18] Phrynichus, the comic poet, in T.Kock, Comicorum Atticorum Fragmenta. The fragment is entitled In Krono, Vol. I, 369. (Lind, 1963)

[19] Aldrovandi parla del gallicinium a pagina 204.

[20] Saturnalia I,3: Primum tempus diei dicitur mediae noctis inclinatio: deinde gallicinium, inde conticuum, cum et galli conticescunt et homines etiam tum quiescunt: deinde diluculum, id es cum incipit dinosci dies: inde mane, cum dies clarus est.

[21] Vangelo di San Marco 13,35-36: 35 γρηγορεῖτε οὖν, οὐκ οἴδατε γὰρ πότε ὁ κύριος τῆς οἰκίας ἔρχεται, ἢ ὀψὲ ἢ μεσονύκτιον ἢ ἀλεκτοροφωνίας ἢ πρωΐ, 36 μὴ ἐλθὼν ἐξαίφνης εὕρῃ ὑμᾶς καθεύδοντας. 37 ὃ δὲ ὑμῖν λέγω, πᾶσιν λέγω, γρηγορεῖτε.

[22] Origines Antwerpianae, sive, Cimmeriorum Becceselana, Novem Libros Complexa - Gothodanica liber VII.