24 Imperdonabili errori
di Ulisse Aldrovandi
contenuti nelle sole 170 pagine di
Ornithologiae tomus alter – 1600
Liber Decimusquartus
qui est de Pulveratricibus Domesticis


Ut simplex et una est veritas
ita mendacium multiplex
Come la verità è semplice e unica
così la menzogna è molteplice

Ulisse Aldrovandi – Ornithologia I – 1599
De Vulture - pagina 245

 

   

 

   

Gli errori sono solo in parte di natura tipografica
essendo parecchi quelli di natura concettuale.
948 è il totale degli errori identificabili attraverso il carattere
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1.196 è il totale degli errori identificabili attraverso il carattere
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1.072 è il valore medio totale degli errori
Il testo greco per lo più non corrisponde a quello tipografico
che essendo stracolmo di errori
non è stato fatto rientrare nel computo
 il cui totale risulterebbe assai maggiore.
Numero totale dei vocaboli latini: 87.385
Percentuale degli errori latini: 1,226%

Pagina 0

Ulisse Aldrovandi oltraggiò l'Olanda
eclissando Volcher Coiter

 

   

 

   

Volcher Coiter (1534-1576), considerato il padre dell'embriologia, non viene assolutamente mai citato da Aldrovandi nei suoi tre trattati di Ornitologia, nonostante avesse rappresentato la pietra miliare nello studio giornaliero dello sviluppo dell'embrione di pollo, effettuato su sua stimolazione - divenendone così il padrino - ed essendo Coiter suo discepolo all’Università di Bologna. Se non bastasse, né il nome né il cognome dell'insigne olandese compaiono nell'elenco degli autori usati da Aldrovandi nei 3 volumi della sua Ornitologia, elenco che apre l'inizio del III volume (1603). Da vera primadonna, Ulisse esordisce a pagina 216 affermando: "quotidie unum [ovum] cum maxima diligentia, ac curiositate secui - quotidianamente ho dissezionato con la massima diligenza e curiosità un uovo". Di Coiter nessuna traccia, neppure in De observatione foetus in ovis (1564) di Aldrovandi trascritto e tradotto da Nicola De Bellis e che compare come preziosa appendice del lavoro di Sandra Tugnoli Osservazione di cose straordinarie Il De observatione foetus in ovis (1564) di Ulisse Aldrovandi (Bologna, 2000). Nessuna traccia di Coiter anche in un recente articolo di Luciano Sterpellone relativo a Marcello Malpighi: senza scriverlo in modo esplicito, il nostro storiografo della medicina ha spodestato l'Olandese, defraudandolo del titolo di padre dell'embriologia, riconosciutogli universalmente, anche dallo statunitense Ralph Major, per  assegnarlo – vedi caso – a un Bolognese d'adozione vissuto nel secolo successivo: Marcello Malpighi (Il giornale della Previdenza 5, 2009 – pagina 18 e 19).

Pagina 184 e 239

Proprio in Aequivoca a pagina 184 Aldrovandi riporta Megabizo invece di Megabazo (errore che si ripete anche a pagina 239) nonché Alectryon invece di Electryon.

184

Megabyzus invece di Megabazus

Megabizo, in greco Megábyzos, in latino Megabyzus, è il nome con cui nell’antico impero persiano erano designati i sacerdoti evirati di Artemide: quindi, comunemente, questo nome significò eunuco. Tale nome fu portato anche da alcuni personaggi della corte persiana, tra i quali il più importante fu un generale, figlio di Zopiro: questo Megabizo (circa 515-440 aC) riconquistò Babilonia a Serse I (484) e fu tra i suoi generali nella guerra contro i Greci (480). Più tardi, sotto Artaserse I, sottomise l’Egitto ribelle (453). Quindi Aldrovandi fa un errore nell’associare Dario a Megabizo: infatti costui nasceva quando Megabazo era già in procinto di assoggettare la Tracia e la Macedonia a favore di Dario I (subito dopo il 513 aC).

Megabazo, in greco Megábazos, in latino Megabazus, fu un generale di Dario I re di Persia (522-486 aC). Dopo il ritorno del sovrano dalla spedizione scitica (513 aC) assoggettò la Tracia, ottenendo anche la sottomissione della Macedonia. È Megabazo - e non Megabizo - a essere citato da Aristofane insieme a Dario nella commedia Gli uccelli, 483. Senz'altro l'errore è tratto da Conrad Gessner Historia animalium III (1555) pagina 404: "Alectryon olim tyrannidem gessit, et Persis primus imperavit, etiam ante Darium et {Megabyzum} <Megabazum>." Gessner potrebbe aver dedotto l'errore da qualche testo come quello di Aldo Manuzio del 1498 che riporta: πρῶτον πάντων δαρείου καὶ μεγαβύζου - ... megabýzou.

Quidam Alectryon nomine tyrannidem quondam gessit, et Persis primus imperasse dicitur, etiam antequam vel Darius, vel {Megabyzus} <Megabazus>: unde etiam Gallus, ut post dicemus, ales Persica appellatur.

Un tempo, un tale dal nome Alettrione regnò da tiranno, e si dice che fu il primo a essere a capo dei Persiani, anche prima sia di Dario che di Megabazo: per cui il gallo viene anche denominato uccello persiano, come diremo appresso.

Alectryon invece di Electryon

Per assonanza, parlando del vocabolo Alectryon, che in greco al maschile significa gallo oltre a essere il nome di alcuni personaggi, tra cui un giovane che Ares, durante i suoi incontri amorosi con Afrodite, aveva messo di guardia davanti alla porta perché lo avvertisse del sorgere del Sole che avrebbe potuto svergognare i due adulteri, per assonanza, dicevamo, riporta Alectryon invece di Electryon, personaggio della mitologia greca - figlio di Perseo e di Andromeda - che era padre di Alcmena e che governava a Micene quando fu ucciso accidentalmente dal genero-nipote Anfitrione.

Alectryon item nomen ducis est Philippi Regis, qui a Chare<te> Atheniensi interemptus fuisse fertur: at num cum superiori idem fuerit, vel, quod magis credo, diversus, non ausim affirmare: docet autem historia, hunc Charetem saepius, et nimis arroganter istius facti verba apud populum Atheniensem fecisse, adeo ut hinc postmodum natum sit proverbium Φιλίππου ἀλεκτρυών, id est Philippi Gallus: ubi quis de levi quopiam facinore perinde ut maximo se iactaret. {Alectryon} <Electryon> quoque dicebatur {Amphitrionis} <Amphitryonis> {pater, filius} <patruus, frater> vero Alcei, cuius meminit Hesiodus.

Alettrione è pure il nome di un comandante del re Filippo II, che si dice sia stato ucciso dall’Ateniese Carete: ma non me la sentirei di affermare che sia lo stesso di prima, oppure, come sono più incline a credere, che sia un altro: d’altra parte la storia insegna che questo Carete parlò al popolo ateniese di tale avvenimento troppo spesso e in modo troppo arrogante, tant’è che successivamente ne nacque il detto Philìppou alektryøn, cioè, Gallo di Filippo: allorché uno si vantava di un’impresa di poco conto come se fosse grandissima. Veniva chiamato Elettrione anche lo zio di Anfitrione, e che era fratello di Alceo, di cui ha fatto menzione Esiodo.

239

Megabizus invece di Megabazus

Aristophanes aves hominibus, Persis vero in primis imperasse per iocum scripsit: ait autem.
Quod autem non Dei igitur hominibus imperarunt antiquitus,
Sed aves et regnabant: multa sunt signa horum:
Statim autem vobis primum ostendam Gallum quod regnabat
Imperabatque Persis primum omnibus, Dario, et {Megabizo
} <Megabazo>:
Quare vocatur {Persicus} <Persica> avis a dominatione adhuc illa.

Aristofane scrisse per scherzo che furono gli uccelli a comandare sugli uomini, ma innanzitutto sui Persiani: infatti dice:
Ma pertanto nei tempi antichi non furono gli Dei a comandare sugli uomini
ma regnavano anche gli uccelli: sono molte le prove a carico di questi:
vi mostrerò subito per primo il gallo in quanto regnava
e dominava per primo su tutti i Persiani, su Dario e Megabazo:
per cui viene tuttora detto uccello persiano a partire da quella egemonia.

Pagina 185

Sant'Erone trasformato in San Gallo

Sant'Erone diacono di Sant'Ignazio di Antiochia viene trasformato da Aldrovandi in un fantomatico San Gallo anch'egli diacono di Sant'Ignazio, ma che non è mai esistito. Ecco il testo di Beda - inspiegabilmente amputato da Aldrovandi - tratto dal Martyrologium e contenuto in Patrologia Latina curata da Jacques-Paul Migne. (Parigi, 1850, pag. 1074, vol. 94): B. XVII Calend. Novemb. – Depositio sancti Galli confessoris, cujus vita plena virtutibus conscripta habetur. Apud Lugdunum beati Antiochi episcopi. Apud Viennam sancti Theodati episcopi, item Heronis, qui post beatum Ignatium Antiochenam rexit Ecclesiam. Erat enim hic beati martyris Ignatii diaconus; qui episcopus factus, viam magistri pius imitator sequitur, et pro commendato grege amator Christi occubuit.

Est et Gallus Sancti Confessoris nomen, ut refert Beda, cuius vita plena virtutibus conscripta habeatur. Erat autem beati martiris Ignatii diaconus, qui episcopus factus viam magistri pius imitator sequutus, pro commendato grege, Christi amato<r> occubuit.

Come riferisce Beda, Gallo è anche il nome di un santo confessore, la cui biografia sarebbe ricolma di atti virtuosi. Infatti – Erone - era diacono di Sant’Ignazio martire, e dopo essere diventato vescovo seguì da coscienzioso imitatore la via tracciata dal maestro, ed essendo amante di Cristo morì per il gregge a lui affidato.

Pagina 191

Fantasmagorica disquisizione sulla galline Hadrianae

La disquisizione sulle galline Hadrianae da parte di Aldrovandi è fantasmagorica e angosciante. Pertanto, se vogliamo apprendere qualcosa a proposito di queste galline, conviene leggere il testo di Conrad Gessner tratto da pagina 380 del suo Historia Animalium III (1555) riportato in calce.

Pagina 193

Gli allevatori di Delo diventano gli scrittori di Delo

Aldrovandi cade in un banale e scontato errore del quale farà però ammenda a pagina 197, nonché a pagina 232 parlando dei polli che vengono ingrassati. L’errore è dovuto al vizio di Ulisse di fare man bassa sconsiderata del testo di Gessner, che erroneamente a pagina 381 della sua Historia animalium III (1555) suona così: Et rursus, Deliaci (scriptores) quoniam procera corpora et animos ad praelia pertinace{i}s requirebant, [...].

Infatti quelli di Delo non erano scrittori, bensì allevatori. La fortuna e la fama degli abitanti di Delo come allevatori di polli ci è confermata da Varrone (Rerum rusticarum, III,9,2), Plinio (Naturalis historia X,139) e Columella (De Re Rustica, VIII,2,4), nonché da Cicerone (Academica II,57). Delo rimase nell’orbita ateniese fin verso il 325 aC, per  ridiventare indipendente nell’epoca macedone, quando fu retta a repubblica democratica e protetta dai sovrani di Macedonia, divenendo magazzino di cereali, che ovviamente venivano usati anche per allevare polli su un'isola piccola e molto arida, inadatta a qualsiasi coltivazione.

Quibus verbis dum non multum moribus a vernaculis differre tradit, a Varrone, et Plinio dissentire videri possit, nisi alias ita scriberet: Deliaci, nempe scriptores, quia procera corpora, et animos ad praelia pertinaces requirebant, praecipue Tanagricum genus, et Rhodium probabant, nec minus Chalcidicum, et Medicum, quod ab imperito vulgo litera mutata Melicum appellatur.

Mentre con queste parole dice che per il comportamento non differiscono molto dai polli nostrani, potrebbe sembrare che egli sia in disaccordo con Varrone e con Plinio se in un altro punto non scrivesse così: Quelli di Delo, gli scrittori allevatori evidentemente, poiché ricercavano corpi di alta statura e spiriti ostinati nei combattimenti, apprezzavano soprattutto le razze di Tanagra e di Rodi, e inoltre quelle di Calcide e della Media, che dalla gente incompetente, con lo scambio di una lettera, viene detta Melica.

L'errore non ricorre a pagina 197, dove possiamo leggere: Deliaci, qui Gallorum educationem praecipue celebravere, Tanagricum genus, et Rhodium probabant, nec minus Chalcidicum, et Medicum (quod ab imperito vulgo litera mutata Melicum appellatur) quoniam procera corpora, et animos ad praelia pertinaces requirebant; author est idem Columella. - Gli abitanti di Delo, che più degli altri hanno abitualmente allevato galli, apprezzavano la razza di Tanagra e di Rodi, e inoltre quella di Calcide e della Media (che dalla gente incompetente, con lo scambio di una lettera, viene detta Melica) in quanto ricercavano dei corpi di alta statura e spiriti ostinati nei combattimenti; ne è testimone lo stesso Columella.

Pagina 197

Una delle più grosse menzogne:
non aveva mai visto né polli
né altri uccelli pentadattili
mentre aveva visto un fantomatico uccello pentadattilo
ricevuto dalla Spagna
il pollo sultano - Porphyrio porphyrio
come afferma nel Discorso naturale.

Oltretutto
e non certo per non smentirsi
scotomizza il gallo e la gallina pentadattili
di pagina 312 / 313

Et Columella etiam Gallinas probat, quae quinque digitos habent, ita tamen ne cruribus emineant transversa calcaria. Quare quid de eiusmodi digitis dicam, plane ignoro: cum alioqui pedes {pentadactili} <pentadactyli> neque in avium hoc genere, nec in alio observari, nisi in monstris ex abundantia materiae videamus: qualis ille pes {penctadatilos} <pentadactylus> est, quem mihi olim nescio a quo donatum in musaeo meo reservo.

E Columella apprezza anche quelle galline che hanno cinque dita in modo tale che tuttavia degli speroni non sporgano di traverso sulle zampe. Per cui non so assolutamente cosa dire di tali dita: dal momento che, peraltro, possiamo constatare da un’abbondanza di dati che zampe pentadattile non si osservano né in questo genere di uccelli né in un altro, se non nei mostri: come è quel piede pentadattilo che un giorno mi fu dato non so da chi e che conservo nel mio museo.

Discorso naturale - 1572/1573 - Et fra questi alcuni se ne ritrovano hanno tre dita nella parte davanti et uno di dietro, sì come sono la maggior parte degl'uccelli - altri sono che hanno due dita nella parte dinanzi et due di dietro, a guisa di papagalli et picchi, et altri che vivono di vermicelli su gl'arbori, che col becco li forano et tirano a sé gl'animaletti che vi sono dentro, de quali si nutriscono empiendosene la lor lingua e tirandoseli poi a sé, quai animaletti erano rinchiusi fra la corteccia et il legno. Fra questi ancora sono alcuni uccelli, detti spininori, che vivono fra le spine, sì come il cardellino, il salo, cioè fanello, il picchile, cioè varia - altri sono chiamati caruphagi, cioè magnatori di frutti e semi - altri sono scoligophagi, che magnano i vermi, come l'alcinoo, floro, detto caurenzolo a Bologna, et ematopos, chiamato gambiletta. Se ne ritrovano alcuni detti pamphagi dal Philosopho, cioè magnatore d'ogni cosa, come l'uppupa, gallo del paradiso detto a Padova. Fra questi uccelli altri se ne trovano che hanno cinque dita, sì come il porphirio, quale ho avuto di Spagna, chiamato in lingua loro telamone.

Pagina 216

Metteva a covare 22 uova sotto una sola gallina
dimentico dei suggerimenti di Ippocrate di usare 2 o più galline
e dell'esperienza delle donne bolognesi
che consigliavano non più di 17 o 19 uova per chioccia

Ut enim trivialis huius controversiae inter medicos, ac philosophos veritatem indagarem, ex ovis duobus, et viginti, quae Gallina incubabat, quotidie unum cum maxima diligentia, ac curiositate secui, et Aristotelis doctrinam verissimam esse reperi.

Al fine di indagare la verità di questa dozzinale controversia tra medici e filosofi, quotidianamente ho dissezionato con la massima diligenza e curiosità un uovo delle 22 che una gallina stava incubando, e trovai che l’insegnamento di Aristotele corrisponde perfettamente al vero.

Pagina 223: Sed nostrae mulieres semper fere non ultra septemdecim, vel novemdecim glocientibus incubanda exhibent. - Ma le nostre donne – le Bolognesi – quasi sempre non concedono alle chiocce più di 17 o 19 uova da incubare. E lui le snobba, affidandone invece 22, ma solo per cercare di mistificare in qualche modo la vera fonte dei suoi dati, cioè Coiter, che ne aveva usate 23 affidandole a 2 galline.

Pagina 230

Fa dire a Eliano che anziché Marte
fu Vulcano
a essere intrappolato con una catena invisibile

Eliano è chiaro: per impedire a un gallo appena comprato, o avuto in dono, di fuggire e raggiungere il pollaio da dove proviene, bisogna "mettergli vicino un custode e legarlo con una catena ancora più invisibile di quella di Vulcano nel poema di Omero" (La natura degli animali II,30). Vulcano aveva costruito questa catena per catturare Marte che con Venere, avuta in sposa da Giove, lo cornificava a iosa proprio in casa sua, come racconta Omero nell'Odissea (VIII, 266-366). Invece Aldrovandi scambia i personaggi e chi viene catturato è lo stesso artefice della catena invisibile: Vulcano il cornuto. Per fortuna Aldrovandi si redime a pagina 275, quando la fatidica tresca viene narrata in modo corretto ricorrendo a Il sogno ovvero il gallo di Luciano.

Aelianus eiuscemodi Gallum recentem sponte fugitivum ad suos familiares, et compascales, utcunque procul allatus fuerit, se recipere tradit, ideoque custodia ipsum muniendum, et vinculis occultioribus, quam quibus apud Homerum {Vulcanus} <Mars> irretitur, coercendum, idque hunc in modum effici, si ei fidem adhibes, (nam revera fabulam sapit) mensam super qua cibum capere soles, in medium cortis siste, et Gallum ter circa ipsam circumferto, atque ita cum caeteris avibus domesticis liberum dimittito. Sic enim tanquam vinctus nusquam aufugiet. Sed Gallus ad suos non revertetur, ut ille ait, nisi a vicinis tuis illum emas, nam tunc propter veterem pellicum amorem facile domum repetit.

Eliano riferisce che un siffatto gallo giunto di recente mettendosi spontaneamente in fuga si rifugerebbe presso i suoi amici e i compagni di pascolo, a qualsivoglia distanza sarà stato portato, e che pertanto bisogna dotarlo di un custode e bisogna legarlo con catene più invisibili di quelle con cui, stando a Omero, viene intrappolato Marte e, se gli vuoi mostrare fiducia (infatti a dire il vero ha il sapore di una favola), bisogna eseguirlo nel seguente modo: colloca al centro del cortile il tavolo sul quale sei solito mangiare e porterai il gallo a farci tre giri intorno, e quindi lo lascerai libero insieme agli altri volatili domestici. Infatti così non fuggirà da nessuna parte quasi fosse incatenato. Ma il gallo, come lui dice, non tornerà dai suoi amici, a meno che tu non lo compri dai tuoi vicini, infatti allora torna a casa facilmente a causa di un antico amore per le concubine.

Pagina 235

Fa dire ad Aristotele
che il gallo cova se muore la gallina
rendendolo così partecipe delle fantasie di Eliano

Aristotele - o lo pseudo Aristotele - in Historia animalium IX,49 scrive quanto segue:

Ἤδη δὲ καὶ τῶν ἀρρένων τινὲς ὤφθησαν· ἀπολομένης τῆς θηλείας αὐτοὶ περὶ τοὺς νεοττοὺς τὴν τῆς θηλείας ποιούμενοι σκευωρίαν, περιάγοντές τε καὶ ἐκτρέφοντες οὕτως ὥστε μήτε κοκκύζειν ἔτι μήτ’ὀχεύειν ἐπιχειρεῖν.

E si sono visti persino alcuni maschi, essendo morta la femmina, prendersi essi stessi cura dei pulcini come la femmina, portandoli in giro e allevandoli cosicché non si mettono né a cantare e neanche ad accoppiarsi.

Plinio in Naturalis historia X,155 afferma in modo sintetico quanto riferito da Aristotele:

Narrantur et mortua gallina mariti earum visi succedentes in vicem et reliqua fetae more facientes abstinentesque se cantu.

Si narra anche che dopo la morte di una gallina si sono visti i loro maschi darle il cambio e compiere come una puerpera le cose rimaste da fare e astenersi dal canto.

Solamente Eliano si permette di fare della poesia trasformando un gallo baby sitter in un gallo che cova, il che implica un sottofondo ormonale che in un vero gallo – non in un gallo che grazie a un ginandromorfismo è scaturito da una gallina, come forse accadde a quel povero gallo di Basilea messo al rogo nel 1474 – un sottofondo ormonale, si diceva, che in un vero gallo nessuno ha mai documentato, né in etologia sono mai stati descritti galli dediti alla cova. Eliano non l'aveva mai visto questo gallo che covava, ma in La natura degli animali, libro IV capitolo 29 lo descrive così, favoleggiando sul testo di Aristotele:

Τῆς δὲ ὄρνιθος ἀπολωλυίας, ἐπῳάζει αὐτὸς, καὶ ἐκλέπει τὰ ἐξ ἑαυτοῦ νεόττια σιωπῶν· οὐ γὰρ ᾄδει τότε θαυμαστῇ τινι καὶ ἀπορρήτῳ αἰτίᾳ, ναὶ μὰ τόν· δοκεῖ γάρ μοι συγγινώσκειν ἑαυτῷ θηλείας ἔργα καὶ οὐκ ἄρρενος δρῶντι τηνικάδε.

Morta la gallina, egli stesso cova, e fa schiudere i propri figlioletti standosene in silenzio; perché non canta in quel periodo di tempo è dovuto a un qualche motivo strano e misterioso, per Zeus; infatti mi sembra sia consapevole che così sta svolgendo le mansioni di una femmina e non di un maschio.

Aldrovandi a pagina 226 riferisce correttamente le affermazioni di Aristotele, quasi contrapponendole a quelle di Eliano:

Verum ipsemet Aristoteles Gallos nonnullos visos esse testatur, qui cum forte {faemina} <femina> interiisset, ipsi officio matris fungerentur, pullos ductando, fovendo, educando, ita ne de caetero, vel cucur<r>ire, vel coire appeterent. Et Aelianus Galli laudes prosequens{;}<,> Matrice Gallina, <i>nquit, extincta, ipse incubat; et pullos ex ovis excludit, ac tum silentio utitur.

In verità lo stesso Aristotele è testimone del fatto che si sono visti alcuni galli i quali, se per caso era morta la femmina, essi stessi si assumevano il compito della madre guidando, riscaldando, allevando i pulcini, tant’è che non si curavano d’altro, né di cantare né di accoppiarsi. Ed Eliano, continuando le lodi del gallo, dice Quando muore una gallina che depone, lui stesso cova, e fa uscire i pulcini dalle uova, e allora se ne sta in silenzio.

Ma ecco che nove pagine più avanti, cioè a pagina 235, fa dire anche ad Aristotele che il gallo cova se muore la gallina:

Verum visus est aliquando Gallus, teste Aristotele, mortua Gallina, eius munus obire, hoc est, vel incubare ova, vel iam natos pullos educare, insigni sane benevolentiae signo.

In verità, testimone Aristotele, talora, morta la gallina, si è visto un gallo assumersi i suoi compiti, cioè, o covare le uova, oppure allevare i pulcini già nati, senza dubbio come segno evidente di affetto.

Pagina 258

Fa dire a José de Acosta che gli Indios
anziché gli Ateniesi
adoravano i galli

L'abbaglio di Aldrovandi è enorme. Infatti chi adorava i galli non erano gli Inca, bensì gli Ateniesi. José de Acosta lo afferma in Historia natural y moral de las Indias Libro quinto Capítulo V De la idolatría que usaron los indios con cosas particulares - No se contentó el demonio con hacer a los ciegos indios que adorasen al sol, y la luna, y las estrellas, y tierra, y mar y cosas generales de naturaleza; pero pasó adelante a darles por dioses, y sujetallos a cosas menudas, y muchas de ellas muy soeces. No se espantará de esta ceguera en bárbaros, quien trajere a la memoria que de los sabios y filósofos dice el Apóstol, que habiendo conocido a Dios, no le glorificaron ni dieron gracias como a su Dios; sino que se envanecieron en su pensamiento, y se escureció su corazón necio, y vinieron a trocar la gloria y deidad del eterno Dios, por semejanzas y figuras de cosas caducas y corruptibles, como de hombres, de aves, de bestias, de serpientes. Bien sabida cosa es el perro Osiris, que adoraban los egipcios, y la vaca Isis, y el carnero Amon; y en Roma la diosa Februa de las calenturas, y el ánser de Tarpeya; y en Atenas la sabia, el cuervo y el gallo. [...] (Fué impreso en Sevilla, casa de Juan de León, junto a las Siete Revueltas, 1590)

Verum quod maius est Indos Gallum adorasse Iosephus Acosta scribit, et Lucianus pro Deo olim cultum fuisse.

In verità, e ciò è più significativo, José de Acosta scrive che gli Amerindi adoravano il gallo, e Luciano scrive che in passato era stato venerato come se fosse un dio.

Pagina 274

Grazie a Erasmo da Rotterdam
attribuisce un verso del poeta Nicandro di Colofone
al medico Numenio di Eraclea

Il verso non è dovuto a Numenio di Eraclea, bensì a Nicandro di Colofone ed è contenuto nel II libro delle sue Georgiche. Ciò è possibile affermarlo con certezza dall'edizione dei Dipnosofisti di Teubner (recensuit Georgius Kaibel, 1888 – Teubner, Stuttgard, 1985) scritti da Ateneo di Naucrati. Lo scambio di persone è dovuto a Erasmo da Rotterdam. Gessner ha dedotto l'errore da Erasmo ma lo cita come fonte e gli presta fede. Aldrovandi invece omette la fonte, tant'è che non potremmo accusare Erasmo di questo ennesimo misfatto e solo un colpo di fortuna ha permesso di risolvere il qui pro quo che altrimenti sarebbe rimasto un busillis.

Et rursum eodem libro adducit ex {Numenio} <Nicandro>. δ’ὅπερ ὄρνιθος καλέεται γάλα, id est. Atque quod Gallinae dicitur Lac.

E ancora nello stesso libro [Ateneo Deipnosophistaí IX,12,371c] riporta da Nicandro - non da Numenio di Eraclea: Ëd’hóper órnithos kaléetai gála, cioè: Anche quello che viene detto latte di gallina.

Pagina 275

Grazie a Erasmo da Rotterdam
Leda diventa la figlia di suo marito Tindaro
anziché di Testio re dell'Etolia

Gli errori passano di mano in mano come le caramelle, o, per essere più à la page, come uno spinello. La fonte dell’errore secondo cui Leda era figlia di Tindaro, e non sua moglie, e neppure figlia di Testio, è rappresentata come al solito da Erasmo da Rotterdam, da cui ghermisce l’errore sic et simpliciter Conrad Gessner. Poi Aldrovandi lo fa suo, cercando di propinarcelo, aggiungendo però un Tyndaris che in Gessner suona correttamente Tyndari. - Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 457: Siquidem est in poetarum fabulis Ledam Tyndari filiam, ex Iovis concubitu duo peperisse ova, e quorum altero prodiere gemini Castor et Pollux, insigni forma iuvenes: ex altero nata est Helena, cuius forma literis omnium est nobilitata, Erasmus.

Siquidem est in poetarum fabulis, Ledam {Tyndaris <Tyndari>} <Thestii> filiam ex Iovis concubitu duo peperisse ova, e quorum altero prodiere gemini Castor, et Pollux insigni forma iuvenes: ex altero nata est Helena, cuius species literis omnium est nobilitata.

Dal momento che nelle favole dei poeti si trova il fatto che Leda, figlia di Testio - moglie di Tindaro, da un rapporto sessuale avuto con Giove partorì due uova, da uno dei quali nacquero i gemelli Castore e Polluce, dei ragazzi dalla bellezza spettacolare: dall’altro uovo nacque Elena, il cui aspetto è stato decantato dalle opere letterarie di tutti.

Pagina 276

Per colpa di Aldo Manuzio
accetta e trasforma in un inesistente Gabrius/Gabria
il poeta greco Babrius

Babrius si trasforma costantemente in Gabrius nell'edizione delle sue Favole di Aldo Manuzio del 1505. Lind traduce così il testo di Aldrovandi: Concerning this fable the following poem is extant by a Greek author named Gabria: "Once a hen laid a golden egg, and a certain miser, deceived in his mind, killed the hen to obtain her gold. But his hope destroyed the greater gift of fortune." (1963) Ma nella nota a piè pagina Lind specifica: Gabria: This is Babrius, Fabulae Aesopeae (ed. by O. Crusius, Leipzig, Teubner, 1897), fable 123. Si vede che Lind non ha voluto contraddire e umiliare Aldrovandi nel tradurre il suo testo.

De hac fabula tale carmen {Gabriae} <Babrii> exstat authoris Graeci. Ἔτικτε χρυσοῦν ὠὸν ὄρνις εἰσάπαξ, | Καὶ τις πλανηθείς χρυσεραστὴς / χρυσεοαστὴς τὴν φρένα, | Ἔκτεινε ταύτην χρυσὸν ὡς λαβεῖν θέλων. | Ἐλπίς δὲ, μεῖζον δῶρον ὠλέκει τύχης. id est. Ovum aureum Gallina semel peperit, | Quidamque avarus deceptus animo | Eam occidit aurum accepturus. | Sed spes perdidit maius fortunae donum.

Su questa favola esiste la seguente composizione dell’autore greco Babrio: Étikte chrysoûn øòn órnis eisápax, | Kaì tis planëtheís chryserastës / chryseoastës tèn phréna, |Ékteine taútën chrysòn høs labeîn théløn. |Elpís dè, meîzon dôron ølékei týchës. cioè: Una gallina depose una sola volta un uovo d’oro. |E un avaro ingannato nei suoi ragionamenti | la uccise per poter prendere l’oro. |Ma la speranza distrusse il più grande dono della fortuna.

Pagina 294

Induce a pensare che sia stato Orazio
a rendere più tenero un gallo mettendogli un fico nell'ano
ma la fonte di questa ricetta rimane ignota

Poco prima cita Orazio: Se improvvisamente un ospite serale etc. Poi prosegue così senza specificare la fonte del suggerimento culinario (che non è Orazio) e senza specificare chi aveva messo il fico nell'ano del gallo: Otterrai la stessa cosa collocando un fico nell’ano, per cui si legge che avendo proprio presentato tra le vivande un gallo tenero e quasi friabile appena immolato a Ercole, attribuì tanta tenerezza della pelle come dovuta al fico. Verrebbe spontaneo attribuire ad Orazio l'aggiunta culinaria di Aldrovandi, ma, come si è detto, le cose non stanno così.

Absque vero longa saginatione tenerescet, si Horatio credimus. Si vespertinus subito te oppresserit hospes<,> | Ne Gallina malum responset dura palato, | Doctus eris vivam musto mersare {falerno} <Falerno:> |Hoc teneram {facies} <faciet>. Idem praestabis imposita in anum ficu, unde Gallum immolatum Herculi recentem tenerum et pene friabilem cum quam inter obsonia obtulisset, tam {citis} <cutis> teneritudinem ficui acceptam retulisse legitur.

Ma diventerà tenera anche senza un protratto ingrassamento, se crediamo a Orazio: Se improvvisamente un ospite serale ti coglierà di sorpresa, affinché la gallina non risulti spiacevolmente dura al palato, sarai scaltro se la immergi viva in vino nuovo di Falerno: questo la renderà tenera. Otterrai la stessa cosa collocando un fico nell’ano, per cui si legge che avendo proprio presentato tra le vivande un gallo tenero e quasi friabile appena immolato a Ercole, attribuì tanta tenerezza della pelle come dovuta al fico.

Pagina 295

Attribuisce a Sparziano anziché a Lampridio
la biografia di Eliogabalo

Elio Sparziano (IV sec. dC) fu, come Elio Lapridio (III sec. dC), uno degli autori dell’Historia Augusta, ma non scrisse la biografia di Eliogabalo (dovuta a Lampridio), bensì  quelle di Adriano, Elio Vero, Settimio Severo, Pescennio Nigro, Caracalla, Geta e Didio Giuliano (forse  quest’ultima è da attribuire a Giulio Capitolino).

Et Heliogabalus, cui nulla fuit vita nisi in voluptatis novae exquisita ratione, saepius ex {Apitii aemulatione} <Apicii imitatione>, ut [295] {Spartanus} <Spartianus – Lampridius> prodit, cristas Gallinaceis viventibus voravit, item camelorum calcanea, Pavonum linguas, et Lusciniarum. Cerebrum etiam coquitur, editurque maxime leviter assum cum pauco sale. Acuit autem privatim intellectum.

Ed Eliogabalo, il quale non ebbe altro tipo di vita se non quello di cercare come ottenere un rinnovato piacere, piuttosto spesso per imitare Apicio, come riferisce Elio Lampridio, mangiò le creste di galli vivi, e parimenti gli stinchi dei cammelli, le lingue dei pavoni e degli usignoli. Anche il cervello viene cucinato, e viene soprattutto mangiato lievemente arrostito con poco sale. In verità acuisce in modo particolare la mente.

Pagina 298

Aldrovandi non fornisce la fonte
quindi è assai verosimile che il fatto che per motivi religiosi
a Socotra non si mangiavano polli
sia una sua brillante trovata.
Infatti allevare polli a Socotra era estremamente arduo.

Possiamo presumere che Aldrovandi abbia elaborato questa notizia - relativa al fatto che nel XVI secolo a Socotra non si mangiavano polli - dalla lettera di Andrea Corsali (Firenze/Empoli 1487 – ?, ?)  datata 18 settembre 1517 indirizzata a Lorenzo de' Medici e contenuta in Navigazioni e Viaggi (1550) dell'umanista, geografo e storico italiano Giovanni Battista Ramusio (1485-1557). Però Aldrovandi a bordo pagina non dà alcuna referenza sulla fonte da cui ha tratto la notizia relativa a Socotra.

Ma Corsali in questa lettera si limita a dire ciò che si mangiava a Socotra, non ciò che non si mangiava, e non accenna a nessuna motivazione religiosa adottata dagli abitanti dell'isola circa le risorse alimentari. Come al solito Aldrovandi ciurla nel manico, in quanto Corsali non afferma affatto in modo esplicito e inequivocabile - come invece fa Giulio Cesare per la Britannia, correttamente citato da Aldrovandi a bordo pagina: Liber 5 de bello Gallico (Commentarii de bello Gallico V,12,6: Leporem et gallinam et anserem gustare fas non putant; haec tamen alunt animi voluptatisque causa) - che a Socotra non si mangiavano polli. Corsali si limita a dire cosa mangiavano – per lo più – i pastori cristiani dell'isola: latte e burro, datteri al posto del pane, talora riso.

Corsali non specifica se i pastori cristiani di Socotra allevassero bovini, oppure pecore, oppure capre, oppure tutti e tre questi tipi di animali, tutti quanti in grado di fornire latte e burro, anche se oggi preferiamo ottenerlo da latte bovino. Pare comunque che i primi mammiferi furono introdotti sull'isola solo circa 2000 anni fa e si tratta soltanto di specie domestiche come capre, pecore, asini, cammelli e mucche.

Né Corsali si attarda a specificare che senz'altro anche la carne di questi animali affidati ai pastori serviva loro da alimento, ovviamente quando i soggetti erano giunti al termine della loro carriera produttiva di latte, prole e lana (e questa non certo impiegata per confezionare mantelli e maglie invernali), oppure quando i soggetti avevano un incidente e morivano o si era costretti a sopprimerli, come spesso accade.

E di animali al pascolo doveva essercene una caterva, visto che i pastori "vivono di latte e butiro, che qui n'è grandissima abbondanzia" Né Corsali specifica che per ridurre la carne in esubero, sia viva che macellata, magari i pastori la scambiavano con il riso che di tanto in tanto i marinai scaricavano sull'isola.
Tutto ciò che abbiamo testé specificato non sta scritto, ma può venir facilmente sottinteso nell'assoluto rispetto della ragionevolezza. Credo di poter affermare - anche se Corsali non lo dice - che i pastori, oltre a latte, burro, datteri e riso, mangiavano anche la carne dei loro quadrupedi, salvo doverla sotterrare o farne dono agli avvoltoi
, magari al capovaccaio, Neophron percnopterus, tuttora osservabile in gruppi sull'isola. Infatti nutrirsi di carne di quadrupedi non era un'offesa a Dio, eccetto il venerdì, ammesso che i pastori cristiani di Socotra seguissero la regola dell'astinenza tanto cara alla Chiesa Cattolica. Poi, con grande disappunto dei pescivendoli, solo dal 17 febbraio 1966  la Costituzione Apostolica Paenitemini ha limitato l'astinenza dalle carni al mercoledì delle Ceneri, ai venerdì di Quaresima e al Venerdì Santo e ne ha consentito la sostituzione con opere di carità spirituale o corporale per gli altri venerdì dell'anno.

E veniamo finalmente al pollo di Socotra. In fin dei conti, questi pastori, avrebbero avuto la possibilità di allevare polli? In teoria sì, essendo il pollo onnivoro, tanto da trangugiare avidamente anche le feci umane, ma se al posto delle feci si volesse dare ai polli delle granaglie di cui sono altrettanto ghiotti, ecco che Corsali afferma "La terra non è molto fruttifera, ma sterile e deserta com'è tutta l'Arabia Felice". Per cui agli isolani conveniva fare i pastori anziché i coltivatori di granaglie. Non coltivavano neanche il frumento per farsi il pane, sostituito dai datteri. E non dimentichiamo che Conrad Gessner a pagina 381 di Historia animalium III (1555), citando Strabone, a proposito dello Yemen - l'Arabia Felix per antonomasia e posta dirimpetto a Socotra - scrive: "La parte dell’Arabia rivolta verso Austro – verso sud – e che si erge dirimpetto all’Etiopia, possiede in abbondanza uccelli di ogni tipo eccetto oche e galline, Strabone." Quindi, se la fonte di Ulisse è stata la lettera di Corsali, Ulisse ha ciurlato per l'ennesima volta nel manico.

Hodie apud Indos quosdam in Socotera insula religio est Gallinam, aut quamlibet avem contingere, nedum gustare: et Britannis olim Iulius Caesar testatur, nefas fuisse leporem, et Gallinam, et Anserem gustare: haec tamen alere animi voluptatisque causa.

Oggi presso alcuni Indiani dell’Isola di Socotra esiste l’usanza religiosa di non assaggiare, né tanto meno mangiare la gallina o qualsivoglia uccello: e, un tempo, come testimonia Giulio Cesare, per i Britanni era vietato cibarsi di lepre, gallina e oca: le allevavano per puro diletto.

Pagina 300

Afferma che le annotazioni
a un trattato di Galeno
sono di Ermolao Barbaro anziché di Janus Cornarius

Nella nota a bordo pagina Aldrovandi scrive a proposito di Ermolao Barbaro: In annot. in I. Gal. de comp. med. sec. loc. Ma Lind (1963) annota: Neither the BM nor BN catalogues list this work, although Barbarus edited Aristotle, Pliny, Dioscorides and Pomponius Mela, among ancient authors. Lind ha perfettamente ragione. Infatti le annotationes al trattato di Galeno – se ci fidiamo di Gessner – sono di Janus Cornarius e non di Ermolao Barbaro. Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 436: Sed verbum Graecum ἀναδεύσαντες, quo Galenus et Aegineta utuntur, non conspergere, sed subigere et permiscere significat: quod miror nec Hermolaum, nec alios (quod sciam) praeter Cornarium animadvertisse. Is enim in annotationibus suis in Galeni libros de compos. medic. sec. locos, haec Aeginetae verba super his ovis, [...] - Ma il verbo greco anadeúsantes, di cui si servono Galeno e Paolo di Egina, non significa cospargere, bensì immergere e mescolare: mi meraviglio che né Ermolao Barbaro né altri (per quanto ne so) se ne siano accorti, eccetto Janus Cornarius. Costui infatti nelle sue annotazioni relative ai libri del De compositione medicamentorum secundum locos di Galeno, le seguenti parole di Paolo di Egina relative a queste uova, [...].

{Hermolaus} <Janus Cornarius> enim haec Aeginetae verba super his ovis ἀναδεύθεντα ὠμά μετὰ γάρου καὶ οἴνου καὶ ἐλαίου, καὶ ἐν διπλόμασι συμμέτρως πηγνύμενα: Sic vertit: cruda cum garo, vinoque ac oleo subacta.

Infatti Janus Cornarius le seguenti parole di Paolo di Egina riguardanti queste uova anadeúthenta ømá metà gárou kaì oínou kaì elaíou, kaì en diplómasi summétrøs pëgnúmena le traduce così: crude sbattute con salsa di pesce e con vino e olio.

Pagina 303

Riporta un inesistente carabes

Innanzitutto dobbiamo segnalare che Aldrovandi non fornisce la fonte di quanto sta riferendo, non permettendoci così una verifica dei suoi errori. In latino antico non esiste carabes, ma solamente carabus che significava gambero, derivato dal greco kárabos, oppure indicava una piccola barca a remi di legno o di vimini. Né in greco è possibile trovare un equivalente di carabes. Oggi con Carabus si intende un genere di Coleotteri appartenente alla famiglia dei Carabidae composta da circa 25.000 specie dalle dimensioni da piccole a grandi. Per i Carabidi non sono descritti impieghi particolari in campo umano, come è invece il caso della cantaride, Lytta vesicatoria, coleottero della famiglia Meloidi, i quali producono secrezioni tossiche e irritanti, e la cantaride era usata un tempo, e tutt'oggi da qualche demente visti i gravi effetti collaterali, a scopo afrodisiaco.

Lind (1963) ha cercato una soluzione al busillis traducendo carabes con carabaccium in corsivo, forse per mettere in evidenza l'aleatorietà della sua traduzione, e il legno carabaccio - scusate il neologismo - ha un profumo che si avvicina a quello del chiodo di garofano.

Questi che seguono sono i dati contenuti anche in Encyclopédie méthodique, médecine, par une société de médecins (Paris, Panckoucke, 1792): Bois de carabacci – Lignum carabaccicum - Carabaccium, (Hist. nat. bot.) c'est le nom que l'on donne à un bois aromatique des Indes, dont l'odeur ressemble beaucoup à celle du clou de girofle, excepté qu'elle est plus douce & moins pénétrante; extérieurement il est brun, ou de la couleur de la cannelle: on lui attribue la qualité d'adoucir l'acrimonie de la lymphe, & d'être un excellent remède contre le scorbut; il fortifie l'estomac, & facilite la digestion. On le prend en décoction, ou infusé comme du thé & du caffé. Les droguistes n'ont encore pu se procurer de justes renseignements sur l'arbre qui le fournit.

Vista la dovizie di errori latini in questo succinto brano di Aldrovandi, carabes viene tradotto con il fantomatico aldrovandesco carabes.

Aliter ad faciem mangonizandam: Accipe Gallinam pinguem, a pennis mundam, contunde ubi interanea exemeris, sanguinem absterseris, ac in frusta parva conscideris: dein simul cum pulveris gummi<,> {eleni} <helenii>, carabes [?],{armoniaci} <ammoniaci>, myrrhae, bdellii, vernicis, thuris, boracis ana uncia in alembico destilla: destillationi moschi grana duo, aut tria adde, et camphorae octavam: hac aqua mulier faciem abluat, postquam prius aqua pluviali usa fuerit.

Per abbellire artificialmente il viso in un altro modo: Prendi una gallina grassa ripulita delle penne, pesta là dove hai estratto le interiora, ripulirai dal sangue e taglierai a pezzettini: quindi distilla in un alambicco insieme a un’oncia ciascuno [27,28 g] di polvere di gomma, di enula - forse quella egiziana, di carabes, di gomma ammoniaco, di mirra, di bdellio, di vernice - o sandracca, di incenso, di borace: aggiungi al distillato due o tre granelli di muschio, e un’ottava parte di canfora: la donna si lavi la faccia con quest’acqua dopo aver prima impiegato dell’acqua piovana.

Pagina 305

Trasforma Theodolinda in Theogilla
irreperibile anche nel web
e senza dati storici affidabili
le attribuisce il merito della chioccia coi 7 pulcini di Monza

Impossibile risalire con certezza alla fonte storica degli erronei 12 pulcini riferiti da Morigia e quindi da Aldrovandi, anziché 7 come attesta il manufatto che ancor oggi possediamo. Ecco cosa troviamo in Historia dell'antichità di Milano (1592) I,8 - citata come fonte da Aldrovandi - quando Morigia sta elencando ciò che Teodolina donò alla Chiesa di San Giovanni Battista di Monza: [...] e vi lasciò ancora un tesoro, e una Pitta con docici (sic!) Pulcini d'oro masiccio (sic!) [...].

È assai verosimile che 12 anziché 7 sia un madornale errore di Paolo Morigia. Scrisse di lui Girolamo Tiraboschi (gesuita, storico della letteratura ed erudito italiano, 1731-1794): le sue opere sono assolutamente mancanti di spirito critico. Questo ce lo riferisce www.provincia.va.it. Se non bastasse, l'Enciclopedia Biografica Universale Treccani (2007) aggiunge: scrisse moltissimo, accompagnando a un'estrema credulità la cura di raccogliere il maggior numero possibile di notizie e fatti.

Introvabili nel web Theogilla nonché Theogilia. Raro Teodelinda. In inglese suona sia come Theodelinda che come Theodolinda. Paolo Morigia usò Teodolina. Si potrebbe ipotizzare che Aldrovandi ribattezzò Teodolinda con Theogilla, ma l'illazione di cui si parla nella nota seguente fa sorgere il sospetto che Aldrovandi abbia tratto Theogilla da un'altra fonte di cui non dà referenza. Lind (1963) ha tradotto con Theogilla.

Si tratta di un'illazione di Aldrovandi l'affermare che il manufatto venne eseguito per ordine di Teodolinda, in quanto Paolo Morigia né in I,8 di Historia dell'antichità di Milano (1592) cui sta facendo riferimento Aldrovandi, né in altri punti di quest'opera, si sogna di affermare che la chioccia coi 7 pulcini - 12 per Morigia - venne realizzata per ordine di Teodolinda. Ecco di nuovo le parole di Morigia che sta elencando ciò che la regina donò alla Chiesa di San Giovanni Battista di Monza da lei fatta edificare come oraculum nel 595: [...] e vi lasciò ancora un tesoro, e una Pitta con docici (sic!) Pulcini d'oro masiccio (sic!) [...].

Monzae in Gallia Transpadana Gallina videtur una cum pullis ex auro Theodorico rege ibi facta. Paulus Morigia hanc auream Gallinam cum duodecim [septem] pullis pariter aureis Theogillae reginae Christianarum rerum studiosissimae iussu confectam testatur, eamque ab illa in templo, quod Monzae D. Io. Baptistae voverat, inter alia regia dona memoriae consecrasse.

A Monza nella Gallia Transpadana si può vedere una gallina insieme ai pulcini qui realizzata in oro dal re Teodorico. Paolo Morigia attesta che questa gallina d’oro con sette pulcini anch’essi d’oro è stata realizzata per ordine della regina Teodolinda appassionata studiosa delle cose inerenti il Cristianesimo, e che lei la consacrò alla memoria insieme agli altri doni regi nella chiesa che aveva dedicato in Monza a San Giovanni Battista.

Pagina 305

Ennesima dimostrazione
dell'inaffidabilità del greco di Aldrovandi
dal momento che sulle antiche monete
si legge selinontion e non selinøntiøn

Ennesima dimostrazione di errori contenuti nel greco propinatoci da Aldrovandi. È possibile contraddire Ulisse anche se non disponiamo del testo di Hubert Goltz dal quale ha desunto le notizie numismatiche. Le numerose monete di Selinunte reperibili nel web portano come leggenda selinontion e non selinøntiøn.

Hubertus {Goltius} <Goltzius> {Selenontinorum} <Selinuntiorum> numismata, in quibus icon Galli conspicitur, [...] Inscriptio numi est {ΣΕΛΙΝΩΝΤΙΩΝ} <ΣΕΛΙΝΟΝΤΙΟΝ>. Ab altera numi parte biga est, [...] Tertium a primo differebat, quod ab utraque parte numi eadem inscriptio est {ΣΕΛΙΝΩΝΤΙΩΝ} <ΣΕΛΙΝΟΝΤΙΟΝ>, item in eo quod ab utraque cippi parte lauri ramus dependet.

Hubert Goltz fornisce delle riproduzioni di monete degli abitanti di Selinunte nelle quali si vede la figura di un gallo: [...] La scritta della moneta è selinontion. Sul verso della moneta c’è una biga [...] La terza differiva dalla prima in quanto su entrambi i lati della moneta si trova la stessa scritta selinontion, e parimenti per il fatto che da ambedue i lati del cippo pende un ramo di alloro.

Pagina 312 e 313

A pagina 197 afferma
di non aver mai visto né polli
né altri uccelli pentadattili
e scotomizza il gallo e la gallina pentadattili
snobbando così la precisione fotografica dei suoi incisori

de gallo, et gallina pedibus pennatis. cap. v.
capitolo v - il gallo e la gallina dalle zampe impiumate

   

[313] Sunt quoque in hoc avium genere pedibus quandoque hirsutis, quales sunt, quos nunc damus, Gallus, et Gallina, Gallus collo, et dorso erat castanei coloris. Alae primum nigrae albicantibus maculis decoratae, dein nigrae erant, remigae candidae extra, intus nigrae. Mentum, pectus, venter coxae, tibiae nigra, albicantibus maculis insignita. Pedes lutei, crista duplex non admodum magna rostrum luteum: paleae magnae; cauda partim albis, partim nigris pennis constabat. Gallina tota flavescebat, {feri} <fere> atris ubique, si solum collum demas, maculis, modo parvis, modo magnis, at ubique oblongis conspersa; cristam habebat omnium minimam et paleas admodum breves, rostrum, et pedes luteos.

Anche in questo genere di volatili vi sono dei soggetti che talora hanno le zampe irsute, come lo sono quelli che adesso mostriamo, un gallo e una gallina; il gallo aveva il collo e la schiena di colore castano. Le ali nella parte anteriore erano nere ornate da macchie biancastre, quindi erano nere, le remiganti erano bianche all’esterno, nere all’interno. La gola, il petto, il ventre, le cosce e i tarsi erano neri, fregiati di chiazze biancastre. I piedi erano gialli - e con cinque dita, la cresta doppia non eccessivamente grande, il becco giallo: i bargigli grandi, la coda era costituita da penne in parte bianche e in parte nere. La gallina era tutta quanta fulva, cosparsa dappertutto, se si esclude solamente il collo, da macchiettature che erano quasi nere, ora piccole, ora grandi, ma ovunque si presentavano allungate, aveva la cresta più piccola di tutte e i bargigli molto corti, il becco e i piedi gialli.

Pagina 322

Non sa neppure contare le dita
di un pulcino mostruoso
contandone 5 invece di 6
snobbando così
la precisione fotografica dei suoi incisori

Sceleton hoc pulli monstrifici est, et superiori pullo fere similis, nisi quod pes e podice natus {quinque} <sex> digitis sit instructus.

Questo scheletro appartiene a un pulcino mostruoso ed è quasi simile al pulcino precedente, se non fosse perché il piede nato dal podice è dotato di sei dita.

Pagina 330 e 331

Non sa neppure contare le lunghe penne della coda
del gallo orecchiuto tridattilo
che sono solo 6 e non 9
come ha scoperto Fernando Civardi

durante la rielaborazione cromatica

   

de peregrinis quibusdam gallinaceis dictis,
et primo de gallo indico aurito {tridactilo} <tridactylo>. - cap. ix.
capitolo ix - circa alcuni soggetti esotici denominati galli,
e per primo il gallo indiano orecchiuto con tre dita

Cauda duplex, prior exigua, et quinque tantum pennis constans, iisque ruberrimis, et admodum brevibus, si secundae caudae comparentur. Secunda cauda {novem} <sex> longissimis pennis constat, quarum aliae aliis longiores sunt, et diversum colorem obtinent.

La coda è duplice, la prima è piccola e costituita solo da cinque penne che sono estremamente rosse e sono assai corte se paragonate a quelle della seconda coda. La seconda coda è costituita da sei penne molto lunghe, delle quali alcune sono più lunghe delle altre e hanno un colore diverso.

Le galline Hadrianae

descritte da Conrad Gessner

Hadrianae gallinae (Ἀδριανικαί, nimirum a regione, non ut Niphus suspicatur quod forte ab Adriano Imperatore observatae sint, vixit enim Adrianus multo post Aristotelis tempora) parvo quidem sunt corpore, sed quotidie pariunt, ferociunt tamen, et pullos saepe interimunt, color his varius, Aristot. Et alibi, Multa admodum pariunt. fit enim propter corporis exiguitatem, ut alimentum ad partionem sumptitetur. Hadrianis laus maxima (circa foecunditatem,) Plinius. Adrianas sive Adriaticas gallinas (τοὺς Ἀδριατικοὺς ὄρνιθας) Athenienses alere student, quanquam nostris inutiliores, utpote multo minores. Adriatici vero contra nostras accersunt, Chrysippus apud Athenaeum lib.7. Gallinae quaedam Adriani regis vocantur, quae apud nos dicuntur gallinae magnae, et sunt magni oblongi corporis, abundant apud Selandos et Hollandos, et ubique in Germania inferiore. Pariunt quotidie, minime benignae in pullos suos, quos saepe interficiunt. Colores earum sunt diversi, sed apud nos frequentius sunt albae, aliae aliorum colorum. Pulli earum diu iacent sine pennis, Albertus. sed hae forsitan Medicae potius vel Patavinae gallinae fuerint. Gallinae Adrianae non magno et oblongo corpore sunt, ut somniavit Albertus, sed contra ut Aristoteles et Ephesius tradiderunt, Niphus. Gyb. Longolius Germanice interpretatur Leihennen, Variae sunt (inquit) rostro candidiusculo. pulli earum columbarum pipiones colore referunt. Ab Adriaticis mercatoribus primum in Graeciam advectae videntur, et inde nomen tulisse. Quod autem ferocire Aristoteles eas scribit, factum esse puto ob patriae mutationem, cum in calidiores regiones devectae et ferventioris ingenii redditae sunt, Haec ille. Varro Africanas, quas non alias esse constat quam Hadrianas, varias et grandes facit, Turnerus. Ego Africanas ab Adrianis multum differre puto, cum Numidicis vero easdem esse. Hispanus quidam amicus noster gallinam Adrianam, Hispanice gallina enana nominat. nimirum quod corpore nana et pumila sit, quale genus in Helvetia apud nos audio nominari Schotthennen, alibi Erdhennle, alibi Däsehünle. Sed Gyb. Longolius gallinas p{l}umilas Germanice vocat kriel. Vulgares sunt (inquit) et passim extant. per terram reptant claudicando potius quam incedendo. Licebit autem gallinaceos huius generis pumiliones, gallinas pumilas cum Columella nominare. sunt enim in omni animantium genere nani, ut dixit Theophrastus. Pumiliones, alias pumilas, aves, nisi quem humilitas earum delectat, nec propter foecunditatem, nec propter alium reditum nimium probo, Columella. Est et pumilionum genus non sterile in {iis} <his>, quod non in alio genere alitum, sed quibus {certa} <centra> foecunditas rara et incubatio ovis noxia, Plinius.

Pagina 380 - Le galline Hadrianae (Adrianikaí, evidentemente da una regione, e non come ipotizza Agostino Nifo, e cioè, che forse sarebbero state osservate dall’imperatore Adriano; infatti Adriano visse molto dopo i tempi di Aristotele) sono in effetti di corporatura minuta, ma depongono tutti i giorni, tuttavia diventano aggressive, e spesso uccidono i pulcini, hanno una colorazione variegata, Aristotele. E in un’altro trattato: Depongono moltissime uova. Infatti a causa della corporatura esigua accade che l’alimento è utilizzato per la procreazione. Alle Hadrianae va la lode più grande (a proposito della fecondità), Plinio. Gli Ateniesi si industriano nell’allevare le galline Hadrianae o Adriatiche (toùs Adriatikoùs órnithas), nonostante siano più inutili delle nostre, in quanto sono molto più piccole. Ma, al contrario, le popolazioni dell’Adriatico si procurano le nostre, Crisippo in Ateneo, libro VII. Alcune galline vengono dette del re Adriano, quelle che presso di noi vengono dette galline grandi, e sono di corporatura grande e allungata, sono abbondanti presso gli abitanti della Zelanda e dell’Olanda, e ovunque nella provincia della Germania Inferiore. Depongono tutti i giorni, non sono assolutamente amorevoli nei confronti dei loro pulcini, che spesso uccidono. La loro colorazione è varia, e presso di noi più spesso sono bianche, altre sono di altri colori. I loro pulcini rimangono a lungo senza penne, Alberto Magno. Ma forse queste saranno state galline della Media, o meglio, di Padova. Le galline Hadrianae non sono di corpo grande e allungato, come ha fantasticato Alberto, ma il contrario, come hanno tramandato Aristotele e l’Efesino – Michele di Efeso, lo scrive Agostino Nifo. Gisbert Longolius in tedesco le traduce con Leihennen – galline ovaiole, e dice: Sono di colorazioni diverse con il becco bianchiccio. I loro pulcini riecheggiano nel colore i piccoli dei colombi. Sembra che siano state portate per la prima volta in Grecia dai mercanti dell’Adriatico, e che da ciò hanno preso il nome. D’altra parte, siccome Aristotele scrive che esse diventano aggressive, ritengo che ciò sia avvenuto per un cambiamento del loro luogo d’origine, dal momento che trasferite in regioni più calde sono diventate anche di indole più focosa, queste le parole di Longolius. Varrone definisce variegate e grandi le Africane, che risultano non essere altro che le Hadrianae, William Turner. Io ritengo che le Africane differiscono alquanto dalle Hadrianae, e che le prime corrispondono alle galline di Numidia. Un mio amico spagnolo chiama in spagnolo gallina enana la gallina Hadriana: senz’altro perché è nana e piccola di corporatura, quella razza che presso di noi in Svizzera sento dire essere chiamata Schotthennen, altrove Erdhennle, altrove Däsehünle. Ma Gisbert Longolius in olandese chiama kriel le galline nane. Egli dice: Sono comuni e si trovano dappertutto. Strisciano per terra zoppicando anziché camminando. Sarà pertanto lecito chiamare, come fa Columella, gallinae pumilae i polli nani di questo tipo. Infatti in seno a tutto il regno animale esistono dei nani, come disse Teofrasto. Le galline nane, salvo che a qualcuno piacciano le loro piccole dimensioni, non le apprezzo eccessivamente né per la loro fecondità né per un qualsivoglia altro tornaconto, Columella. Vi è anche una razza di nane non sterile fra queste, non presente in altre specie di volatili, ma quelle con gli speroni sono raramente feconde e il loro covare è nocivo alle uova, Plinio.

Elio Corti
24 Maggio 2009

Revisione del testo e trascrizione del latino
Fernando Civardi