Ulisse Aldrovandi
Ornithologiae tomus alter - 1600
Liber
Decimusquartus
qui
est
de Pulveratricibus Domesticis
Libro
XIV
che tratta
delle domestiche amanti della polvere
trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti - revisione di Roberto Ricciardi
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Humi
sedentes aves in agris, et Gallinas in oppidis, et pagis repente
adoritur. Praeda frustratus tacite discedit, nec unquam secundum facit
insultum. Hic per humum Accipitrum omnium volat maxime[1].
Quapropter habere oportet, inquit Columella[2],
clausum amplum vestibulum, idque retibus munitum, ne Aquila, vel
Accipiter involet: et has impensas, et curas nisi locis, quibus harum
rerum vigent pretia non expedit exhibere. Si itaque tantum emolumentum
non praebeat Gallinacea tua familia, ut totam cortem retibus munire
propter impensas nequeas, poteris longe cum minori sumptu eiusmodi
uncungues <volucres> fugare. Plinius {volucres} vite nigra (Petrus
Crescentiensis[3]
id de vite alba intelligit, quae passim per Italiam obvia est, nimirum
caustica illa) id praestari ex aliorum tamen relatu his verbis memoriae
prodidit: Vite nigra, inquiens[4],
aiunt si quis villam cinxerit,
fugere Accipitres, tutasque fieri villaticas alites. |
L’Albanella
reale - Circus cyaneus - assale all’improvviso gli uccelli che
nei campi vivono a terra, nelle città e nei villaggi le galline. Se
viene delusa dalla preda si allontana in silenzio e non sferra mai un
secondo attacco. Fra tutti i rapaci è quella che vola maggiormente a
bassa quota. Columella dice che pertanto conviene avere un ampio
vestibolo chiuso e inoltre difeso con reti affinché l’aquila o lo
sparviero non possano volarci dentro: e non conviene mettere in atto
queste spese e questi accorgimenti se non in quelle località in cui i
prezzi di questi prodotti avicoli sono alti. Se pertanto il tuo stuolo
di gallinacei non offrisse un guadagno tale per cui a causa delle spese
non sei in grado di proteggere con reti tutto il cortile, con una spesa
di gran lunga inferiore potrai tenere lontani siffatti uccelli dalle
unghie adunche. Plinio ha tramandato che ciò si può ottenere con il
tamaro - Tamus communis - con queste parole, anche se basandosi
su quanto altri gli hanno riferito (Pier de’ Crescenzi intende ciò a
proposito della brionia - Bryonia dioica, che si incontra
dappertutto in Italia, quello, il tamaro, è davvero irritante). Egli
dice: Dicono che se uno ha recintato la fattoria con il tamaro, gli
sparvieri si danno alla fuga e i volatili da cortile non corrono
pericolo. |
Etsi
vero eo modo rapacium avium impetus effugere possit Gallinaceum genus,
ita contra difficilius a noxiis quadrupedibus sese tueri potest, propter
locorum, quibus sese {abdunt} <abdit>, commoditatem. Ex his
astutissimam animalium vulpeculam in primis non oderunt modo, sed adeo
vero etiam pertimescunt, ut cum subdola Gallinaceos quantumcunque in
alto remoto loco intuetur, vel saltem oculos lucentes tamquam faculas
eis ostendit, caudaque quasi baculo quodam minatur, prae metu sese
deorsum praecipitent, fugereque conantes opprimantur. Rapit autem vulpes
ex eis plurimas, adeo ut una nocte quadraginta, et amplius pullos simul
cum matribus partim abstulisse, partim semiesos reliquisse meo cum malo
observaverim. Cum autem nusquam non domesticis hisce alitibus infestae
sint vulpes, tum vero id maxime faciunt in locis montanis, non ignarae
nimirum, quod ibi facilius latere queant in sylvis, difficiliusque
capiantur. |
Ma
sebbene in questo modo il genere dei gallinacei sia in grado di sfuggire
agli assalti degli uccelli rapaci, così al contrario è in grado di
difendersi con maggiore difficoltà dai quadrupedi nocivi a causa della
comodità dei posti in cui si rifugia. Tra questi quadrupedi
innanzitutto non solo odiano la volpe che è il più astuto degli
animali, ma in realtà la temono anche a tal punto che, quando la
subdola creatura guarda i gallinacei per quanto sia alto e distante il
posto in cui si trovano, o perlomeno mostra loro gli occhi luccicanti
come fiaccole e li minaccia con la coda come se fosse un bastone, per la
paura si gettano giù e mentre tentano di fuggire vengono uccisi.
Infatti la volpe se ne impadronisce di moltissime, tant’è che ho
potuto vedere a mie spese che in una sola notte di quaranta e più
pulcini contando anche le madri una parte li ha portati via e una parte
li ha lasciati mezzo mangiati. Ma sebbene le volpi siano ovunque
pericolose per questi volatili domestici, soprattutto si comportano così
nelle località di montagna, senza dubbio non ignorando che qui possono
nascondersi con maggior facilità nei boschi e con maggior difficoltà
possono venir catturate. |
Ut
itaque noxia istaec animalia fuges, Gallinariumque et cortem tuta reddas,
placuit hic etiam remedia docere, quibus id praestare queas. Tradit
Hector Boëtus[5],
Scotos maxime monticolas tali consilio illarum belluarum pernitiem
antevertere consuevisse: Vicis
frequentioribus, inquit, singulae
aedes singulas Vulpeculas nutriunt, easque
earum carnibus contusis, coctisque animalium cibis miscere solent.
Quae autem pecudes, et volucres domesticae eas degustassent, duos prope
menses innoxiae securaeque pascentes oberrant, vulpibus a sui generis
esca tam anxie abstinentibus: quod ita esse comprobant. Nam si quae non
degustarit, pervagantibus inter Gallinas, Anates, Anseres caeterasque
aves innoxiis vulpibus ea sola illis praeda est quam a genere suo
abstinuisse sentiunt, ut appareat inferendis iniuriis nonnunquam
iniurias propelli. Haec ille: quod secretum Plinium ignorasse minime
videtur. Nam et hic alibi[6]
scripsit Gallinaceos non attingi a
vulpibus, qui iecur animalis eius aridum ederint, vel si pellicula ex {ea}
<eo>[7]
collo inducta, Galli inierint. Rutam sylvestrem etiam adversus
vulpes, et alia animantia Gallinis infesta valere legimus, et multo
efficaciorem fore, si vulpis fel cibo {admistum} <admixtum>
adhibueris, Democritus affirmat[8].
Idem de cat<t>o scribunt Dioscorides[9],
et {Afranius} <Africanus>, sed diversimode. Tradunt rutae montanae, inquit ille, succum Gallinaceis pullis inspersum feles arcere. Cat<t>us,
ait hic, non invadet Gallinam, si
ruta sylvestris sub eius ala appendatur. |
Pertanto
per tenere lontano questi animali nocivi e per rendere sicuri il pollaio
e il cortile, mi è sembrato opportuno dare a questo punto qualche
indicazione sui rimedi grazie ai quali tu possa attuarlo. Hector Boëce
racconta che gli Scozzesi, soprattutto quelli che abitano in montagna,
hanno preso l’abitudine di prevenire il danno derivante da quelle
bestie con il seguente stratagemma: In un numero piuttosto elevato di
villaggi, egli dice, ogni casa alleva un volpacchiotto ed è
solita miscelarne le carni pestate e cotte ai cibi degli animali.
Infatti quegli animali e quegli uccelli domestici che le hanno
assaggiate, per circa due mesi se ne vanno in giro a pascolare indenni e
senza pericolo, in quanto le volpi si astengono tanto scrupolosamente da
un cibo che appartiene al loro genere da confermare che le cose stanno
in questo modo. Infatti se qualcuno non le ha assaggiate, quando le
volpi si aggirano inoffensive tra le galline, le anatre, le oche e i
rimanenti volatili, per esse rappresenta una preda solo quel volatile
che esse percepiscono essersi astenuto dalle carni del suo genere,
cosicché appare che talvolta le offese sono respinte infliggendo offese.
Queste le sue parole: sembra che Plinio non abbia assolutamente ignorato
tale segreto. Infatti anche lui scrisse in un altro punto: Non
vengono assaliti dalle volpi quei gallinacei che abbiano mangiato il
fegato secco di quell’animale: oppure se i galli li avranno montati
– si spera solo le galline! - dopo che è stato loro messo al collo un
pezzetto di pelle di tale animale.
Abbiamo letto che la ruta selvatica
è efficace anche contro le volpi e
altri animali nocivi alle galline, e Bolos
di Mendes
afferma che sarà
ben più efficace se darai della bile di volpe mescolata al cibo. La
stessa cosa scrivono a proposito del gatto Dioscoride
e Sesto Giulio Africano
–
non Afranio, ma in modo diverso. Il primo dice: Raccontano che il
succo della ruta di montagna spruzzato sui pulcini dei gallinacei tiene
lontani i gatti. Il secondo dice: Il gatto non assalirà la
gallina se sotto alla sua ala viene appesa della ruta selvatica. |
Cum
mustelis magis, quam cum felibus insitam inimicitiam exercent, nam has
non praetereuntes duntaxat horrent, sed voce etiam tantum audita, teste
Aeliano[10],
fere exanimantur, cum alioqui, mugitus boum, rugitusque asinorum
praeclare contemnant: Ab his quoque Plinius[11]
tutos Gallinaceos pullos fore prodidit, si earum cinis in offa istis
exhibeantur. Salamandrae pariter nescio quid inesse necesse est, quod
occulte Gallinis noceat, nam et hanc referunt in acervo tritici repertam
totum id inficere, Gallinasque inde {viscentes} <vescentes> emori,
cum alias noxias quasque serpentes impune saepius visae sint devorasse.
At Gallinae eo die, quo ovum peperint, a serpente non laeduntur, quin et
caro earum tum a serpente morsis remedio est. Item serpentes quosvis
absque noxa depascuntur, cum alioqui, quod mirum videtur, ab ipsis
morsae moriantur, sed magis adhuc admirandum est, quod tradit Plinius[12],
nimirum superventu eorum, qui serpentium canisve {rapidi} <rabidi>
dente aliquando laesi fuerint, Gallinarum incubitus, et pecorum foetus
abortu vitiari. Ut ergo non mordeant Gallinas, sic provideto: Circa
caveas incendito cornu, cuius {odere} <odore> non fugari tantum,
verumetiam eos interimi referunt. |
Mostrano
un’inimicizia innata più con le faine che con i gatti, infatti ne
hanno terrore non solo quando esse passano loro davanti, ma, stando a
Eliano, anche solo a udirne la voce quasi svengono, mentre d’altra
parte non tengono conto assai chiaramente del muggito dei bovini e il
raglio degli asini: Plinio ha riferito che i pulcini di gallinacei staranno al
sicuro anche da questi animali - le faine - se verrà loro data la
cenere di faine in un boccone. Parimenti è necessario che vi sia nella
salamandra qualcosa che è in grado di nuocere segretamente alle
galline, infatti riferiscono pure che quando è stata trovata in un
cumulo di frumento lo guasta tutto quanto e che le galline che se ne
cibano muoiono, mentre in altre occasioni sono state più volte viste
divorare impunemente qualsiasi serpente nocivo. Ma nel giorno in cui
hanno deposto l’uovo le galline non vengono lese dal serpente, ma anzi
la loro carne in quel periodo di tempo rappresenta un rimedio per coloro
che sono stati morsi da un serpente. Parimenti divorano senza danno
qualsiasi serpente, mentre d’altra parte, e ciò sembra strano, se
vengono da loro morsicate muoiono, ma è ancora più straordinario ciò
che racconta Plinio, e cioè che a causa dell’arrivo improvviso di
coloro che per caso sono stati feriti dal dente dei serpenti, o di un
cane rabbioso, vanno a male le covate delle galline e i feti del
bestiame provocandone l’aborto. Pertanto, affinché non addentino le
galline dovrai prendere questi provvedimenti: brucerai un corno intorno
ai nidi, e raccontano che non solo vengono messi in fuga dal suo odore,
ma che addirittura vengono uccisi. |
Cum
plantis quibusdam hae volucres antipathiam habere videntur, ac in primis
cum nobilissima arbore, quae nobis eximium illud Bacchi donum
subministrat, cum vite inquam, cuius florem ipsis in cibo exhibitum
efficere ferunt, ut postmodum maturescentium uvarum esu abstineant. Sunt
qui id, ut antea[13]
etiam obiter diximus, {oenanthi} <oenanthae>[14]
sylvestri ascribant, eamque cibo incoctam, et illis proiectam fastidium
gignere uvas appetendi: verum Plinius id de uvae flore simpliciter
protulit. Ut ut est, utriusque curiosus quispiam poterit cum parvo
sumptu, at cum maximo lucro periculum facere. Nam uvarum esus, ut
ostendimus<,> Gallinis admodum damnosus est. Sed forte cum omni
vite antipathiam habuerint, nam idem Plinius[15],
{Gallinaceis ipsis circulis e
sarmentis collo additis [243]
non canere} <At gallinacei ipsi circulo e ramentis
addito in collum non canunt>
tradit, quod si verum est, insigne sane, et occultum odium demonstrat. |
Sembra
che questi volatili nutrano un’antipatia per certe piante, e
innanzitutto per la ben nota pianta che ci fornisce quello straordinario
dono di Bacco, intendo dire la vite, e dicono che il suo fiore dato loro
nel cibo fa in modo che successivamente si astengano dal mangiare
l’uva in maturazione. Vi sono alcuni che, come abbiamo detto di
passaggio in precedenza, attribuiscono questo effetto alla vite
selvatica, e – affermano - che gettandola loro cotta insieme al
mangime provoca un’avversione nei confronti del desiderio di uve: a
dire il vero Plinio riferì questo fatto semplicemente a proposito del
fiore dell’uva. Comunque stiano le cose, se qualcuno ha curiosità per
i due punti di vista, potrà fare un esperimento con poca spesa ma con
grande profitto. Infatti il mangiare l’uva, come abbiamo dimostrato,
è estremamente dannoso alle galline. Ma forse perché nutrono
un’antipatia per ogni tipo di vite; infatti lo stesso Plinio riferisce
che I galli stessi non cantano se si mette loro al collo una collana
fatta con scaglie d’oro, e se ciò fosse vero dimostra veramente
un odio notevole e celato. |
[1] Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 424: Nostri milvum aut accipitris genus a gallinarum praeda vocant den huenerdieb, id est gallinarum furem. Rubetarium esse credo accipitrem illum (inquit Turnerus) quem Angli hen harroer nominant. Porro ille apud nostros a dilaniandis gallinis nomen habet. Palumbarium magnitudine superat, et coloris est cinerei. Humi sedentes aves in agris, et gallinas in oppidis et pagis repente adoritur. Praeda frustratus, tacitus discedit, nec unquam secundum facit insultum. Hic per humum omnium (accipitrum) volat maxime.
[2] De re rustica VIII,4,6: Habeat tamen etiam clausa oportet amplum vestibulum quo prodeat et ubi apricetur, idque sit retibus munitum, ne aquila vel accipiter involet. Quas inpensas et curas, nisi locis quibus harum rerum vigent pretia, non expedit adhiberi. Antiquissima est autem cum omnibus pecoribus tum in hoc fides pastoris, qui nisi eam domino servat, nullius ornithonis quaestus vincit inpensas. De tutela satis dictum est, nunc reliquum ordinem persequemur.
[3] Ruralium commodorum, capitolo LXXXVI - Delle galline - pagina 240: [...] tendere funi o vite o vitalbe sopra il luogo dove dimorano [...].
[4] Naturalis historia XXIII,24-28. Vedi tamaro.
[5] Descriptio regni Scotorum. (Aldrovandi)
[6] Ho confrontato il testo di Gessner con due fonti, e ambedue riportano induta, non inducta. Il verbo induo significa indossare, mentre induco ha come eminente significato quello di introdurre, e solo in lontana istanza quello di indossare. Per un parallelismo con l’appena citato potere difensivo del cibarsi del fegato di volpe, potrebbe essere esatto inducta nel senso di aver mangiato un pezzetto di pelle del collo della volpe, visto oltretutto che è difficile immaginare dei galli che se ne fissano un frammento addosso. Quindi si accetta inducta e lo si traduce con ingoiare. Per la bile – non riferita da Aldrovandi - il discorso è identico: la bevono. Però... C’è sempre un però: i galli potrebbero benissimo strofinarsi la bile di donnola in qualche area del corpo, oppure voltolarsi nella bile. Insomma: un maquillage che è uno scudo antidonnola. - Plinio Naturalis historia XXVIII,265-266: Gallinaceos non attingi a vulpibus, qui iocur animalis eius aridum ederint, vel si pellicula ex eo collo induta galli inierint; [266] similiter in felle mustelae; [...]. – inducta è lezione della editio Coloniensis di Jo. Caesarius (1524) e congettura di Ermolao Barbaro (Castigationes plinianae, Romae 1492). Gessner utilizza probabilmente l'editio Coloniensis. I codici hanno induta, e così pure le edizioni moderne, come quella di C. Mayhoff (Lipsiae 1897, vol. IV, pag. 366).
[7] Gessner, come Plinio, ha ex eo collo. - Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 385: Gallinaceos non attingi a vulpibus qui iecur animalis eius aridum ederint: vel si pellicula ex eo collo inducta, galli inierint, {similia} <similiter> in felle mustelae legimus, Plinius. - Ho confrontato il testo di Gessner con due fonti latine, e ambedue riportano induta, non inducta. Anche la traduzione inglese (Natural History. Pliny the Elder. John Bostock, M.D., F.R.S. H.T. Riley, Esq., B.A. London. 1855), non corredata da testo latino a fronte, fa pensare a induta: “or if the cock, when treading the hen, has had a piece of fox's skin about his neck”. - Il verbo induo significa indossare, far indossare, mettere addosso, mentre induco ha come eminente significato quello di introdurre, e solo in lontana istanza quello di indossare. Le ipotesi interpretative dei telegrafici spezzoni di Plinio possono essere le più caleidoscopiche, visto che stiamo navigando in un mare colmo di magia tutta da verificare. Per un parallelismo con l’appena citato potere difensivo del cibarsi del fegato di volpe, potrebbe essere esatto inducta nel senso di aver mangiato un pezzetto di pelle del collo della volpe, reiterando così l’attività alimentare dei gallinacei, visto che oltretutto è difficile immaginare dei galli che da soli si fissano addosso un frammento di pelle di volpe. Quindi potremmo accettare inducta traducendolo con ingoiare. Per la bile – non citata da Aldrovandi - il discorso è identico: essi, usando per la terza volta la bocca, la bevono. Però... C’è sempre un però: i galli potrebbero benissimo strofinarsi la bile di donnola in qualche area del corpo. Insomma: un maquillage, uno scudo antidonnola. Oppure qualcuno gliela strofina addosso, così come qualcuno gli ha messo al collo un pezzetto di pelle di volpe a mo’ di amuleto. Nel confronto del testo latino vince induta con un bel 3 a 1, per cui, senza emendare il testo, nella traduzione attribuiamo a inducta il significato primario di induta: mettere addosso. - Plinio Naturalis historia XXVIII,265-266: Gallinaceos non attingi a vulpibus, qui iocur animalis eius aridum ederint, vel si pellicula ex eo collo induta galli inierint; [266] similiter in felle mustelae; [...]
[8] Geoponica XIV 9,6.
[9] Dioscorides De Materia Medica (ed. by M. Wellmann, Berlin, 1906-14), III, 45,5. - Geoponica XIV,21 - Ut gallina a fele non laedatur. Africani. Feles gallinas non contingent, si sub alam ipsis ruta sylvestris suspendatur. Similiter autem neque vulpes, neque aliud aliquod animal ipsas continget, et multo magis si vulpis aut felis fel cibo ammixtum exhibueris ut etiam Democritus confirmat. – traduzione di Janus Cornarius. § L'errore Afranius invece del corretto Africanus è presente anche a pagina 270. Vista la distanza tra questa e tale pagina è assai verosimile trattarsi di un classico errore dal sapore prettamente aldrovandesco. La stessa notizia erronea di pagina 270 è esplicitamente tratta da Hieroglyphica seu de sacris Aegyptorium aliarumque gentium literis commentarii di Giovan Pietro Bolzani. Due edizioni dei Hieroglyphica riportano Africanus: 1) Lugduni, sumptibus Pauli Frelon, 1602 – 2) Francofurti ad Moenum, Sumptibus Christiani Kirchneri, Typis Wendelini Moewaldi, 1678. § Se volessimo ammettere che Aldrovandi non poté consultare l'edizione del 1602 dei Hieroglyphica, bensì un'altra edizione meno recente (magari la prima di Basilea del 1556) e che questa riportasse Afranius, dobbiamo tuttavia accettare che il nostro Ulisse coi Geoponica non era assolutamente avvezzo.
[10] La natura degli animali V,50: È senza dubbio possibile anche attraverso queste altre osservazioni conoscere le caratteristiche degli animali. Noi vediamo ad esempio che gli uccelli domestici, allevati a contatto diretto con l’ambiente, non hanno più paura dei cavalli, degli asini, dei buoi e dei cammelli dato che si sono abituati alla loro presenza. Non temono neanche gli elefanti (se questi mostrano un’indole mite e mansueta) e addirittura si aggirano in mezzo a loro. I galli poi prendono tanta confidenza che non esitano a volare anche sulla loro schiena. Se invece una donnola corre vicino a loro, si sbigottiscono e vengono presi da un grande terrore. Non si preoccupano se odono il muggito dei bovini o il raglio degli asini, ma come sentono lo squittio della donnola tremano di paura. Non si curano minimamente delle oche, dei cigni e degli struzzi; hanno invece terrore dei falchi, anche se sono molto piccoli. (traduzione di Francesco Maspero)
[11] Naturalis historia XXX,144: Eiusdem mustelae cinis si detur in offa gallinaceis pullis et columbinis, tutos esse a mustelis.
[12] Naturalis historia XXVIII,31-32: [31] Signum eius familiae est, si modo adhuc durat, vernis temporibus odoris virus. atque eorum sudor quoque medebatur, non modo saliva. Nam in insula Nili Tentyri nascentes tanto sunt crocodilis terrori, ut vocem quoque eorum fugiant. Horum omnium generum insita repugnantia interventum quoque mederi constat, sicuti adgravari vulnera introitu eorum, qui umquam fuerint serpentium canisve dente laesi. [32] Iidem gallinarum incubitus, pecorum fetus abortu vitiant; tantum remanet virus ex accepto semel malo, ut venefici fiant venena passi. Remedio est ablui primus manus eorum aquaque illa eos, quibus medearis, inspergi. rursus a scorpione aliquando percussi numquam postea a crabronibus, vespis apibusve feriuntur.
[13] Pagina 232. Vedere là il passo di Plinio.
[14] Il vocabolo greco di genere femminile oinànthë significa: gemma della vite, vite silvestre, fiore della vite, fiore della clematide (Dioscoride).
[15] Evviva il passaparola che non è affatto un’invenzione della nostra TV: infatti Aldrovandi se ne servì a iosa, e proprio grazie al passaparola è stato capace di trasformare delle scagliette d’oro in tralci di vite. Vediamo questo iter che sa quasi di magico – una magia inversa rispetto a quella di re Mida – un iter al quale come al solito sottende Gessner. Infatti costui a pagina 385 della sua Historia Animalium III (1555) fa un’errata citazione telegrafica di un passaggio di Plinio: Gallinaceis circulo e sarmento addito collo non canunt, Plinius. – Ma Plinio quando parla di un circulus messo al collo dei galli sta disquisendo di oro, come vedremo tra poco a pagina 243. Eppure Aldrovandi, seguendo Gessner, non solo trasforma le scagliette d’oro di Plinio in tralci di vite, ma si appropria anche di uno strano – seppur accettabile – dativo Gallinaceis presente in Gessner, inserendolo nella sua frase che di Plinio possiede solamente la collana dotata del potere di inibire il canto dei galli, una frase caratterizzata oltretutto da un costrutto infelice dal sapore tipicamente pliniano, mentre stavolta Plinio si abbandona stranamente a una sintassi corretta. Ecco il testo di Plinio Naturalis historia, XXIX,80: Non praeteribo miraculum, quamquam ad medicinam non pertinens: si auro liquescenti gallinarum membra misceantur, consumunt id in se; ita hoc venenum auri est. At gallinacei ipsi circulo e ramentis addito in collum non canunt. – Insomma, Plinio dice che le zampe delle galline sono in grado di distruggere l’oro, ma una collana fatta di pagliuzze d’oro ha il grande potere di far tacere i galli. - Questa magia opposta a quella di re Mida doveva essere abbastanza diffusa nel 1500. Infatti anche Pierandrea Mattioli nel suo commento a Dioscoride – sia in quello latino del 1554 che in quello postumo in italiano del 1585 – affinché non cantino fa cingere il collo dei galli con una collana fatta di sarmentis, cioè con un sarmento di vigna. Probabilmente il testo in possesso di Mattioli, di Gessner, e quindi di Aldrovandi, era corrotto e riportava sarmentis invece di ramentis. Ma se Gessner e Aldrovandi enucleano la citazione pliniana dal suo contesto, Mattioli cita tutta quanta la frase di Plinio: pagina 186 - Liber ii – cap. xliii – Gallinae, et Galli – Plinius cum de gallinis dissereret libro xxix. cap. iiii. haec inter caetera memoriae prodidit. Non praeteribo (inquit) miraculum, quanquam ad medicinam non pertinens: si auro liquescenti gallinarum membra misceantur, consumunt illud in se. Ita hoc venenum auri est. At gallinaceis ipsis circulo e sarmentis addito collo non canunt. - Neppure a Mattioli è balenato che quell’at ha un preciso significato: si tratta di una contrapposizione. Infatti l’oro, guastato dalle galline, è tuttavia in grado di prendersi una rivincita facendo ammutolire i galli. Ma nel 1500 nel testo di Plinio gironzolavano i sarmentis ed era giocoforza utilizzarli.