Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti - revisione di Roberto Ricciardi

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Humi sedentes aves in agris, et Gallinas in oppidis, et pagis repente adoritur. Praeda frustratus tacite discedit, nec unquam secundum facit insultum. Hic per humum Accipitrum omnium volat maxime[1]. Quapropter habere oportet, inquit Columella[2], clausum amplum vestibulum, idque retibus munitum, ne Aquila, vel Accipiter involet: et has impensas, et curas nisi locis, quibus harum rerum vigent pretia non expedit exhibere. Si itaque tantum emolumentum non praebeat Gallinacea tua familia, ut totam cortem retibus munire propter impensas nequeas, poteris longe cum minori sumptu eiusmodi uncungues <volucres> fugare. Plinius {volucres} vite nigra (Petrus Crescentiensis[3] id de vite alba intelligit, quae passim per Italiam obvia est, nimirum caustica illa) id praestari ex aliorum tamen relatu his verbis memoriae prodidit: Vite nigra, inquiens[4], aiunt si quis villam cinxerit, fugere Accipitres, tutasque fieri villaticas alites.

L’Albanella reale - Circus cyaneus - assale all’improvviso gli uccelli che nei campi vivono a terra, nelle città e nei villaggi le galline. Se viene delusa dalla preda si allontana in silenzio e non sferra mai un secondo attacco. Fra tutti i rapaci è quella che vola maggiormente a bassa quota. Columella dice che pertanto conviene avere un ampio vestibolo chiuso e inoltre difeso con reti affinché l’aquila o lo sparviero non possano volarci dentro: e non conviene mettere in atto queste spese e questi accorgimenti se non in quelle località in cui i prezzi di questi prodotti avicoli sono alti. Se pertanto il tuo stuolo di gallinacei non offrisse un guadagno tale per cui a causa delle spese non sei in grado di proteggere con reti tutto il cortile, con una spesa di gran lunga inferiore potrai tenere lontani siffatti uccelli dalle unghie adunche. Plinio ha tramandato che ciò si può ottenere con il tamaro - Tamus communis - con queste parole, anche se basandosi su quanto altri gli hanno riferito (Pier de’ Crescenzi intende ciò a proposito della brionia - Bryonia dioica, che si incontra dappertutto in Italia, quello, il tamaro, è davvero irritante). Egli dice: Dicono che se uno ha recintato la fattoria con il tamaro, gli sparvieri si danno alla fuga e i volatili da cortile non corrono pericolo.

Etsi vero eo modo rapacium avium impetus effugere possit Gallinaceum genus, ita contra difficilius a noxiis quadrupedibus sese tueri potest, propter locorum, quibus sese {abdunt} <abdit>, commoditatem. Ex his astutissimam animalium vulpeculam in primis non oderunt modo, sed adeo vero etiam pertimescunt, ut cum subdola Gallinaceos quantumcunque in alto remoto loco intuetur, vel saltem oculos lucentes tamquam faculas eis ostendit, caudaque quasi baculo quodam minatur, prae metu sese deorsum praecipitent, fugereque conantes opprimantur. Rapit autem vulpes ex eis plurimas, adeo ut una nocte quadraginta, et amplius pullos simul cum matribus partim abstulisse, partim semiesos reliquisse meo cum malo observaverim. Cum autem nusquam non domesticis hisce alitibus infestae sint vulpes, tum vero id maxime faciunt in locis montanis, non ignarae nimirum, quod ibi facilius latere queant in sylvis, difficiliusque capiantur.

Ma sebbene in questo modo il genere dei gallinacei sia in grado di sfuggire agli assalti degli uccelli rapaci, così al contrario è in grado di difendersi con maggiore difficoltà dai quadrupedi nocivi a causa della comodità dei posti in cui si rifugia. Tra questi quadrupedi innanzitutto non solo odiano la volpe che è il più astuto degli animali, ma in realtà la temono anche a tal punto che, quando la subdola creatura guarda i gallinacei per quanto sia alto e distante il posto in cui si trovano, o perlomeno mostra loro gli occhi luccicanti come fiaccole e li minaccia con la coda come se fosse un bastone, per la paura si gettano giù e mentre tentano di fuggire vengono uccisi. Infatti la volpe se ne impadronisce di moltissime, tant’è che ho potuto vedere a mie spese che in una sola notte di quaranta e più pulcini contando anche le madri una parte li ha portati via e una parte li ha lasciati mezzo mangiati. Ma sebbene le volpi siano ovunque pericolose per questi volatili domestici, soprattutto si comportano così nelle località di montagna, senza dubbio non ignorando che qui possono nascondersi con maggior facilità nei boschi e con maggior difficoltà possono venir catturate.

Ut itaque noxia istaec animalia fuges, Gallinariumque et cortem tuta reddas, placuit hic etiam remedia docere, quibus id praestare queas. Tradit Hector Boëtus[5], Scotos maxime monticolas tali consilio illarum belluarum pernitiem antevertere consuevisse: Vicis frequentioribus, inquit, singulae aedes singulas Vulpeculas nutriunt, easque earum carnibus contusis, coctisque animalium cibis miscere solent. Quae autem pecudes, et volucres domesticae eas degustassent, duos prope menses innoxiae securaeque pascentes oberrant, vulpibus a sui generis esca tam anxie abstinentibus: quod ita esse comprobant. Nam si quae non degustarit, pervagantibus inter Gallinas, Anates, Anseres caeterasque aves innoxiis vulpibus ea sola illis praeda est quam a genere suo abstinuisse sentiunt, ut appareat inferendis iniuriis nonnunquam iniurias propelli. Haec ille: quod secretum Plinium ignorasse minime videtur. Nam et hic alibi[6] scripsit Gallinaceos non attingi a vulpibus, qui iecur animalis eius aridum ederint, vel si pellicula ex {ea} <eo>[7] collo inducta, Galli inierint. Rutam sylvestrem etiam adversus vulpes, et alia animantia Gallinis infesta valere legimus, et multo efficaciorem fore, si vulpis fel cibo {admistum} <admixtum> adhibueris, Democritus affirmat[8]. Idem de cat<t>o scribunt Dioscorides[9], et {Afranius} <Africanus>, sed diversimode. Tradunt rutae montanae, inquit ille, succum Gallinaceis pullis inspersum feles arcere. Cat<t>us, ait hic, non invadet Gallinam, si ruta sylvestris sub eius ala appendatur.

Pertanto per tenere lontano questi animali nocivi e per rendere sicuri il pollaio e il cortile, mi è sembrato opportuno dare a questo punto qualche indicazione sui rimedi grazie ai quali tu possa attuarlo. Hector Boëce racconta che gli Scozzesi, soprattutto quelli che abitano in montagna, hanno preso l’abitudine di prevenire il danno derivante da quelle bestie con il seguente stratagemma: In un numero piuttosto elevato di villaggi, egli dice, ogni casa alleva un volpacchiotto ed è solita miscelarne le carni pestate e cotte ai cibi degli animali. Infatti quegli animali e quegli uccelli domestici che le hanno assaggiate, per circa due mesi se ne vanno in giro a pascolare indenni e senza pericolo, in quanto le volpi si astengono tanto scrupolosamente da un cibo che appartiene al loro genere da confermare che le cose stanno in questo modo. Infatti se qualcuno non le ha assaggiate, quando le volpi si aggirano inoffensive tra le galline, le anatre, le oche e i rimanenti volatili, per esse rappresenta una preda solo quel volatile che esse percepiscono essersi astenuto dalle carni del suo genere, cosicché appare che talvolta le offese sono respinte infliggendo offese. Queste le sue parole: sembra che Plinio non abbia assolutamente ignorato tale segreto. Infatti anche lui scrisse in un altro punto: Non vengono assaliti dalle volpi quei gallinacei che abbiano mangiato il fegato secco di quell’animale: oppure se i galli li avranno montati – si spera solo le galline! - dopo che è stato loro messo al collo un pezzetto di pelle di tale animale. Abbiamo letto che la ruta selvatica è efficace anche contro le volpi e altri animali nocivi alle galline, e Bolos di Mendes afferma che sarà ben più efficace se darai della bile di volpe mescolata al cibo. La stessa cosa scrivono a proposito del gatto Dioscoride e Sesto Giulio Africano – non Afranio, ma in modo diverso. Il primo dice: Raccontano che il succo della ruta di montagna spruzzato sui pulcini dei gallinacei tiene lontani i gatti. Il secondo dice: Il gatto non assalirà la gallina se sotto alla sua ala viene appesa della ruta selvatica.

Cum mustelis magis, quam cum felibus insitam inimicitiam exercent, nam has non praetereuntes duntaxat horrent, sed voce etiam tantum audita, teste Aeliano[10], fere exanimantur, cum alioqui, mugitus boum, rugitusque asinorum praeclare contemnant: Ab his quoque Plinius[11] tutos Gallinaceos pullos fore prodidit, si earum cinis in offa istis exhibeantur. Salamandrae pariter nescio quid inesse necesse est, quod occulte Gallinis noceat, nam et hanc referunt in acervo tritici repertam totum id inficere, Gallinasque inde {viscentes} <vescentes> emori, cum alias noxias quasque serpentes impune saepius visae sint devorasse. At Gallinae eo die, quo ovum peperint, a serpente non laeduntur, quin et caro earum tum a serpente morsis remedio est. Item serpentes quosvis absque noxa depascuntur, cum alioqui, quod mirum videtur, ab ipsis morsae moriantur, sed magis adhuc admirandum est, quod tradit Plinius[12], nimirum superventu eorum, qui serpentium canisve {rapidi} <rabidi> dente aliquando laesi fuerint, Gallinarum incubitus, et pecorum foetus abortu vitiari. Ut ergo non mordeant Gallinas, sic provideto: Circa caveas incendito cornu, cuius {odere} <odore> non fugari tantum, verumetiam eos interimi referunt.

Mostrano un’inimicizia innata più con le faine che con i gatti, infatti ne hanno terrore non solo quando esse passano loro davanti, ma, stando a Eliano, anche solo a udirne la voce quasi svengono, mentre d’altra parte non tengono conto assai chiaramente del muggito dei bovini e il raglio degli asini: Plinio ha riferito che i pulcini di gallinacei staranno al sicuro anche da questi animali - le faine - se verrà loro data la cenere di faine in un boccone. Parimenti è necessario che vi sia nella salamandra qualcosa che è in grado di nuocere segretamente alle galline, infatti riferiscono pure che quando è stata trovata in un cumulo di frumento lo guasta tutto quanto e che le galline che se ne cibano muoiono, mentre in altre occasioni sono state più volte viste divorare impunemente qualsiasi serpente nocivo. Ma nel giorno in cui hanno deposto l’uovo le galline non vengono lese dal serpente, ma anzi la loro carne in quel periodo di tempo rappresenta un rimedio per coloro che sono stati morsi da un serpente. Parimenti divorano senza danno qualsiasi serpente, mentre d’altra parte, e ciò sembra strano, se vengono da loro morsicate muoiono, ma è ancora più straordinario ciò che racconta Plinio, e cioè che a causa dell’arrivo improvviso di coloro che per caso sono stati feriti dal dente dei serpenti, o di un cane rabbioso, vanno a male le covate delle galline e i feti del bestiame provocandone l’aborto. Pertanto, affinché non addentino le galline dovrai prendere questi provvedimenti: brucerai un corno intorno ai nidi, e raccontano che non solo vengono messi in fuga dal suo odore, ma che addirittura vengono uccisi.

Cum plantis quibusdam hae volucres antipathiam habere videntur, ac in primis cum nobilissima arbore, quae nobis eximium illud Bacchi donum subministrat, cum vite inquam, cuius florem ipsis in cibo exhibitum efficere ferunt, ut postmodum maturescentium uvarum esu abstineant. Sunt qui id, ut antea[13] etiam obiter diximus, {oenanthi} <oenanthae>[14] sylvestri ascribant, eamque cibo incoctam, et illis proiectam fastidium gignere uvas appetendi: verum Plinius id de uvae flore simpliciter protulit. Ut ut est, utriusque curiosus quispiam poterit cum parvo sumptu, at cum maximo lucro periculum facere. Nam uvarum esus, ut ostendimus<,> Gallinis admodum damnosus est. Sed forte cum omni vite antipathiam habuerint, nam idem Plinius[15], {Gallinaceis ipsis circulis e sarmentis collo additis [243] non canere} <At gallinacei ipsi circulo e ramentis addito in collum non canunt> tradit, quod si verum est, insigne sane, et occultum odium demonstrat.

Sembra che questi volatili nutrano un’antipatia per certe piante, e innanzitutto per la ben nota pianta che ci fornisce quello straordinario dono di Bacco, intendo dire la vite, e dicono che il suo fiore dato loro nel cibo fa in modo che successivamente si astengano dal mangiare l’uva in maturazione. Vi sono alcuni che, come abbiamo detto di passaggio in precedenza, attribuiscono questo effetto alla vite selvatica, e – affermano - che gettandola loro cotta insieme al mangime provoca un’avversione nei confronti del desiderio di uve: a dire il vero Plinio riferì questo fatto semplicemente a proposito del fiore dell’uva. Comunque stiano le cose, se qualcuno ha curiosità per i due punti di vista, potrà fare un esperimento con poca spesa ma con grande profitto. Infatti il mangiare l’uva, come abbiamo dimostrato, è estremamente dannoso alle galline. Ma forse perché nutrono un’antipatia per ogni tipo di vite; infatti lo stesso Plinio riferisce che I galli stessi non cantano se si mette loro al collo una collana fatta con scaglie d’oro, e se ciò fosse vero dimostra veramente un odio notevole e celato.


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[1] Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 424: Nostri milvum aut accipitris genus a gallinarum praeda vocant den huenerdieb, id est gallinarum furem. Rubetarium esse credo accipitrem illum (inquit Turnerus) quem Angli hen harroer nominant. Porro ille apud nostros a dilaniandis gallinis nomen habet. Palumbarium magnitudine superat, et coloris est cinerei. Humi sedentes aves in agris, et gallinas in oppidis et pagis repente adoritur. Praeda frustratus, tacitus discedit, nec unquam secundum facit insultum. Hic per humum omnium (accipitrum) volat maxime.

[2] De re rustica VIII,4,6: Habeat tamen etiam clausa oportet amplum vestibulum quo prodeat et ubi apricetur, idque sit retibus munitum, ne aquila vel accipiter involet. Quas inpensas et curas, nisi locis quibus harum rerum vigent pretia, non expedit adhiberi. Antiquissima est autem cum omnibus pecoribus tum in hoc fides pastoris, qui nisi eam domino servat, nullius ornithonis quaestus vincit inpensas. De tutela satis dictum est, nunc reliquum ordinem persequemur.

[3] Ruralium commodorum, capitolo LXXXVI - Delle galline - pagina 240: [...] tendere funi o vite o vitalbe sopra il luogo dove dimorano [...].

[4] Naturalis historia XXIII,24-28. Vedi tamaro.

[5] Descriptio regni Scotorum. (Aldrovandi)

[6] Ho confrontato il testo di Gessner con due fonti, e ambedue riportano induta, non inducta. Il verbo induo significa indossare, mentre induco ha come eminente significato quello di introdurre, e solo in lontana istanza quello di indossare. Per un parallelismo con l’appena citato potere difensivo del cibarsi del fegato di volpe, potrebbe essere esatto inducta nel senso di aver mangiato un pezzetto di pelle del collo della volpe, visto oltretutto che è difficile immaginare dei  galli che se ne fissano un frammento addosso. Quindi si accetta inducta e lo si traduce con ingoiare. Per la bile – non riferita da Aldrovandi - il discorso è identico: la bevono. Però... C’è sempre un però: i galli potrebbero benissimo strofinarsi la bile di donnola in qualche area del corpo, oppure voltolarsi nella bile. Insomma: un maquillage che è uno scudo antidonnola. - Plinio Naturalis historia XXVIII,265-266: Gallinaceos non attingi a vulpibus, qui iocur animalis eius aridum ederint, vel si pellicula ex eo collo induta galli inierint; [266] similiter in felle mustelae; [...]. – inducta è lezione della editio Coloniensis di Jo. Caesarius (1524) e congettura di Ermolao Barbaro (Castigationes plinianae, Romae 1492). Gessner utilizza probabilmente l'editio Coloniensis. I codici hanno induta, e così pure le edizioni moderne, come quella di C. Mayhoff (Lipsiae 1897, vol. IV, pag. 366).

[7] Gessner, come Plinio, ha ex eo collo. - Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 385: Gallinaceos non attingi a vulpibus qui iecur animalis eius aridum ederint: vel si pellicula ex eo collo inducta, galli inierint, {similia} <similiter> in felle mustelae legimus, Plinius. - Ho confrontato il testo di Gessner con due fonti latine, e ambedue riportano induta, non inducta. Anche la traduzione inglese (Natural History. Pliny the Elder. John Bostock, M.D., F.R.S. H.T. Riley, Esq., B.A. London. 1855), non corredata da testo latino a fronte, fa pensare a induta: “or if the cock, when treading the hen, has had a piece of fox's skin about his neck”. - Il verbo induo significa indossare, far indossare, mettere addosso, mentre induco ha come eminente significato quello di introdurre, e solo in lontana istanza quello di indossare. Le ipotesi interpretative dei telegrafici spezzoni di Plinio possono essere le più caleidoscopiche, visto che stiamo navigando in un mare colmo di magia tutta da verificare. Per un parallelismo con l’appena citato potere difensivo del cibarsi del fegato di volpe, potrebbe essere esatto inducta nel senso di aver mangiato un pezzetto di pelle del collo della volpe, reiterando così l’attività alimentare dei gallinacei, visto che oltretutto è difficile immaginare dei galli che da soli si fissano addosso un frammento di pelle di volpe. Quindi potremmo accettare inducta traducendolo con ingoiare. Per la bile – non citata da Aldrovandi - il discorso è identico: essi, usando per la terza volta la bocca, la bevono. Però... C’è sempre un però: i galli potrebbero benissimo strofinarsi la bile di donnola in qualche area del corpo. Insomma: un maquillage, uno scudo antidonnola. Oppure qualcuno gliela strofina addosso, così come qualcuno gli ha messo al collo un pezzetto di pelle di volpe a mo’ di amuleto. Nel confronto del testo latino vince induta con un bel 3 a 1, per cui, senza emendare il testo, nella traduzione attribuiamo a inducta il significato primario di induta: mettere addosso. - Plinio Naturalis historia XXVIII,265-266: Gallinaceos non attingi a vulpibus, qui iocur animalis eius aridum ederint, vel si pellicula ex eo collo induta galli inierint; [266] similiter in felle mustelae; [...]

[8] Geoponica XIV 9,6.

[9] Dioscorides De Materia Medica (ed. by M. Wellmann, Berlin, 1906-14), III, 45,5. - Geoponica XIV,21 - Ut gallina a fele non laedatur. Africani. Feles gallinas non contingent, si sub alam ipsis ruta sylvestris suspendatur. Similiter autem neque vulpes, neque aliud aliquod animal ipsas continget, et multo magis si vulpis aut felis fel cibo ammixtum exhibueris ut etiam Democritus confirmat. – traduzione di Janus Cornarius. § L'errore Afranius invece del corretto Africanus è presente anche a pagina 270. Vista la distanza tra questa e tale pagina è assai verosimile trattarsi di un classico errore dal sapore prettamente aldrovandesco. La stessa notizia erronea di pagina 270 è esplicitamente tratta da Hieroglyphica seu de sacris Aegyptorium aliarumque gentium literis commentarii di Giovan Pietro Bolzani. Due edizioni dei Hieroglyphica riportano Africanus: 1) Lugduni, sumptibus Pauli Frelon, 1602 – 2) Francofurti ad Moenum, Sumptibus Christiani Kirchneri, Typis Wendelini Moewaldi, 1678. § Se volessimo ammettere che Aldrovandi non poté consultare l'edizione del 1602 dei Hieroglyphica, bensì un'altra edizione meno recente (magari la prima di Basilea del 1556) e che questa riportasse Afranius, dobbiamo tuttavia accettare che il nostro Ulisse coi Geoponica non era assolutamente avvezzo.

[10] La natura degli animali V,50: È senza dubbio possibile anche attraverso queste altre osservazioni conoscere le caratteristiche degli animali. Noi vediamo ad esempio che gli uccelli domestici, allevati a contatto diretto con l’ambiente, non hanno più paura dei cavalli, degli asini, dei buoi e dei cammelli dato che si sono abituati alla loro presenza. Non temono neanche gli elefanti (se questi mostrano un’indole mite e mansueta) e addirittura si aggirano in mezzo a loro. I galli poi prendono tanta confidenza che non esitano a volare anche sulla loro schiena. Se invece una donnola corre vicino a loro, si sbigottiscono e vengono presi da un grande terrore. Non si preoccupano se odono il muggito dei bovini o il raglio degli asini, ma come sentono lo squittio della donnola tremano di paura. Non si curano minimamente delle oche, dei cigni e degli struzzi; hanno invece terrore dei falchi, anche se sono molto piccoli. (traduzione di Francesco Maspero)

[11] Naturalis historia XXX,144: Eiusdem mustelae cinis si detur in offa gallinaceis pullis et columbinis, tutos esse a mustelis.

[12] Naturalis historia XXVIII,31-32: [31] Signum eius familiae est, si modo adhuc durat, vernis temporibus odoris virus. atque eorum sudor quoque medebatur, non modo saliva. Nam in insula Nili Tentyri nascentes tanto sunt crocodilis terrori, ut vocem quoque eorum fugiant. Horum omnium generum insita repugnantia interventum quoque mederi constat, sicuti adgravari vulnera introitu eorum, qui umquam fuerint serpentium canisve dente laesi. [32] Iidem gallinarum incubitus, pecorum fetus abortu vitiant; tantum remanet virus ex accepto semel malo, ut venefici fiant venena passi. Remedio est ablui primus manus eorum aquaque illa eos, quibus medearis, inspergi. rursus a scorpione aliquando percussi numquam postea a crabronibus, vespis apibusve feriuntur.

[13] Pagina 232. Vedere là il passo di Plinio.

[14] Il vocabolo greco di genere femminile oinànthë significa: gemma della vite, vite silvestre, fiore della vite, fiore della clematide (Dioscoride).

[15] Evviva il passaparola che non è affatto un’invenzione della nostra TV: infatti Aldrovandi se ne servì a iosa, e proprio grazie al passaparola è stato capace di trasformare delle scagliette d’oro in tralci di vite. Vediamo questo iter che sa quasi di magico – una magia inversa rispetto a quella di re Mida – un iter al quale come al solito sottende Gessner. Infatti costui a pagina 385 della sua Historia Animalium III (1555) fa un’errata citazione telegrafica di un passaggio di Plinio: Gallinaceis circulo e sarmento addito collo non canunt, Plinius. – Ma Plinio quando parla di un circulus messo al collo dei galli sta disquisendo di oro, come vedremo tra poco a pagina 243. Eppure Aldrovandi, seguendo Gessner, non solo trasforma le scagliette d’oro di Plinio in tralci di vite, ma si appropria anche di uno strano – seppur accettabile – dativo Gallinaceis presente in Gessner, inserendolo nella sua frase che di Plinio possiede solamente la collana dotata del potere di inibire il canto dei galli, una frase caratterizzata oltretutto da un costrutto infelice dal sapore tipicamente pliniano, mentre stavolta Plinio si abbandona stranamente a una sintassi corretta. Ecco il testo di Plinio Naturalis historia, XXIX,80: Non praeteribo miraculum, quamquam ad medicinam non pertinens: si auro liquescenti gallinarum membra misceantur, consumunt id in se; ita hoc venenum auri est. At gallinacei ipsi circulo e ramentis addito in collum non canunt. – Insomma, Plinio dice che le zampe delle galline sono in grado di distruggere l’oro, ma una collana fatta di pagliuzze d’oro ha il grande potere di far tacere i galli. - Questa magia opposta a quella di re Mida doveva essere abbastanza diffusa nel 1500. Infatti anche Pierandrea Mattioli nel suo commento a Dioscoride – sia in quello latino del 1554 che in quello postumo in italiano del 1585 – affinché non cantino fa cingere il collo dei galli con una collana fatta di sarmentis, cioè con un sarmento di vigna. Probabilmente il testo in possesso di Mattioli, di Gessner, e quindi di Aldrovandi, era corrotto e riportava sarmentis invece di ramentis. Ma se Gessner e Aldrovandi enucleano la citazione pliniana dal suo contesto, Mattioli cita tutta quanta la frase di Plinio: pagina 186 - Liber ii – cap. xliiiGallinae, et Galli – Plinius cum de gallinis dissereret libro xxix. cap. iiii. haec inter caetera memoriae prodidit. Non praeteribo (inquit) miraculum, quanquam ad medicinam non pertinens: si auro liquescenti gallinarum membra misceantur, consumunt illud in se. Ita hoc venenum auri est. At gallinaceis ipsis circulo e sarmentis addito collo non canunt. - Neppure a Mattioli è balenato che quell’at ha un preciso significato: si tratta di una contrapposizione. Infatti l’oro, guastato dalle galline, è tuttavia in grado di prendersi una rivincita facendo ammutolire i galli. Ma nel 1500 nel testo di Plinio gironzolavano i sarmentis ed era giocoforza utilizzarli.