Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

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Baptista Porta[1] Gallinacei pedis similitudinem capnon habere [252] tradit, ideoque eius succum oculis claritatem facere, et alvum solvere autumat, sed qua parte non addit. Caucalis quoque Graecis, et Latinis nominatur herba, quam inter oleracea Theophrastus, Plinius[2] inter herbas vulgares, et in cibis usitatas meminere. Gaza in Theophrasto pedem Gallinaceum convertit, quo nomine Romani, ut Ruellius[3] scribit, appellant, quod extremum folium in Galli, aut Gallinae pedem conformetur. Ait item apud Dioscoridem tum eodem nomine, tum etiam pedem pulli ob eandem similitudinem vocari: sed id mihi nondum lectum est, scio tamen, hunc inter {thlaspios} <thlaspeos> nomenclaturas pedis Gallinacei meminisse, et Sylvaticus[4] portulacam, Macro pedem pulli nuncupari asserit.

Giambattista Della Porta riferisce che la fumaria ha una rassomiglianza con il piede di un gallinaceo, e che pertanto il suo succo provoca una luminosità agli occhi, e afferma che fa liberare l’intestino, ma non aggiunge con quale parte. Dai Greci e dai Latini viene pure nominata l’erba Caucalis - per es. lappola carota - che Teofrasto ha menzionato fra gli ortaggi, Plinio tra le erbe comuni spesso impiegate nei cibi. Teodoro Gaza, nella sua traduzione di Teofrasto, la traduce piede di pollo, nome col quale la chiamano i Romani, come scrive Jean Ruel, in quanto la parte terminale della foglia è conformata a mo' di piede di gallo o di gallina. Parimenti dice che in Dioscoride viene chiamata ora con lo stesso nome - caucalis - ora anche piede di pulcino per la stessa rassomiglianza: ma ciò non mi è ancora capitato di leggerlo, ma so che Ruel tra le nomenclature del Thlaspi ha fatto menzione del piede di pollo, e Matteo Silvatico asserisce che la portulaca viene detta da Floridus Macer piede di pulcino.

Ornithopodion similiter a Gallinae pede denominatum videri cuipiam possit, quoniam Ὄρνις, et ὄρνιθις[5] Graecis Gallina est. Attamen hîc ὄρνιθις in genere sumitur, atque herba ita vocatur a similitudine parvae aviculae[6]. Denique advertendum est apud Suetonium[7] quosdam Gallipedem inepte pro {Callipede} <Callippide> legere.

In modo analogo l’ornithopodion - Ornithopus sativus? cioè serradella - a qualcuno potrebbe sembrare che ha preso il nome dal piede della gallina, in quanto per i Greci órnis e órnithis è la gallina. Tuttavia in questo caso viene usato órnithis  in senso generale e l’erba viene così chiamata dalla rassomiglianza con un piccolo uccellino. Infine bisogna ricordarsi che in Svetonio alcuni stoltamente leggono Gallipede invece di Callippide.

Cunila Gallinacea non alia herba est, quam quae Origanum Heracleoticum Graecis vocatur, teste Plinio[8]. Ruellius sic dictam putat, quod eam Gallinae pascantur. Meminit eius plantae Plautus[9] his verbis.

In Ponto absinthium fit, et cunila Gallinacea.

La cunila gallinacea - santoreggia - è un’erba che non è diversa da quella che dai Greci viene detta origano di Eraclea - Origanum vulgare ssp. viridulum Nyman - come testimonia Plinio. Jean Ruel ritiene che sia così chiamata in quanto se ne nutrono le galline. Plauto menziona tale pianta con queste parole:

Nel Ponto cresce l’assenzio, e la cunila gallinacea.

Cur vero cunilam Gallinaceam vocent, a nemine adhuc traditum reperio. Ego ab effectu ita forte appellari existimem, videlicet quia insigniter venerem stimulat. Puto hoc origanum eisdem fere facultatibus praeditum, quibus cunila simpliciter dicta, quae satureia, seu thymbra alias nominatur. Unde satureiae nonnulli a satyris nomen impositum volunt, quod ut hi salacissimi, libidinosique passim a poëtis {depinguatur} <depingantur>, ita et haec herba homines ad {satyriasim} <satyriasem> impelleret, ut eleganter his verbis demonstrat Martialis[10].

Improba nec prosunt iam satureia tibi.

Ma perché la chiamino cunila gallinacea finora non lo trovo riferito da nessuno. Io sarei dell’avviso che forse viene così chiamata per il suo effetto, cioè in quanto stimola in modo notevole il desiderio sessuale. Ritengo infatti che questo tipo di origano è dotato quasi delle stesse facoltà di cui è fornita la cunila semplicemente detta, che viene altrimenti chiamata santoreggia o thymbra. Per cui alcuni pretendono che alla santoreggia sia stato conferito il nome dai satiri in quanto, come costoro sono ovunque descritti dai poeti come molto lussuriosi e libidinosi, così anche quest’erba istiga gli esseri umani alla satiriasi, come in modo elegante dimostra Marziale con queste parole:

Né ormai la licenziosa santoreggia ti può giovare.

Dodonaeus duo[11] elatines genera describit, depingitque. Unum, quod a quibusdam morsus Gallinae nuncupatur, et a Germanis Hunerbisz, a Belgis Hoenderbeet, hoc est, Gallinae morsus. Alterum quod ab eisdem Germanis Hunerserb, a Belgis Hoenderserve appelletur, hoc est, Gallinae h{a}ereditas. Prior elatine multis cauliculis fruticat, hirsutis, auriculae muris modo: foliis subrotundis, asperis, et hirsutis, saepius parum incisis: caetera alsinae non multum dissimilis: flores purpureos, et caeruleos edit: deinde parva capitula, in quibus semen includitur. Hanc Fuchsius nomine Alsines mediae depinxit. Morsum Gallinae folio hederulae vocat Lobelius. Altera similes priori cauliculos profert, sed longiora folia, {augustiora} <angustiora>, toto ambitu crenata: flores caeruleos, semen in binis folliculis iunctis, radicem fibratam. Utraque locis umbrosis, incultis, secus vias, et in agrorum marginibus frequens. Maio mense, et Iunio florent.

Rembert Dodoens descrive e raffigura due tipi di elatine. Uno, che da alcuni viene denominato morso di gallina, e dai Tedeschi Hunerbisz, dai Belgi Hoenderbeet, cioè morso di gallina. L’altro tipo sempre dai Tedeschi sarebbe chiamato Hunerserb e dai Belgi Hoenderserve, cioè eredità di gallina. La prima elatine germoglia con molti piccoli steli, pelosi, a mo’ di padiglione auricolare di un topo: con foglie rotondeggianti, ruvide e pelose, per lo più con poche incisioni; la seconda non è molto dissimile dall’alsine: fa dei fiori purpurei e cerulei: quindi delle piccole capocchie in cui è racchiuso il seme. Leonhart Fuchs ha descritto quest’ultima col nome di alsine media. Mathias de L’Obel la chiama morso di gallina dalla foglia di piccola edera. L’altra emette dei fusticini simili a quella precedente, ma delle foglie che sono più lunghe e più strette, dentellate su tutto il contorno: i fiori sono cerulei, il seme si trova in involucri appaiati e uniti tra loro, la radice è fibrosa. Ambedue sono frequenti nei luoghi ombrosi, incolti, lungo le strade e ai margini dei campi. Fioriscono nei mesi di maggio e giugno.

Hippiam recentiorum quidam vocant herbam vulgatissimam, quam Andreas Matthiolus pro alsine depinxit. Haec quoque vulgo morsus Gallinae dicitur, et Gallis morgeline, quod Gallinis, et aviculis grata sit, eaeque caveis inclusae, et cibum fastidientes herba ista recreentur, ut helxine etiam, qua Plinius[12] Gallinaceos, {scribit}, <scribit> annuum fastidium purgare; unde non inepte quispiam dubitet, errore aliquo factum esse, ut vel t{h}ypographus, vel Plinius helxine pro alsine scripserint. Germanis dicitur {vogelkraut} <Vogelkraut>, id est, herba avium. Italis centone, Pizzagallina, grassagalline, Pavarina, quod iunioribus Anseribus, quos Pavaros vocant, gratum sit pabulum.

Alcuni degli autori più recenti chiamano hippia un’erba molto frequente che Pierandrea Mattioli descrisse come alsine. Anche questa viene volgarmente detta morso di gallina, e morgeline dai Francesi, in quanto è gradita alle galline e ai piccoli uccelli, ed esse quando sono rinchiuse nei recinti e rifiutano il cibo verrebbero risollevate da quest’erba, come anche dalla helxine - forse la Parietaria officinalis - e Plinio scrive che grazie a lei i polli eliminano la disappetenza che si presenta annualmente; per cui giustamente qualcuno potrebbe dubitare che per un qualche errore sia accaduto che o il tipografo o Plinio abbiano scritto helxine invece di alsine. Dai Tedeschi è detta Vogelkraut, cioè erba degli uccelli. Per gli Italiani è il centone - o centonchio -, pizzagallina, grassagalline, pavarina - Stellaria media, in quanto sarebbe un cibo gradito alle oche più giovani, che chiamano pavari - oggi paperi.

Anagallis[13] Matthiolo etiam grassagallina dicitur, sed quem ob id Dalechampius reprehendat, qui id nominis soli alsinae convenire putat. Ruellius tamen et ipse pariter Gallus anagallidem Gallice morgelinam, sive Gallinae morsum nuncupat, ubi etiam hallucinari eos scribit, qui mouronem vulgo ductum, aut papaverinam [passerinam?[14]] florem {candidam} <candidum> ferentem, huic anagallidum connubio retulerunt, (diviserat autem in marem, et faeminam, {hunc} <illum> flore puniceo, {illam} <hanc> caeruleo[15]) illius virilis, faemineique sexus devortium facientes.

Da Mattioli l’anagallide viene anche detta grassagallina, ma a causa di ciò Jacques Daléchamps potrebbe rimproverarlo, in quanto egli ritiene che un tale nome si addice solo all’alsine. Tuttavia Jean Ruel, anche lui ugualmente francese, l’anagallide la chiama in francese morgeline, ossia morso di gallina, quando scrive pure che prendono un abbaglio coloro che hanno attribuito a questo connubio di anagallidi quello che è stato volgarmente tradotto come mouron o papaverinapasserina?, che reca un fiore bianco come la neve (infatti li aveva suddivisi in maschio e femmina, il primo dal fiore rosso brillante, la seconda dal fiore azzurro) creando una sua separazione in sesso maschile e femminile.

Ornithogalum a lacteo Gallinarum colore, ut vult idem Ruellius[16], nomen accepisse videtur, quod flores intus lacteo colore niteant, nisi quis sentiat, inquit Dalechampius, ab ovi candidi figura, quam radix prae se fert, dictum: nam avicularum ova imitatur, intus albissima. Arbitratur autem eiusmodi candorem in alis Gallinarum renitere: quod sane non intelligo, quoniam plurimae atrae sunt totae, multae alterius coloris, in quibus profecto nihil candoris reperias: si vero de candidis loquitur, cur in alis potius, quam in aliis partibus candor ille magis reniteat. Videndum an a candore albuminis ovi cocti, praesertim cum id lac Gallinae a quibusdam peritis putetur, Anaxagorae, Alcmaeoni Crotoniati, ut Aristoteles citat[17], atque magno Hippocrati: etsi eiusmodi alioquin opinionem ceu erroneam antea[18] refellerim ex Aristotele dum ait: Animalibus viviparis cibus, qui lac vocatur, in mammis parentis paratus est. Sed contra quam homines putant et Alcmaeon Crotoniates ait. Non enim albumen ovi lac est, sed vitellus. Hic enim pullis pro cibo est: illi albumen pro cibo esse existimant propter coloris affinitatem.

Come ritiene lo stesso Jean Ruel, sembra che l’ornithogalum abbia preso il nome dal color latte delle galline, in quanto nella parte interna i fiori risplendono di un colore bianco latte, a meno che qualcuno sia dell’avviso, dice Daléchamps, che sia stato denominato dalla forma di un uovo candido che la radice mostra: infatti rassomiglia alle uova degli uccellini e all’interno è bianchissima. Infatti - Ruel? - ritiene che siffatto candore risplende nelle ali delle galline: il che a dire il vero non riesco a capirlo, in quanto moltissime sono tutte nere, parecchie di un altro colore, nelle quali non riesci certamente a trovare nessun candore: ma se parla di quelle bianche, non si capisce perché quel candore risplenderebbe preferibilmente nelle ali anziché in altri distretti. Bisogna considerare se prende il nome dal candore dell’albume dell’uovo cotto, tanto più che da alcuni esperti esso viene ritenuto il latte della gallina, in Anassagora, Alcmeone di Crotone, come cita Aristotele, e nel grande Ippocrate: anche se d’altra parte ho prima confutato un siffatto modo di vedere come errato, citandolo da Aristotele quando dice: Dagli animali vivipari il cibo, che viene detto latte, viene preparato nelle mammelle della genitrice. Ma al contrario di quanto gli uomini ritengono e Alcmeone di Crotone dice. Infatti l’albume non è il latte dell’uovo, ma lo è il tuorlo. Infatti questo serve da cibo per i pulcini: quei dotti ritengono che l’albume serve da alimento a causa della somiglianza di colore.


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[1] Phytognomonica liber IV, cap. 23. (Aldrovandi)

[2] Naturalis historia XXII,83: Estur et caucalis feniculo similis, brevi caule, flore candido, cordi utilis. Sucus quoque eius bibitur, stomacho perquam commendatus et urinae calculisque et harenis pellendis et vesicae pruritibus.

[3] De natura stirpium libri tres, liber II, cap. 62. (Aldrovandi)

[4] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 403: Apud Dioscoridem inter thlaspeos etiam nomenclaturas pes gallinaceus legitur. Item caucalis (apud eundem) tum eodem nomine, tum pes pulli vocatur: nimirum quod extremum folium in gallinae pedem conformetur, ut Ruellius scribit. Portulaca Macro etiam pes pulli dicitur, Sylvaticus.

[5] Neppure in dizionari relativamente recenti di greco moderno (1856) è rintracciabile órnithis. Che non sia un errore tipografico ripetuto due volte al posto di órnithos, genitivo singolare di órnis?

[6] In greco antico, uccellino suona orníthion oppure ornýphion.

[7] Svetonio De vita Caesarum - Tiberius 38: Biennio continuo post adeptum imperium pedem porta non extulit; sequenti tempore praeterquam in propinqua oppida et, cum longissime, Antio tenus nusquam afuit, idque perraro et paucos dies; quamvis provincias quoque et exercitus revisurum se saepe pronuntiasset et prope quotannis profectionem praepararet, vehiculis comprehensis, commeatibus per municipia et colonias dispositis, ad extremum vota pro itu et reditu suo suscipi passus, ut vulgo iam per iocum "Callippides" vocaretur, quem cursitare ac ne cubiti quidem mensuram progredi proverbio Graeco notatum est. - Per due anni interi, dopo essere divenuto imperatore, non mise piede fuori di Roma; nel periodo seguente se ne assentò solo per andare nelle città vicine, senza oltrepassare Anzio, dove però si recava raramente e unicamente per qualche giorno. Tuttavia aveva più volte annunciato che sarebbe andato a visitare le province e le armate e quasi tutti gli anni preparava la sua partenza, facendo radunare i carri, disporre il materiale necessario nei municipi e nelle colonie, lasciando perfino che venissero iniziati sacrifici per il suo viaggio e per il suo ritorno, tanto che ormai il popolo gli dava, per scherzo, il soprannome di «Callippide», personaggio che, secondo un proverbio greco, continuava a correre, senza avanzare di un centimetro. (www.biblio-net.com) - Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 402: Gallipedem quidam in Suetonii Tiberio inepte pro Callip<p>ide legunt.

[8] Naturalis historia XX,170: Est alia cunila, gallinacea appellata nostris, Graecis origanum Heracleoticum. Prodest oculis trita addito sale; tussim quoque emendat et iocinerum vitia, laterum dolores cum farina, oleo et aceto sorbitione temperata, praecipue vero serpentium morsus.

[9] Trinummus IV,934-935: charmides senex. Eho an etiam Arabiast in Ponto? stasimus servus. Est: non illa ubi tus gignitur,|sed ubi apsinthium fit atque cunila gallinacea.

[10] Epigrammata III,75,3-4: Sed nihil erucae faciunt bulbique salaces,|inproba nec prosunt iam satureia tibi.

[11] Plinio ne descrive solo un genere. Naturalis historia XXVII,74: Elatine folia habet casiae, pusilla, pilosa, rotunda, semipedalibus ramulis quinis senisque, a radice statim foliosis. nascitur in segete, acerba gustu et ideo oculorum fluctionibus efficax foliis cum polenta tritis et inpositis, subdito linteolo. Eadem cum lini semine cocta sorbitionis usu dysenteria liberat.

[12] Aldrovandi ne ha già parlato a pagina 235. Ecco il testo di Plinio Naturalis historia VIII,101: Palumbes, graculi, merulae, perdices lauri folio annuum fastidium purgant, columbae, turtures et gallinacei herba quae vocatur helxine, anates, anseres ceteraeque aquaticae herba siderite, grues et similes iunco palustri.

[13] Dalla citazione a bordo pagina non è dato capire se Aldrovandi faccia riferimento ai Commentari a Dioscoride di Pierandrea Mattioli oppure all'Historia generalis plantarum di Jacques Daléchamps. Il riferimento è: libro 2 capitolo 109. Nel Commentarii in libros sex Pedacii Dioscoridis Anazarbei De Materia Medica (Venetiis, apud Valgrisium, 1554) di Mattioli l’anagallide viene commentata nel libro II al capitolo 174, dove Mattioli dice che “Anagallis tam mas, quam foemina, quae officinis vulgo Morsus gallinae dicitur, notissima est”. Per cui Mattioli, anche nel prosieguo del suo lungo commento, non la chiama assolutamente grassagallina. Bisogna quindi presumere che libro 2 capitolo 109 sia riferito a Daléchamps. Salvo una svista di Aldrovandi relativa al testo e alla numerazione di Mattioli!

[14] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 403: Alsine herba Graecis dicta, vulgo morsus gallinae et passerina a quibusdam nominatur, Germanis Huenerdarm, Huenererrb, Vogelkraut […].

[15] Dioscoride, nei Commentarii in libros sex Pedacii Dioscoridis Anazarbei De Materia Medica (Venetiis, apud Valgrisium, 1554) di Mattioli, dice che l’anagallide femmina ha fiore ceruleo, mentre il maschio ha il fiore rosso.

[16] De natura stirpium libri tres Liber 1, cap. 20. (Aldrovandi)

[17] De generatione animalium III,2: La nascita dall’uovo si ha per gli uccelli perché la femmina cova l’uovo e contribuisce a operare la cozione. L’animale si forma da una parte dell’uovo e ricava i mezzi del proprio accrescimento e compimento dalla restante parte, perché la natura dispone insieme nell’uovo sia la materia dell’animale, sia l’alimento sufficiente alla sua crescita. Dal momento che l’uccello non può portare a compimento la prole dentro di sé, produce nell’uovo anche l’alimento. Mentre per gli animali partoriti vivi l’alimento si produce in un’altra parte (il latte nelle mammelle), per gli uccelli la natura lo produce nelle uova. È tuttavia l’opposto di ciò che ritengono gli uomini e afferma Alcmeone di Crotone: il latte non è costituito dal bianco, ma dal giallo, ed è questo l’alimento dei pulcini. Essi invece ritengono che sia il bianco per la rassomiglianza del colore. (traduzione di Diego Lanza, il quale aggiunge questa nota: “Oltre che di Alcmeone questa dottrina era anche di Anassagora (59 B 22 DK) e si ritrova nello pseudoippocratico De nat. puer., 29-30. Qui però la corrispondenza non è stabilita su una semplice analogia cromatica, quanto sull’analogia funzionale tra l’embrione del viviparo e l’uovo, e con l’individuazione nell’uovo parzialmente covato della parte corrispondente al cordone ombelicale. L’autore ippocratico, dopo aver consigliato l’esperimento di rompere per venti giorni consecutivi un uovo al giorno della stessa covata, annota che «chi non ha ancora osservato questo si meraviglierà che in un uovo di uccello vi sia un cordone ombelicale». Che Aristotele abbia ben presente questo trattato risulta oltre che da questo anche da molti altri passi.”)

[18] A pagina 214.