Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

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Ornithologus[1] herbam illam testatur, quam pro aristolochia rotunda pharmacopolae Germani falso [253] acceperunt, a quibusdam Germanice Hanensporn, id est, calcar Gallinacei a floris figura nominari. Quod nomen pariter alsinae corniculatae Clusii convenire posset, utpote quam cornicula ferre scribit, Gallinaceorum calcarium forma.

L’Ornitologo afferma che quell’erba che gli speziali tedeschi hanno erroneamente scambiato per l’aristolochia rotonda, da alcuni viene detta in tedesco Hanensporn, cioè sperone di gallo, dall’aspetto del fiore. Lo stesso nome potrebbe ugualmente essere adatto per l’alsine corniculata di Charles de L’Écluse, siccome scrive che è dotata di cornetti con la forma di speroni di galli.

Alectoria{s} gemma a Gallo Gallinaceo nomen habet, quod in eius corpore reperiatur. Plinius in ventriculo generari putavit, Agricola non in eo duntaxat, sed et in iecore[2], et in hoc maiores. Alectorias, inquit ille[3], vocant in ventriculis Gallinaceorum inventas crystallina specie, magnitudine fabae: quibus Milonem Crotoniensem usum in certaminibus invictum fuisse videri volunt. Vicit tamen eum {Tritormas} <Titormus>[4] bubulcus, ut ex Rhodigino[5] citat Dalechampius[6]. Alectoriae, inquit Agricola, quanquam raro in Gallorum Gallinaceorum, et Caporum etiam ventriculo, et iecore gignuntur. Sed in iecore plerunque maiores. Nam nuper in Capo inventus est longus unciam[7], latus digitum[8], altus sescunciam: inferior pars, quae latior, humiles habet cavernas; superior, quae strictior, ad dextram extuberat: ad laevam humilis est, et fusca, cum reliquum eius corpus in fusco candidum sit. At in ventriculo reperti non raro fere figura sunt lupini, magnitudinem eiusdem, aut fabae, modo in cinereo candidi: modo fusci coloris, sed diluti: {uunc} <nunc> vero crystallina specie, sed coloris obscuri, quae fibras interdum habent subrubras. Crystalli similis, si politus inter oculum, et palpebram inferiorem interponitur, et ex una parte ad alteram transfertur, oculum non laedit. Quod idem facit Saphirus, vel onyx, vel alia gemma polita interposita, modo parva sit.

La pietra alettoria prende il nome dal gallo, in quanto si rinviene all’interno del suo corpo. Plinio ritenne generarsi nello stomaco, Georg Bauer - ha ritenuto che queste pietre - si formano non solo in esso, ma anche nel fegato, e in questo sono di dimensioni maggiori. Il primo dice: Chiamano alettorie quelle pietre rinvenute nello stomaco dei gallinacei dall’aspetto cristallino, della grandezza di una fava: affermano che pare se ne sia servito Milone di Crotone durante le gare di lotta e che non fu mai sconfitto. Tuttavia lo sconfisse il bovaro Titormo, come cita Jacques Daléchamps traendo la notizia da Lodovico Ricchieri. Georg Bauer dice: Le alettorie, anche se raramente, si generano anche nello stomaco e nel fegato dei galli e dei capponi. Ma nel fegato sono per lo più di dimensioni maggiori. Infatti recentemente in un cappone ne è stata trovata una lunga un’oncia - 2,54 cm, larga un dito - circa 1,8 cm, spessa un’oncia e mezza: la parte inferiore, quella più larga, possiede delle piccole concamerazioni: la parte superiore, la più stretta, presenta un rigonfiamento verso destra: a sinistra è ridotta e scura, mentre la sua rimanente porzione è candida con tracce di scuro. Ma nello stomaco non raramente se ne sono trovate con l’aspetto di un lupino e dotate della sua stessa grandezza o di quella di una fava, talora candide tendenti al color cenere: talora di colore scuro, ma attenuato: ma stavolta aveva un aspetto cristallino, tuttavia di colore scuro, e talora hanno delle striature rossastre. Quella che ha l’aspetto di un cristallo, se dopo essere stata levigata viene posta fra l’occhio e la palpebra inferiore e viene spostata da una parte all’altra, non causa lesioni oculari. Lo zaffiro oppure l’onice oppure un’altra pietra levigata interposta, purché sia piccola, si comportano allo stesso modo.

His, quae de hoc lapide ab Agricola tradita fuerunt, statim subijcere libuit descriptionem alterius, cuius nimirum, dum haec scriberem, mihi copiam fecit perillustris Eques Hercules Butrigarius, vir medius fidius multae eruditionis, antiquitatisque, et rerum naturalium studiosissimus, quemque se in Capi trimi ventriculo adinvenisse affirmabat. Est mea quidem sententia, verus, et genuinus alectoria{s} lapis, crystallina videlicet specie, licet colore subobscuro, figura sphaerica l{a}eviter utrinque compressa, et undique laevi, nisi quod in superiori parte, qua strictiusculus cernebatur, aliquantulum extuberaret. Nullae in eo cavernulae, quod de suo scribit Agricola: quin ex densa materia compactus, et gravis. Nam cum cerasi fructu aliquanto minor esset, pendebat octo et viginti ceratia, quae caratos vulgo dicimus.

Dopo queste notizie che su questa pietra sono state riferite da Georg Bauer, mi è sembrato bello aggiungere subito la descrizione di un’altra pietra di cui mi ha fatto una copia, mentre scrivevo questo testo, l’illustrissimo Cavaliere Ercole Butrigario, credetemi, uomo molto erudito, appassionato studioso dell’antichità e delle cose della natura, il quale affermava di averla rinvenuta nello stomaco di un cappone di tre anni. Sono senza dubbio dell’avviso che si trattava di una pietra alettoria vera e autentica, senz’altro del tipo cristallino, sebbene di colore piuttosto scuro, di forma sferica lievemente compressa sui due lati, e liscia dappertutto eccetto che nella parte superiore in cui appariva un po’ più stretta e mostrava un pochino di rigonfiamento. Non vi era nessuna concamerazione, che Georg Bauer riferisce a proposito della sua: anzi, era compatta, essendo costituita da materiale denso, ed era pesante. Infatti pur essendo abbastanza più piccola di un frutto di ciliegio, pesava 28 semi di carrubo, che volgarmente chiamiamo carati.

Quod autem in Capi ventriculo repertus fuerit, videtur confirmare recentiorum quorundam sententiam, qui non ex Gallo mare, uti iam ex Plinio, et Agricola diximus, sed castrato, quem Gallinacei nomine imperite, ut antea etiam docuimus[9], intelligunt, hunc lapidem haberi putant: et quidam, teste Ornithologo[10], Germanice Kapunenstein interpretantur, id est, Caponis lapidem. Albertus, et author de natura rerum quinto vel sexto a castratione anno in iecore alitis inveniri tradunt, quod Sylvaticus[11] ex Alberto, quem citat, aliter transcripsit, videlicet extrahi dicens ex ventriculo, postquam castratur supra quartum annum: addit insuper, aliquos post nonum extrahi dicere, meliorem esse de Gallo decrepito, maximum in hoc genere fabam aequare. Citat denique Dioscoridem testem[12], quod in ventribus Gallorum Gallinaceorum crystallo similis, vel aquae limpidae reperiatur, cum alioqui nihil huiusmodi in nostris exemplaribus Dioscoridis reperiatur.

Ma il fatto che è stata trovata nello stomaco di un cappone sembra confermare l’opinione di alcuni studiosi più recenti i quali ritengono che questa pietra non si ottiene da un gallo maschio, come prima abbiamo detto citando Plinio e Agricola, ma da un gallo castrato, che indicano erroneamente con il nome di gallo, come abbiamo sottolineato anche in precedenza: e alcuni, come riferisce l’Ornitologo, in tedesco la chiamano Kapunenstein, cioè, pietra del cappone. Alberto e un autore sconosciuto di cose naturali riferiscono che si rinviene nel fegato del volatile al quinto o al sesto anno da quando è stato castrato, e Matteo Silvatico l’ha trascritto in modo diverso traendolo da Alberto del quale fa la citazione, e cioè dicendo che la si estrae dallo stomaco dopo che sono trascorsi quattro anni dalla castrazione: aggiunge inoltre che alcuni dicono che vengono estratte dopo nove anni, che è migliore se proviene da un gallo decrepito, e che la pietra più grande in questo tipo di animale eguaglia una fava. Cita infine Dioscoride come prova, in quanto nella pancia dei galli la si troverebbe simile a un cristallo o ad acqua limpida, mentre d’altra parte nei nostri soggetti non si troverebbe nulla di simile a quanto detto da Dioscoride.

Albertus[13] radaim, seu donatidem lapidem nominat, qui niger sit et luceat. Ferunt autem, inquit, cum capita Gallorum formicis permittuntur, aliquando post multa tempora in capite maris Galli hunc lapidem inveniri. Conferre pollicentur ad rem quamvis impetrandam. Qui lapis nunquid idem fuerit cum alectoria difficile est iudicare. Video tamen utrique eandem virtutem ascribi, quae superstitionis expers non est. Ut enim Albertus ad omnia impetranda radaim lapidem probari tradit, ita etiam alectorias, ut author obscurus quidam de lapidibus ait.

Hic oratorem verbis facit esse disertum,

Constantem reddens, cunctisque per omnia gratum.

Hic circa veneris facit incentiva vigentes;

Commodus uxori, quae vult fore grata marito.

Ut bona tot praestet, clausus portetur in or{b}e.[14]

 

Alberto chiama una pietra radai o donatide, che sarebbe nera e che brillerebbe. Egli dice: E riferiscono che quando le teste dei galli sono abbandonate alle formiche, talora dopo molto tempo si rinviene sulla testa del gallo maschio – del gallo non castrato - questa pietra. Assicurano che dà la possibilità di ottenere qualunque cosa. È difficile giudicare se questa pietra corrisponde all’alettoria. Mi pare tuttavia di capire che ad ambedue viene attribuita lo stesso potere, che non è esente da superstizione. Infatti così come Alberto riferisce essere dimostrato che la pietra radai serve per ottenere qualunque cosa, altrettanto accade anche per le alettorie, come dice un autore sconosciuto riguardo alle pietre:

Questa pietra fa sì che un oratore sia incisivo con le parole.
Rendendolo deciso e gradito sotto tutti gli aspetti.
Questa pietra rende impetuosi per quanto riguarda gli stimoli sessuali.
È utile per una donna che vorrà gratificare il marito.
Affinché possa offrire tanti vantaggi deve essere portata racchiusa in bocca.

Sylvaticus etiam reges alectoriam gemmam gestantes, et gladiatores invictos reddere scribit, sitimque tollere, et mulieres viris conciliare. Cardanus huiusmodi lapidem sarda, vel achate fingi putat, in quo flammea macula appareat.

Matteo Silvatico scrive anche che rende invincibili i re e i gladiatori che portano con sé la pietra alettoria, e che toglie la sete, e che fa unire le donne agli uomini. Gerolamo Cardano ritiene che una siffatta pietra in cui sia presente una chiazza fiammeggiante può essere falsificata con la sarda - o con la corniola - oppure con l’agata.

Ad {Gallinam}[15] <Gallinas> villa Caesarum fuit ad Tyberim, via Flaminea, quae ab eo dicta est, quod Liviae Augustae ex alto abiecit in gremium Aquila conspicui candoris Gallinam, lauri ramum suis baccis foetum rostro tenentem, quam servari iusserant aruspices, ramum vero inseri diligenter: quod ad villam factum est, quae, ut dixi hac de causa ad {Gallinam} ad <Gallinas> dicta fuit.

Un tempo sulle rive del Tevere, sulla via Flaminia, c’era una villa dei Cesari intitolata Alle Galline, in quanto un’aquila aveva gettato dall’alto tra i seni di Livia Drusilla, o Giulia Augusta, una gallina di un candore estremo, la quale teneva col becco un ramo di alloro che era carico delle sue bacche, e gli aruspici avevano ordinato di conservarla, mentre il ramo doveva essere piantato con cura: cosa che fu fatta nei pressi della villa, la quale, come dissi, per questo motivo è stata detta Alle Galline.

Gallinaria a Gallinarum copia, ut Calepinus vult, vel ut alii a Gallinis feris sic dicta, insula est in mare T{h}usco, contra montes Ligusticos, ut eam Varro[16] describit, et Sozomenus[17]. Meminit eiusdem {Sulpitius} <Sulpicius>[18].

La Gallinara prende il nome dall’abbondanza di galline, come sostiene Ambrogio Calepino, oppure come altri sostengono è così chiamata dalla presenza di galline selvatiche, ed è un’isola che si trova nel Mar Tirreno, di fronte ai monti della Liguria, come la descrive Varrone, ed Ermia Sozomeno. Ne ha fatto menzione Sulpicio Severo.


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[1] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 403: Herba quam pro aristolochia rotunda pharmacopolae Germani hactenus falso acceperunt, a quibusdam Germanice {Hanenspozn} <Hanensporn>, id est calcar gallinacei, a floris figura, nominatur. Alsine herba Graecis dicta, vulgo morsus gallinae et passerina a quibusdam nominatur, Germanis Huenerdarm, Huenererrb, Vogelkraut ea cum caeteris avibus tum gallinis grata et salubris, et fastidii remedium existimatur: ut helxine etiam, qua Plinius gallinaceos scribit annuum fastidium purgare, si modo non errore aliquo factum est ut helxine pro alsine scriberetur.

[2] L'affermazione di Georg Bauer è perentoria: "ma nel fegato nascono per lo più maggiori" (De natura fossilium, 1550). § Negli uccelli non è descritta la calcolosi colecistica. Sono in corso ricerche per avvalorare l'affermazione di Georg Bauer.

[3] Naturalis historia XXXVII,144: Alectorias vocant in ventriculis gallinaceorum inventas crystallina specie, magnitudine fabae, quibus Milonem Crotoniensem usum in certaminibus invictum fuisse videri volunt.

[4] Lind (1963), anziché drizzare le antenne, si è adeguato ad Aldrovandi e ha tradotto Tritormas con l'inesistente Tritormas. § Per un confronto fra l'esattezza di Tritormas oppure di Titormus non vale neppure la pena mettersi alla caccia dell'irreperibile commento a Plinio di Jacques Daléchamps citato da Aldrovandi come fonte della notizia. Credo basti il testo originale di Lectiones antiquae (XI,69) di Lodovico Ricchieri edito nel 1516 e che è reso disponibile nella pagina del lessico dedicata a Milone. Ricchieri scrisse Titormus, e non una volta sola. Se non bastasse, si può aggiungere che senza alcun dubbio Ricchieri ha praticamente tradotto Varia historia XII,22 di Eliano, dove Titormo in greco suona Títormos, Titormus in latino. § Il capitolo di Eliano si intitola De Titormi et {Misonis} Milonis robore et de quodam diverbio. Anche questo brano, pubblicato nel 1556, si trova nella pagina di Milone del lessico. § Di errori se ne incontrano a bizzeffe, anche in questa traduzione di Eliano del 1556: Misonis invece di Milonis, e poi Eliano scrisse paroimía che, chissà perché, pur significando inequivocabilmente detto o proverbio, nel titolo del capitolo fu tradotto con diverbium (dialogo) anziché con proverbium come troviamo alla fine del brano. Era possibile tradurre paroimía anche con adagium o adagio/adagionis (femminile) come ha fatto Ricchieri (che però l'ha mascolinizzato: unde natus adagio), ma diverbium è una trovata quasi da incompetente, di uno che non conosce il contenuto di ciò che sta traducendo. Infatti il proverbio che grazie a Milone scaturì dalla gara tra lui e Titormo fu: Hic alter Hercules.

[5] Lodovico Ricchieri - basandosi completamente su Eliano Varia historia XII,22 - ne parla in Lectiones antiquae XI,69 (1516), dove Titormus viene etichettato non come bubulcus ma come bussequa, variante di busequa, derivato da bos+sequi, colui che segue i buoi. Alla fine del capitolo Ricchieri puntualizza che secondo alcuni Titormo era dell'Etolia, regione storica della Grecia compresa tra il golfo di Patrasso a sud e il monte Panaitolikón a nord: Titormus fuisse patria Aetolus, prodidere nonnulli. § Tra i nonnulli possiamo annoverare Erodoto che così scrisse nelle sue Storie VI,127: Dall'Etolia arrivò Malete, fratello di Titormo, di quel Titormo, l'uomo fisicamente più robusto di tutta la Grecia, che aveva fuggito la comunanza con gli uomini andando a vivere nelle estreme contrade dell'Etolia.

[6] In Comment. (Aldrovandi)

[7] Uncia significa la dodicesima parte di un tutto. Anticamente l’oncia era anche un’unità di misura di lunghezza pari a 1/12 del piede. Essendo il piede pari a circa 29 cm, un’oncia corrispondeva a circa 2,41 cm.

[8] Digitus corrispondeva alla sedicesima parte del piede romano, quindi a circa 1,8 cm.

[9] A pagina 199. § Qui Aldrovandi sembra dimenticare che Georg Bauer parla espressamente anche di capponi. Poi Plinio dice in ventriculis gallinaceorum, ma gallinaceorum include galli, capponi e senz'altro le dimenticate galline. Bisognerebbe poter chiedere a Plinio se la mia affermazione circa l'identificazione dei suoi gallinaceorum corrisponde a quanto lui voleva conglobare nel termine gallinacei.

[10] Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 382: Alectorias vocant gemmas in ventriculis gallinaceorum inventas crystallina specie, magnitudine fabarum: quibus Milonem Crotoniensem usum in certaminibus invictum fuisse videri volunt, Plinius 37. 10. Ferunt in ventre galli alectorium, id est gallinaceum lapidem. Sed is sarda vel achate fingitur, in quo flammea macula appareat, nam de alectoria vero nihil comperti habeo, Cardanus. Plinius alibi inter remedia calculi, lapillorum meminit qui in gallorum vesica (quasi avis vesicam habeat) reperiantur. Recentiores quidam non ex gallo mare, sed castrato (quem gallinacei nomine imperite intelligunt) hunc lapidem haberi putant: et quidam lingua vernacula interpretatur Kapunenstein/id est caponis lapidem.

[11] Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 382: Lapis alectorius Dioscoride teste (nihil huiusmodi in nostris exemplaribus Dioscoridis reperitur) invenitur in ventribus gallorum gallinaceorum crystallo similis vel aquae limpidae. Albertus scribit lapidem esse nitentem, crystallo obscuro similem. Extrahitur autem ex ventriculo galli gallinacei, postquam castratur supra quartum annum. Quidam post nonum extrahi dicunt. Melior est de gallo decrepito. Maximus in hoc genere fabam aequat. Ore gestantes reges et gladiatores invictos reddit, ac sitim tollit, mulieres viris conciliat, Sylvaticus capite 408.

[12] La citazione di Aldrovandi tratta dal testo del suo maestro l'Ornitologo è incompleta e decurtata, in quanto non ci fa sorgere il dubbio se effettivamente Dioscoride parlò della pietra alettoria. Infatti l'Ornitologo, per non farci inutilmente scervellare alla ricerca del passo di Dioscoride (per poi sentirci frustrati com'è accaduto), si premura di puntualizzare che tale passo è inesistente nei testi a sua disposizione. Oggi – lunedì 26 maggio 2008 – ci associamo pienamente a Gessner, salvo dissociarci quando Fernando Civardi sarà incappato nell'introvabile passo, e ciò magari avverrà quando avrà ultimato di trascrivere il commento di Pierandrea Mattioli al De materia medica di Dioscoride. § Riecco il testo liberatorio di Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 382, al quale per ora - o magari per sempre - ci associamo: Lapis alectorius Dioscoride teste (nihil huiusmodi in nostris exemplaribus Dioscoridis reperitur) invenitur in ventribus gallorum gallinaceorum crystallo similis vel aquae limpidae.

[13] De metallicis 2, 17. (Aldrovandi) § Albertus Magnus De Mineralibus. Padua (1476). Other editions entitled Liber Mineralium Domini Alberti Magni (1518), De Mineralibus et Rebus Metallicis Libri Quinque, Cologne (1569). (http://findarticles.com)

[14] Una bella differenza portare una pietra in giro – in orbe – magari tenendola in tasca, dal portarla in bocca – in ore – come se fosse una caramella. La colpa dell'errore potrebbe essere della tipografia Bellagamba, ma non è escluso che colpevole sia il nostro beneamato Ulisse. Ecco il testo originale di Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 382: Hic oratorem verbis facit esse disertum. | Constantem reddens cunctisque per omnia gratum. | Hic circa veneris facit incentiva vigentes. | Commodus uxori quae vult fore grata marito{,}<.> | Ut bona tot praestet clausus portetur in ore, Author obscurus de lapidibus.

[15] Svetonio De vita Caesarum - Galba 1: Progenies Caesarum in Nerone defecit; quod futurum, compluribus quidem signis, sed vel evidentissimis duobus apparuit. Liviae, olim post Augusti statim nuptias Veientanum suum revisenti, praetervolans aquila gallinam albam ramulum lauri rostro tenentem, ita ut rapuerat, demisit in gremium; cumque nutriri alitem, pangi ramulum placuisset, tanta pullorum suboles provenit, ut hodieque ea villa ad Gallinas vocetur, tale vero lauretum, ut triumphaturi Caesares inde laureas decerperent; fuitque mox triumphantibus, illas confestim eodem loco pangere; et observatum est, sub cuiusque obitum arborem ab ipso institutam elanguisse. Ergo novissimo Neronis anno et silva omnis exaruit radicitus, et quidquid ibi gallinarum erat interiit; ac subinde tacta de caelo Caesarum aede, capita omnibus simul statuis deciderunt, Augusti etiam sceptrum e manibus excussum est. - Plinio, Naturalis historia XV, 136-137: Sunt et circa Divum Augustum eventa eius digna memoratu. Namque Liviae Drusillae, quae postea Augusta matrimonii nomen accepit, cum pacta esset illa Caesari, gallinam conspicui candoris sedenti aquila ex alto abiecit in gremium inlaesam, intrepideque miranti accessit miraculum. Quoniam teneret in rostro laureum ramum onustum suis bacis, conservari alitem et subolem iussere haruspices ramumque eum seri ac rite custodiri: [137] quod factum est in villa Caesarum fluvio Tiberi inposita iuxta nonum lapidem Flaminiae viae, quae ob id vocatur Ad Gallinas, mireque silva provenit. Ex ea triumphans postea Caesar laurum in manu tenuit coronamque capite gessit, ac deinde imperatores Caesares cuncti. traditusque mos est ramos quos tenuerunt serendi, et durant silvae nominibus suis discretae, fortassis ideo mutatis triumphalibus.

[16] Rerum rusticarum III,9,16-17: Gallinae rusticae sunt in urbe rarae nec fere nisi mansuetae in cavea videntur Romae, similes facie non his gallinis villaticis nostris, sed Africanis. [17] Aspectu ac facie incontaminatae in ornatibus publicis solent poni cum psittacis ac merulis albis, item aliis id genus rebus inusitatis. Neque fere in villis ova ac pullos faciunt, sed in silvis. Ab his gallinis dicitur insula Gallinaria appellata, quae est in mari Tusco secundum Italiam contra montes Liguscos, Intimilium, Album Ingaunum; alii ab his villaticis invectis a nautis, ibi feris factis procreatis.

[17] Aldrovandi dà come referenza la Historia Ecclesiastica III, cap. 9. Le mie ricerche localizzano invece la citazione dell’isola Gallinara nel cap. 14, quando si parla di colui che diventerà San Martino vescovo di Tour. § Hermias Sozomen, Ecclesiastical History III,14: [...] and he [Martin] went to an island called Gallenaria, where he remained for some time, satisfying himself with roots of plants. Gallenaria is a small and uninhabited island lying in the Tyrrhenian Sea. (Ecclesiastical History - from a.d. 323 to a.d. 425 - translated from the Greek. Revised by Chester D. Hartranft, Hartford Theological Seminary - www.ccel.org)

[18] Vita Martini Turonensis Episcopi 6,5-6: Cedendum itaque tempori arbitratus ad insulam, cui Gallinaria nomen est, secessit comite quodam presbytero, magnarum virtutum viro. Hic aliquamdiu radicibus vixit herbarum: quo tempore helleborum, venenatum, ut ferunt, gramen, in cibum sumpsit. (6) Sed cum vim veneni in se grassantis vicina iam morte sensisset, imminens periculum oratione repulit statimque omnis dolor fugatus est.