Ulisse Aldrovandi
Ornithologiae tomus alter - 1600
Liber
Decimusquartus
qui
est
de Pulveratricibus Domesticis
Libro
XIV
che tratta
delle domestiche amanti della polvere
trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti
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Ornithologus[1]
herbam illam testatur, quam pro aristolochia rotunda pharmacopolae
Germani falso [253] acceperunt, a quibusdam Germanice Hanensporn, id
est, calcar Gallinacei a floris figura nominari. Quod
nomen pariter alsinae corniculatae Clusii convenire posset, utpote quam
cornicula ferre scribit, Gallinaceorum calcarium forma. |
L’Ornitologo
afferma che quell’erba che gli speziali tedeschi hanno erroneamente
scambiato per l’aristolochia rotonda, da alcuni viene detta in
tedesco Hanensporn, cioè sperone di gallo, dall’aspetto
del fiore. Lo stesso nome potrebbe ugualmente essere adatto per l’alsine
corniculata di Charles de L’Écluse, siccome scrive che è dotata
di cornetti con la forma di speroni di galli. |
Alectoria{s}
gemma a Gallo Gallinaceo nomen habet, quod in eius corpore reperiatur.
Plinius in ventriculo generari putavit, Agricola non in eo duntaxat, sed
et in iecore[2],
et in hoc maiores. Alectorias,
inquit ille[3], vocant
in ventriculis Gallinaceorum inventas crystallina specie, magnitudine
fabae: quibus Milonem Crotoniensem usum in certaminibus invictum fuisse
videri volunt. Vicit tamen eum {Tritormas} <Titormus>[4]
bubulcus, ut ex Rhodigino[5]
citat Dalechampius[6].
Alectoriae, inquit Agricola, quanquam
raro in Gallorum Gallinaceorum, et Caporum etiam ventriculo, et iecore
gignuntur. Sed in iecore plerunque maiores. Nam nuper in Capo inventus
est longus unciam[7], latus digitum[8],
altus sescunciam: inferior pars, quae latior, humiles habet cavernas;
superior, quae strictior, ad dextram extuberat: ad laevam humilis est,
et fusca, cum reliquum eius corpus in fusco candidum sit. At in
ventriculo reperti non raro fere figura sunt lupini, magnitudinem
eiusdem, aut fabae, modo in cinereo candidi: modo fusci coloris, sed
diluti: {uunc}
<nunc> vero crystallina specie, sed coloris obscuri, quae
fibras interdum habent subrubras. Crystalli similis, si politus inter
oculum, et palpebram inferiorem interponitur, et ex una parte ad alteram
transfertur, oculum non laedit. Quod idem facit Saphirus, vel onyx, vel
alia gemma polita interposita, modo parva sit. |
La
pietra alettoria prende il nome dal gallo, in quanto si rinviene
all’interno del suo corpo. Plinio ritenne generarsi nello stomaco,
Georg Bauer - ha ritenuto che queste pietre - si formano non solo in
esso, ma anche nel fegato, e in questo sono di dimensioni maggiori. Il
primo dice: Chiamano alettorie quelle pietre rinvenute nello stomaco
dei gallinacei dall’aspetto cristallino, della grandezza di una fava:
affermano che pare se ne sia servito Milone di Crotone durante le gare
di lotta e che non fu mai sconfitto. Tuttavia lo sconfisse il bovaro
Titormo, come cita Jacques Daléchamps traendo la notizia da Lodovico
Ricchieri. Georg Bauer dice: Le alettorie, anche se raramente, si
generano anche nello stomaco e nel fegato dei galli e dei capponi. Ma
nel fegato sono per lo più di dimensioni maggiori. Infatti recentemente
in un cappone ne è stata trovata una lunga un’oncia - 2,54 cm, larga
un dito - circa 1,8 cm, spessa un’oncia e mezza: la parte inferiore,
quella più larga, possiede delle piccole concamerazioni: la parte
superiore, la più stretta, presenta un rigonfiamento verso destra: a
sinistra è ridotta e scura, mentre la sua rimanente porzione è candida
con tracce di scuro. Ma nello stomaco non raramente se ne sono trovate
con l’aspetto di un lupino e dotate della sua stessa grandezza o di
quella di una fava, talora candide tendenti al color cenere: talora di
colore scuro, ma attenuato: ma stavolta aveva un aspetto cristallino,
tuttavia di colore scuro, e talora hanno delle striature rossastre.
Quella che ha l’aspetto di un cristallo, se dopo essere stata levigata
viene posta fra l’occhio e la palpebra inferiore e viene spostata da
una parte all’altra, non causa lesioni oculari. Lo zaffiro oppure
l’onice oppure un’altra pietra levigata interposta, purché sia
piccola, si comportano allo stesso modo. |
His,
quae de hoc lapide ab Agricola tradita fuerunt, statim subijcere libuit
descriptionem alterius, cuius nimirum, dum haec scriberem, mihi copiam
fecit perillustris Eques Hercules Butrigarius, vir medius fidius multae
eruditionis, antiquitatisque, et rerum naturalium studiosissimus,
quemque se in Capi trimi ventriculo adinvenisse affirmabat. Est mea
quidem sententia, verus, et genuinus alectoria{s} lapis, crystallina
videlicet specie, licet colore subobscuro, figura sphaerica l{a}eviter
utrinque compressa, et undique laevi, nisi quod in superiori parte, qua
strictiusculus cernebatur, aliquantulum extuberaret. Nullae
in eo cavernulae, quod de suo scribit Agricola: quin ex densa materia
compactus, et gravis. Nam cum cerasi fructu aliquanto minor esset,
pendebat octo et viginti ceratia, quae caratos vulgo dicimus. |
Dopo
queste notizie che su questa pietra sono state riferite da Georg Bauer,
mi è sembrato bello aggiungere subito la descrizione di un’altra
pietra di cui mi ha fatto una copia, mentre scrivevo questo testo,
l’illustrissimo Cavaliere Ercole Butrigario, credetemi, uomo molto
erudito, appassionato studioso dell’antichità e delle cose della
natura, il quale affermava di averla rinvenuta nello stomaco di un
cappone di tre anni. Sono senza dubbio dell’avviso che si trattava di
una pietra alettoria vera e autentica, senz’altro del tipo
cristallino, sebbene di colore piuttosto scuro, di forma sferica
lievemente compressa sui due lati, e liscia dappertutto eccetto che
nella parte superiore in cui appariva un po’ più stretta e mostrava
un pochino di rigonfiamento. Non vi era nessuna concamerazione, che
Georg Bauer riferisce a proposito della sua: anzi, era compatta, essendo
costituita da materiale denso, ed era pesante. Infatti pur essendo
abbastanza più piccola di un frutto di ciliegio, pesava 28 semi di
carrubo, che volgarmente chiamiamo carati. |
Quod
autem in Capi ventriculo repertus fuerit, videtur confirmare recentiorum
quorundam sententiam, qui non ex Gallo mare, uti iam ex Plinio, et
Agricola diximus, sed castrato, quem Gallinacei nomine imperite, ut
antea etiam docuimus[9],
intelligunt, hunc lapidem haberi putant: et quidam, teste Ornithologo[10],
Germanice Kapunenstein interpretantur, id est, Caponis lapidem.
Albertus, et author de natura rerum quinto vel sexto a castratione anno
in iecore alitis inveniri tradunt, quod Sylvaticus[11]
ex Alberto, quem citat, aliter transcripsit, videlicet extrahi dicens ex
ventriculo, postquam castratur supra quartum annum: addit insuper,
aliquos post nonum extrahi dicere, meliorem esse de Gallo decrepito,
maximum in hoc genere fabam aequare. Citat denique Dioscoridem testem[12],
quod in ventribus Gallorum Gallinaceorum crystallo similis, vel aquae
limpidae reperiatur, cum alioqui nihil huiusmodi in nostris exemplaribus
Dioscoridis reperiatur. |
Ma
il fatto che è stata trovata nello stomaco di un cappone sembra
confermare l’opinione di alcuni studiosi più recenti i quali
ritengono che questa pietra non si ottiene da un gallo maschio, come
prima abbiamo detto citando Plinio e Agricola, ma da un gallo castrato,
che indicano erroneamente con il nome di gallo, come abbiamo
sottolineato anche in precedenza: e alcuni, come riferisce
l’Ornitologo, in tedesco la chiamano Kapunenstein, cioè,
pietra del cappone. Alberto e un autore sconosciuto di cose naturali
riferiscono che si rinviene nel fegato del volatile al quinto o al sesto
anno da quando è stato castrato, e Matteo Silvatico l’ha trascritto
in modo diverso traendolo da Alberto del quale fa la citazione, e cioè
dicendo che la si estrae dallo stomaco dopo che sono trascorsi quattro
anni dalla castrazione: aggiunge inoltre che alcuni dicono che vengono
estratte dopo nove anni, che è migliore se proviene da un gallo
decrepito, e che la pietra più grande in questo tipo di animale
eguaglia una fava. Cita infine Dioscoride come prova, in quanto nella
pancia dei galli la si troverebbe simile a un cristallo o ad acqua
limpida, mentre d’altra parte nei nostri soggetti non si troverebbe
nulla di simile a quanto detto da Dioscoride. |
Albertus[13]
radaim, seu donatidem lapidem nominat, qui niger sit et luceat. Ferunt
autem, inquit, cum capita
Gallorum formicis permittuntur, aliquando post multa tempora in capite
maris Galli hunc lapidem inveniri. Conferre pollicentur ad rem quamvis
impetrandam. Qui lapis nunquid idem fuerit cum alectoria difficile
est iudicare. Video tamen utrique eandem virtutem ascribi, quae
superstitionis expers non est. Ut enim Albertus ad omnia impetranda
radaim lapidem probari tradit, ita etiam alectorias, ut author obscurus
quidam de lapidibus ait. Hic
oratorem verbis facit esse disertum, Constantem
reddens, cunctisque per omnia gratum. Hic
circa veneris facit incentiva vigentes; Commodus
uxori, quae vult fore grata marito. Ut
bona tot praestet, clausus portetur in or{b}e.[14] |
Alberto
chiama una pietra radai o donatide, che sarebbe nera e che
brillerebbe. Egli dice: E riferiscono che quando le teste dei galli
sono abbandonate alle formiche, talora dopo molto tempo si rinviene
sulla testa del gallo maschio – del gallo non castrato - questa
pietra. Assicurano che dà la possibilità di ottenere qualunque cosa.
È difficile giudicare se questa pietra corrisponde all’alettoria. Mi
pare tuttavia di capire che ad ambedue viene attribuita lo stesso
potere, che non è esente da superstizione. Infatti così come Alberto
riferisce essere dimostrato che la pietra radai serve per
ottenere qualunque cosa, altrettanto accade anche per le alettorie, come
dice un autore sconosciuto riguardo alle pietre: Questa
pietra fa sì che un oratore sia incisivo con le parole. |
Sylvaticus
etiam reges alectoriam gemmam gestantes, et gladiatores invictos reddere
scribit, sitimque tollere, et mulieres viris conciliare. Cardanus
huiusmodi lapidem sarda, vel achate fingi putat, in quo flammea macula
appareat. |
Matteo
Silvatico scrive anche che rende invincibili i re e i gladiatori che
portano con sé la pietra alettoria, e che toglie la sete, e che fa
unire le donne agli uomini. Gerolamo Cardano ritiene che una siffatta
pietra in cui sia presente una chiazza fiammeggiante può essere
falsificata con la sarda - o con la
corniola - oppure con
l’agata. |
Ad
{Gallinam}[15]
<Gallinas> villa Caesarum fuit ad Tyberim, via Flaminea, quae ab
eo dicta est, quod Liviae Augustae ex alto abiecit in gremium Aquila
conspicui candoris Gallinam, lauri ramum suis baccis foetum rostro
tenentem, quam servari iusserant aruspices, ramum vero inseri diligenter:
quod ad villam factum est, quae, ut dixi hac de causa ad {Gallinam} ad
<Gallinas> dicta fuit. |
Un
tempo sulle rive del Tevere, sulla via Flaminia, c’era una villa dei
Cesari intitolata Alle Galline, in quanto un’aquila aveva
gettato dall’alto tra i seni di Livia Drusilla, o Giulia
Augusta, una gallina di un candore estremo, la quale teneva col becco un
ramo di alloro che era carico delle sue bacche, e gli aruspici avevano
ordinato di conservarla, mentre il ramo doveva essere piantato con cura:
cosa che fu fatta nei pressi della villa, la quale, come dissi, per
questo motivo è stata detta Alle Galline. |
Gallinaria
a Gallinarum copia, ut Calepinus vult, vel ut alii a Gallinis feris sic
dicta, insula est in mare T{h}usco, contra montes Ligusticos, ut eam
Varro[16]
describit, et Sozomenus[17].
Meminit eiusdem {Sulpitius} <Sulpicius>[18]. |
La
Gallinara prende il nome dall’abbondanza di galline, come sostiene
Ambrogio Calepino, oppure come altri sostengono è così chiamata dalla
presenza di galline selvatiche, ed è un’isola che si trova nel Mar
Tirreno, di fronte ai monti della Liguria, come la descrive Varrone, ed
Ermia Sozomeno. Ne ha fatto menzione Sulpicio
Severo. |
[1] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 403: Herba quam pro aristolochia rotunda pharmacopolae Germani hactenus falso acceperunt, a quibusdam Germanice {Hanenspozn} <Hanensporn>, id est calcar gallinacei, a floris figura, nominatur. Alsine herba Graecis dicta, vulgo morsus gallinae et passerina a quibusdam nominatur, Germanis Huenerdarm, Huenererrb, Vogelkraut ea cum caeteris avibus tum gallinis grata et salubris, et fastidii remedium existimatur: ut helxine etiam, qua Plinius gallinaceos scribit annuum fastidium purgare, si modo non errore aliquo factum est ut helxine pro alsine scriberetur.
[2] L'affermazione di Georg Bauer è perentoria: "ma nel fegato nascono per lo più maggiori" (De natura fossilium, 1550). § Negli uccelli non è descritta la calcolosi colecistica. Sono in corso ricerche per avvalorare l'affermazione di Georg Bauer.
[3] Naturalis historia XXXVII,144: Alectorias vocant in ventriculis gallinaceorum inventas crystallina specie, magnitudine fabae, quibus Milonem Crotoniensem usum in certaminibus invictum fuisse videri volunt.
[4] Lind (1963), anziché drizzare le antenne, si è adeguato ad Aldrovandi e ha tradotto Tritormas con l'inesistente Tritormas. § Per un confronto fra l'esattezza di Tritormas oppure di Titormus non vale neppure la pena mettersi alla caccia dell'irreperibile commento a Plinio di Jacques Daléchamps citato da Aldrovandi come fonte della notizia. Credo basti il testo originale di Lectiones antiquae (XI,69) di Lodovico Ricchieri edito nel 1516 e che è reso disponibile nella pagina del lessico dedicata a Milone. Ricchieri scrisse Titormus, e non una volta sola. Se non bastasse, si può aggiungere che senza alcun dubbio Ricchieri ha praticamente tradotto Varia historia XII,22 di Eliano, dove Titormo in greco suona Títormos, Titormus in latino. § Il capitolo di Eliano si intitola De Titormi et {Misonis} Milonis robore et de quodam diverbio. Anche questo brano, pubblicato nel 1556, si trova nella pagina di Milone del lessico. § Di errori se ne incontrano a bizzeffe, anche in questa traduzione di Eliano del 1556: Misonis invece di Milonis, e poi Eliano scrisse paroimía che, chissà perché, pur significando inequivocabilmente detto o proverbio, nel titolo del capitolo fu tradotto con diverbium (dialogo) anziché con proverbium come troviamo alla fine del brano. Era possibile tradurre paroimía anche con adagium o adagio/adagionis (femminile) come ha fatto Ricchieri (che però l'ha mascolinizzato: unde natus adagio), ma diverbium è una trovata quasi da incompetente, di uno che non conosce il contenuto di ciò che sta traducendo. Infatti il proverbio che grazie a Milone scaturì dalla gara tra lui e Titormo fu: Hic alter Hercules.
[5] Lodovico Ricchieri - basandosi completamente su Eliano Varia historia XII,22 - ne parla in Lectiones antiquae XI,69 (1516), dove Titormus viene etichettato non come bubulcus ma come bussequa, variante di busequa, derivato da bos+sequi, colui che segue i buoi. Alla fine del capitolo Ricchieri puntualizza che secondo alcuni Titormo era dell'Etolia, regione storica della Grecia compresa tra il golfo di Patrasso a sud e il monte Panaitolikón a nord: Titormus fuisse patria Aetolus, prodidere nonnulli. § Tra i nonnulli possiamo annoverare Erodoto che così scrisse nelle sue Storie VI,127: Dall'Etolia arrivò Malete, fratello di Titormo, di quel Titormo, l'uomo fisicamente più robusto di tutta la Grecia, che aveva fuggito la comunanza con gli uomini andando a vivere nelle estreme contrade dell'Etolia.
[6] In Comment. (Aldrovandi)
[7] Uncia significa la dodicesima parte di un tutto. Anticamente l’oncia era anche un’unità di misura di lunghezza pari a 1/12 del piede. Essendo il piede pari a circa 29 cm, un’oncia corrispondeva a circa 2,41 cm.
[8] Digitus corrispondeva alla sedicesima parte del piede romano, quindi a circa 1,8 cm.
[9] A pagina 199. § Qui Aldrovandi sembra dimenticare che Georg Bauer parla espressamente anche di capponi. Poi Plinio dice in ventriculis gallinaceorum, ma gallinaceorum include galli, capponi e senz'altro le dimenticate galline. Bisognerebbe poter chiedere a Plinio se la mia affermazione circa l'identificazione dei suoi gallinaceorum corrisponde a quanto lui voleva conglobare nel termine gallinacei.
[10] Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 382: Alectorias vocant gemmas in ventriculis gallinaceorum inventas crystallina specie, magnitudine fabarum: quibus Milonem Crotoniensem usum in certaminibus invictum fuisse videri volunt, Plinius 37. 10. Ferunt in ventre galli alectorium, id est gallinaceum lapidem. Sed is sarda vel achate fingitur, in quo flammea macula appareat, nam de alectoria vero nihil comperti habeo, Cardanus. Plinius alibi inter remedia calculi, lapillorum meminit qui in gallorum vesica (quasi avis vesicam habeat) reperiantur. Recentiores quidam non ex gallo mare, sed castrato (quem gallinacei nomine imperite intelligunt) hunc lapidem haberi putant: et quidam lingua vernacula interpretatur Kapunenstein/id est caponis lapidem.
[11] Conrad Gessner, Historia
Animalium III (1555), pag. 382: Lapis alectorius Dioscoride teste (nihil
huiusmodi in nostris exemplaribus Dioscoridis reperitur) invenitur in
ventribus gallorum gallinaceorum crystallo similis vel aquae limpidae.
Albertus scribit lapidem esse nitentem, crystallo obscuro similem.
Extrahitur autem ex ventriculo galli gallinacei, postquam castratur supra
quartum annum. Quidam post
nonum extrahi dicunt. Melior est de gallo decrepito. Maximus in hoc genere
fabam aequat. Ore gestantes reges et gladiatores invictos reddit, ac sitim
tollit, mulieres viris conciliat, Sylvaticus capite 408.
[12] La citazione di Aldrovandi tratta dal testo del suo maestro l'Ornitologo è incompleta e decurtata, in quanto non ci fa sorgere il dubbio se effettivamente Dioscoride parlò della pietra alettoria. Infatti l'Ornitologo, per non farci inutilmente scervellare alla ricerca del passo di Dioscoride (per poi sentirci frustrati com'è accaduto), si premura di puntualizzare che tale passo è inesistente nei testi a sua disposizione. Oggi – lunedì 26 maggio 2008 – ci associamo pienamente a Gessner, salvo dissociarci quando Fernando Civardi sarà incappato nell'introvabile passo, e ciò magari avverrà quando avrà ultimato di trascrivere il commento di Pierandrea Mattioli al De materia medica di Dioscoride. § Riecco il testo liberatorio di Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 382, al quale per ora - o magari per sempre - ci associamo: Lapis alectorius Dioscoride teste (nihil huiusmodi in nostris exemplaribus Dioscoridis reperitur) invenitur in ventribus gallorum gallinaceorum crystallo similis vel aquae limpidae.
[13] De metallicis 2, 17. (Aldrovandi) § Albertus Magnus De Mineralibus. Padua (1476). Other editions entitled Liber Mineralium Domini Alberti Magni (1518), De Mineralibus et Rebus Metallicis Libri Quinque, Cologne (1569). (http://findarticles.com)
[14] Una bella differenza portare una pietra in giro – in orbe – magari tenendola in tasca, dal portarla in bocca – in ore – come se fosse una caramella. La colpa dell'errore potrebbe essere della tipografia Bellagamba, ma non è escluso che colpevole sia il nostro beneamato Ulisse. Ecco il testo originale di Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 382: Hic oratorem verbis facit esse disertum. | Constantem reddens cunctisque per omnia gratum. | Hic circa veneris facit incentiva vigentes. | Commodus uxori quae vult fore grata marito{,}<.> | Ut bona tot praestet clausus portetur in ore, Author obscurus de lapidibus.
[15]
Svetonio
De
vita Caesarum -
Galba 1:
Progenies Caesarum in Nerone defecit; quod futurum, compluribus quidem
signis, sed vel evidentissimis duobus apparuit. Liviae, olim post Augusti
statim nuptias Veientanum suum revisenti, praetervolans aquila gallinam
albam ramulum lauri rostro tenentem, ita ut rapuerat, demisit in gremium;
cumque nutriri alitem, pangi ramulum placuisset, tanta pullorum suboles
provenit, ut hodieque ea villa ad Gallinas vocetur, tale vero lauretum, ut
triumphaturi Caesares inde laureas decerperent; fuitque mox triumphantibus,
illas confestim eodem loco pangere; et observatum est, sub cuiusque obitum
arborem ab ipso institutam elanguisse. Ergo novissimo Neronis anno et silva
omnis exaruit radicitus, et quidquid ibi gallinarum erat interiit; ac
subinde tacta de caelo Caesarum aede, capita omnibus simul statuis
deciderunt, Augusti etiam sceptrum e manibus excussum est. - Plinio,
Naturalis historia XV,
136-137: Sunt et circa
Divum Augustum eventa eius digna memoratu. Namque Liviae Drusillae, quae
postea Augusta matrimonii nomen accepit, cum pacta esset illa Caesari,
gallinam conspicui candoris sedenti aquila ex alto abiecit in gremium
inlaesam, intrepideque miranti accessit miraculum. Quoniam teneret in rostro
laureum ramum onustum suis bacis, conservari alitem et subolem iussere
haruspices ramumque eum seri ac rite custodiri: [137] quod factum est in
villa Caesarum fluvio Tiberi inposita iuxta nonum lapidem Flaminiae viae,
quae ob id vocatur Ad Gallinas, mireque silva provenit. Ex ea triumphans
postea Caesar laurum in manu tenuit coronamque capite gessit, ac deinde
imperatores Caesares cuncti. traditusque mos est ramos quos tenuerunt
serendi, et durant silvae nominibus suis discretae, fortassis ideo mutatis
triumphalibus.
[16]
Rerum rusticarum III,9,16-17: Gallinae rusticae sunt in urbe rarae nec fere nisi
mansuetae in cavea videntur Romae, similes facie non his gallinis villaticis
nostris, sed Africanis. [17] Aspectu ac facie incontaminatae in ornatibus
publicis solent poni cum psittacis ac merulis albis, item aliis id genus
rebus inusitatis. Neque fere in villis ova ac pullos faciunt, sed in silvis.
Ab his gallinis dicitur insula Gallinaria appellata, quae est in mari Tusco
secundum Italiam contra montes Liguscos, Intimilium, Album Ingaunum; alii ab
his villaticis invectis a nautis, ibi feris factis procreatis.
[17] Aldrovandi dà come
referenza la Historia Ecclesiastica III, cap. 9. Le mie ricerche
localizzano invece la citazione dell’isola Gallinara nel cap. 14, quando
si parla di colui che diventerà San Martino vescovo di Tour. §
Hermias Sozomen, Ecclesiastical
History III,14:
[...] and he [Martin] went to an island called Gallenaria, where he remained
for some time, satisfying himself with roots of plants. Gallenaria is a
small and uninhabited island lying in the Tyrrhenian Sea. (Ecclesiastical
History -
from a.d. 323 to
a.d. 425 - translated
from the Greek. Revised by Chester D. Hartranft, Hartford Theological
Seminary - www.ccel.org)
[18] Vita Martini
Turonensis Episcopi 6,5-6: Cedendum
itaque tempori arbitratus ad insulam, cui Gallinaria nomen est, secessit
comite quodam presbytero, magnarum virtutum viro. Hic aliquamdiu radicibus
vixit herbarum: quo tempore helleborum, venenatum, ut ferunt, gramen, in
cibum sumpsit. (6) Sed cum vim veneni in se grassantis vicina iam morte
sensisset, imminens periculum oratione repulit statimque omnis dolor fugatus
est.