Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti - revisione di Roberto Ricciardi

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Quibus verbis dum non multum moribus a vernaculis differre tradit, a Varrone, et Plinio dissentire videri possit, nisi alias ita scriberet[1]: Deliaci, nempe scriptores[2], quia procera corpora, et animos ad praelia pertinaces requirebant, praecipue Tanagricum genus, et Rhodium probabant, nec minus Chalcidicum, et Medicum, quod ab imperito vulgo litera mutata Melicum appellatur. Et alibi etiam Rhodias aves (intelligit autem Gallinas) foetus suos non commode nutrire scripsit. Ita et Plinius[3], Ex Gallinaceis, inquit, quidam ad bella tantum, et praelia assidua nascuntur, quibus etiam patrias nobilitarunt Rhodum, {et} <aut> Tanagram. Quos itaque sagacissima parens rerum natura, maiores ac pugnaciores aliis fecit, eosdem contra steriliores caeteris esse voluit.

Mentre con queste parole dice che per il comportamento non differiscono molto dai polli nostrani, potrebbe sembrare che egli sia in disaccordo con Varrone e con Plinio se in un altro punto non scrivesse così: Quelli di Delo, gli scrittori allevatori evidentemente, poiché ricercavano corpi di alta statura e spiriti ostinati nei combattimenti, apprezzavano soprattutto le razze di Tanagra e di Rodi, e inoltre quelle di Calcide e della Media, che dalla gente incompetente, con lo scambio di una lettera, viene detta Melica. E in un altro punto ha anche scritto che gli uccelli di Rodi (ma intende le galline) non si prendono cura in modo adeguato dei loro piccoli. Così si esprime anche Plinio: Tra i polli alcuni nascono soltanto per continue lotte e combattimenti, grazie ai quali hanno anche reso famosa la loro patria, Rodi o Tanagra. E pertanto quelli che la sagacissima madre natura ha creato più grandi e più combattivi di altri, ha invece voluto che i medesimi fossero più improduttivi di tutti gli altri.

Albertus quasdam Gallinas Hadriani Regis appellat, et apud suos magnas vocari ait, magni scilicet, et oblongi corporis. Abundant, inquit, apud Hollandos, et Zelandos, et ubique in Germania {superiore} <inferiore>[4]. Harum Galli forte cum iam dictis similes fuerint. Etsi vero Varro[5] Tanagricos Gallos, Medicos, et Chalcidicos ad partus steriliores, Albertus contra eas Gallinas quotidie parere dicat, non tamen ideo omnino diversum genus esse crediderim. Fieri enim potest, ut apud Hollandos, et Zelandos, quorum regio fere in {extrema} <extremo> septentrione sita est, foecundi sint, et apud Graecos steriles in regionibus videlicet calidissimis: vel potius Varro ad partus steriles dixit, quoniam in pullos saeviant[6], nam Albertus de Hollandicis Gallinis prodidit, minime in {suas}[7] <suos> benignas esse, eosque saepe interimere; et Columella[8] Rhodias aves foetus suos non commode nutrire tradit.

Alberto Magno chiama certe galline del Re Adriano, e dice che presso i suoi conterranei vengono dette grandi, cioè dal corpo grande e allungato. Egli dice Sono abbondanti presso gli abitanti dell’Olanda e della Zelanda, e ovunque nella provincia della Germania Inferiore. Forse i galli di queste galline potrebbero essere simili a quelli di cui abbiamo appena parlato. Nonostante però Varrone dica che i galli di Tanagra, della Media e di Calcide sono piuttosto improduttivi riguardo alla prole, e al contrario Alberto affermi che quelle galline depongono ogni giorno, non per questo tuttavia sarei disposto a credere che si tratta di una razza completamente diversa. Infatti può accadere che presso gli abitanti dell’Olanda e della Zelanda, il cui territorio è posto quasi all’estremo nord, essi siano fecondi, e sterili presso i Greci in regioni senza dubbio molto calde: o meglio, è stato Varrone a dire che sono improduttivi riguardo alla prole poiché si accaniscono nei confronti dei pulcini, e infatti Alberto ha riferito a proposito delle galline olandesi che non sono per nulla benevole nei confronti dei loro pulcini, e che spesso li uccidono; e Columella riferisce che le galline di Rodi non si prendono cura in modo adeguato dei loro piccoli.

Hermolaus Barbarus et Longolius[9], viri alioqui doctissimi, Medicas eas Gallinas esse credunt, quae vulgo Patavinae, et Longobardicae vocantur. Quorum ego opinioni neutiquam subscrivere nec possum, nec volo. Siquidem tam manifestam differentiam, qua a caeteris omnibus distinguuntur, nempe quod cauda destitutae sint, profecto veteres nequaquam erant praeterituri. Fuerint itaque genus diversum, neque etiam credibile est veteres eas, vel Medicas, vel Tanagricas, vel alio quovis peregrino nomine compellaturos fuisse, si Patavii in medio fe<r>me Italiae sinu eas habebant. Caeterum Patavinas pulverarias a vico cognominari Hermolaus[10] testis est, grandissimas et spectabiles maxime: Pulverarias autem dici intellexi ab Excellentissimo M. Antonio Ulmo Patavino a vico quodam, ubi abundant, et cuius Caelo miro modo gaudent, adeo ut ibi fertilitatis miraculum adaequent, et cum ad alia loca etiam vicina importantur, nisi sterilescant, saltem maximopere degenerent. Has quidam Germanice circumscribentes interpretantur gross vvelsch hennen, id est grandes Italicas Gallinas. Nos, inquit Longolius tales habemus Gallinaceos, altis cruribus, absque cauda. Grande Genus Gallinaceorum, quod pedibus usque sublatis incedit, plumis ex auro fulvis, patrum memoria in Germaniam ex proximis provinciis advectum est. Videntur autem Medici, quanquam non Media modo, verum Boeotiae civitas Tanagra, et Rhodus, Chalcisque insulae insignes corpore suffecerunt. Unde istos vel Medicos, vel Tanagricos, vel Rhodios, vel Chalcidicos appellare licebit. Vulgus Longobardicos nuncupat. Pauci a villaticis educantur, quod parum foecundi sint. Haec ille.

Ermolao Barbaro e Longolius, uomini per altri versi molto qualificati, credono essere della Media quelle galline che comunemente vengono dette padovane e lombarde. In nessun modo né voglio né posso associarmi al loro punto di vista. Dal momento che una sì palese differenza per la quale si distinguono da tutte le altre, per il fatto cioè di essere prive di coda, senza dubbio non sarebbe assolutamente sfuggita agli antichi. Pertanto potrebbero essere una razza diversa, e neppure è credibile che gli antichi le avrebbero chiamate galline della Media, o di Tanagra, o con qualunque altro nome esotico dal momento che essi le avevano a Padova, quasi al centro del cuore dell’Italia. Del resto Ermolao è testimone del fatto che le Padovane Polverara prendono il nome da un borgo, e che sono di enormi dimensioni e di aspetto estremamente bello: infatti sono venuto a sapere che dall’Eccellentissimo Marco Antonio Olmo da Padova le Polverara sono così chiamate da un certo borgo, dove sono abbondanti, e del cui clima godono in modo meraviglioso, al punto che costì raggiungono il miracolo della fertilità, e quando vengono trasferite in altre località seppur vicine, se non diventano sterili, perlomeno si alterano parecchio. Alcuni, definendole in tedesco, chiamano queste galline gross welsch hennen, cioè grandi galline italiane. Longolius dice: Noi abbiamo polli siffatti, dalle gambe lunghe e senza coda. Una razza gigante di polli, che cammina con le zampe sempre sollevate, dalle piume fulvo dorato, a memoria dei nostri padri fu portata in Germania dalle province vicine. In effetti sembrano polli della Media, quantunque non solo la Media, ma in verità anche la città di Tanagra in Beozia e le isole di Rodi e di Calcide fornirono soggetti straordinari per la corporatura. Per cui sarà lecito chiamare codesti soggetti della Media, o di Tanagra, o di Rodi, o di Calcide. La gente comune li chiama lombardi. Pochi soggetti vengono allevati dai contadini, in quanto sarebbero poco fecondi. Queste le sue parole.

Navigationum in Indiam authores in regno Senegae Gallinas esse referunt, quae Gallinae Pharaonis dicantur; deferri autem ex Oriente: item apud Tarnasaros[11] Indiae populos alios Gallos et Gallinas reperiri nostratibus triplo maiores. Postremo Petrus Martyr[12] in Imaica insula Gallinas reperiri, author est, quae Pavonibus nec magnitudine, nec sapore cedant.

Coloro che compiono viaggi in India via mare riferiscono che nel regno del Senegal esistono galline che sarebbero dette Galline del Faraone - Numida meleagris?; infatti vengono qui portate da est: parimenti, presso il popolo indiano dei Tarnasari si trovano altri galli e galline tre volte più grandi dei nostrani. Infine Pietro Martire attesta che sull’isola di Giamaica si trovano galline che non sono inferiori ai pavoni né per grandezza né per sapore.

Atque hactenus magnitudine discrepantur. Iam reliquas, si quae sint, differentias prosequamur. Aelianus[13] mutos Gallos dari astruere videtur, cum ait. Nibas locus est Thessalonicae civitati Macedoniae vicinus, in quo Gallinaceorum genus perpetuo mutum silentio nunquam familiari his alitibus cantu vocale auditur: inde adeo natum est proverbium, et cum futurum aliquid dicitur, cum Nibas cecinerit, res {impessibilis} <impossibilis> intelligatur. Verum nunquid istaec manifesta differentia sit, an potius proprietate aliqua illius loci occulta procedat, quod Gallinaceus ibi non canat, aliis inquirendum relinquo. Ego autem id mihi facile persuadeo. Quod vero Theophrastus[14], eodem Aeliano[15] referente, negat in regionibus frigidis, et ubi Caeli constitutio nimium humida est, Gallinaceos canere, id plane credere non possum, secus enim Hollandia, Frisia, Norvegia, et remotiores septentrionis regiones demonstrant, in quibus etsi frigidae sint, et humidae, Galli nihilo remissius quam in quavis calida regione canunt, tantum abest, ut prorsus obmutescant.

Ma, fino a questo punto, differiscono per grandezza. Adesso descriviamo le rimanenti differenze, se ne esiste qualcuna. Eliano sembra sostenere che esistono dei galli muti, quando dice: Nibas è una località vicina alla città macedone di Tessalonica, nella quale la popolazione dei galli, muta in un perenne silenzio, giammai viene udita emettere un suono grazie al canto per questi uccelli abituale: per cui è persino nato un proverbio, e quando si dice che qualcosa si verificherà quando un gallo di Nibas avrà cantato, la si deve ritenere una cosa impossibile. Tuttavia lascio ad altri indagare se, per il fatto che il gallo lì non canti, codesta sia una differenza inequivocabile, o se piuttosto derivi da una qualche caratteristica occulta di quel luogo. Sono invece senz’altro convinto di ciò che segue. Non posso assolutamente credere a ciò che dice Teofrasto, come riferisce lo stesso Eliano, quando nega che i galli cantano nelle regioni fredde e dove le condizioni climatiche sono troppo umide, infatti l’Olanda, la Frisia, la Norvegia e le regioni nordiche più remote dimostrano altrimenti, nelle quali, nonostante siano fredde e umide, i galli cantano in modo per nulla più svogliato che in qualunque regione calda, e sono ben lontani dal diventare completamente muti.

Manifestam porro corporis tegumento differentiam constituunt. Non enim omnes pennis teguntur, sed nonnullae, licet rarae, ceu lanis vestiuntur, unde lanigerae dictae sunt, nonnullae pilis, quales in civitate Quelim in regno Mangi reperiuntur, pilis more felis nigris vestitae, nostrat<i>um more parientes, et bonam edentibus carnem praestantes. Lanigeras Fuch urbs maxima versus Orientem, ut Odoricus ex foro Iulii[16] testatur, producit, tanti candoris, ut vix nivi cedant.

Inoltre presentano un’evidente differenza a proposito del rivestimento del corpo. Infatti, non tutte - le galline - sono ricoperte di penne, ma alcune, sebbene rare, sono rivestite come di lana, per cui sono dette lanose, alcune sono ricoperte di peli, come quelle che si possono trovare nella città di Quelim - Quenlinfu, Kien-ning Fu - nel regno di Mangi, rivestite di peli neri come quelli di un gatto, le quali depongono come le nostrane, e danno una carne buona da mangiare. La grandissima città di Fuch - Fuzhou - in Oriente produce galline lanose di un tale candore, come testimonia Odorico del Friuli, che sarebbero appena da meno della neve.


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[1] De Re Rustica, VIII,2,4: Huius igitur villatici generis non spernendus est reditus, si adhibeatur educandi scientia, quam plerique Graecorum et praecipue celebravere Deliaci. Sed et hi, quoniam procera corpora et animos ad proelia pertinacis requirebant, praecipue Tanagricum genus et Rhodium probabant, nec minus Chalcidicum et Medicum, quod ab imperito vulgo littera mutata Melicum appellatur.

[2] Aldrovandi cade in un banale e scontato errore del quale farà però ammenda a pagina 197, nonché a pagina 232 parlando dei polli che vengono ingrassati. L’errore è dovuto al vizio di fare man bassa sconsiderata del testo di Gessner, che erroneamente a pagina 381 della sua Historia animalium III (1555) suona così: Et rursus, Deliaci (scriptores) quoniam procera corpora et animos ad praelia pertinace{i}s requirebant, [...] - Infatti quelli di Delo non erano scrittori, bensì allevatori. La fortuna e la fama degli abitanti di Delo come allevatori di polli ci è confermata da Varrone, Plinio e Columella, nonché da Cicerone. Varrone Rerum rusticarum, III,9,2: Gallinae villaticae sunt, quas deinceps rure habent in villis. De his qui ornithoboscion instituere vult, id est adhibita scientia ac cura ut capiant magnos fructus, ut factitaverunt Deliaci, haec quinque maxime animadvertant oportet;[...] - Plinio Naturalis historia X,139: Gallinas saginare Deliaci coepere, unde pestis exorta opimas aves et suopte corpore unctas devorandi. - Columella De Re Rustica, VIII,2,4: Huius igitur villatici generis non spernendus est reditus, si adhibeatur educandi scientia, quam plerique Graecorum et praecipue celebravere Deliaci. - Cicerone Academica II,57: Videsne ut in proverbio sit ovorum inter se similitudo? Tamen hoc accepimus, Deli fuisse complures salvis rebus illis, qui gallinas alere permultas quaestus causa solerent: ei cum ovum inspexerant, quae id gallina peperisset dicere solebant. – II,86: Quid? si in eiusdem modi cera centum sigilla hoc anulo impressero, ecquae poterit in agnoscendo esse distinctio? An tibi erit quaerendus anularius aliqui, quoniam gallinarium invenisti Deliacum illum, qui ova cognosceret?

[3] Naturalis historia X,48: Iam ex his quidam ad bella tantum et proelia adsidua nascuntur - quibus etiam patrias nobilitarunt, Rhodum aut Tanagram; secundus est honos habitus Melicis et Chalcidicis -, ut plane dignae aliti tantum honoris perhibeat Romana purpura.

[4] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 380: Gallinae quaedam Adriani regis vocantur, quae apud nos dicuntur gallinae magnae, et sunt magni oblongi corporis, abundant apud Selandos et Hollandos, et ubique in Germania inferiore.

[5] Rerum rusticarum, III,9,6 Nec tamen sequendum in seminio legendo Tanagricos et Melicos et Chalcidicos, qui sine dubio sunt pulchri et ad proeliandum inter se maxime idonei, sed ad partus sunt steriliores.

[6] Non è stato Varrone a citare l’aggressività delle galline nei confronti dei pulcini. Lo ha fatto Aristotele nella sua Historia animalium VI 558b quando parla delle Hadrianae, notoriamente di piccola taglia.

[7] Errore tipografico? Crediamo di sì, in quanto sarebbe più corretto il maschile plurale suos riferito ai pullos, i quali vengono subito ripresi dal successivo eosque. Ammettendo invece che il femminile plurale suas non sia un errore tipografico, allora suas deve essere tradotto con comari, colleghe, ovviamente colleghe di recinto. Spesso le galline mostrano fra loro un’aggressività che può superare quella che intercorre fra galli. Tuttavia, un’aggressività fra galline non implica assolutamente un’aggressività nei confronti della prole. Anzi, forse la prole viene meglio custodita da una madre che si mostra aggressiva nei confronti di altre galline.

[8] De Re Rustica, VIII,2,12: Talibus autem maribus quinae singulis feminae comparantur. Nam Rhodii generis aut Medici propter gravitatem neque patres nimis salaces nec fecundae matres, quae tamen ternae singulis maritantur. Et cum pauca ova posuerunt, inertes ad incubandum multoque magis ad excludendum, raro fetus suos educant. Itaque quibus cordi est ea genera propter corporum speciem possidere, cum exceperunt ova generosarum, vulgaribus gallinis subiciunt, ut ab his excusi pulli nutriantur. - 11,11: Neque est quod committatur ut Rhodiacae aves pavoninis incubent, quae ne suos quidem fetus commode nutriunt. Sed veteres maximae quaeque gallinae vernaculi generis eligantur, [...]

[9] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 381: Antiqui ut Thetin Thelin dicebant, sic Medicam Melicam vocabant. Hae primo dicebantur, quia ex Media propter magnitudinem erant allatae, quaeque ex his generatae postea propter similitudinem, Varro et Festus. Turnerus Gallum Medicum interpretatur Anglice a bauncok, vel a cok of kynde. Medicae, generi villatico adscribuntur, propter magnitudinem in Italiam translatae. Cuiusmodi Patavinae modo sunt, Pulverariae cognominatae a vico, ubi grandissimae ac spectabiles maxime nascuntur: quas Turcarum rex, is qui Constantinopolim aetate nostra coepit vi, muneris magni loco a senatu missas habuit, Hermolaus. Patavinae saginatae libras sedecim pondere exuperant, Grapaldus. Quidam Germanice circumscribentes interpretantur, groß Welsch hennen, id est grandes Italicas gallinas. Nos tales habemus gallinaceos, altis cruribus, absque cauda. Grande genus gallinaceorum, quod pedibus ad pectus usque sublatis incedit, plumis ex auro fulvis, patrum memoria in Germaniam ex proximis provinciis advectum est. Videntur autem Medici. quanquam non Media modo, verum Boeotiae civitas Tanagra et Rhodus Chalcisque insulae insignes corpore suffecerunt. unde istos vel Medicos vel Tanagricos vel Rhodios vel Chalcidicos appellare licebit. Vulgus Longobardicos nuncupat. pauci a villicis educantur quod parum foecundi sint, Gyb. Longolius.

[10] Corollarium in Dioscoridem (1516) gallinaceus ccliii - Nam medicae a media quasi medicae generi villatico ascriptae sunt: propter magnitudinem in Italiam translatae: cuiusmodi Patavinae modo sunt: Pulverariae cognominatae a vico ubi grandissimae, ac spectabiles maxime nascuntur: quas Turcarum rex is: qui Constantinopolim aetate nostra coepit: vi muneris magni loco a senatu missas habuit.

[11] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 381: Circa Tarnasari urbem Indiae gallos gallinasque proceriores vidisse memini quam usquam alibi, Ludovicus Patritius. – Per Ludovicus Patritius vedi Lodovico de Vathema. – Aldrovandi si permette di triplicare la mole di questi polli, mentre la fonte – e conviene credere a Gessner – si limita a dire che si tratta di galli e galline più grandi di quelli visti in qualsiasi altra località. A mio avviso Aldrovandi - come è suo solito - ha ciurlato nel manico. Non fornisce la fonte di questi polli giganti del Tarnasari, così nessuno può contestarlo circa la triplicazione della loro mole.

[12] Peter Martyr is Pietro Martire d’Anghiera (1457-1526). He wrote one of the earliest books of travel in the New World: De orbe novo Petri Martyris Anglerii Mediolanensis...Decades Octo, diligenti temporum observatione et utilissimis annotationibus illustratae, suoque nitori restitutae, labore et industria Richardi Haklvytt (Parisiis, Apud Guillelmum Avvray, 1587). This and the edition of 1530 are the only complete editions of the Latin text. There is an English translation by Francis Augustus MacNutt (New York, Putnam, 1912). Aldrovandi refers to the book as De Rebus Oceani. (Lind, 1963)

[13] La natura degli animali, XV, 20: Vi è una località vicino alla città di Tessalonica, in Macedonia, chiamata Nibas. I galli che vivono qui non lanciano il loro caratteristico canto, ma restano sempre silenziosi. Ed è per questo che quando una cosa è ritenuta impossibile, si cita abitualmente quel proverbio che dice: ‘avrai questo quando i galli di Nibas canteranno’. (traduzione di Francesco Maspero, 1998)

[14] La referenza segnalata da Aldrovandi è il De natura animalium III,20. Francesco Maspero (1998) precisa invece trattarsi del frammento 187. In effetti si tratta del frammento 187, come dimostra il ritaglio tratto da Theophrasti Eresii opera, quae supersunt, omnia graeca recensuit, latine interpretatus est Fridericus Wimmer (Parisiis, Editore Ambrosio Firmin Didot, 1866):

È verosimile che Aldrovandi abbia fatto riferimento a un’opera pubblicata nel 1522 a Lione, nella quale forse è contenuto il frammento 187 di Teofrasto: Aristotelis et Theophrasti Historiae: cum de natura animalium, tum de plantis & earum causis, cuncta fere, quae Deus opt. max. homini contemplanda exhibuit, ad amussim complectentes: nunc iam suo restitutae nitori, & mendis omnibus, quoad fieri potuit, repurgatae: cvm indice copiosissimo: ex quo superfluum quod erat, decerpsimus: quod uero necessarium nobis uisum est, superaddidimus. Lugduni: Apud Gulielmum Rouillium, 1552. Translation of Aristotle's [Peri ta zoia istoriai, Peri zoion morion, Peri zoion geneseos, Peri zoion kineseos, Peri zoion poreias (romanized form)]; and Theophrastus' [Peri phuton istorias, Peri phuton aition (romanized form)] Location: Hancock in Special Collections Q155.A716 1552.

[15] La natura degli animali, III,38: Teofrasto dice che i galli non cantano nelle zone palustri e dove soffia un vento eccessivamente umido. Il lago di Feneo [città dell’Arcadia] non produce pesci. E lo stesso scrittore afferma che, dato che è fredda la costituzione fisica delle cicale, esse cantano quando vengono riscaldate dal sole. (traduzione di Francesco Maspero, 1998)

[16] Itinerarium Fratris Odorici de Foro Julii, Ordinis Fratrum Minorum, de mirabilibus Orientalium Tartarum (1330). “Partendomi di questa terra [dall’odierna Quanzhou] venni verso oriente a una città che si chiama Fozo, che gira ben trenta miglia: Quivi sono i maggiori galli del mondo, e le galline bianche come neve: ma non ànno penne, ma lana a modo di pecore.” (Memoriale Toscano, 33) - La citazione precedente di Aldrovandi è chiaramente tratta dal Milione di Marco Polo: “E havvi belle donne, e havvi galline che non hanno penne, ma peli come gatte, e tutte nere, e fanno uova come le nostre, e sono molto buone da mangiare.” (cxxxiv Del reame di Fugiu - Il Milione, versione toscana della Crusca) - Si veda pagina 339.