Ulisse Aldrovandi
Ornithologiae tomus alter - 1600
Liber
Decimusquartus
qui
est
de Pulveratricibus Domesticis
Libro
XIV
che tratta
delle domestiche amanti della polvere
trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti
Si raccomanda l'opzione visualizza -> carattere -> medio del navigatore
Quem
sacerdos [258] immolaturus lacertos et pedes exornat argento. Verum quod
maius est Indos[1]
Gallum adorasse Iosephus Acosta scribit, et Lucianus[2]
pro Deo olim cultum fuisse. |
Il
sacerdote che sta per immolarlo - il gallo - gli guarnisce le cosce e i
piedi con argento. In verità, e ciò è più significativo, José de
Acosta
scrive che gli Amerindi adoravano il gallo, e Luciano scrive che in
passato era stato venerato come se fosse un dio. |
Porro
cum ovorum etiam olim purgandis piaculis, lustrationibusque adeo
quotidianus usus fuerit, ut Orpheus, teste Suida, Ooscopica, id est, de
divinatione ex ovis scripserit, eaque meo iudicio in Gallina magis
conspicua sint, familiari nobis prae caeteris alite, itaque paucula
istaec hic referre libuit. Adhibebantur[3]
autem ova in Bacchi orgiis, aliorumque Deorum sacrificiis, ubi pro
homine aliquid Deo solvendum esset. Omittimus interim quae in Orphicis,
et Bacchi Orgiis, in hac ipsa re observata ab antiquis traduntur. Id
solum ex eis repetemus, ideo religioni ova inservi<i>sse, et in
tanto honore gentibus fuisse, quod capiente omni mundo tot animalium
naturas, et genera, nullum fere est, in quo non ex ovo species aliqua
nascatur. Volucres passim ovum gignunt: aquatilia in mari pene infinita.
In terrestribus {lucertae} <lacertae>: in ambiguis, et quibus in
terra aeque, quam in aqua victus est, crocodili: in bipedibus aves, in
carentibus pedibus angues: in multipedibus attelabi[4];
et ne longiores simus in pluribus generibus aliis plura alia. Ob quae
totam referre naturam credita fuerunt, et in religione ad placanda,
exorandaque numina gratiorem habere potestatem. |
Inoltre
in passato per espiare le colpe e per i rituali di purificazione ci
sarebbe stato un impiego talmente abituale delle uova che, in base a
quanto riferisce il lessico Suida,
Orfeo scrisse Ooscopica,
cioè, l’arte profetica attraverso le uova, e a mio avviso queste cose
sarebbero più evidenti nella gallina, un uccello che per noi è
casalingo rispetto agli altri, e pertanto ho avuto il piacere di
riferire qui queste poche notizie. Ma le uova venivano impiegate nelle
orge di
Bacco e durante i sacrifici degli altri dei, quando era
necessario pagare al dio qualcosa in favore degli esseri umani.
Tralasciamo per il momento quelle cose osservate su questo stesso
argomento nelle orge orfiche e di Bacco che vengono tramandate dagli
antichi. Da loro vedremo di citare solo quanto segue, che le uova sono
servite alla religione e sono state tanto onorate dai popoli in quanto,
dal momento che tutto il mondo contiene così tante forme e generi di
animali, non ne esiste quasi nessuno in seno al quale una specie non
nasca dall’uovo. Ovunque gli uccelli partoriscono un uovo: gli animali
acquatici nel mare ne depongono quasi un numero infinito. Tra gli
animali terrestri le lucertole, tra quelli di incerta classificazione e che trovano il
cibo sia sulla terra che in acqua, i coccodrilli: gli uccelli tra i bipedi, i serpenti tra coloro che non hanno zampe: le locuste
senz’ali tra quelli con molte zampe; e per non dilungarci troppo,
parecchi altri in parecchi altri generi. Per questi motivi le uova sono
state ritenute capaci di riprodurre tutti gli esseri viventi, e che in
campo religioso hanno un potere più favorevole nel placare e nel
commuovere gli dei. |
Ova
expiationibus apta monstrat illud Iuvenalis[5]{.}<:> Nisi se centum lustraverit ovis. Sed
et Ovidius[6]
ova haec lustralia indicat his versibus: Et veniat, quae lustret anus, lectumque locumque, Praeferat et tremula sulphur, et ova manu. |
Le
uova sono adatte per le purificazioni e lo indica Giovenale: Se
non si sarà purificata con cento uova. Ma
anche Ovidio indica queste uova espiatorie con questi versi: E
venga quella vecchia che possa purificare il letto e la stanza, E
con la mano tremula porti lo zolfo e le uova. |
Ovi,
quod in Cereali pompa solitum fuerit esse primum, meminit Varro[7]
his verbis: Nam non modo illud
ovum sublatum est, quod ludis Circensibus novissimi curriculi finem
facit quadrigis, sed ne illud quidem ovum vidimus, quod in Cereali pompa
solet esse primum. Ovorum
hecatombe ab Ephippo nominatur per iocum apud Athenaeum[8]. |
Varrone
ha fatto menzione dell’uovo che sarebbe stato abitualmente il primo
durante la processione di Cerere: Infatti non è stato solo
sottratto quell’uovo che pone fine all’ultimo giro delle quadrighe
durante i giochi circensi, ma non abbiamo neppure visto quell’uovo che
durante la processione di Cerere suole essere il primo. In Ateneo
da parte di Efippo scherzando viene citata un’ecatombe di uova. |
AUGURIA.
PRODIGIA. |
AUSPICI
- PRODIGI |
Quod
ad auguria in primis spectat, in his hoc avium genus tantum
praerogativae obtinuit privilegium, ut publice ad ea aleretur. Tantum
vero apud Romanos in nefariis eiusmodi significationibus momenti habere
credebatur, ut quae indicaret verissima, et sacrosancta haberentur. Quod Plinius[9]
Galli laudes commemorans eleganter demonstrat: Ut
plane dignae aliti tantum honoris
{praebeat} <perhibeat> Romana purpura. Horum sunt tripudia
solistima (quae
laeta erant cum prodeuntes e cavea cibum oblatum capere non recusabant,
et inter edendum nihil non in terram ex ore decidebat: quorum alterutrum
si accideret., triste, ac {pernitiosum} <perniciosum> censebatur,
uti alibi abunde docuimus.) Hi
magistratus nostros quotidie regunt, domosque {ipsit} <ipsis> suas
claudunt, {ac retinent,} <aut reserant.> <Hi
fasces Romanos inpellunt aut retinent,> iubent acies, aut
prohibent, victoriarum omnium toto orbe partarum auspices: hi maxime
terrarum imperio imperitant, extis etiam fibrisque haud aliter, quam {optimae
victoriae} <opimae victimae> Diis
grati. |
Per
quanto riguarda innanzitutto gli auspici, questo genere di uccelli ha
conseguito in seno a essi un così grande privilegio di preferenza da
essere allevati a tale scopo a spese dello Stato. Infatti presso i
Romani erano ritenuti di possedere una così grande importanza in
siffatti nefandi presagi che ciò che essi rivelavano era ritenuto
oltremodo vero e sacrosanto. E Plinio lo dimostra con chiarezza quando
celebra le lodi del gallo: Cosicché i porporati romani
rendono tanto onore a un uccello del tutto meritevole. A essi sono
dovuti i tripudi
- i presagi favorevoli (che erano propizi quando
uscendo dalla gabbia non rifiutavano il cibo offerto e mentre lo
mangiavano qualcosa dalla bocca cadeva in terra: se accadeva solo una o
l’altra delle due cose, veniva giudicato infausto e funesto, come
abbiamo abbondantemente esposto in un altro punto). Essi guidano ogni
giorno i nostri magistrati e a essi chiudono o aprono le loro case. Essi
trattengono o incitano i fasci littori romani - frenano o spingono
alle alte cariche, comandano o proibiscono schieramenti di truppe, àuspici
di tutte le vittorie conseguite in tutto il mondo: essi soprattutto
dominano sul dominio del mondo, graditi agli Dei per quanto riguarda le
viscere e le interiora, non diversamente da quanto lo sono le vittime
opime. |
Varro[10]
vero non solum augures Romanos ex his avibus auguria captasse memorat,
sed etiam patresfamiliae rure. Quadrupliciter vero maxime auguria
faciebant, videlicet per solistima tripudia, per praeposteros eorum,
vespertinosque cantus, ut Plinius[11]
tradit, et cum cibo spreto etiam, e caveis avolabant, quod maximi
infortunii signum habebatur: et per eorum pugnam. Erant
praeterea, eodem Plinio teste, et exta Diis grata. |
Ma
Varrone ricorda che non solo gli àuguri romani traevano gli auspici da
questi uccelli, ma anche i capifamiglia in campagna. Ma traevano gli
auspici soprattutto in quattro modi, ossia attraverso i presagi
favorevoli, attraverso i loro canti che avvengono fuori dall’ora
consueta e alla sera, come riferisce Plinio, e anche quando disdegnando
il cibo volavano via dalle gabbie, cosa che veniva ritenuta come segno
di grandissima disgrazia, nonché attraverso i loro combattimenti.
Inoltre, come riferisce lo stesso Plinio, anche le loro interiora erano
gradite agli dei. |
Qui
pullorum curam habet, et qui e pastu pullorum captat auspicia, Ciceroni[12],
et Livio[13]
pullarius dicitur: Attulit {e}
<in> cavea pullos, inquit alibi Cicero[14],
is qui ex eo <ipso>
nominatur pullarius. Erat autem moris Romanis ducibus pugnam
inituris advocare eiusmodi pullarium, ut offam hisce volucribus
obijceret ad augurium captandum. Pultem vero iis dabant potissimum, quia
ex ea necesse erat <aliquid> decidere, quod {trepudium} <tripudium>,
hoc est terripuvium faceret. Puvire enim ferire est[15].
Bonum enim, ut diximus, augurium esse putabant, si pulli per quos
auspicabantur comedissent: praesertim si eis edentibus aliquid ab ore
decidisset. |
Colui
che si prende cura dei polli e colui che trae gli auspici dal modo di
mangiare dei polli in Cicerone e in
Livio viene detto pullarius:
in un punto Cicerone dice Ha collocato nella gabbia i polli colui
che, proprio per questo, viene chiamato pullarius. Infatti presso i
condottieri romani che stavano per intraprendere una battaglia era
usanza convocare siffatto custode affinché gettasse a questi volatili
del becchime per trarre un auspicio. Infatti davano loro soprattutto del
pastone, in quanto era necessario che qualcosa cadesse a terra, in
quanto ne sarebbe scaturito un auspicio favorevole, cioè la terra
sarebbe stata colpita. Infatti puvire significa colpire. Infatti,
come abbiamo detto, ritenevano fosse di buon auspicio se i polli
avessero mangiato per l’intervento di coloro dai quali venivano fatti
presagire: soprattutto se mentre mangiavano fosse caduto loro di bocca
qualcosa. |
Sin
autem omnino non edissent, periculum imminere, ut Flaminii exemplo
docemur, qui cum terripudio auspicaretur, pullarius, teste Cicerone[16],
diem praelii committendi differebat. Valerius[17]
etiam, atque Livius[18]
authores sunt Hostilio Mancino consuli in Hispaniam ituro hoc accidisse
prodigium, cum sacrificium [259] facere vellet, pullos cavea emissos in
proximam sylvam devolasse, et summa cura requisitos reperiri nequivisse. |
Ma
se non avessero assolutamente mangiato incombeva un pericolo, come
veniamo edotti dall’esempio di Gaio Flaminio il quale, stando a
Cicerone, siccome cercava dei presagi attraverso il tripudio, il custode
rinviava il giorno di attaccare battaglia. Anche Valerio Massimo e
Livio riferiscono che al console Gaio Ostilio Mancino mentre stava per
recarsi in Spagna accadde questo prodigio, che siccome voleva fare un
sacrificio, i polli fatti uscire dalla gabbia se ne volarono nel vicino
bosco, e ricercati con grande impegno fu impossibile ritrovarli. |
[1] L'abbaglio di Aldrovandi
è enorme. Infatti chi adorava i galli non erano gli Inca, bensì gli
Ateniesi. A scanso
d'equivoci, in data 5 luglio 2008 ho chiesto la consulenza di due persone che lo
spagnolo, anche del 1590, lo masticano molto bene assai: Livia Marchioni,
una bolognese doc, bolognese di
nascita e di stirpe, nonché suo marito e mio collega Leslye Haslam Pineda,
nicaraguense di nascita, inglese per via paterna, spagnolo per via materna,
bolognese d'adozione. Aldrovandi starà rivoltandosi nella tomba sapendo che
è proprio una bolognese a dare la conferma che elargiva baggianate a ogni
piè sospinto. Procediamo con ordine. § In De natura novi orbis Libri
duo (Salamanticae, 1589) non parla di galline e galli neppure quando
analizza in che modo gli animali possano aver raggiunto questo Nuovo Mondo
– Liber I,21 Quomodo bestiae et
pecudes ad hunc novum orbem ex altero pervenerint. Soprattutto non
parla di polli quando analizza gli uccelli ivi presenti: Neque solum
quadrupedibus vacuae: ipsas volucres raras habent, & psit<t>acos
quidem multos, quos esse volatus pernicissimi & gregatim volitare
constat, tum alios quosdam passeres raros ut dixi: perdices vero quales in
hoc Peru, nullas vidisse me memini, multoque minus proprios huius regionis
Guanacos, aut Vicuñas, genus sylvestrium caparum velocissimum, in quarum
ventre lapides illi Beezartici, qui in magno pretio plerisque sunt, [...]. §
Di galline parlerà invece in Historia natural y moral de las Indias
Libro cuarto Capítulo XXXV De aves
que hay de acá, y cómo pasaron allá en Indias - Pero dejando estas
aves, que ellas por si se gobiernan, sin que los hombres cuiden de ellas, si
no es por vía de caza; de aves domésticas me he maravillado de las
gallinas, porque, en efecto, las había antes de ir españoles; y es claro
indicio tener nombres de allá, que a la gallina llaman gualpa y al
huevo ronto; y el mismo refrán que tenemos de llamar a un hombre
gallina, para notalle de cobarde, ese propio usan los indios. Y los que
fueron al descubrimiento de las islas de Salomón refieren haber visto allá
gallinas de las nuestras. (Fué impreso en Sevilla, casa de Juan de
León, junto a las Siete Revueltas, 1590) § Ed eccoci a documentare
l'enorme abbaglio di Aldrovandi: infatti chi adorava i galli non erano gli
Inca, bensì gli Ateniesi. Historia natural y moral de las Indias
Libro quinto Capítulo V De la idolatría
que usaron los indios con cosas particulares - No se contentó el
demonio con hacer a los ciegos indios que adorasen al sol, y la luna, y las
estrellas, y tierra, y mar y cosas generales de naturaleza; pero pasó
adelante a darles por dioses, y sujetallos a cosas menudas, y muchas de
ellas muy soeces. No se
espantará de esta ceguera en bárbaros, quien trajere a la memoria que de
los sabios y filósofos dice el Apóstol, que habiendo conocido a Dios, no
le glorificaron ni dieron gracias como a su Dios; sino que se envanecieron
en su pensamiento, y se escureció su corazón necio, y vinieron a trocar la
gloria y deidad del eterno Dios, por semejanzas y figuras de cosas caducas y
corruptibles, como de hombres, de aves, de bestias, de serpientes. Bien
sabida cosa es el perro Osiris, que adoraban los egipcios, y la vaca Isis, y
el carnero Amon; y en Roma la diosa Februa de las calenturas, y el ánser de
Tarpeya; y en Atenas la sabia, el cuervo y el gallo. Y de semejantes
bajezas y burlerías están llenas las memorias de la gentilidad, viniendo
en tan gran oprobio los hombres por no haber querido sujetarse a la ley de
su verdadero Dios y Criador, como San Atanasio doctamente lo trata
escribiendo contra los idólatras. Mas en los indios, especialmente del Perú,
es cosa que saca de juicio la rotura y perdición que hubo en esto. Porque
adoran los ríos, las fuentes, las quebradas, las peñas o piedras grandes,
los cerros, las cumbres de los montes que ellos llaman apachitas, y lo
tienen por cosa de gran devoción; finalmente, cualquiera cosa de naturaleza
que les parezca notable y diferente de las demás, la adoran como
reconociendo allí alguna particular deidad. En Cajamalca de la Nasca me
mostraron un cerro grande de arena, que fué principal adoratorio o guaca de
los antiguos. Preguntando yo qué divinidad hallaban allí, me respondieron,
que aquella maravilla de ser un cerro altísimo de arena en medio de otros
muchos todos de peña. Y a la verdad era cosa maravillosa pensar como
se puso tan gran pico de arena en medio de montes espesísimos de piedra.
Para fundir una campana grande tuvimos en la ciudad de los Reyes necesidad
de leña recia y mucha, y cortóse un arbolazo disforme, que por su antigüedad
y grandeza, había sido largos años adoratorio y guaca de los indios. (Fué
impreso en Sevilla, casa de Juan de León, junto a las Siete Revueltas,
1590)
[2]
De Syria Dea. (Aldrovandi) § Della
Dea Siria (traduzione di Luigi Settembrini – 1862): 48. - Ma le
processioni più grandi sono quelle che vanno al mare: di queste non posso
dire niente di certo, chè io non v’andai, nè volli tentare quel viaggio:
ma quel che fanno al ritorno io l’ho veduto, e lo racconterò. Ciascuno
porta una brocca piena d’acqua, e suggellata con cera: e non l’aprono
essi, e poi la versano; ma v’è un gallo sacro [115] che abita presso al
lago, e che come gli presentano le brocche, ne osserva i suggelli, e
ricevuta una mercede, scioglie la legatura, e manda via la cera: e molte
belle mine per questa operazione raccoglie il gallo. Indi entrati nel
tempio, versano quell’acqua a poco a poco, e fatto un sacrifizio, vanno
via. § Ma Luigi Settembrini pensa si tratti di un Gallo, sacerdote di
Cibele: [115] Gallo sacro, così il testo, ma credo sia guasto, e
debba dir Gallo, uno dei castrati di cui ha parlato innanzi, e parlerà
tra poco. Potrebbe ancora il credulo scrittore aver detto veramente un gallo,
un uccello sacro, che si credeva facesse l’ispezione delle brocche
suggellate e le aprisse. §
48.
- But the greatest of these sacred assemblies are those held on the sea
coast. About these, however, I have nothing certain to say. I was never
present at their celebrations, nor did I undertake the journey thither; but
I did see what they do on their return, and I will at once tell you. Each
member of the assembly carries a vessel full of water. The vessels are
sealed with wax; those who carry the water do not unseal the vessels and
then pour out the water; but there is a certain holy cock [59] who dwells
hard by the lake. This bird, on receiving the vessels from the bearers,
inspects the seal, and after receiving a reward for this action he breaks
the thread and picks away the wax, and many minae are collected by the cock
by this operation. After this the bearers carry the water into the temple
and pour it forth, and they depart when the sacrifice is finished. (translation
by Herbert A. Strong and John Garstang, 1913) § I traduttori concordano con
Luigi Settembrini: [59] Ἀλεκτρυὼν
ἱπός.
The narrative is unintelligible unless we suppose that the words by allusion
or textual change signify some special priestly office. Thus Blunt (Works
of Lucian, London: Briscoe, 1711, p. 267) translates "a sacred
cock, or priest, called Alectryo." Is it possible that the word in this
sense was in common vogue, on the analogy of the Latin Gallus, a
cock? (Cf. an inscription on an urn in the Lateran Museum at Rome,
cited by Frazer, op. cit. p. 233, on which the cock is used as emblem
of the Attis-priest, with a punning reference to the word.) Belin de Ballu,
in his translation (Paris, 1789), v. 178, following Paulmier de Grentruéuil,
unhesitatingly substitutes Γάλλος,
and translates accordingly.
[3] Aldrovandi non fornisce la provenienza del lungo brano che segue, quasi fosse una sua creazione. Innanzitutto è tratto da pagina 456 di Historia Animalium III (1555) di Conrad Gessner, il quale alla fine della sua citazione ne fornisce l’origine: Marcellus Vergilius, nimirum ex Saturnalibus Macrobii 7. 16. (vedi Marcello Virgilio Adriani) § Ecco il brano completo di Gessner. Ovorum quondam purgandis piaculis, lustrationibusque quotidianus erat usus: et in Bacchi Orgiis aliorumque deorum sacrificiis, ubi pro homine solvendum aliquid deo esset, adhibebantur. Omittimus quae in Orphicis et Bacchi Orgiis, in hac ipsa re observata ab antiquis traduntur. id solum ex eis repetemus, ideo religioni ova inservi<i>sse, et in tanto honore cunctis gentibus fuisse, quod capiente omni mundo tot animalium naturas et genera, nullum fere est in quo non ex ovo species aliqua nascatur. Volucres passim ovum gignunt. Aquatilia in mari pene infinita. In terrestribus lacertae<,> in ambiguis et quibus in terra aeque quam in aqua victus est, crocodili. In bipedibus aves. In carentibus pedibus, angues. In multipedibus attelabi: et ne longiores simus, in pluribus generibus aliis plura alia. Ob quae totam referre naturam credita fuerunt: et in religione ad placanda exorandaque numina gratiorem habere potestatem: Marcellus Vergilius, nimirum ex Saturnalibus Macrobii 7. 16. cuius verba superius retuli. § Ed ecco un frammento tratto dai Saturnalia di Macrobio, quando egli disquisisce se sia nato prima l’uovo o la gallina e che abbiamo in parte citato a proposito di pagina 219 del testo di Aldrovandi. Macrobio, Saturnalia, VII,16: [...] quin potius, si quid callet vestra sapientia, scire ex vobis volo, ovumne prius extiterit an gallina? [...] Aut enim gradiuntur animantia aut serpunt aut nando volandove vivunt. In gradientibus lacertae et similia ex ovis creantur: quae serpunt ovis nascuntur exordio: volantia universa de ovis prodeunt excepto uno quod incertae naturae est: nam vespertilio volat quidem pellitis alis, sed inter volantia non habendus est qui quattuor pedibus graditur formatosque pullos parit et nutrit lacte quos generat: nantia paene omnia de ovis oriuntur generis sui, crocodilus vero etiam de testeis, qualia sunt volantium.
[4] Si tratta di un classico download da Gessner, ma Aldrovandi non si degna di specificare la fonte sia secondaria che primaria della citazione, come invece impeccabilmente si comporta lo Zurighese. Giustamente Gessner afferma trattarsi di una rielaborazione da parte di Marcellus Vergilius – alias Marcello Virgilio Adriani - del contenuto dei Saturnalia VII,16 dove Macrobio disquisisce se sia nato prima l'uovo o la gallina, di cui eccone l'esordio: Inter haec Euangelus gloriae Graecorum invidens et inludens: Facessant, ait, haec quae inter vos in ostentationem loquacitatis agitantur: quin potius, si quid callet vestra sapientia, scire ex vobis volo, ovumne prius extiterit an gallina? Tale rielaborazione appartiene al commento all'uovo di Dioscoride, libro II capitolo 43 De ovo, ma attelabus è presente anche nel commento al libro II capitolo 45 De locustis (Pedacii Dioscoridae Anazarbei de Medica materia libri sex a Marcello Virgilio Secretario Florentino latinitate donati cum eiusdem commentationibus, 1523) § Il greco attélabos, con la variante ionica attélebos, indica una locusta senza ali. Si tratta di un termine derivato dal semitico oppure dall'egiziano. In Plinio Naturalis historia XXIX,92 troviamo attelebus: Noctua apibus contraria et vespis crabronibusque et sanguisugis; pici quoque Martii rostrum secum habentes non feriuntur ab iis. Adversantur et locustarum minimae sine pinnis, quas attelebos vocant. § Nessun'altra ricorrenza di attelebus è segnalata nei lessici di latino classico, tantomeno di attelabus. Come abbiamo già detto, in base a quanto riferito da Conrad Gessner in Historia animalium III (1555) pagina 456, attelabus venne impiegato da Marcello Virgilio Adriani (1464-1521) in una rielaborazione dei Saturnalia di Macrobio VII,16 dove costui disquisisce se sia nato prima l'uovo o la gallina. § Ecco i testi di Gessner tratti da Historia animalium III. - pagina 456: Volucres passim ovum gignunt. aquatilia in mari pene infinita. in terrestribus lacertae<,> in ambiguis et quibus in terra aeque quam in aqua victus est, crocodili. in bipedibus aves. in carentibus pedibus, angues. in multipedibus attelabi: et ne longiores simus, in pluribus generibus aliis plura alia. Ob quae totam referre naturam credita fuerunt: et in religione ad placanda exorandaque numina gratiorem habere potestatem: Marcellus Vergilius, nimirum ex Saturnalibus Macrobii 7. 16. cuius verba superius retuli. – pagina 452: Nec importune elementis de quibus sunt omnia. ovum comparaverim. omni enim genere animantium, quae ex coitione nascuntur, invenies ovum aliquorum esse principium instar elementi. In gradientibus enim, lacertae et similia ex ovo creantur. Quae serpunt, ovi nascuntur exordio. Volantia universa de ovis prodeunt, excepto uno quod incertae naturae est, (vespertilione.). Natantia pene omnia de ovis oriuntur generis sui, crocodilus vero etiam de testeis qualia sunt volantium. Et ne videar plus nimio extulisse ovum elementi vocabulo, consule initiatos sacris Liberi patris: in quibus hac veneratione ovum colitur, ut ex forma tereti ac pene sphaerali, atque undique versum clausa, et includente intra se vitam, mundi simulacrum vocetur, Disarius apud Macrobium Saturn. 7. 16.
[5] Satira VI, 518.
[6] Ars amatoria II,329-330.
[7] Rerum rusticarum I,2. § La citazione di Aldrovandi corrisponde a quella di Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 456, che è molto più breve: Ovi quod in Cereali pompa solitum fuerit esse primum, meminit Varro de re rust. 1. 2. § L'edizione Aldina del 1533, forse quella usata da Gessner, contiene cereali. Anche una citazione a piè di pagina in Description of the circus in Via Appia near Rome (Rev. Richard Burgess, London, 1828) riporta Cereali con c maiuscola come Gessner. § La mia fonte elettronica - Rerum rusticarum I,2 www.thelatinlibrary.com - recita qualcosa che è alquanto discordante da Gessner: Illi interea ad nos, et Stolo, Num cena comessa, inquit, venimus? Nam non L. videmus Fundilium, qui nos advocavit. Bono animo este, inquit Agrius. Nam non modo ovom illut sublatum est, quod ludis circensibus novissimi curriculi finem facit quadrigis, sed ne illud quidem ovom vidimus, quod in cenali pompa solet esse primum.
[8]
Deipnosophistaí II,50,58a.
§ And Ephippus says: Cakes made of sesame and honey, sweetmeats, |
Cheese-cakes, and creamcakes, and a hecatomb | Of new-laid eggs, were all
devoured by us. (translated by C. D. Yonge in Deipnosophists or Banquet
of the learned, London, Henry G. Bohn, 1854 – traduzione basata
sull'edizione del testo greco di Schweighäuser, Strasburg, 1801-1807)
[9] Naturalis historia X,48-49: Iam ex his quidam ad bella tantum et proelia adsidua nascuntur - quibus etiam patrias nobilitarunt, Rhodum aut Tanagram; secundus est honos habitus Melicis et Chalcidicis -, ut plane dignae aliti tantum honoris perhibeat Romana purpura. [49] Horum sunt tripudia solistima, hi magistratus nostros cotidie regunt domusque ipsis suas claudunt aut reserant. Hi fasces Romanos inpellunt aut retinent, iubent acies aut prohibent, victoriarum omnium toto orbe partarum auspices. Hi maxime terrarum imperio imperant, extis etiam fibrisque haut aliter quam opimae victimae diis grati.
[10] Rerum rusticarum III,3,5: Earum rerum cultura instituta prima ea quae in villa habetur; non enim solum augures Romani ad auspicia primum pararunt pullos, sed etiam patres familiae rure.
[11] Naturalis historia X,49: Habent ostenta et praeposteri eorum vespertinique cantus: namque totis noctibus canendo Boeotiis nobilem illam adversus Lacedaemonios praesagivere victoriam, ita coniecta interpretatione, quoniam victa ales illa non caneret.
[12] Ad Familiares X,12: Recitatis litteris oblata religio Cornuto est pullariorum admonitu, non satis diligenter eum auspiciis operam dedisse, idque a nostro collegio comprobatum est; itaque res dilata est in posterum.
[13] Ab urbe condita VIII,30: In Samnium incertis itum auspiciis est; cuius rei vitium non in belli eventum, quod prospere gestum est, sed in rabiem atque iras imperatorum vertit. namque Papirius dictator a pullario monitus cum ad auspicium repetendum Romam proficisceretur, magistro equitum denuntiavit ut sese loco teneret neu absente se cum hoste manum consereret. - IX,14: Agentibus divina humanaque, quae adsolent cum acie dimicandum est, consulibus Tarentini legati occursare responsum exspectantes; quibus Papirius ait: "auspicia secunda esse, Tarentini, pullarius nuntiat; litatum praeterea est egregie; auctoribus dis, ut videtis, ad rem gerendam proficiscimur". - X,40: Tertia vigilia noctis iam relatis litteris a collega Papirius silentio surgit et pullarium in auspicium mittit. Nullum erat genus hominum in castris intactum cupiditate pugnae; summi infimique aeque intenti erant; dux militum, miles ducis ardorem spectabat. Is ardor omnium etiam ad eos qui auspicio intererant pervenit; nam cum pulli non pascerentur, pullarius auspicium mentiri ausus tripudium solistimum consuli nuntiavit.
[14] De divinatione II,34: Tum ille: "Dicito, si pascentur." "Pascuntur". Quae aves? Aut ubi? Attulit, inquit, in cavea pullos is, qui ex eo ipso nominatur pullarius. Haec sunt igitur aves internuntiae Iovis! Quae pascantur necne, quid refert? Nihil ad auspicia; sed quia, cum pascuntur, necesse est aliquid ex ore cadere et terram pavire (terripavium primo, post terripudium dictum est; hoc quidem iam tripudium dicitur) - cum igitur offa cecidit ex ore pulli, tum auspicanti tripudium solistimum nuntiatur.
[15] Neanche stavolta il download da Gessner è stato fatto con accuratezza, in quanto esiste un trepudium invece del gessneriano tripudium. Il resto ricalca il testo di Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 409: Puls potissimum dabatur pullis in auspiciis, quia ex ea necesse erat aliquid decidere, quod tripudium faceret: id est terripuvium. puvire enim ferire est. Bonum enim augurium esse putabant, si pulli per quos auspicabantur, comedissent: praesertim si eis edentibus aliquid ab ore decidisset. Sin autem omnino non edissent, arbitrabantur periculum imminere, Festus. § Ai tempi di Festo Sesto Pompeo (II-III secolo dC), che è la fonte del testo, probabilmente terripavium e pavire si erano trasformati in terripuvium e puvire, come dimostra il suo De verborum significatione.
[16] De divinatione
I,35,77: Quid? Bello Punico secundo
nonne C. Flaminius, consul iterum, neglexit signa rerum futurarum magna cum
clade rei publicae? Qui exercitu lustrato cum Arretium versus castra
movisset et contra Hannibalem legiones duceret, et ipse et equus eius ante
signum Iovis Statoris sine causa repente concidit nec eam rem habuit
religioni, obiecto signo, ut peritis videbatur, ne committeret proelium.
Idem, cum tripudio auspicaretur, pullarius diem proelii committendi
differebat. Tum Flaminius ex eo quaesivit, si ne postea quidem pulli
pascerentur, quid faciendum censeret. Cum ille quiescendum respondisset,
Flaminius: "Praeclara vero auspicia, si esurientibus pullis res geri
poterit, saturis nihil geretur!" Itaque signa convelli et se sequi
iussit. Quo tempore cum signifer primi hastati signum non posset movere
loco, nec quicquam proficeretur [?] plures cum accederent, Flaminius re
nuntiata suo more neglexit. Itaque
tribus iis horis concisus exercitus atque ipse interfectus est.
[17]
Factorum et dictorum memorabilium I,6,7:
Flamini autem praecipitem audaciam C. Hostilius Mancinus vaesana
perseverantia subsequitur. Cui consuli in Hispaniam ituro haec prodigia
acciderunt: cum Lavinii sacrificium facere vellet, pulli cavea emissi in
proximam silvam fugerunt summaque diligentia quaesiti reperiri nequiverunt.
Cum ab Herculis portu, quo pedibus pervenerat, navem conscenderet, talis vox
sine ullo auctore ad aures eius pervenit, 'Mancine, mane'. Qua territus, cum
itinere converso Genuam petisset et ibi scapham esset ingressus, anguis
eximiae magnitudinis visus e conspectu abiit. Ergo prodigiorum
<numerum> numero calamitatium aequavit, infelici pugna, turpi foedere,
deditione funesta.
[18] Aldrovandi dà come
referenza Lib. 45, che penso vada inteso come Ab urbe condita
XLV, dove però Livio non parla del
console Hostilius Mancinus, salvo che Aldrovandi volesse indicare la Periocha
55 dell’opera di Livio e che per errore tipografico è stato scritto 45. I
dati relativi a Hostilius Mancinus sono infatti contenuti nelle Periochae
55 e 56: Periocha LV: C.
Hostilio Mancino cos. sacrificante pulli ex cavea evolaverunt; conscendenti
deinde in navem,ut in Hispaniam proficisceretur, accidit vox: "Mane,
Mancine". Quae auspicia tristia fuisse eventu probatum est. Victus enim
a Numantinis et castris exutus, cum spes nulla servandi exercitus esset,
pacem cum his fecit ignominiosam, quam ratam esse senatus vetuit. XXXX milia
Romanorum ab IIII milibus Numantinorum victa erant. - Periocha
LVI: Ad exsolvendum foederis
Numantini religione populum Mancinus, cum huius rei auctor fuisset, deditus
Numantinis non est receptus. § Ne parla anche Giulio
Ossequente, Liber prodigiorum: M. Aemilio C. Hostilio Mancino coss.
[AUC 617/137 aC] - 24. Cum Lavinii auspicaretur, pulli e cavea in silvam
Laurentinam evolarunt neque inventi sunt. Praeneste fax ardens in caelo visa,
sereno intonuit. Terracinae M. Claudius praetor in nave fulmine conflagravit.
Lacus Fucinus per milia passuum quinque quoquo versum inundavit. In
Graecostasi et in comitio sanguine fluxit. Esquiliis
equuleus cum quinque pedibus natus. Fulmine pleraque decussa. Hostilius
Mancinus consul in portu Herculis cum conscenderet navem petens Numantiam,
vox improviso audita "Mane, Mancine." Cumque egressus postea navem
Genuae conscendisset, anguis in nave inventus e manibus effugit. Ipse consul
devictus, mox Numantinis deditus.