Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

257

 


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Iuvenalis[1] Gallos Gallinaceos Laribus etiam sacros habitos [257] esse his versibus nos admonet.

Et {laribus} <Laribus> cristam promittere Galli

Non audent

De Termini sacrificio Prudentius[2] ita canit.

Et lapis illic

Si stetit[3] antiquus, quem cingere {sueverit} <sueverat> error

Fasceolis[4], vel Gallinae pulmone[5] rogare,

Frangitur, et nullis violatur {terminus} <Terminus> extis.[6]

Giovenale ci ricorda con questi versi che i galli sono stati ritenuti sacri anche ai Lari:

E non osano promettere la cresta di un gallo ai Lari.

Prudenzio canta così a proposito del sacrificio di Termino - la divinità dei confini:

E lì se si troverà una pietra antica, che l’errore si era abituato a cingere con bende, o a supplicare con un polmone di gallina, essa viene rotta, e Termino non viene violato dalle interiora delle vittime.

{Methonae} <Methanae> urbis in Troezeniorum agro incolas legimus[7] Gallum pro vinearum incolumitate mactare solitos, ut Africi venti, qui {eos} <eas>[8] plurimum infesta<n>t, incursionem vel averterent, vel saltem emollirent: {Cum} <cum> enim flare institeri<n>t, vitium oculos exuri, spemque vindemiae falli. Moniti igitur ab aruspicibus, sacri genus hoc instituere, ut viri duo Gallum unum, eumque album, manibus apprehenderent, et in diversa abeuntes trahendo discerperent, partemque uterque suam manu praeferentes vineta loci omnia perlustrarent, donec ita omnibus expiatis, in eundem convenirent locum, ubi Gallum dissecuissent, ibique partibus utriusque humi defossis, nullum eius anni incommodum se passuros persuasum habeant: iuvitque sors, ut quandiu sacrum hoc celebravere, res illis ex voto succederet.

Abbiamo letto che gli abitanti della città di Methana nel territorio degli abitanti di Trezene sono soliti immolare un gallo per la incolumità dei vigneti, affinché i venti dell’Africa, che li danneggiano moltissimo, o rivolgessero l’assalto da un’altra parte, o per lo meno di mitigarlo: infatti se continuano a spirare, le gemme delle viti vengono bruciate e la speranza della vendemmia svanisce. Pertanto, consigliati dagli aruspici, istituirono questo tipo di rito, che due uomini dovevano catturare con le mani un solo gallo, e bianco, e allontanandosi in direzioni opposte dovevano lacerarlo con la trazione, e ciascuno portando in mano dinanzi a sé la propria parte doveva attraversare tutti i vigneti del posto, finché dopo essere stati così tutti quanti purificati dovevano incontrarsi nello stesso posto dove avevano fatto a pezzi il gallo, e qui, dopo aver sotterrato le parti di ciascuno, erano convinti che non avrebbero subito nessun danno per quell’anno: destino volle che finché celebrarono questo rito, la cosa avesse per loro un esito felice in seguito all’offerta votiva.

Vetus etiam {Pithagorae} <Pythagorae> symbolum Gallo albo abstinendum esse admonet. Diogenes Laërtius[9] ideo eum interdixisse scribit, quod mensi sacer, et supplex. Quod autem mensi sacer haberetur etiam Aelianus meminit, inquiens: Gallum album mensi sacrum, utpote horarum nuncium credidit Pythagoras. Iamblic<h>us tamen Pythagoram sectatoribus suis, qui civiles, id est, politici dicti sunt, permisisse author est, ut Gallum, agnum, et alia quaedam ante nata praeter vitulum rite sacrificarent. Et Plutarchus[10] discipulorum nonnullos eum accusare memorat, ut qui in commentario de iustitia scripsisset de Gallis Gallinaceis utiliter eos esitasse, quod et somno nos excitent, et scorpios conquirent, et in pugna nobis studium, aemulationemque fortitudinis quandam ingenerent. Unde non sacrificasse tantum Gallos solitum, sed esum eorum permisisse videmus. Quod ad sacrificia attinet, Suidas etiam sacrificasse illum Gallos testis est, quin vero et ipse Diogenes[11] sacrificiis, inquit, utebatur Pythagoras inanimis; sunt qui dicunt, Gallis Gallinaceis, et hoedis, etiam lecteolis, quos teneros dicunt: agnis autem minime.

Anche un antico simbolo di Pitagora ammonisce che bisogna astenersi dal gallo bianco. Diogene Laerzio scrive che lo ha vietato in quanto è sacro al mese, ed è un supplice. Che fosse ritenuto sacro al mese lo ricorda anche Eliano dicendo: Il gallo bianco è sacro al mese, dato che Pitagora l’ha ritenuto messaggero delle ore. Giamblico riferisce che tuttavia Pitagora ai suoi seguaci, che furono detti civili ossia politici, concesse di sacrificare secondo il rituale il gallo, l’agnello e alcuni altri animali prima che fossero nati, eccetto il vitello. E Plutarco ricorda che egli accusava alcuni discepoli in quanto qualcuno in un commento relativo alla giustizia aveva scritto a proposito dei galli che essi spesso li avevano mangiati con profitto in quanto ci destano dal sonno e vanno in cerca degli scorpioni e combattendo fanno nascere in noi l’entusiasmo e come una sorta di emulazione della forza d’animo. Per cui possiamo renderci conto che era solito non solo sacrificare i galli, ma che aveva concesso di cibarsene. Per quanto riguarda i sacrifici, anche il lessico Suida è testimone che lui sacrificava i galli, anzi lo stesso Diogene Laerzio dice: Pitagora si serviva di sacrifici di esseri inanimati; vi sono alcuni che dicono che si serviva di galli, e di capretti, anche poppanti, che chiamano lattanti: ma quasi per nulla degli agnelli.

Quod vero ad eorum {eusm} <esum>, Aristoxenus apud Gellium[12] cuncta illum animata in cibum permisisse ait, bove aratore, et ariete exceptis. Alii contra Pythagoram, licet praeter sua instituta, immolasse tamen quandoque Musis bovem, Iovi vero Gallum album[13]. Alii tradunt Gallum album adeo ab eo[14] amatum, ut si quando videret, fratris Germani loco salutaret, et apud se haberet. Unde aperte constare arbitror Pythagorae praecepta vel perperam posteritati tradita, vel ipsum in determinatione illorum inconstantem extitisse. Nihil aliud hoc loco quidam Pythagoram intellexisse volunt, quam Gallum ipsum. Si quis tamen altius hoc considerare voluerit, ad reliquorum symbolorum rationem, modumque interpretari poterit, ut scilicet nos philosophus moneat Gallos nutrire, ut divinam animae nostrae partem divinarum rerum cognitione quasi solido cibo, et caelesti ambrosia pascamus.

Per quanto riguarda il cibarsene, Aristosseno. dice in Aulo Gellio che lui - Pitagora - aveva concesso come cibo tutti gli esseri animati, eccetto il bue che ara e l’ariete. Altri al contrario dicono che tuttavia Pitagora, sebbene contro le sue regole, di quando in quando immolasse alle Muse un bue, e a Giove un gallo bianco. Altri riferiscono che il gallo bianco fu da lui amato a tal punto che, se per caso lo vedeva, lo salutava come se fosse un fratello germano, e lo teneva al suo fianco. Per cui ritengo risulti chiaramente che i precetti di Pitagora o sono stati tramandati ai posteri in modo falso, o che risultò chiaramente un incostante nel porne i confini. Alcuni a questo punto sono dell’avviso che Pitagora non ha voluto intendere null’altro che il gallo stesso. Tuttavia se qualcuno vorrà analizzare ciò in modo più approfondito, potrà interpretarlo secondo la motivazione e l’unità di misura degli altri simboli, cioè in quanto il filosofo ci esorta a nutrire i galli in modo da alimentare la parte divina della nostra anima con la conoscenza delle cose divine, come se fossero un cibo completo e un’ambrosia celeste.

Verum ut ad recentiorum superstitionem, seu idolatriam potius sermonem nostrum divertamus. Petrus Bellonius[15], interprete Carolo Clusio, amoenam nefarii illius Mahumeti{s}, Turcarum pseudoprophetae in paradisum profectionem, quam nocturno tempore hic se confecisse splendidissime mentitur, describens insignes de Turcarum paradiso nugas recenset, inter alias vero, illum comminisci, se in coelo variae formae angelos vidisse, ut boum, hominum, equorum, avium, inter quas Gallus fuerit, pedibus primum coelum premens, et capite secundum attingens: interrogantique Mahumeto, quid ista sibi vellent, angelum, a quo se eo conductum finxerat, respondisse, angelos esse, qui pro iis, qui in mundo sunt, Deum orent, humanaeque formae angelos pro hominibus orare, bubulae pro bubus, equinae pro equis, Gallinaceae pro Gallis, atque cum ingens ille Gallus caneret, reliquos Gallos cum caelestes, tum terrestres canere.

Vediamo dunque di rivolgere il nostro discorso alla superstizione o meglio all’idolatria di personaggi più recenti. Pierre Belon, nella traduzione di Charles de L’Écluse, descrivendo l’amena partenza per il paradiso di quel nefando Maometto pseudoprofeta dei Turchi che costui in modo molto splendido inventa di aver effettuato nottetempo, passa in rassegna le straordinarie sciocchezze relative al paradiso dei Turchi, e tra le altre, che egli si inventa di aver visto in cielo angeli di vario aspetto, ad esempio di buoi, di esseri umani, di cavalli, di uccelli, tra i quali ci sarebbe stato un gallo, che calcava con le zampe il primo cielo, e con la testa raggiungeva il secondo: e a Maometto, che chiedeva che cosa significassero tali cose, un angelo, dal quale egli aveva inventato di esservi stato condotto, rispose che erano angeli che pregano Dio per coloro che si trovano sulla terra, e che gli angeli con aspetto umano pregano per gli uomini, quelli con aspetto bovino per i buoi, quelli con aspetto equino per i cavalli, quelli con aspetto di gallo per i galli, e che quando quell’enorme gallo cantava, anche i restanti galli sia celesti che terrestri cantavano.

Author est Ludovicus Romanus <Patritius>[16] Calecu{t}tenses[17] cacodaemonis sacerdotes sanguine Gallinacei cultello argenteo iugulati carbonibus ignitis aspersi, ei sacrum peragere. Abaculum, inquit, habent vice altaris, quem variis floribus, ac flagrantibus pulvisculis sternunt. Tunc sanguinem Galli in vas argenteum ignitis carbonibus oppletum, imponunt, additis variis suffumentis. Gallum dein mactant cultro argenteo, {cruentunque} <cruentumque> cultellum nonnunquam igni admovere solent. Sanguis Galli totus accensis funalibus crematur circa altare.

Lodovico de Varthema narra che i sacerdoti di Calicut di un demone cattivo compiono in suo onore una cerimonia sacra con il sangue di un gallo sgozzato con un piccolo coltello d’argento e cosparso di carboni ardenti. Al posto dell’altare, egli dice, hanno una tavoletta che cospargono di vari fiori e di polveri profumate. Quindi mettono il sangue del gallo in un recipiente d’argento ripieno di carboni ardenti, con l’aggiunta di varie sostanze aromatiche. Poi sacrificano il gallo con un coltello d’argento, e talora sono soliti avvicinare al fuoco il coltello macchiato di sangue. Tutto il sangue del gallo viene bruciato sulle torce accese intorno all’altare.


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[1] Satira XIII, 233-234.

[2] Contra Symmachum II, 1005-1008 - a pagina 664 di Aurelii Prudentii Clementis opera interpretate e annotate da Stephanus Chamillard SJ, Parisiis, apud Viduam Claudii Thiboust et Petrum Esclassan, 1687.

[3] Stephanus Chamillard, pag. 664 - Lapis illic si stetit: Terminorum Deus, de quo hic loquitur, colebatur sub figura rudis ac informis lapidis, vel stipitis. Ovid, Fast. lib. 2: Termine, sive lapis sive es defossus in agro/stipes, ab antiquis tu quoque numen habes. Et Tibull. lib. 1 eleg. 1: Nam veneror, sed stipes habet desertus in agris, seu vetus in trivio florida serta lapis. In nummis tamen gentis Calpurniae, quae originem a Numa ducebat, modo caput Termini expressum est, modo integrum simulachrum.

[4] Stephanus Chamillard, pag. 664 - Cingere fasciolis: Terminales lapides floribus, fasciisque donavit antiquitas, tanquam judices et arbitros finium, ac proinde pacis et amicitiae custodes. Siculus Flaccus de conditionib. agror.: Cum Terminos disponerent, ipsos quidem lapides in solidam terram collocabant, proxime ea loca, quibus fossis factis defixuri eaos erant, et unguento, velaminibusqe, et coronis eos ornabant.

[5] Stephanus Chamillard, pag. 664 - Gallinae pulmone: Neminem repperi, qui Prudentio astipularetur. Nam Ovidius lib. 2 Fast. ubi loquitur de Terminalibus, quae fiebant 23 Februarii, quo nempe ita annum quoque terminare viderentur, immolari agnum Termino, seu suillam asserit: Spargitur et caeso communis Terminus agno,/nec queritur lactans cum sibi porca datur. Quod si Plutarcho credimus: Termino apud Romanos frugibus ignem jactis, et favis, et vino litabatur.

[6] Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 456: De Termini sacrificio Prudentius contra Symmachum ita canit: Et lapis illic | Si stetit antiquus, quem cingere sueverat error | Fasceolis, vel gallinae pulmone rogare, | Frangitur, et nullis violatur Terminus extis.

[7] Aldrovandi non precisa dove ha letto ciò che sta riferendo. La fonte è comunque Pausania, Periegesi della Grecia, Corinto. Il ventus Africus è detto da Pausania Líps, genitivo Libós, che è l’africo o libeccio, il quale spira da sudovest. § Pausanias, Description of Greece, Corinth, II,34,1-3:[1] Stretching out far into the sea from Troezenia is a peninsula, on the coast of which has been founded a little town called Methana. Here there is a sanctuary of Isis, and on the market-place is an image of Hermes, and also one of Heracles. Some thirty stades distant from the town are hot baths. They say that it was when Antigonus, son of Demetrius, was king of Macedon that the water first appeared, and that what appeared at once was not water, but fire that gushed in great volume from the ground, and when this died down the water flowed; indeed, even at the present day it wells up hot and exceedingly salt. A bather here finds no cold water at hand, and if he dives into the sea his swim is full of danger. For wild creatures live in it, and it swarms with sharks. [2] I will also relate what astonished me most in Methana. The wind called Lips, striking the budding vines from the Saronic Gulf, blights their buds. So while the wind is still rushing on, two men cut in two a cock whose feathers are all white, and run round the vines in opposite directions, each carrying half of the cock. When they meet at their starting place, they bury the pieces there. [3] Such are the means they have devised against the Lips. The islets, nine in number, lying off the land are called the Isles of Pelops, and they say that when it rains one of them is not touched. If this be the case I do not know, though the people around Methana said that it was true, and I have seen before now men trying to keep off hail by sacrifices and spells. (Description of Greece with an English Translation by W.H.S. Jones, Litt.D. in 4 Volumes. Volume 1. Attica and Corinth, Cambridge, MA, Harvard University Press; London, William Heinemann Ltd., 1918)

[8] Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 408: Scribit Pausanias in Lacon. (lege, Corinthiacis) Methanam urbem ad Isthmum, in qua cives contra Africum vineis florescentibus ac germinantibus infestum, galli pennis albis ac niveis (alas omnino candidas habentis, Loescherus Pausaniae interpres,) remedio usos fuisse: quem gallum homines in diversa trahentes, discerpebant, per vineas discurrentes: demum in eundem locum redeuntes, ubi discerpserant, gallum sepeliebant. Adeo hi diversi fuere a Pythagorae institutis, quem tradunt gallum adeo amasse,[...].

[9] Liber 8 de vita philosophorum in vita Pythagorae. (Aldrovandi) - Le vite, le opinioni, gli apoftegmi dei filosofi celebri, VIII, Pitagora, 19: He also forbade his disciples to eat white poultry, because a cock of that colour was sacred to Month, and was also a suppliant. He was also accounted a good animal; and he was sacred to the God Month, for he indicates the time. (translated by C.D. Yonge - http://classicpersuasion.org)

[10] De Stoicorum repugnantibus (Le contraddizioni degli Stoici). (Aldrovandi)

[11] Le vite, le opinioni, gli apoftegmi dei filosofi celebri, VIII, Pitagora, 18: He used to practise divination, as far as auguries and auspices go, but not by means of burnt offerings, except only the burning of frankincense. And all the sacrifices which he offered consisted of inanimate things. But some, however, assert that he did sacrifice animals, limiting himself to cocks, and sucking kids, which are called apalioi, but that he very rarely offered lambs. Aristoxenus, however, affirms that he permitted the eating of all other animals, and only abstained from oxen used in agriculture, and from rams. (translated by C.D. Yonge - http://classicpersuasion.org)

[12] Nessun riferimento al bue aratore e all’ariete nell’edizione in mio possesso di Noctes Atticae - libro IV,11 - dove, come dice Aulo Gellio, Quae qualiaque sint, quae Aristoxenus quasi magis comperta de Pythagora memoriae mandavit; et quae item Plutarchus in eundem modum de eodem Pythagora scripserit. Il testo completo di questo brano delle Noctes Atticae viene riportato nella biografia di Gellio.

[13] Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 408: Gallus etiam Cybeli dicatus fuit, Gyraldus. Sunt qui tradant Pythagoram praeter sua instituta, bovem quandoque Musis, et Iovi gallum album immolasse: quoque vix crediderim, propter ea quae de eo in Symbolis retuli, Idem. § Lilius Gregorius Gyraldus, Historiae Deorum Gentilium Syntagma XVII: Sunt qui tradant, Pythagoram praeter sua instituta, bovem quandoque Musis, et Iovi gallum album immolasse: quod vix crediderim, propter ea quae de eo in Symbolis retuli.

[14] Conrad Gessner, Historia Animalium III (1555), pag. 408: Adeo hi diversi fuere a Pythagorae institutis, quem tradunt gallum adeo amasse, ut si quando videret, fratris germani loco salutaret, et apud se haberet, (vide inter proverbia, Gallo albo abstineas) suis vero sectatoribus, qui civiles id est politici dicti sunt, permisisse ait Iamblichus, ut gallum, agnum et alia quaedam paulo ante nata, praeter vitulum, rite sacrificarent. Idem scribit Suidas. Sed et Laertius, Sacrificiis (inquit) utebatur Pythagoras inanimis. Sunt qui dicant, gallis gallinaceis, et hoedis etiam lacteolis quos teneros dicunt, agnis autem minime. Caeterum Aristoxenus apud Gellium, cuncta illum animata in cibum permisisse ait, bove aratore et ariete exceptis. § pag. 409: Gallo albo abstineas, [       ]: id est Candido gallo ne manum admoliaris, quod mensi sacer sit, utpote horarum nuncius, Erasmus in Chiliadibus inter Symbola Pythagorica. Gallo albo abstinendum, id est saluti cuiusque purissime favendum, (mihi haec interpretatio non satisfacit,) Plutarchus in Symbolis Pythag. interprete Gyraldo. Pythagoram ferunt gallum album adeo amasse, ut si quando videret, fratris germani loco salutaret, et apud se haberet, Gyraldus.

[15] L. 3 obs. C. 7. (Aldrovandi) - Petri Bellonii Cenomani plurimarum rerum in Graecia, Asia, Aegypto, Iudaea, Arabia aliisque exteris Provinciis ab ipso conspectarum observationes tribus libris expressae Carolus Clusius Atrebas e Gallicis Latinas faciebat - Antverpiae 1589 § Quanto narrato da Pierre Belon non è contenuto nel Corano. Sia il testo originale di Pierre Belon che la traduzione latina di Charles de L’Écluse sono presenti nel lessico alla voce Maometto.

[16] Si può presumere con quasi certezza che si tratta di Ludovicus Patritius, forse latinizzato anche in Romanus in quanto morì a Roma nel 1517. Questa presunzione viene dal testo di Conrad Gessner Historia Animalium III (1555). Infatti Gessner cita una prima volta i polli del Tarnasari a pagina 381 e attribuisce la notizia a Ludovicus Patritius: Circa Tarnasari urbem Indiae gallos gallinasque proceriores vidisse memini quam usquam alibi, Ludovicus Patritius. – Quindi ne parla una seconda volta a pagina 387 attribuendo la consimile notizia a Ludovicus Romanus: Circa Tarnasari urbem Indiae gallinaceos procerissimos videre memini: ex quorum sane acerrimis conflictibus summam voluptatem cepi. nam quotidie huic ludo per medios vicos Mahumetanorum animi causa opera dabatur, mirumque est Mahumetanorum pro hac re certamen. habent privi privos gallos gallinaceos, eosque committunt aliis, expositis quandoque pro alitum futura victoria utrinque aureis centenis singulo congressu. Conspicati sumus senis horis concertantes alites, nec prius illae modum proelio faciebant, quam occubuissent, Ludovicus Romanus.

[17] Nella nota a bordo pagina troviamo la grafia corretta: Calecutenses quomodo Gallum immolant.