Conrad Gessner

Historiae animalium liber III qui est de Avium natura - 1555

De Gallo Gallinaceo

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

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Amnis it insana nomine Gallus aqua, Ovidius[1]. Ab hoc, auctore Festo[2], Galli dicebantur sacerdotes Cybeles, qui postquam ex eo bibissent se castrabant, et inter sacrificandum furiose se gerebant. Crinemque rotantes | Sanguinei populis ulularunt tristia Galli, Lucanus lib. I.[3] Quidam[4] Gallum puerum putavere, qui contracta offensa deae se execuerit, et simul fluvio nomen dederit Gyraldus[5]. ¶ Gallinaria insula est a gallinis feris sic dicta: vide infra in Capite de gallinis feris[6]. ¶ Et Pontina palus et Gallinaria pinus, Iuvenalis Sat. 3.[7]

Scorre un fiume di nome Gallo dall’acqua che fa impazzire, Ovidio. Per questo motivo, come riferisce Sesto Pompeo Festo, i sacerdoti di Cibele erano detti Galli, in quanto coloro che avessero bevuto l'acqua di quel fiume si castravano e durante i sacrifici si comportavano da invasati. E i Galli tutti insanguinati facendo roteare le chiome urlarono alle genti cose infauste, Lucano libro I dei Pharsalia. Alcuni hanno ritenuto che Gallus fosse un ragazzo che, avendo offeso la Dea, si evirò, e contemporaneamente diede il nome al fiume, Giglio Gregorio Giraldi. ¶ Gallinara è un'isola così chiamata dalle galline selvatiche: vedi oltre – a pagina 461 – nel capitolo che riguarda le galline selvatiche. ¶ E la palude Pontina e la pineta Gallinaria, Giovenale Satira III.

b. <Comes it merito plebs caetera Regi> | Formoso regi, cui vertice purpurat alto | Fastigiatus apex, dulcique errore coruscae | Splendescunt cervice iubae, perque aurea colla, | Perque humeros it pulcher honos, palea ampla decenter | Albicat ex rutilo, atque torosa in pectore pendet | Barbarum in morem. stat adunca cuspide rostrum, | Exiguum spatii rostrum. flagrantque tremendum | Ravi oculi, niveasque caput late explicat aur{e}is. | Crura pilis hirsuta rigent, iuncturaque nodo | Vix distante sedet, durus vestigia mucro | Armat: in immensum pinnaeque, hirtique lacerti | Protenti excurrunt, duplicique horrentia vallo | Falcatae ad coelum tolluntur acumina caudae, Politianus in Rustico[8].

b. Il resto della plebe cammina come sèguito del re che lo è a buon diritto | dello splendido re, al quale sul capo risplende intensamente di porpora | la cresta appuntita, e nel suo piacevole vagare | risplendono sul collo le brillanti criniere, e attraverso il collo dorato, | e attraverso le spalle si dispiega la stupenda bellezza, l’ampio bargiglio rosso è armoniosamente | soffuso di bianco, e pende sul petto muscoloso | a mo’ di barbe: il becco sporge con un apice adunco, | un becco di lunghezza esigua. E risplendono in modo terribile | gli occhi grigio-gialli, e la testa estesamente dispiega degli orecchioni bianchi come la neve. | Le gambe si ergono irte di peli, e sulle gambe | con le articolazioni appena divaricate sta appollaiato: un duro spuntone arma i pedi: | le ali e le braccia irsute quando vengono dispiegate | si allungano smisuratamente, e rese terribili da una doppia palizzata | le punte della coda falcata vengono sollevate verso il cielo, Angelo Poliziano in Rusticus.

Crista in gallinaceo, vocatur etiam apex a Politiano. Cristas tollere vel detrahere proverbium referetur infra. Gallorum cristas aliqui barbare ruffas[9] nominant. Ascili[10], id est crista galli, Sylvaticus. Graeci λόφον appellant, ut Eustathius. Aristophanes in Avibus[11] κυρβασίαν: quanquam Varinus Cyrbasiam et Cybarsiam quoque caput gallinacei interpretatur, κεφαλὴν ἀλέκτορος: Hesychius κορυφὴν ἀλέκτορος, id est verticem vel cristam galli. Hippocrates[12] cyrbasi{c}am pileum acutum ut videtur, qui et tiara. alii cyrbasiam, alii tiaram erectam, qua soli Persarum reges utebantur. Ὅ Περσικὸς ὄρνις ὁ ἀλέκτωρ λέγεται διὰ τὴν λοφίαν[13], Suidas.

Nel pollo la cresta viene anche chiamata apice da Poliziano. Il proverbio alzare o abbassare le creste viene citato più avanti. Alcuni in una lingua straniera le creste dei galli le chiamano ruffas. Ascili, cioè cresta del gallo, Matteo Silvatico. I Greci la chiamano lóphos; come pure Eustazio di Tessalonica. Aristofane, negli Uccelli, kyrbasía: sebbene Guarino traduca cyrbasia e anche cybarsia con testa del gallo, kephalën aléktoros: Esichio con koryphën aléktoros, cioè la sommità o la cresta del gallo. A quanto pare Ippocrate intende per cyrbasia un berretto di feltro aguzzo – o pileo, che corrisponde alla tiara. Altri la chiamano cyrbasia, altri tiara eretta, della quale si servivano solo i re dei Persiani. Hó Persikòs órnis, ho aléktør léghetai dià tën lophìan, il gallo viene detto l’uccello persiano a causa della cresta, lessico Suida.

¶ Rostrum, vulgus Italicum becco vocat, vocabulo Tolosano antiquo: quanquam id illis gallinacei rostrum significaret, author Tranquillus in Vitellio[14]. Κόραξ, corvus, et summa gallinaceorum rostra, a colore nigro quem Graeci κορὸν dicunt, Hesychius et Varinus[15]. Κάλεα (lego κάλλαια) barbae gallinaceorum, et pennae in cauda earum secundum Aelium Dionysium[16], Varinus in voce Θρόνα. Κάλλαιοι (lego κάλλαια) gallinaceorum barbae, et omnis color purpureus, vel secundum alios varius. πᾶν πορφυροειδὲς χρῶμα. ἔνιοι δὲ τὰ ποικίλα. καὶ παρ’Αἰγυπτίοις χρῶμα καλαϊνόν[17]. Ponitur etiam pro unguento. Εt καλλα (malim κάλλη, ut Ammonius de differentiis vocum habet[18],) τὰ βαπτὰ ἔρια, Hesychius. Καλλαιάνθη πορφυρᾶ, Hesychius et Varinus. legendum forte, Κάλλη, ἄνθη πορφυρᾶ. nam κάλλη vocant floridos colores, τὰ ἄνθη τῶν βαμμάτων, {Hesych.} <Ammonius>[19]. Καὶ ἀπὸ τῶν ὤτων ἑκατέρωθεν εἶχε κρεμάμενα, σπερ οἱ ἀλεκτρυόνες τὰ κάλλαια, Athenaeus de tetrace magna. Hermolaus cristas utrinque ex auribus pendentes reddidit, quod non probo. Sed plura de hac voce scripsi supra in B[20]. Αἰκάλλειν verbum dicitur de cane blandiente auribus et cauda: et per translationem a gallinaceis. κάλλεα eorum barbae (τὰ γένεια) vocantur, Varinus. Quemadmodum barbae appendiculas quasdam gallinacei possident, sic aries bellua marina foemina, cirros ex imo collo pendentes habet, Aelianus[21].

¶ Gli italiani chiamano becco il rostrum, usando un antico vocabolo di Tolosa: nonostante per i Tolosani avesse il significato di becco del pollo, autore è  Caio Svetonio Tranquillo nella biografia di Vitellio contenuta nel De vita Caesarum. Kórax è il corvo e la parte superiore del becco dei polli, dal colore nero che i Greci dicono koròn, Esichio e Guarino. Kálea (io leggo kállaia) sono i bargigli dei polli, nonché le penne che si trovano sulla loro coda secondo Elio Dionisio, lo riferisce Guarino alla voce Thróna – fiori ricamati. Kállaioi (io leggo kállaia) sono i bargigli dei polli, e qualunque colore purpureo, o, secondo altri, policromo. Pân porphyroeidès chrôma. Énioi dè tà poikíla. Kaì par'Aigyptíois chrôma kalaïnón. – Ogni colore che somiglia alla porpora. Alcuni intendono i colori variegati. E presso gli Egiziani il colore turchino. Si usa anche questa parola al posto di unguento. E kallaì (io preferirei kállë – le cose belle, le vesti di porpora -, come riporta Ammonio di Alessandria a proposito delle differenze dei vocaboli) tà baptà ériakallaì, le lane dai colori vivaci, Esichio. Kallaiánthë porphyrâ, Esichio e Guarino. Forse bisogna leggere Kallë, ánthë porphyrâ. Infatti chiamano ánthë i colori splendenti, tà ánthë tøn bammátøn - gli splendori delle tinte, Ammonio. Kaì apò tôn øtøn hekatérøthen eîche kremámena, høsper hoi alektryónes tà kállaiaE dalle orecchie da ambo i lati aveva delle cose che pendevano, così come i galli hanno i bargigli, Ateneo a proposito del gallo di montagna grande – probabilmente la barba del gallo cedrone. Ermolao Barbaro ha tradotto con creste che pendono da ambo i lati delle orecchie, ma non sono d'accordo. Ma su questo termine ho scritto parecchio in precedenza nel paragrafo B. Il verbo aikállein – adulare – viene usato a proposito di un cane che fa le moine con le orecchie e con la coda: e proviene metaforicamente dai polli. I loro bargigli (tà ghéneia – i menti) sono detti kállea, Guarino. Così come i polli posseggono delle piccole appendici a mo' di barba, altrettanto la femmina del mostro ariete di mare possiede delle formazioni ricciute che pendono dalla parte inferiore del collo, Eliano.

¶ In pullo partem quandam navim vocat Apicius lib. 6. capite ultimo[22], pullum a navi aperiri iubens: pectus forte intelligens, nam mox pullum farsilem a pectore aperiri iubet. sed Humelbergius partem posteriorem ventris interpretatur: qui ut navis cavus, et figurae eius non dissimilis sit.

Nell'ultimo capitolo del libro VI Apicio chiama nave una certa parte del pollo, prescrivendo che il pollo va aperto a cominciare dalla nave: forse intendendo il petto, infatti dopo prescrive che un pollo da farcire va aperto a partire dal petto. Ma Gabriel Hummelberg la interpreta come la parte posteriore del ventre: in quanto esso è concavo come una nave, e non è dissimile dalla sua forma.

¶ Intestina gallinarum cum rebus aliis incocta veteres gigleria vocabant, Hermolaus. alii gigeria[23] legunt. Gigeria pullorum coques, Apicius 4.1.[24] ¶ Actraltigi, fasianum (im<m>o attagenem) significat, non ut quidam putant testiculos gallorum, Sylvaticus. Ὄτρα, gallinacei cauda, Hesych. et Varinus. Κάλεα (malim κάλλαια) barbae gallinaceorum, et pennae in caudis eorum secundum Aelium Dionysium[25], Varinus in Θρόνα.

¶ Gli antichi chiamavano gigleria gli intestini di gallina fatti cuocere con altre cose, Ermolao Barbaro. Altri dicono gigeria – anche gizeria, frattaglie.  Farai cuocere le gigeria dei polli, Apicio IV,2,21. ¶ Actraltigi significa fagiano (o meglio, francolino), non testicoli di gallo come alcuni ritengono, Matteo Silvatico. Ótra, la coda del pollo, Esichio e Guarino. Kálea (preferirei kállaia) i bargigli dei polli, e le penne della loro coda secondo Elio Dionisio, Guarino alla voce Thróna – fiori ricamati.

Πλῆκτρα Atticis sunt calcaria gallorum quibus pugnant, quae communiter κέντρα vocantur, <Hesych. et> Varinus. Πλᾶκτρον Doricum est, ut et πλακτὴρ apud eosdem. Κόπιες, κέντρα ὀρνίθεια, Iidem. Calcar tollere proverbium referetur in h. ¶ Boccatius[26] gallinaceos pedes Sirenibus attribuit ex Albrico[27] ignobili authore, Gyraldus[28]. ¶ Plumas sub cauda quae gallinis aut capis saginandis evelli solent, aliqui privatim nominant mastfaederen.

¶ Per gli abitanti dell'Attica plêktra sono gli speroni dei galli coi quali combattono, detti abitualmente kéntra, Esichio e Guarino. Sempre per loro plâktron è una parola dorica, come pure plaktër. Kópies, kéntra ornítheiakópies, gli speroni dei polli, ancora loro. Il proverbio sollevare lo sperone verrà riferito nel paragrafo h. ¶ Giovanni Boccaccio basandosi su Albricus, autore da due soldi, ha attribuito alle Sirene dei piedi di pollo, Giglio Gregorio Giraldi. ¶ Quelle penne che abitualmente vengono strappate da sotto la coda alle galline e ai capponi che debbono essere ingrassati, alcuni le chiamano in modo specifico mastfaederen - penne dell’ingrasso.

c. De voce et cantu gallinacei. Miratur vocem angustam, qua deterius nec | Ille sonat, quo mordetur gallina marito<?>, Iuvenalis Sat. 3. de adulatore[29]. Πρὶν ἤ τὸ δεύτερον ἀλεκτρυὼν (ἀλέκτωρ legi potest, ut versiculus constet) ἐφθέγγετο. Prius atque gallus cantet iterum cristiger. Proverbium est a prisca consuetudine sumptum, qua noctis deliquium et accessum diei galli cantu metiebantur, gnomonibus horariis nondum repertis. Gallus autem tribus intervallis canit, preanuncians diem. Veteres initium diei a prima mediae noctis inclinatione ordiebantur, proximum tempus gallicinium vocabant: quod id temporis lucem multo ante praesentientes incipiunt canere. Tertium conticinium, cum et galli conticescunt, et homines etiam tum quiescunt. Quartum diluculum, cum incipit dignosci dies. Quintum mane, cum clarus iam dies exorto Sole. Itaque secundus gallorum cantus, multo Solis exortum antevenit. Hinc Iuvenalis[30], Quod tamen ad galli cantum facit ille secundi, | Proximus ante diem caupo sciet. Consimiliter Aristophanes in Concionatricibus[31], Οὐδ’εἰ μὰ Δία τοτ’ἦλθες, ὅτε τὸ δεύτερον | Ἀλεκτρυών ἐφθέγγετο, Erasmus. Gallus antequam in hac nocte cantet (bis cantet, Marcus[32]) ter me negabis, Matthaeus Evangelista[33]. Gallus statim cantavit ut Petrus negavit, Lucas[34] et Ioannes[35].

c. Sulla voce e sul canto del gallo. Si stupisce della voce sottile, peggio della quale | neanche lui grida quando la gallina viene morsicata dal marito?, Giovenale Satira III relativa all'adulatore. Prìn ë tò deúteron alektryøn (si può leggere aléktør, affinché il breve verso suoni giusto) ephthéngeto. Prima che il gallo fornito di cresta canti per la seconda volta. Il proverbio deriva dall'antica consuetudine in base alla quale col canto del gallo si misurava lo svanire della notte e l'avvicinarsi del giorno, in quanto gli orologi a gnomone non erano ancora stati inventati. Infatti il gallo canta a distanza di tre intervalli, preannunciando il giorno. Gli antichi incominciavano a parlare di inizio del giorno dal primo volgere della mezzanotte, il periodo successivo lo chiamavano gallicinium - canto del gallo, alba -: poiché in quel momento cominciano a cantare percependo la luce molto in anticipo. Il terzo periodo è il conticinium - il momento del silenzio - quando anche i galli stanno zitti e contemporaneamente anche gli uomini si riposano. Il quarto periodo è il crepuscolo mattutino, quando il giorno è già chiaro per il sole che è sorto. Pertanto il secondo canto del gallo anticipa di molto la levata del sole. Per cui Giovenale diceva: Tuttavia quello che fa in prossimità del canto del secondo gallo | Il prossimo oste lo saprà prima dello spuntar del giorno. In modo analogo Aristofane in Le donne a parlamento dice: Oud’ei mà Día tot’êlthes, hóte tò déuteron | Alextryøn ephthéngeto - Neanche se, per Zeus, tu fossi giunto in quel momento, quando il gallo cantava la seconda volta, Erasmo da Rotterdam. Prima che questa notte il gallo canti (canti per la seconda volta, Marco) mi avrai negato tre volte, l'evangelista Matteo. Come Pietro ebbe negato subito il gallo cantò, Luca e Giovanni.

¶ Excubitorque diem cantu {patefecerat} <praedixerat> ales, Vergilius[36]. Cristatus ales, Qui tepidum vigili provocat ore diem, Ovidius in Fastis[37]. Surgite iam vendit pueris ientacula pistor, | Cristataeque sonant undique lucis aves, Martialis[38]. Sub galli cantum consultor ubi {h}ostia pulsat, Horatius in Sermonibus 1.1.[39] Auroram gallus vocat applaudentibus alis, Politianus[40].

¶ E la sentinella alata con il canto aveva preannunciato il giorno, Virgilio. L'uccello fornito di cresta che con la sua voce vigile richiama il tiepido giorno, Ovidio nei Fasti. Alzatevi, il panettiere già vende ai fanciulli i pasticcini per la colazione, | E dappertutto stanno cantando gli uccelli della luce forniti di cresta, Marziale. Quando il cliente bussa alla porta al canto del gallo, Orazio Sermones 1,1. Il gallo chiama l'aurora sbattendo le ali, Poliziano.


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[1] Fasti IV, 361-366: ‘Cur igitur Gallos qui se excidere vocamus, | cum tanto a Phrygia Gallica distet humus?’ | 'Inter’ ait ‘viridem Cybelen altasque Celaenas|amnis it insana, nomine Gallus, aqua. | Qui bibit inde, furit: procul hinc discedite, qu<e>is est | cura bonae mentis: qui bibit inde, furit.’ (www.thelatinlibrary.com)

[2] De verborum significatione VII: Galli Les prêtres que l'on appelle compagnons de la est Grande-Déesse ont pris ce nom du fleuve appelé Gallus; parce que ceux qui ont bu des eaux de ce fleuve tombent en de tels accès de fureur, qu'ils se privent des parties viriles. D'autres pensent qu'ils se coupent les parties génitales, parce qu'ils ont profané le nom de père ou de mère, afin qu'ils ne puissent pas eux-mêmes devenir pères. (http://remacle.org)

[3] Pharsalia I 565-567: Tum, quos sectis Bellona lacertis | saeva movet, cecinere deos, crinemque rotantes | sanguineum populis ulularunt tristia Galli. (www.thelatinlibrary.com)

[4] Stefano Bizantino, s. v. Gállos, Erodiano, Perì mon. léx. I 11.2, Suida, Strabone, Platone ecc. - Erodiano: storico greco (Siria sec. II-III). Visse a Roma e compose una storia dell'impero dalla morte di Marco Aurelio a Gordiano III (180-238), in 8 libri.

[5] Giglio Gregorio Giraldi, Historiae Deorum Gentilium Syntagma IV (Basileae, Oporinus 1548) pag. 191: Hos porro sacerdotes Gallos vocatos fuisse, notissimum est: qui et Semiviri dicti, quia castrati et execti. Et Galli quidem a flumine Phrygiae, auctore Festo: quia qui ex eo bibissent, in eo furere incipiebant, adeo ut se virilitatis parte privarent. Alii id fecisse dixerunt, ne fieri possent parentes, violato patris matrisve nomine. quidam tamen Gallum puerum ipsum putavere, qui contracta offensa deae se execuerit, et simul fluvio nomen dederit. Horum vero sacerdotum antistites Archigalli nominabantur, ut in antiquis elogiis advertimus.

[6] Varrone Rerum rusticarum III,9,16-17: Gallinae rusticae sunt in urbe rarae nec fere nisi mansuetae in cavea videntur Romae, similes facie non his gallinis villaticis nostris, sed Africanis. [17] Aspectu ac facie incontaminatae in ornatibus publicis solent poni cum psittacis ac merulis albis, item aliis id genus rebus inusitatis. Neque fere in villis ova ac pullos faciunt, sed in silvis. Ab his gallinis dicitur insula Gallinaria appellata, quae est in mari Tusco secundum Italiam contra montes Liguscos, Intimilium, Album Ingaunum; alii ab his villaticis invectis a nautis, ibi feris factis procreatis. – Columella De re rustica VIII,2,2: Cohortalis est avis quae vulgo per omnes fere villas conspicitur, rustica, quae non dissimilis villaticae per aucupem decipitur - eaque plurima est in insula quam navitae Ligustico mari sitam producto nomine alitis Gallinariam vocitaverunt.

[7] Satira III 305-308: Interdum et ferro subitus grassator agit rem:| armato quotiens tutae custode tenentur | et Pomptina palus et Gallinaria pinus, | sic inde huc omnes tamquam ad vivaria currunt.

[8] Angelo Poliziano, Rusticus, in Prose volgari inedite e poesie latine e greche edite e inedite di Angelo Ambrogini Poliziano (ed. by Isidoro del Lungo, Firenze, G. Barbera, 1867), verses 599-612, pp. 323-24. (Lind, 1963) - Il Rusticus fu composto da Poliziano nel 1483-84.

[9] Verosimilmente si tratta di un raddoppiamento della f del latino rufus, che significa rosso.

[10] In Opus pandectarum medicinae di Matteo Silvatico (Vicenza, Hermannus Liechtenstein, Levilapsis,1480) al capitolo 66 – Asterion – viene riportato: Ascili .i. crista galli. Non ne viene fornita la fonte. – Ascili è stato usato anche con un particolare significato, come viene riferito da Johann Jacob Hofmann (1635-1706) in Lexicon Universale (Leiden, 1698): Ascodrogili, vel Ascili: Haeretici, qui Paracletô Montani se plenos iactitantes, Bacchanalia in Ecclesiam introducebant, et circa lagenam vinô repletam circumibant solenni pompâ. Augustin. haer. 62. Philastrius de haeret.

[11] Uccelli 487.

[12] Il vocabolario di greco di Franco Montanari (Loescher, 2004) alla voce κυρβασία riporta un ben altro uso del termine da parte di Ippocrate: fasciatura per cataplasmi applicati ai seni, Mul. 2.186 ecc.

[13] Il lessico Suida riporta effettivamente λοφίαν, ma per lo più gli antichi autori usarono λοφιά, ᾶς, che significa criniera, ciuffo di peli o di setole.

[14] Vitellius, 18: Periit cum fratre et filio anno vitae septimo quinquagesimo; nec fefellit coniectura eorum qui augurio, quod factum ei Viennae ostendimus, non aliud portendi praedixerant, quam venturum in alicuius Gallicani hominis potestatem; siquidem ab Antonio Primo adversarum partium duce oppressus est, cum Tolosae nato cognomen in pueritia Becco fuerat; id valet gallinacei rostrum. - Così riporta l'Etimologico di Cortelazzo-Zolli (Zanichelli, 1984) alla voce becco: Lat. beccu(m), vc. di orig. gall. (*bukko: di provenienza germ.?), come attesta Svetonio (cui Tolosae nato cognomen in pueritia Becco fuerat; id valet gallinacei rostrum, Vit. 18); essa ha soppiantato in gran parte del mondo romanzo rostru(m).

[15] Sugli abituali vocabolari esiste solo κόρος, che però significa sazietà, stanchezza.

[16] Frammento 219 di Dionisio Periegeta, II sec. dC (?): ed. G. Bernhardy, Leipzig 1828 (rist. Hildesheim-New York 1974); in GGM 2. - Sch. Dion. in GGM 2: scoli, p. 427-457; parafrasi, p. 409-425 (par.). (Franco Montanari, Loescher, 2004)

[17] Il vocabolario di Franco Montanari riporta solo καλάϊνος.

[18] De similibus & differentibus dictionibus. - On the Similarities and Differences of Words (ed. by L. C. Valckenaer, sec. ed., Leipzig, 1822). (Lind, 1963)

[19] Si emenda in base a quanto affermato a pag. 382. In effetti si tratta di un'espressione di Ammonio che è stata verificata in un testo francese del 1523 (Habes tandem graecarum literarum admirator, lexicon graecum...). Impossibile verificare se Esichio avesse già scritto la stessa cosa prima di Ammonio. Probabilmente no.

[20] A pagina 382.

[21] Secondo Francesco Maspero forse si tratta dell'Orca gladiator che, come Grampus orca, è sinonimo di Orcinus orca (Linneo, 1771), il cetaceo della famiglia Delfinidi che noi chiamiamo orca, quello reso efferato - ma che forse efferato non è - dallo splendido film L'orca assassina (USA, 1976, regia di Michael Anderson). Nell'orca, sia maschio che femmina, sono assenti le caratteristiche cefaliche descritte da Eliano, che però non aveva mai peccato di fantasia, rendendo così assai indaginosa l'identificazione degli animali da lui descritti. – Eliano La natura degli animali XV,2: I montoni marini - οἱ θαλάττοι κριοί - quanto al nome sono noti a molti, ma le poche notizie sicure su di loro le conosciamo soltanto attraverso le opere d'arte. Essi passano l'inverno presso lo stretto che c'è tra la Corsica e la Sardegna: durante quella stagione se ne stanno fuori del mare, mentre intorno a loro nuotano delfini di grossissima mole. Il montone maschio ha intorno alla fronte una benda bianca, che potremmo paragonare al diadema di un Lisimaco o di un Antigono o di qualche altro re dei Macedoni. La femmina di questo pesce – pesce è un'aggiunta del traduttore, in quanto in greco suona κριὸς δὲ θῆλυς = il montone femmina – invece ha dei riccioli, analoghi ai bargigli dei galli - ὡς οἱ ἀλεκτρυόνες τὰ κάλλαια, attaccati sotto il collo. Sia i maschi che le femmine si avventano sui cadaveri e li divorano. Ma assalgono anche uomini vivi e con le onde sollevate nuotando, numerose ed enormi, rovesciano anche le navi, tanto grande è la burrasca che i loro movimenti scatenano. Sono inoltre in grado di strappare dalla terraferma anche persone che stiano sulla riva. (traduzione di Francesco Maspero, 1998)

[22] De re coquinaria VI,9,2: Pullum Parthicum: pullum aperies a navi et in quadrato ornas. Teres piper, ligusticum, carei modicum; suffunde liquamen; vino temperas. - VI,9,5: Pullum laseratum: pullum aperies a navi, lavabis, ornabis et Cumana ponis. - VI,9,14. Pullus farsilis: pullum sicuti liquaminatum a cervice expedies. teres piper, ligusticum, gingiber, pulpam caesam, alicam elixam, teres cerebellum ex iure coctum, ova confringis et commiscis, ut unum corpus efficias. liquamine temperas et oleum modice mittis, piper integrum, nucleos abundantes. fac impensam et imples pullum vel porcellum, ita ut laxamentum habeat. Similiter in capo facies. ossibus eiectis coques. – VI,9,15. ‹Pullus leucozomus›. accipies pullum et ornas ut supra. aperies illum a pectore. [pullus leucozomus] accipiat aquam et oleum Spanum abundans. agitatur ut ex se ambulet et humorem consumat. postea, cum coctus fuerit, quodcumque porri remanserit inde levas. piper aspargis et inferes.

[23] Forse si tratta di un vocabolo punico, già citato a pagina 392 e attribuito sia a Nonio Marcello che a Lucilio.

[24] L'edizione di www.fh-augsburg.de riporta gizeria. – De re coquinaria IV,2,21: 21. Patina ex lagitis et cerebellis: friges ova dura cerebella elixas et enervas, gizeria pullorum coques. haec omnia divides praeter piscem, compones in patina praemixta, salsum coctum in medio pones. teres piper, ligusticum, suffundes ‹passum› ut dulcis sit. piperatum mittes in patinam, facies ut ferveat. cum ferbuerit, ramo rutae agitabis et amulo obligabis.

[25] Aelius Dionysius, Aelii Dionysii et Pausaniae Atticistarum Fragmenta (ed. by E. Schwabe, Leipzig, 1890). (Lind, 1963)

[26] Genealogia deorum gentilium Liber VII Cap. XX De Syrenis filiabus Acheloi. [...]  Ab umbilico autem infra ideo pisces esse dixere, ut cognoscamus ad decorem eo usque virgineum corpus, id est pulchrum atque decens mulieribus esse concessum, ut appareat homo; in umbilico autem omnem libidinosam mulierum concupiscientiam esse credunt, cui soli, quod corporis deorsum restat, deservit, ex quo non absurde piscibus similantur, qui animalia sunt lubrica et facile in aquis huc illuc discurrentia; sic et meretrices cernimus in coitum discurrere variorum, quod per alas etiam designatur. Eas autem habere gallinacios pedes ideo voluere, quia prodige et inconsiderate credentium eis dispergunt substantias.

[27] Allegoriae poeticae IV,2: Gallinaceos pedes habent, quia libidinis affectus, quantamlibet possessionem inutiliter spargit. (Paris, Joannis de Marnef, 1520)

[28] Historiae Deorum Gentilium syntagma quartum: Sunt qui deam supra pinnaculum templi statuant, ut scribit Albricus, qui auctor mihi proletarius est, nec fidus satis. – Alquanto sbrigativo e categorico il nostro Giraldi nel confronti di Albricus che, a quanto pare, fu invece l'opposto di quanto afferma il nostro esimio ferrarese. - syntagma quintum: Sirenes ab aliquibus etiam inter nymphas connumerantur, [...] Graeci tradunt grammatici, Sirenas a pectore habuisse ad superiora στρουθῶν, id est passerum speciem, inferiora vero mulierum. De his ita propemodum Servius: Sirenes secundum fabulam tres in parte virgines fuerunt, et in parte volucres, Acheloi fluminis et Calliopes Musae filiae. harum una voce, altera tibiis, alia lyra canebat. et primo iuxta Pelorum, post in Capraeis insula habitaverunt: quae illectos suo cantu in naufragia deducebant. Secundum veritatem, meretrices fuerunt, quae transeuntes quoniam ducebant ad egestatem, his fictae sunt inferre naufragia. has Ulysses contemnendo deduxit ad mortem. Buccatius ex Albrico ignobili scriptore, eis virgineum corpus umbilico tenus attribuit, et gallinaceos pedes. quidam eas in pratis, ubi multa essent mortuorum corpora, statuerunt: vel, ut Vergilius cecinit, Iamque adeo scopulos Sirenum advecta subibat, | Difficiles quondam, multorumque ossibus albos.

[29] Satira III, 90-91: miratur vocem angustam, qua deterius nec | ille sonat quo mordetur gallina marito?

[30] Satira IX, 107-108: quod tamen ad cantum galli facit ille secundi | proximus ante diem caupo sciet, [...].

[31] Il passo di Aristofane è introvabile, anche se per Lind (1963) il riferimento è a Le donne a parlamento o Ecclesiazuse 30-31. Fra l’altro alcuni lessici - Passow, Bailly - rimandano per ephthéngeto ad Aristofane Ecclesiazuse 191, come sembra anche Aldrovandi <in Concion(antibus)>, mentre Liddel-Scott non registra tale verbo. Franco Montanari lo riporta solo a proposito di Luciano Dialoghi delle cortigiane 10,3. Ad ogni modo la traduzione sembra essere: “Neppure se per Zeus tu fossi giunto allora, quando il gallo cantava per la seconda volta”.

[32] Marco 14:30: Et ait illi Iesus: "Amen dico tibi quia tu hodie in nocte hac, priusquam bis gallus vocem dederit, ter me es negaturus." - Καὶ λέγει αὐτῷ ὁ Ἰησοῦς, Ἀμὴν λέγω σοι ὅτι σὺ σήμερον ταύτῃ τῇ νυκτὶ πρὶν ἢ δὶς ἀλέκτορα φωνῆσαι τρίς με ἀπαρνήσῃ.

[33] Matteo 26:34: Ait illi Iesus amen dico tibi quia in hac nocte antequam gallus cantet ter me negabis.

[34] Luca 22:34: Et ille dixit dico tibi Petre non cantabit hodie gallus donec ter abneges nosse me.

[35] Giovanni 13:38: Respondit Iesus: "Animam tuam pro me ponis? Amen, amen dico tibi: non cantabit gallus donec me ter neges".

[36] Moretum 1-2: Iam nox hibernas bis quinque peregerat horas | excubitorque diem cantu praedixerat ales,[...].

[37] Fasti I,455-456: Nocte deae Nocti cristatus caeditur ales, | quod tepidum vigili provocet ore diem.

[38] Epigrammata XIV, 223, Adipata: Surgite: iam vendit pueris ientacula pistor|Cristataeque sonant undique lucis aves.

[39] Satirae I.1,10. È quella che inizia con: Qui fit, Maecenas, ut nemo, quam sibi sortem...

[40] Rusticus: et crista spectabilis alta | Auroram gallus vocat applaudentibus alis | Excitat ille operum socios [...].