Lessico


Agarico

L'agarico di Dioscoride
Fomes o Laricifomes officinalis

Agaricum

Agaricum in latino - dal greco agarikón - identifica diverse varietà di funghi. Il nome deriva da Agaría, regione della Sarmazia posta a nord del Mar Nero, abitata dall'antico popolo dei Sarmati: Gignitur in Sarmatiae regione, quae Agaria dicitur. (Dioscoride De materia medica III,1 - 1554).

In latino antico troviamo solo agaricum, sostantivo neutro che rispecchia fedelmente il greco. Troviamo agaricum anche in Etymologiae XVII,9,84 di Isidoro di Siviglia, anche se egli usa questo vocabolo per identificare non un fungo, bensì la radice della Bryonia dioica, ammettendo che Isidoro stia riferendosi alla vitis alba di Plinio: Agaricum, radix vitis albae.

Agaricus, sostantivo maschile, forse lo dobbiamo a Tournefort (1700), ma la vicenda di questo sostantivo nell'identificare funghi mi sembra abbastanza complicata. Infatti agaricus e agaricum come equivalenti per il fungo di Dioscoride li troviamo già nel 1623 grazie al medico e botanico svizzero Caspar Bauhin (Basilea 1560-1624), che già identifica come agaricus il fungo che nasce nelle spelonche. Fatto sta che nella micologia meno recente con agaricum si intendevano funghi che crescevano sui tronchi di determinati alberi e un tipo veniva impiegato come fomes, esca, esca per poter accendere il fuoco con la pietra focaia (varietà di calcedonio), non esca per i pesci.

Oggi la tassonomia ci offre almeno due specie importanti di Fomes: Fomes officinalis o Laricifomes officinalis detto agarico bianco e Fomes fomentarius detto fungo dell'esca, fomentarius in quanto rappresenta il fomentum, l'alimento per il fuoco.

Un'analisi dei funghi che andavano sotto il nome di agaricum e che crescevano sui tronchi ce la offre Pierandrea Mattioli in Commentarii in libros sex Pedacii Dioscoridis Anazarbei De Materia Medica (Venetiis apud Valgrisium 1554) e precisamente nel commento a I,74 Picea  et Pinus. Da notare che i Montes Ananienses citati da Mattioli corrispondono ai monti della Val di Non (TN) dove abitò per parecchi lustri, detta in passato Valle Anania o Valle Anaunia.

Dopo questo commento, trascritto nel 2008 da Fernando Civardi,  riportiamo le pagine originali ancora da trascrivere relative a III,1 Agaricum. Dopo i testi di Dioscoride e Mattioli seguiranno le citazioni originali di Agaricum/Agaricus tratte da alcuni autori che si sono interessati di botanica.

I,74 - Πεύκη καὶ Πίτυς PICEA  ET PINUS  - Agaricum larici innascens. Caeterum selectissimum agaricum in larice provenit, nanque ipse quidem saepius in Ananiensibus montibus praestantissimum agaricum parva quadam securi a laricibus quam pluribus deieci, emique saepius ab his, qui resinas colligunt. Nascitur etiam agaricum (ut prodit Plinius) in Gallia, non in larice duntaxat, sed in aliis arboribus, praesertim glandiferis. Dioscorides, sicuti et Galenus, non satis compertum habet, an Agaricum fungus sit, aut radix, licet asserat in cedro gigni. Brasavolus Agaricum Comachii in ilicibus invenisse fatetur, necnon per Galliam equitans, id vidisse ait quercuum caudicibus inhaerere. Enimvero ipse tota Hetruria, in aliisque quam plurimis Italiae locis, denique in multis Germaniae, Carniolae, Dalmatiaeque provinciis, ubi sylvae quercubus, cerris, ilicibus, suberibusque refertae conspiciuntur, non solum nunquam vidi, sed ne quidem audivi in his agaricum provenire: tametsi illis inhaerere viderim fungos alios plurimos lignea materie concretos, duros, ac nigros: quibus ubique passim fomites fiunt ad suscipiendum ignem, cum e silice calybe excutitur: quinetiam iis ignitis ad machinulas exonerandas venatores frequentissime utuntur. Ad haec quanvis in Tridentinis montibus, praesertimque Ananiensibus praeter abietes, pinos, larices, et picea, innumerabiles adsint quercus; in nulla tamen agaricum, praeterquam in larice nascitur. (trascrizione di Fernando Civardi)


Agaricum / Agaricus

Agaricum - 1547
Charles Estienne - De latinis et graecis nominibus arborum

Agaricum / Agaricus - 1623
Caspar Bauhin - Pinax theatri botanici

Agaricus - 1700
Joseph Pitton de Tournefort - Institutiones rei herbariae


Agaricus - 1810
Alexandre de Théis - Glossaire de botanique

Fomes officinalis
Agarico bianco

Fomes in latino significa esca, alimento per il fuoco, e deriva da foveo che significa riscaldare. Probabilmente come il suo congenere Fomes fomentarius veniva usato per accendere il fuoco che in passato si otteneva con la pietra focaia (varietà di calcedonio). L'agarico bianco è un fungo a tubuli della famiglia Poliporacee noto anche come agarico del larice (Laricifomes officinalis). Di consistenza fibrosa, è sessile, tipicamente a zoccolo di cavallo, bianco-grigiastro. I tubuli biancastri si aprono, inferiormente, con pori piccoli, arrotondati, color crema. Lignicolo, si sviluppa di preferenza sui tronchi di larice ed è perenne. Trova utilizzazione in farmacologia quale antisudorifico in sostituzione dell'atropina, non inibendo al pari di questa la secrezione salivare. Il principio attivo è rappresentato principalmente dall'acido agarico o agaricina ad azione paralizzante a livello dei soli ricettori dei nervi colinergici simpatici. La droga si ottiene dalla cosiddetta carne del fungo per estrazione con alcol.

L'agaricina o acido agarico o agaricinico è appunto un acido organico estratto dal fungo Fomes officinalis che cresce esclusivamente sul tronco del larice. Veniva utilizzato contro la sudorazione dei tubercolotici. Nel Commentario della farmacopea Italiana (1897) di Icilio Guareschi (San Secondo Parmense 1847 - Torino 1918) leggiamo a proposito dell'agaricina: "L'agaricina presenta virtù antidrotica agendo localmente irritando ed assunta a grosse dosi per bocca produce il vomito e la diarrea. Limita la secrezione del sudore per un'azione paralizzante periferica. Si usa l'agaricina del commercio nei sudori profusi dei tisici e degli artritici a dosi di un cg., l'effetto si manifesta dopo sei ore circa."

On certain antagonists of pilocarpine - Stimulation of the vagus has two distinct effects upon the heart, a negative chronotrope and a negative inotrope. These separate functional activities are associated with different fibers of the vagus (Hofmann). Pilocarpine stimulates vagal endings whatever their function and has in consequence a negative chronotrope and a negative inotrope effect. Atropine paralyses vagal endings and hence entirely antagonizes the heart actions of pilocarpine. Strontium, digitalis, agaricine and saponine which, without affecting the vagus, have a positive inotrope action upon the frog's heart antagonize the negative inotrope action of pilocarpine but leave the negative chronotrope effect unimpaired. Adrenalin and caffeine antagonize both the actions of pilocarpine, not because they affect either of the two sets of vagal fibers but because they produce effects the reverse of those which stimulation of the two vagal groups brings about. Considerable interest attaches to the fact that strontium, digitalis, etc., which act upon muscular tissue antagonize the pilocarpine (i.e., vagal) action on systole but do not antagonize the action (also vagal) upon the heart rate. It seems therefore obvious that the changes in the muscular tissue which accompany diminution of systole are not identical with those which are associated with change of rate, as otherwise both would be antagonized by strontium. - Fred Ransom, The Pharmacological Laboratory, London, Submitted on May 11, 1917.

Fomes fomentarius
Fungo dell'esca

Cappello: Fino a 50 cm, a forma di zoccolo, zonato concentricamente, con superficie gibbosa di colore da bianco grigiastro a ocra brunastro. Margine arrotondato di colore ocraceo che delimita nettamente la superficie poroide.

Imenoforo: Pori piccolissimi, da bianchi a ocra, da giovane viranti al nero al tocco. Trama interna fibroso suberosa, di colore cannella.

Gambo: Sessile. Il basidiocarpo in corrispondenza del punto di attacco al substrato presenta una massa circolare di tessuto miceliare bruno, marmorizzato, con filamenti di ife intrecciate, biancastre (cuore miceliare).

Carne: Dura, fibrosa, da fresco emana odore acidulo.

Habitat: Pluriennale, cresce nei vecchi alberi di latifoglie, (pioppi, platani, faggi, querce).

Microscopia: Spore cilindrico ellissoidali, 12-15 x 4,5-7 µm. Basidi tetrasporici, clavati, ialini, 22-26 x 8,5-9 µm.

Commestibilità: Non commestibile perché legnoso. Essiccato e polverizzato veniva utilizzato in chirurgia come emostatico.

Note: Veniva utilizzato per accendere il fuoco, per questo veniva chiamato fungo dell'esca. Specie simili sono: Fomes officinalis, Piptoporus betulinus, Phellinus nigricans e Phellinus igniarius.

Fomes fomentarius sul tronco di un faggio

 www.webalice.it

La micologia
da Teofrasto al 1600

Estratto da Storia della Micologia Italiana
www.ambbresadola.it/Micologia/micologia.htm

L’antichità classica L’antichità è avarissima di notizie sui funghi e queste poche sono quasi sempre false credenze e superstizioni, evidentemente favorite dalla natura stessa del fungo (la sua origine sconosciuta, l’improvviso suo apparire e la brevità della sua vita, il suo rapido corrompersi come la carne degli animali, la sua velenosità ecc.). Insomma, era considerato qualcosa di diabolico e si può supporre con fondamento che ne facessero uso stregoni e avvelenatori di professione. Le sintomatologie descrittive della morte di antichi personaggi fanno effettivamente pensare ad avvelenamenti da Amanita phalloides.

Teofrasto È considerato il padre della botanica e a lui risalgono in assoluto le prime definizioni riguardo ai funghi, considerati "piante imperfette, prive di radici, di foglie, di fiori e di frutti". Ne presenta quattro tipi: i funghi sotterranei (Tuberacee), i funghi terricoli a cappello e gambo (mýkës), i funghi sessili e a forma cava (pézis) e i funghi a forma rotonda (Licoperdacee).

Dioscoride Ha lasciato detto qualcosa sulle proprietà tossiche dei funghi e anche sulla terapia degli avvelenamenti (decotti di erbe, pozioni di aceto e sale, sterco di pollo con miele e aceto). A lui risale la prima descrizione dell’Agaricum, ossia del Fomes officinalis, molto utilizzato come farmaco nell’antichità, e ne indica le proprietà e l’impiego.

Galeno Individua tre generi di funghi: gli Ovoli, i Porcini e i Mýkës (gli altri funghi a cappello e gambo, ritenuti per lo più tossici). Giudica i funghi non nutrienti, indigesti e pericolosi. Descrive la sintomatologia delle intossicazioni e conferma la terapia con lo sterco di pollo.

Plinio Sconsiglia l’uso dei Boleti (per gli antichi Romani erano gli Ovoli) facilmente scambiabili con specie velenose e individua in maniera chiara il fungo che noi ora chiamiamo Amanita muscaria, insieme con l’esatta nozione dell’origine delle verruche, che "altro non sono che i residui del velo". Secondo Plinio questi funghi possono diventare velenosi se nascono:

- in vicinanza di chiodi da scarpa, ferri arrugginiti e panni fradici;

- nelle vicinanze di qualche tana di serpente, perché la loro natura è di assorbire qualunque tipo di sostanza velenosa.

Quanto questi pregiudizi hanno fatto presa nella fantasia popolare fino ai nostri giorni! Plinio descrive però esattamente lo sviluppo degli ovoli ed è il primo a usare il termine "volva" nel suo significato micologico.

"La loro origine - dice Plinio - va ricercata nel limo della terra umida e nei suoi umori, che incominciano a fermentare, oppure nelle radici delle piante cupulifere". Se è vero che tale descrizione influenzò per secoli le opinioni dei naturalisti che continuarono a considerare i funghi come prodotti della fermentazione del terreno o escrescenze degli alberi, è anche vero che traspare da essa una qualche intuizione del fenomeno del saprofitismo e della simbiosi micorrizica. Dobbiamo a Plinio l’individuazione, ovviamente con altro nome, della Fistulina hepatica e della Lepiota procera. Egli parla molto dei Suilli (odierne Boletacee), considerandoli "molto inclini al veleno". Molto dipende, secondo Plinio, dalle piante presso le quali i funghi crescono: innocui quelli sotto conifera, fico e ferula, tossici invece sotto faggi, querce e cipressi (come non pensare all’Amanita phalloides, inesistente sotto conifera ma tipica delle latifoglie, o all’ottimo Pleurotus eryngii var. ferulae?). Tenuto conto che i funghi sono così pericolosi, Plinio ne sconsiglia l’uso; però offre consigli, peraltro ingenui per noi moderni, a chi proprio li vuol mangiare (uso di vasellame d’argento o ambra, lunga cottura, molto aceto ecc.).

Plinio si cimenta anche a parlare dei Tartufi, che nascono in autunno specialmente dopo temporali accompagnati da tuoni e fulmini e racconta di un pretore romano che a Cartagine si ruppe i denti addentando un tartufo che aveva conglobato una moneta (si trattava con ogni probabilità della Terfezia leonis, tartufo conosciutissimo fin dall’antichità). Anch’egli descrive infine il Fomes officinalis, anche se in maniera imprecisa, basata su informazioni difettose.

Il Medioevo Nel Medioevo, periodo che per convenzione va dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 dC) alla scoperta dell’America (1492), la cultura e la scienza, contrariamente al luogo comune che lo considera periodo di oscurantismo, ebbero un notevole sviluppo, anche se limitato ai conventi (veri salvatori della cultura classica attraverso l’opera degli amanuensi) o all’area del mondo arabo. Un forte slancio della cultura, che prelude alla splendida epoca del Rinascimento, si ebbe dopo il Mille, con la nascita dei Comuni, delle lingue nazionali e delle Università. Sul fronte delle scienze naturali possiamo ricordare il celebre medico arabo Avicenna e il teologo e filosofo tedesco Sant'Alberto Magno. Per quanto riguarda i funghi abbiamo però un silenzio pressoché totale. Una notizia sporadica ma interessante ci viene da Alberto Magno che nel suo libro "Sui vegetali" nomina per la prima volta l’Amanita muscaria e accenna al suo uso come moschicida presso le popolazioni nordiche.

Il Rinascimento Il Rinascimento (dalla fine del XV alla fine del XVI secolo), grazie alle mutate condizioni socioeconomiche e all’invenzione della stampa, riscopre e divulga le antiche opere letterarie, filosofiche e artistiche e apre una nuova era anche per la botanica, elevata alla dignità di scienza: vengono tradotte opere dal greco al latino, vengono commentate e arricchite, vengono stampati splendidi "Herbarii".

Ermolao Barbaro Dal suo Corollarium in Dioscoridem veniamo a sapere che i Greci consideravano i funghi "cibo degli dei" o addirittura "figli degli dei", in quanto sembra che essi nascano senza concorso di seme. Egli parla di alcuni generi di funghi i cui nomi corrispondono abbastanza ai nostri odierni; ad esempio "vi sono poi i funghi Aegiritae, che si possono coltivare sui tronchi stessi del pioppo, bagnandoli con fermento e con acqua". Ci fa conoscere il lapis lyncurius o pietra della lince o Pietra fungaia: seguendo le opinioni popolari del tempo riteneva nascesse da una pietra creduta orina di lince fossilizzata. Questo fungo nelle epoche successive ecciterà al massimo la fantasia dei naturalisti facendo scorrere fiumi di inchiostro. Si tratta in realtà del Polyporus tuberaster, che forma degli sclerozi bulbosi sotterranei che possono pesare anche diversi chilogrammi e hanno l’aspetto di un sasso. Originale è anche la notizia riguardante gli Igniarii, cioè i Polipori "da esca"; si tratta del Fomes fomentarius, utilizzato nei secoli passati per conservare il fuoco e per produrre una massa cotonosa ad azione emostatica.

Pierandrea Mattioli Egli ci parla dei Prignoli, per noi prugnolo o Calocybe gambosa, molto diffusi in Toscana, "odorosissimi, gradevolissimi al gusto e senza pericolo". Per quanto riguarda i Porcini, basandosi sulla credenza popolare già risalente a Plinio, ritiene velenosi quelli a carne virante. La popolarità e l’autorità del Mattioli contribuirono come sappiamo ad accreditare per secoli questa falsa convinzione relativa ai boleti a carne cangiante. Interessante è un passo del Mattioli relativo a un fungo, oggi individuato come Laetiporus sulphureus, crescente sulle montagne della Val di Non, "così grande da pesare 25-30 libbre, di colore rosso acceso, frastagliato".

Un altro suo "autorevole errore" - che dimostra come la vecchia superstizione sulle cause della tossicità dei funghi fosse ancora incredibilmente radicata anche presso gli scienziati più qualificati del Rinascimento, e che ha purtroppo accreditato tale falsa credenza fin quasi ai nostri giorni – riguarda i funghi lignicoli, ritenuti dal Mattioli tutti innocui (ma pensiamo al tossico Omphalotus olearius!) perché crescendo sugli alberi "non vi è pericolo che nascano su ferro, né su panno fradicio, né su serpente morto o altro animale velenoso". Sul fronte della terapia degli avvelenamenti non andiamo certo meglio: provocare il vomito con ogni mezzo, somministrare un decotto di origano e satureia, di sterco di pollo impastato con aceto e miele, di succo di ruta, di teriaca e mitridato.

Un capitolo è dedicato ai tartufi, dalla scorza ruvida e nera ma dalla polpa a volte bianca a volte nera, "cavati in abbondanza dai nostri contadini, essendo molto apprezzati dalle persone facoltose". Ne descrive anche alcuni che "oltre a essere piccoli, hanno la scorza liscia e pallida, ma sono scipiti e poco gradevoli al gusto": probabilmente i Rhizopogon o gli Elaphomyces.

Andrea Cesalpino È il primo botanico che indugia a parlare specificamente di funghi, risentendo ovviamente degli errori comuni ai suoi tempi. I funghi sono ancora considerati vegetali "privi di frutto e di seme" costituiti di una qualche "materia incomposta". La sua classificazione non è fatta per generi e specie (concetti introdotti solo quasi due secoli dopo da Linneo), ma solo per gruppi, esattamente 18, alcuni dei quali meritano qui una telegrafica citazione (fra parentesi il nome moderno corrispondente):

1. Tuber (Tuber), a corteccia nera, di Norcia, o a corteccia bianca.

2. Pezicae (Lycoperdon) o Vesce, commestibili, bianche, grosse anche come la testa di un uomo.

3. Boleti (Amanita) a forma di uovo quando sono nella terra.

4. Suilli (Boletus), nascono tra le eriche e le felci, a carne bianca. Sono malefici quelli con la carne che diventa livida o con la parte concava (per noi imenio) giallastra o verdognola.

5. Lapis lyncurius (Polyporus tuberaster).

6. Prateoli (Agaricus), nascono nei prati, poco valore come cibo e non esenti da pericolo.

7. Prateolis similes, iuxta stercora (Coprinus), simili ai precedenti, nascenti presso letame, velenosi.

8. Famigliole (Armillariella mellea), riuniti a cespo per mezzo di lunghi gambi, presso i cespugli, poco raffinati come gusto.

9. Scarogie o Cannelle (Lepiota procera), poco carnoso, con anello, lungo gambo che sembra sostenere un’ombrella.

10. Gallinacei (Cantharellus) color zafferano, a forma di ventaglio. "I villici li mangiano senza pericolo".

11. Fuoco silvestre (Clathrus cancellatus), novità descritta dal Cesalpino.

12. Linguae (Fistulina hepatica) sulle ceppaie di castagno, di colore sanguigno dentro e fuori, eccellenti ed innocui. Novità descritta dal Cesalpino.

13. Digitelli o Manine (Clavaria).

14. Igniarii (Fomes fomentarius) detti volgarmente "esca", usati per conservare il fuoco ottenuto con la pietra focaia (varietà di calcedonio), nascono sulle ceppaie, a forma di zoccolo di cavallo. Con la loro parte inferiore, scabrosa, si usano nelle barbierie come spazzole.

L’aspetto più interessante dell’opera del Cesalpino è che fra le specie e i gruppi da lui descritti sono pochi quelli che lasciano dubbi sulla loro interpretazione. Inoltre egli "indovinò" la commestibilità di alcuni funghi (Lycoperdon, Armillariella mellea, Lepiota procera, Cantharellus cibarius) che altri micologi più tardi avrebbero definito, sbagliando, tossici. Concludendo, egli fu il primo botanico a dare una certa completezza alla trattazione micologica e come tale fu riconosciuto dagli autori posteriori.

Leone Africano Nome latinizzato di Al-Hasan Ibn Muhammad (Granada ca. 1485 - Tunisia ca. 1554), arabo spagnolo dalla vita avventurosa, finito alla corte di Papa Leone X, il grande mecenate del Rinascimento. Siamo nell’epoca delle grandi scoperte geografiche e, sollecitato dal Papa, Leone Africano scrive una Descrittione dell’Affrica et delle cose notabili che qui sono (1550) dove per la prima volta troviamo una chiara descrizione e interessanti notizie sulla Terfezia leonis, una tuberacea molto comune nelle zone del bacino mediterraneo.

Ulisse Aldrovandi La sua Dendrologia (storia naturale degli alberi) interessa la botanica e una breve trattazione riguarda i funghi arboricoli. Vengono prese in considerazione 25 specie di funghi arboricoli, ma con illustrazioni e descrizioni piuttosto scadenti. Secondo il Fries, all’Aldrovandi spetta comunque la priorità nell’avere individuato e raffigurato in modo chiaro tre specie: Trametes cynnabarina , Ganoderma lucidum e Sarcoscypha coccinea.

Ferrante Imperato Ci ha lasciato una Historia naturale in cui i funghi sono trattati fugacemente. Pur non essendo un vero micologo, si guadagnò l’apprezzamento del Fries e ha il merito di aver riconosciuto per primo che la "pietra fungaia" non è un sasso ma una produzione vegetale sotterranea.

Charles de L’Ecluse o Carolus Clusius La sua opera Fungorum in Pannonia observatorum brevis historia (Breve storia dei funghi osservati nella Pannonia) è il risultato delle ricerche compiute in Ungheria. Essa è importante perché costituisce il primo esempio nella storia di un opuscolo dedicato esclusivamente ai funghi, di cui descrive, con abbondanza di notizie, un centinaio di specie, inquadrandole in due grandi categorie: Edules (mangerecci) e Noxii (tossici). Clusius si può considerare un vero pioniere della micologia perché, pur non esistendo ancora ai suoi tempi una metodologia scientifica, e tanto meno micologica, seppe fornire numerose descrizioni e denominazioni popolari in tedesco e ungherese che facilitarono enormemente il lavoro di identificazione dei micologi successivi.

Adriaen de Jonghe o Hadrianus Junius Ci ha lasciato una dissertazione su una variante del Phallus impudicus (chiamato in suo onore Phallus hadriani, ma che per il rosso porporino dell'involucro è più impudico dell'impudicus), in assoluto la prima monografia micologica apparsa in Europa: Phalli ex fungorum genere in Hollandiae sabuletis passim crescentis descriptio, et ad vivum expressa pictura (1564).

Fungus Priapeius
acquarello
di Ulisse Aldrovandi
l'odierno Phallus hadriani
in memoria di Adriaen de Jonghe o Hadrianus Junius

Il Phallus impudicus - detto Satirione - o Ithyphallus impudicus (ithyphallus = fallo dritto) ha l'involucro volviforme di colore biancastro, mentre quello del Phallus hadriani è rosato porporino.

Amsterdam - Quartiere a luci rosse

Priapo era un dio della città asiatica di Lampsaco, il cui culto ebbe grande diffusione nel mondo ellenistico-romano. Lo si può considerare una personificazione del fallo (era rappresentato come una figura itifallica, cioè col pene eretto, in quanto il greco ithýphallos è composto da ithýs = dritto e phallós = fallo) e del connesso simbolismo che andava dalla fecondità a una generica funzione apotropaica (capace di allontanare in modo specifico il malocchio). Nel mito appariva come figlio di Afrodite e di Dioniso o di Adone o di altri dei. Faceva parte del seguito di Dioniso ed era venerato soprattutto come protettore di orti, giardini e vigne, vale a dire della coltivazione non cerealicola. In questi termini il suo campo d'azione poteva essere contrapposto a quello della dea Demetra, così come la sua ipersessualità si contrapponeva alla castità della dea.

Alfonso Ciccarelli Medico umbro morto nel 1580. Con il suo Opusculum de tuberibus ha invece stabilito il primato di prima monografia micologica stampata in Italia. In 19 capitoli redatti in elegante latino affronta e discute quasi tutti gli aspetti di questi interessanti prodotti della terra, così di casa nella sua regione.

Marco Aurelio Severino Nacque a Tarsia (CS) il 2 novembre 1580 da Giacomo, noto giureconsulto e da Beatrice Oranges. Si laureo in medicina nell'Università si Salerno "il più antico e rinomato Collegio Medico d'Europa" come nota orgogliosamente egli stesso. Nel 1622 gli fu assegnata la Cattedra di Anatomia e Chirurgia nell'Ateneo napoletano, nonché il posto di Capo Chirurgo Ordinario nel Nosocomio degli Incurabili, dove introdusse nuove iniziative, nuove teorie, nuove pratiche e nuove strumentazioni chirurgiche. Nel campo della pratica chirurgica fu uno dei primi a operare di tracheotomia, pratica che adoperò ampiamente nell'epidemia di difterite che si verificò a Napoli durante la sua permanenza. La notorietà che gli derivò dall'attività e capacità di Chirurgo, lo posero al centro dell'attenzione degli ambienti medici e chirurgici del tempo, non solo napoletani, ma internazionali, per cui nell'Ateneo Partenopeo arrivarono medici da tutta Europa e specialmente dalla Germania. Le sue opere chirurgiche, "Sulla natura degli ascessi", stampata a Napoli nel 1632, "Sull'efficacia della medicina", stampata a Francoforte nel 1646 e quella "Sulla chirurgia" stampata pure a Francoforte nel 1653, mostrano come egli abbia ampiamente meritato il titolo datogli dallo storico Principe della Medicina italiana, Salvatore De Renzi di "Rigeneratore della Chirurgia italiana". Durante un'altra epidemia che colpì Napoli nel 1656 fu nominato Presidente del Collegio Medico incaricato di accertare la natura del male, detto "Morbo corrente" (peste), che già nel giugno dello stesso anno falciava, in media, duemila vittime al giorno. Malgrado le sollecitazioni e pressioni di amici di allontanarsi da Napoli, dove "il problema dominante era ormai diventato solo quello di allontanare i cadaveri", non volle abbandonare la città. Morì di peste il 12 luglio 1656.

All'epoca di Marco Aurelio Severino molti ricercatori e studiosi si interessarono all'argomento della "pietra fungaia" specialmente dell'Italia Meridionale, sulle cui montagne era più frequente trovarla. Molti naturalisti italiani avevano espresso la loro opinione sulla strana, dura, compatta produzione, che, sepolta in poca terra e regolarmente innaffiata era capace di produrre, per un tempo più o meno lungo, un'abbondante messe di carpofori commestibili. Le spiegazioni di tale fenomeno erano state, fino al tempo del Severino, varie, incerte se non addirittura fantastiche: si credeva, ad esempio, che la pietra fungaia, detta anche "pietra l'incuria" fosse urina di lince fossilizzata e che, partecipando della natura animale e di quella minerale, avesse la facoltà di dare origine a produzioni vegetali, o al limite del Regno vegetale, quale appunto venivano considerati i funghi. Lo studioso calabrese nell'affrontare l'argomento, prese in esame con minuziosa ricerca, scritti e pareri di numerosi naturalisti e studiosi di più discipline, da Caio Plinio Secondo a Ermolao Barbaro, Andrea Cesalpino, Pierandrea Mattioli, Ferrante Imperato; dal celebre fiammingo Carolus Clusius a Gerolamo Cardano, a Giulio Cesare Scaligero, suffragando la razionale ricerca (degno seguace della Nuova Scuola Sperimentale) con analisi chimiche possibili in quell'epoca.

Severino era convinto che le "pietre fungaie" non fossero pietre vere e proprie, ma formazioni fungine sotterranee, né più né meno come i tartufi, capaci di generare funghi, così come credeva Ferrante Imperato che le chiamava "fartufi fongarii". Era convinto che la "pietra fungaia", partecipando della natura dei tartufi, fosse un vegetale, anzi una spugna vegetale fossilizzata, capace d'impregnarsi di una grande quantità d'acqua e diventare matrice di funghi. La validità della sua tesi fu confermata dai risultati dell'analisi chimica condotta sui campioni di "pietra fungaia" assieme ad altri ricercatori, e dimostrò come questa non potesse assolutamente essere considerata pietra in quanto la distillazione secca del materiale non aveva dato altro che "acqua fatua", "oleum guaiacinum", cenere e carbone. Oggi si può dire, anche se le conclusioni dello scienziato calabrese non arrivarono perfettamente alla determinazione dello sclerozio di Polyporus tuberaster, che il metodo di ricerca e studio da lui adottato riflette una convenzione nuova ed efficace nell'indagare la Natura e i suoi fenomeni.

Il Seicento Nel Seicento la botanica, se non proprio la micologia, compie significativi passi avanti grazie all’istituzione degli Orti botanici e delle Accademie delle Scienze, mentre si hanno le prime applicazioni del microscopio. Gli Orti botanici sono istituzioni curate dalle Università nelle quali vengono coltivate, ricreando gli opportuni habitat, le più svariate specie vegetali, a scopo didattico e di ricerca. Nell’età moderna il primo Orto botanico fu fondato a Padova nel 1545 (è tuttora esistente, anche se chiuso per ristrutturazione, e dotato di una fornitissima biblioteca), seguito subito dopo da quello di Pisa, Bologna ecc. Fra gli Orti stranieri ricordiamo quello di Parigi - chiamato nel Seicento Jardin du Roi - di Oxford, Berlino, Uppsala ecc.

Le Accademie delle Scienze si possono considerare libere associazioni di scienziati che, isolati fra l’ignoranza delle masse da una parte e il conservatorismo delle Università del tempo, cercano di comunicare fra loro, di confrontarsi, di sperimentare. Anche in questo caso l’Italia è apripista con Giambattista Della Porta, fondatore della Academia Secretorum Naturae a Napoli nel 1560. Nel 1603 è la volta della famosissima Accademia dei Lincei, fondata da Federico Cesi a Roma, tuttora esistente e operante. Fra quelle estere ricordiamo la Royal Society di Londra (1662) e l’Académie des Sciences di Parigi (1666).

L’Accademia dei Lincei (da lince, animale si diceva dotato di acutissima vista, quindi modello dello scienziato scrutatore della natura) ebbe fra i suoi membri Galileo Galilei, che stimolò l’uso del microscopio da lui perfezionato, e il micologo riminese Antonio Battarra.

Federico Cesi Il Cesi (1585-1630) va ricordato, oltre che come fondatore dell’Accademia dei Lincei, per avere raccolto, assieme all’amico Giovanni Heck, una Iconografia di funghi costituita da un gran numero di tavole colorate, che era conservata nella biblioteca privata di papa Clemente XI: tre volumi in folio, ciascuno con 200 tavole, ogni tavola 2-3 specie fungine. Passato più volte di proprietà e già dato per perso, il prezioso codice è stato ritrovato negli anni Ottanta (recentemente ne parla P. De Gregorio, Bollettino AMER, 38-39, 1996, pp.50-53), si trova nella Biblioteca dell’Institut de France a Parigi ed è ora in corso di pubblicazione sotto gli auspici della Royal Library di Kew.

Giambattista Della Porta Di funghi ci parla nel cap. 70, libro X della Villa (1592), sia riportando quanto detto dagli antichi, sia con sue proprie osservazioni e un tentativo di classificazione. Descrive per la prima volta nella botanica italiana alcune specie come le Spongiole, le Monacelle (Elvelle), la Peperella (Lactarius piperatus), il Richione (Pleurotus eryngii). Grande merito del Della Porta è quello di avere per primo esplicitamente affermato, quasi due secoli prima che Pier Antonio Micheli ne desse una dimostrazione sperimentale, la probabilità che i funghi si riproducano per seme; questo nell’opera Phytognomonica del 1588.

Fabio Colonna Napoletano (1567-1650) e accademico dei Lincei, autore di numerose opere botaniche e originale per l’impulso dato alla sistematica botanica. Nel suo libro Ekphrasis (1606) presenta solo 6 specie fungine, ma con chiarezza descrittiva ed evidenza dei disegni mai viste prima: il Cardoncello (Pleurotus eryngii), le Pezicae Plinii, il Pleurotus ostreatus, la Lepiota procera e il Clathrus cancellatus.

Joseph Pitton de Tournefort Di Aix en Provence (1656-1708), uno dei più grandi botanici di tutti i tempi, direttore dell’Orto botanico di Parigi, si può considerare precursore di Linneo nel tentativo di creare un sistema di classificazione delle piante che egli basò su un unico carattere, quello del fiore. Si occupa di funghi soprattutto nel trattato Istitutiones rei herbariae (1700), considerato il caposaldo della botanica prima di Linneo. Secondo l’Autore i funghi rientrano, con i muschi, nella classe delle "Erbe e suffrutici sprovvisti di fiore e seme" e vengono suddivisi in 7 gruppi, che possono essere considerati come Generi: Fungus (con cappello e gambo, con lamelle o tubuli, grosso modo il nostro Ordine Agaricales); Fungoides (forma incavata o a imbuto); Boletus (con alveoli o finestre, per noi le Morchellacee, Clathracee ecc); Agaricus (quelli che nascono sui tronchi degli alberi); Lycoperdon (funghi che a maturità si dissolvono in polvere, prevalentemente Gasteromiceti); Coralloides (Ramarie) e Tuber (ipogei). Interessante notare che in una relazione sulla coltivazione artificiale dell’Agaricus campestris o bisporus, Tournefort si dichiara convinto che almeno questi funghi si riproducano mediante propri semi e non per semplice virtù del letame equino.

Pier Antonio Micheli  Con Micheli (Firenze 1679-1753) possiamo dire di trovarci di fronte al fondatore della moderna micologia, almeno come autore di alcune fondamentali scoperte micologiche. La passione per la botanica nacque nel Micheli dalla lettura delle opere del Mattioli e del Boccone, fatta mentre era apprendista rilegatore di libri; una passione irrobustita poi dalla frequentazione dei frati di Vallombrosa e dei loro boschi sparsi nella montagna toscana e che lo portò, non ancora ventenne, ad avere un suo ricchissimo erbario e a intrattenere rapporti e scambi con gli scienziati europei. A 27 anni diviene botanico di corte del Granduca Cosimo III, con una rendita annua e con il compito principale di procurare piante per i Giardini botanici della Toscana, cosa che fece con numerosi disagiati viaggi in tutta Italia. Dopo un avventuroso viaggio in Germania, (dove era stato mandato dal Granduca a fare spionaggio industriale sulla fabbricazione della latta!), gli fu donata l’opera di Tournefort e si applicò specificamente allo studio delle piante crittogamiche, ritenute allora "piante senza seme". Ma Micheli non era convinto che potessero esistere piante senza seme e quindi si dedicò a osservazioni minute aiutandosi con lenti di ingrandimento e col microscopio. Studiò le crittogame in genere, in particolare le briofite (muschi), ma soprattutto i funghi e le polveri sporali, sospettando subito si trattasse di polvere seminale. Intanto cresceva a dismisura la fama di questo giovane scienziato, che non aveva titoli di studio ma corrispondeva con i maggiori botanici italiani ed europei.

Nel 1717 fondò con altri appassionati la Società Botanica fiorentina alla quale fu affidato il "Giardino dei Semplici", nel quale vegeta ancor oggi un tasso da lui piantato. Le ricerche scientifiche del Micheli sono affidate al suo capolavoro Nova plantarum genera, stampato nel 1729 dopo una via crucis di preghiere e solleciti per ottenere i finanziamenti necessari. Riuscì a ottenere uno sponsor per ognuna delle 105 tavole che compongono l’opera. Ricordiamo che nella Biblioteca del Centro Studi dell’AMB si trova questo libro e addirittura il manoscritto autografo! Micheli morì nel 1737, di ritorno da un disastroso viaggio nel Veneto, con tappa anche a Vicenza. Giace ora in Santa Croce di Firenze, fra i Grandi d’Italia. Nel suo epitaffio sta scritto: "contento di poco, versatissimo in ogni scienza naturale, famoso ovunque per le sue scoperte e i suoi scritti e sommamente caro a tutti i buoni della sua epoca per la sapienza, buon carattere e modestia". E il Fries testimonia: "Il Micheli da solo ha apportato alla micologia un incremento maggiore che tutti gli altri scienziati presi insieme".

La scoperta delle spore - Il grande merito del Micheli sta nelle scoperte di biologia fungina. Anche se in parte anticipato da alcune intuizioni del Tournefort, egli è infatti il primo a dimostrare che anche i funghi si riproducono per seme e non per generazione spontanea. Chiarissimo in lui è il concetto di primordio, come del velo generale e dello sviluppo dei giovani carpofori: "tutti questi funghi, avanti che facessero vedere la loro forma di fungo, stavano involti dentro un guscio o spoglia, la quale in alcune specie di essi, col crescere che facevano, si disperdeva in alcuni in polvere, in altri in forfora, in altri in lanuggine, e finalmente in altri in piccoli pezzetti, i quali restavano permanentemente sul cappello dei medesimi". Dopo accuratissime indagini microscopiche si convinse che il segreto della riproduzione dei funghi stava nella faccia inferiore del cappello; qui scoprì "dei minutissimi semolini distribuiti … con ordine regolarissimo; e … ognuno di loro stava situato sopra una base, la quale mi fece dubitando dire: chi sa che non sia il fiore o il calice dei funghi?" Ecco scoperti basidi e spore. A lui si deve anche la scoperta dei cistidi. Molte sono le esperienze, descritte dal Micheli nelle sue opere, di semina con le spore in habitat naturale e di riproduzione in laboratorio di varie specie di Micromiceti (muffe) ed egli giustamente rivendica il vanto di avere scoperto i semi dei funghi.

Importanza micologica del Micheli - Da quanto detto finora risulta evidente che il Micheli pose alla base della sua classificazione dei funghi l’esame della parte fertile (imenio). Impossibile in questo breve spazio riportare tutta la sistematica del nostro scienziato. Andiamo quindi per sommi capi. Egli creò quattro grandi classi in base alla posizione dell’imenio. Interessante la seconda, nella quale inserisce i generi: Fungus, Suillus, Polyporus. e Boletus. Fungus corrisponde all’attuale famiglia delle Agaricaceae e ne descrive ben 638 specie sulle 1050 complessive della sua opera. Purtroppo utilizza come criterio il colore delle varie parti del fungo, criterio dimostratosi poi del tutto inconsistente. Suillus comprende i funghi attualmente ascritti alle Boletaceae; Polyporus include le attuali Poliporaceae terricole. Col nome Boletus definisce invece le Morchellaceae. Nella terza classe pone i funghi aventi i semi alla superficie. Notiamo il genere Clavaria e generi per la prima volta inseriti nel campo allora nuovissimo dei Micromiceti (muffe): Byssus, Botrytis, Aspergillus. Nella quarta classe sono inseriti i funghi con i semi disposti all’interno del carpoforo. Vi troviamo ad esempio i generi: Clathrus, creato dal Micheli, corrispondente a quello attuale; Lycogala (il liquido viscoso in esso contenuto suggerisce il nome, che letteralmente significa "latte di lupo"), Mucilago, Lycoperdon (descritto con moderna precisione); Carpobolus (dal greco karpòs =frutto e bàllo=getto), funghetti che a maturità "lanciano" le spore; Geaster; Tuber; Cyathoides (funghetti a forma di nido d’uccello con piccolissime "uova", oggi dette peridioli). Le tavole dedicate ai funghi sono, nel Nova plantarum genera, 46 con 268 specie riportate, in seguito interpretate quasi tutte dal Fries. Dove manca la tavola, l’interpretazione è difficile perché le descrizioni del Micheli sono troppo sintetiche. Un debole aiuto all’interpretazione delle specie micheliane è stato dato dal ritrovamento di un residuo presso l’Orto botanico di Firenze dell’erbario del Micheli contenente una trentina di preziosissime "reliquie" micologiche.

Agaricus

    

Agaricus arvensis

Agaricus è un genere di funghi basidiomiceti appartenente alla famiglia Agaricaceae che comprende specie di taglia varia. Questo genere si divide in due sezioni: quella con carne e cuticola ingiallenti e quella con carne e cuticola imbrunenti. Classico rappresentante di questo genere è il famoso "champignon", fungo coltivato per eccellenza (Agaricus bisporus).

Descrizione del genere – Cappello spesso squamoso – Lamelle dapprima bianche, poi rosa e infine nerastre – Gambo sempre provvisto di anello – Spore bruno-porpora (funghi "iantinosporei").

Habitat - I funghi appartenenti a questo genere sono terricoli, crescono sia nei boschi che nei prati ricchi di humus. Per la letteratura micologica classica sono saprofiti. Recenti studi, tuttavia, riportano che dopo una prima fase di sviluppo del micelio, in cui sono saprofite, molte specie di Agaricus tendono a legarsi attraverso rapporto mutualistico (simbiosi) con piante erbacee o arboree.

Commestibilità delle specie: eccellente. Molte quelle commestibili, anche di elevato valore alimentare; diverse quelle non eduli, alcune più o meno tossiche (es. Agaricus xanthodermus).

Agaricus

Agaricus campestris

Agaricus is a large and important genus of mushrooms containing both edible and poisonous species, with possibly over 300 members worldwide. The genus includes the common ("button") mushroom (Agaricus bisporus), and the Field mushroom (Agaricus campestris) the dominant cultivated mushrooms of the West.
Members of Agaricus are characterized by having a fleshy cap or pileus, from the underside of which grow a number of radiating plates or gills on which are produced the naked spores. They are distinguished from other members of their family, Agaricaceae, by their chocolate-brown spores. Members of Agaricus also have a stem or stipe, which elevates the pileus above the object on which the mushroom grows, and a partial veil, which protects the developing gills and later forms a ring or annulus on the stalk.

Taxonomy

For many years members of the genus Agaricus were given the generic name Psalliota, and this can still be seen in older books on mushrooms. All proposals to conserve Agaricus against Psalliota or vice versa have so far been considered superfluous.

Several origins of Agaricus have been proposed. It possibly derives "from Agarica of Sarmatica, a district of Russia" (!). Note also Greek agarikón  "a sort of tree fungus" (There's been an Agaricon Adans. genus, treated by Donk in Persoonia 1:180)

Donk reports Linnaeus' name is devalidated (so that the proper author citation apparently is "L. per Fr., 1821") because Agaricus was not linked to Tournefort's name (Linnaeus places both Agaricus Dill. and Amanita Dill. in synonymy), but truly a replacement for Amanita Dill., which would require that A. quercinus, not A. campestris be the type. This question compounded by the fact that Fries himself used Agaricus roughly in Linnaeus' sense (which leads to issues with Amanita), and that A. campestris was eventually excluded from Agaricus by Karsten and was apparently in Lepiota at the time Donk wrote this, commenting that a type conservation might become necessary.

The alternate name for the genus Psalliota, derived from the Greek psálion "ring", was first published by Fries (1821) as trib. Psalliota. The type is Agaricus campestris (widely accepted, except by Earle, who proposed A. cretaceus). Paul Kummer (not Quélet, who merely excluded Stropharia) was the first to elevate the tribe to a genus. Psalliota was the tribe containing the type of Agaricus, so when separated, it should have caused the rest of the genus to be renamed, not what happened. It seems to be currently not considered valid, or a junior homotypic synonym, anyway the explanation is that it was raised by (in retrospect) erroneously maintaining the tribe name.

Edibility

The genus contains the most widely consumed and best known mushroom today, Agaricus bisporus, with A. campestris also well known. The most notable inedible species is the yellow-staining mushroom A. xanthodermus. All three are found worldwide. One species reported from Africa, A. aurantioviolaceus, is reportedly deadly poisonous.

Agaric

Champignon de Paris - Agaricus bisporus

Les agarics, appelés aussi psalliotes (les mycologues s'entredéchirent depuis de longues années pour savoir lequel des deux termes est préférable), sont des champignons basidiomycètes du genre Agaricus, appartenant à la famille des agaricacées. Il en existe de très nombreuses espèces, presque toutes comestibles, dont la plus consommée est Agaricus bisporus, cultivé de façon industrielle sous le nom de champignon de Paris. Les espèces « sauvages » croissent de façon souvent abondante, dès les premières pluies de l'été, dans les prés et les taillis, parfois dans les bois clairs.

Caractéristiques

Les lamelles d'un champignon de Paris

Les agarics sont des champignons dont les lamelles, libres, sont roses lorsque le champignon est jeune, puis brun-noir à noires lorsqu'il vieillit. Les spores sont brun noirâtre ou noires. Le chapeau, charnu, généralement lisse et blanc chez les exemplaires jeunes, se recouvre ensuite de fibrilles ou de squames de couleur ocrée à mesure qu'il s'ouvre. Le pied est au départ rattaché au chapeau par un voile, qui se transforme ensuite en anneau. Il peut facilement se séparer du chapeau. Il ne porte pas de volve, ce qui permet, entre autres caractéristiques, de distinguer les agarics des amanites blanches mortelles. Une confusion est également possible avec certaines petites lépiotes, mais ces dernières ont des lamelles et des spores blanches.

Principales espèces

Boule de neige - Agaricus arvensis

Agaricus arvensis: agaric des jachères. Parfois appelé boule de neige, c'est un des plus grands agarics, poussant dans les prairies et les endroits découverts. Son chapeau hémisphérique est généralement blanc. Il se distingue des espèces voisines par son odeur anisée assez prononcée et son anneau, dont le bas forme une sorte de roue d'engrenage.

Agaricus bisporus: agaric bispore. Rare à l'état sauvage, il est cultivé sous le nom de champignon de Paris.

Agaricus campestris: agaric champêtre, appelé aussi rosé des prés. Sans doute le meilleur de tous les agarics, il pousse en groupes importants dans les prés. Le chapeau est blanchâtre, généralement fibrilleux. Les lamelles sont rose vif puis brunes. On le reconnaît en outre à sa forte odeur fongique (odeur de champignon).

Agaricus silvaticus: agaric sylvatique ou agaric des forêts. Rencontré essentiellement dans les forêts de conifères. Son chapeau est recouvert de nombreuses écailles brunes. Sa chair rosit fortement à la cassure ou au froissement. Forte odeur fongique. Excellent comestible.

Agaricus silvicola: agaric sylvicole, appelé aussi boule de neige des bois. Comme son nom l'indique, cet agaric pousse dans les bois ou les forêts de feuillus. Assez semblable à A. arvensis, il a comme lui une forte odeur d'anis et amande (alcool benzylique, anisaldédyde). Son chapeau est souvent nuancé de jaune. Très bon comestible (se méfier des risques de confusion avec les amanites blanches, et donc bien vérifier la couleur des lamelles et l'absence de volve).

Agaricus xanthoderma: agaric jaunissant. Pourrait être confondu avec le précédent, mais son odeur de phénol, plutôt désagréable, n'évoque en rien l'anis. De plus, il jaunit fortement si on le frotte avec le dos de l'ongle. Il pousse surtout à la lisière des bois. Il contient des dérivés du phénol qui irritent le tube digestif (toxique).

Agaricus bisporus

L'Agaricus bisporus, meglio conosciuto con l'appellativo di Champignon o di Prataiolo, è un fungo molto apprezzato e largamente commercializzato in tutto il mondo; sicuramente il fungo più conosciuto dopo i porcini. Bisporus = due spore, per via dei basidi che possiedono solo due spore invece di quattro.

Cappello - Largo fino a 12 cm, a volte anche oltre, prima ovoideo, poi emisferico, infine convesso; molto carnoso e di color bianco, spesso presenta squame brunastre; margine frequentemente fioccoso.

Lamelle - Color rosa candido, diventano color cioccolato in breve tempo e infine marrone scuro; libere e piuttosto fitte.

Gambo - Corto, tozzo e cilindrico; di colore bianco.

Anello - Fioccoso, bianco, facilmente asportabile.

Carne - Di color bianco, leggermente virante al rosso se esposta all'aria. Odore gradevole, come di muschio o di erba stropicciata. Sapore grato, dolce. Più forte negli esemplari più maturi e per questo alcuni preferiscono consumare solo carpofori giovani.

Spore - Color cacao in massa, ovoidali. Basidi: solo due spore anziché quattro.

Habitat - Campi concimati, letamai, giardini, nei prati ai margini dei boschi; gregario. Cresce tutto l'anno in cattività.

Commestibilità -  Ottima. Facilmente reperibile in qualsiasi mercato. Numerose le ricette con cui può essere apprezzata questa specie. Prestare attenzione a possibili confusioni con specie mortali del genere Amanita di colore bianco (che però possiedono la volva).

Binomi e sinonimi obsoleti

Agaricus bisporus var. albidus (J.E. Lange) Singer,: 30 (1961)

Agaricus bisporus var. avellaneus (J.E. Lange) Singer,: 29 (1961)

Agaricus bisporus (J.E. Lange) Pilát, Sborn. Nár. Mus. v Praze, Rada B, Prír. Vedy 7(1): 46 (1951) var. bisporus

Agaricus brunnescens Peck, Bull. Torrey bot. Club 27: 16 (1900)

Agaricus campestris sensu Cooke [Ill. Brit. Fung. 527 Vol. 4 (1885)]; fide Checklist of Basidiomycota of Great Britain and Ireland (2005)

Agaricus campestris var. bisporus Kligman, Am. J. Bot. 3: 746 (1943)

Agaricus campestris var. hortensis Cooke [as 'campester'], Handbook of British Fungi: 138 (1871)

Agaricus cookeanus Bon [as 'cookeianus'], Docums Mycol. 16(no. 61): 16 (1985)

Agaricus hortensis (Cooke) Pilát, Sb. nár. Mus. Praze 7B(1): 37 (1951)

Agaricus hortensis (Cooke) S. Imai, J. Fac. agric., Hokkaido Univ. 43: 258 (1938)

Agaricus subfloccosus var. bisporus (J.E. Lange) Hlavácek, Mykologický Sborník 28(4-6): 68 (1951)

Psalliota bispora (J.E. Lange) F.H. Møller & Jul. Schäff., Annales Mycologici 36(1): 69 (1938)

Psalliota bispora f. albida (J.E. Lange) Treschew, Dansk bot. Ark. 11: 19 (1944)

Psalliota bispora f. avellanea (J.E. Lange) Treschew, Dansk bot. Ark. 11: 19 (1944)

Psalliota campestris var. hortensis (Cooke) Lloyd, (1899)

Psalliota hortensis (Cooke) J.E. Lange, Dansk bot. Ark. 4(12): 8 (1926)

Psalliota hortensis f. albida J.E. Lange, (1939)

Psalliota hortensis f. avellanea J.E. Lange, (1939)

Psalliota hortensis var. bispora J.E. Lange, Dansk bot. Ark. 4(12): 8 (1926)

Agaricus bisporus

Agaricus bisporus, known as table mushroom, cultivated mushroom or button mushroom, is an edible basidiomycete fungus which naturally occurs in grasslands, fields and meadows across Europe and North America, though has spread much more widely and is one of the most widely cultivated mushrooms in the world. The original wild form bore a brownish cap and dark brown gills but more familiar is the current variant with a white form with white cap, stalk and flesh and brown gills.

Some grocery stores in the Western world sell this mushroom in canned and fresh preparations. It can be found cooked on pizzas and casseroles, stuffed mushrooms, raw on salads, and in various forms in a variety of dishes. Some mycologists, including Paul Stamets, have raised concerns that this mushroom contains trace quantities of a chemical agaritine known to have carcinogenic properties, though whether levels are sufficient to cause harm in consumers is debated.

Taxonomy and naming

Agaricus bisporus is known by many names several of which refer to different stages; "button mushroom" when sold, collected or eaten in young, unopened form, "Crimini mushroom" or "baby bella" as an immature portobello, or "Portobello mushroom" as a large brown mature mushroom. It is known as the champignon de Paris in France. It is also often called simply "champignon" (the french word for "fungus") in several languages.

The cultivated mushroom is a member of the large genus Agaricus, which has numerous members which are edible, tasty and collected worldwide. The next best-known is the commonly collected wild mushroom (A. campestris), known in North America as the meadow mushroom or field mushroom in England and Australia. This can be found throughout much of the United States and Europe.

The common mushroom has a complicated taxonomic history. It was first described as a variety (var. hortensis) of A. campestris in 1884, before Danish mycologist Jakob Emanuel Lange reviewed the cultivated form, naming it as a variety Psalliota hortensis var. bispora in 1926, its epithet derived from its two-spored basidia (as distinct from other members of the genus which had four-spored basidia). Mõller and Schäffer raised the mushroom to species status as Psalliota bispora in 1938. It was given its current binomial name of Agaricus bisporus by Emil J. Imbach upon the renaming of Psalliota to Agaricus in 1946.

The earlier Agaricus brunnescens was a name coined by Charles Horton Peck in 1900 and proposed as the correct name for the mushroom, however this description referred to a four-spored collection and cannot be ascribed to A. bisporus.

Description

The pileus or cap of the original wild species is a pale grey-brown in color, with broad, flat scales on a paler background and fading toward the margins. It is first hemispherical in shape before flattening out with maturity, and 5-10 cm (2-4 in) in diameter. The narrow, crowded gills are free and initially pink, then red-brown and finally a dark brown with a whitish edge from the cheilocystidia. The cylindrical stipe is up to 6 cm tall by 1-2 cm wide and bears a thick and narrow ring, which may be streaked on the upperside. The firm flesh is white though stains a pale pinkish-red on bruising. The spore print is dark brown. The spores are oval to round and measure around 4.5-5.5 x 5-7.5 µm, and the basidia always two-spored.

Commonly found in fields and grassy areas after rain from late spring through to autumn worldwide, especially in association with manure. It is widely collected and eaten, even by those who would not normally experiment with mushrooming.

Similar species

The common mushroom could be confused with young specimens of the deadly poisonous destroying angel (Amanita spp.), however the latter can be distinguished by their volva or cup at the base of the mushroom and pure white gills (as opposed to pinkish or brown of Agaricus bisporus). This it is important to always clear away debris and examine the base of a mushroom, as well as cutting open young specimens to check the gills. Furthermore, the destroying angel grows on mossy woods and lives symbiotically with spruce.

A more common and less dangerous mistake is to confuse this with the inedible yellow-staining mushroom (Agaricus xanthodermus), a common mushroom found worldwide in grassy areas which can be distinguished by its chemical smell reminiscent of phenol and its flesh which turns yellow on bruising. This fungus causes gastrointestinal symptoms of nausea and vomiting in some people. The poisonous Entoloma sinuatum has a passing resemblance but has yellowish gills turning pink and lacks a ring.

Culinary use

There have been few studies on the nutritional value of mushrooms, with what is known derived from chemical analyses of the composition and few animal studies. Thus much of what is said about their nutritiousness is speculative. The water content of fresh Agaricus bisporus has been measured at 89%.

Common mushrooms are fairly rich in vitamins and minerals. The mushroom contains high amounts of vitamin B group, sodium, potassium and phosphorus. Raw mushrooms are naturally cholesterol and fat free. The mushrooms also have very low energy levels — five medium-sized common mushrooms added together only have 20 calories.

Common mushrooms have a unique flavor that can be matched by few other mushrooms. No specific flavor can be defined; most people describe the mushroom as "plain", but other people say that the common mushroom tastes slightly sweet or "meaty".

Like potatoes and apples, table mushrooms oxidize ("rust") quickly when exposed to air. When sliced and exposed to air for ten minutes or more, the mushrooms quickly soften, turn a brownish color, and lose their original flavor.

History of cultivation

Cultivation of Agaricus bisporus originated in France, when agriculturist Olivier de Serres noted that transplanting mushroom mycelium would lead to more mushrooms. Originally, cultivation was unreliable as mushroom growers would watch for good flushes of mushrooms in fields before digging up the mycelium and replanting in beds of composted manure or inoculating 'bricks' of compressed litter, loam and manure. Spawn collected this way contained pathogens and crops would be commonly infected or not grow at all.

In 1893 sterilised, or pure culture, spawn was discovered and produced by the Pasteur Institute in Paris. Today's commercial variety of the common mushroom was originally a light brown color. In 1926, a Pennsylvanian mushroom farmer found a clump of common mushrooms with white caps in his mushroom bed. Like white bread it was seen as a more attractive food item and was very popular. As was done with the navel orange and Red Delicious apple, cultures were grown from the mutant individuals, and most of the cream-colored store mushrooms we see today are products of this chance natural mutation.

Agaricus bisporus is cultivated in at least 70 countries around the world. In most supermarkets, common mushrooms are marketed as "table mushrooms" and are often packed in small quantities. Mushrooms may be sold sliced or whole.

Portobello mushroom

The 'Portobello mushroom' is a large brown strain of the same fungus, left to mature and take on a broader, more open shape before picking. Portobello mushrooms are distinguished by their large size, thick cap and stem, and a distinctive musky smell. Because of their size and the thickness of their fleshy caps, these mushrooms can be cooked in a range of different ways, including grilling and frying.

Crimini mushroom

Although sometimes described a sub-variety of the Portobello mushroom, the Crimini or Cremini mushroom is actually an immature Portobello. Marketers have begun to refer to Crimini mushrooms as baby Portobellos and Portabellinis or BabyBellas. Left to grow another 48 to 72 hours, a Crimini mushroom will more than quadruple in size, taking on the large-capped Portobello shape. They are more delicate in texture but still have the meaty Portobello flavor.

Agaritine

All mushrooms of the genus Agaricus contain the hydrazine agaritine (and lesser amounts of other hydrazines like gyromitrin), a suspected carcinogen. Most hydrazines (over 80%) are known carcinogens.

Altri agarici

Agarico: nome comune di un genere (Agaricus) di Funghi Basidiomiceti, in cui un tempo si facevano rientrare tutte le forme a corpo fruttifero lamellato e persino pseudolamellato (p. es. Lenzites).

Attualmente la denominazione serve alla designazione corrente di parecchi funghi: agarico citrino (Amanita citrina), agarico panterino o tignosa bruna (Amanita pantherina), agarico livido (Entoloma lividum), agarico violetto (Rhodopaxillus nudus). Alcuni micologi tendono a ricostituire il genere riservandolo alle numerose specie di Psalliota, note come prataioli.

Amanita citrina

Amanita pantherina

Entoloma lividum

Rhodopaxillus nudus