Ulisse Aldrovandi
Ornithologiae tomus alter - 1600
Liber
Decimusquartus
qui
est
de Pulveratricibus Domesticis
Libro
XIV
che tratta
delle domestiche amanti della polvere
trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti
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Herodotus[1]
vero eos ait primos galeis cristas imposuisse, et clypeis signa
adiunxisse, et lora scutorum excogitasse. Hinc praeterea factum est, ut
Persae Caras omnes ἀλεκτρυόνας dicerent, id est, Gallos, διὰ
τούς λόφους ,
id est, a conis, quos in galeis portabant, ad quod lepidissimus fortasse
Aristophanes[2]
allusit, dum Gallos quandoque imperitasse Persarum gentibus dicat: quo
argumento etiam Persica appelletur avis Gallus, atque eo item nomine
cyrbasiam, et tiaram gestat, quod regibus tantum licebat, tradente
Clitarcho[3]. |
In
verità Erodoto
scrive che essi - i Carii - furono i primi a collocare i cimieri sugli
elmi, e ad attaccare degli emblemi sugli scudi rotondi, e a ideare le
cinghie di cuoio degli scudi. Per cui ne è pure derivato il fatto che i
Persiani chiamavano tutti i Carii
alektryónas, cioè galli, dià toús lóphous,
cioè a causa dei cimieri che portavano sugli elmi, cosa alla quale
forse alluse lo spiritosissimo Aristofane quando dice che i galli un
tempo regnarono sulle popolazioni dei Persiani: per questo motivo il
gallo verrebbe anche chiamato uccello persiano, e parimenti, come
riferisce Clitarco di Colofone, per lo stesso motivo porta anche sulla
testa una tiara detta kyrbasìan
- turbante aguzzo dei Persiani, che era permessa solo ai re. |
In Apollinis Delphici celeberrimo templo, ut Plutarchus[4]
author est, eius Dei imago erat, quae manu Gallinaceum tenebat, ut horam
matutinam, et tempus instantis ortus designaret. Gallum
in foro Romano depictum fuisse ex Plinio[5]
habemus: deinde video, inquit,
et in foro {positus} <positas> vulgo. Hinc
enim ille Crassi oratoris lepos agentis sub veteribus, cum testis (alias
reus) compellatus instaret: Dic
ergo, Crasse, qualem me reris? Talem,
inquit, ostendens in tabula pictum
inficetissime (alias infacetissime) Gallum
exerentem linguam. Quod forte Plinius ex Cicerone[6]
transcripsit. Quintilianus tamen id factum e C. Iulio narrat. Illum enim
obstrepenti Helvio[7],
ac saepius instanti qualem se tandem ostensurum esset, digito monstrasse
imaginem Galli pictam in scuto {Mariani Cimbrici} <Mariano
Cimbrico>, cui tunc Helvius simillimus videbatur. |
Come
riferisce Plutarco, nel celeberrimo tempio di
Apollo di Delfi vi era
una rappresentazione del dio che teneva con la mano un gallo affinché
indicasse il mattino e il momento dell’imminente sorgere del sole.
Attraverso Plinio possiamo sapere che nel foro romano era stato
dipinto un gallo, e dice: E quindi vedo che dei dipinti sono stati
collocati dappertutto anche nel foro. Infatti da ciò è nata quella
battuta dell’oratore Lucio Licinio Crasso che stava disquisendo
sulle botteghe dei cambiavalute situate sul lato meridionale del foro,
quando un osservatore (cioè la parte in causa) accusato lo
incalzò: Dimmi dunque, o Crasso, come pensi che io sia? Così, rispose,
mostrando su un pannello un gallo dipinto che tirava fuori la lingua in
modo alquanto insulso. Forse Plinio ha trascritto ciò prendendolo
da Cicerone. Tuttavia
Quintiliano narra che ciò fu messo in atto da
Gaio Giulio Cesare. Infatti costui con un dito mostrò a Elvio, che lo
importunava schiamazzando e lo incalzava piuttosto spesso chiedendo che
una volta per tutte gli facesse vedere come era l’immagine di un gallo
dipinta su uno scudo che Gaio
Mario aveva conquistato ai
Cimbri, al quale Elvio in quel momento
sembrava rassomigliare assai. |
Notissima
insuper historia est apud Pausaniam[8],
et Suidam[9]
(variant tamen nonnihil inter se) Athenienses Anterotis aram
constituisse, in qua pueri nudi, et formosi signum erat, in ulnis
geminos sustinentis generosos Gallos, et se in caput {impellentes} <impellentis>,
quibus Timagoram, et {Meletum} <Meletem>[10]
qui amore perierunt, significabant. Gestat autem puer Gallinaceos: quod
una cum duobus Gallis, quos a {Meleto} <Melito> sibi dono datos
ulnis gestabat, ex arce Athenis se praecipitasset<.> |
Inoltre
è arcinota una storia che si trova in Pausania e nel lessico
Suida
(tuttavia sono un po’ diverse tra loro) che gli Ateniesi eressero
l’altare di Anteros sulla quale si trovava la rappresentazione di un
fanciullo nudo e avvenente che sosteneva sugli avambracci una coppia di
galli di razza, e che si gettava giù a capofitto, coi quali indicavano
Timagora e Melete che morirono per amore. Infatti il fanciullo porta i
galli: in quanto si sarebbe precipitato in Atene dall’acropoli insieme
ai due galli che portava sugli avambracci e che gli erano stati dati in
dono da Melito. |
Gallinacei
icon in excelsarum turrium {ex}[11]
apicibus ex orichalco conflata, et inaurata plerunque, imponi solet,
lamina ad ventum versatili. Monzae in Gallia Transpadana Gallina videtur
una cum pullis ex auro Theodorico rege ibi facta. Paulus Morigia[12]
hanc auream Gallinam cum duodecim [septem[13]]
pullis pariter aureis Theogillae[14]
reginae Christianarum rerum studiosissimae iussu confectam testatur[15],
eamque ab illa in templo, quod Monzae D. Io. Baptistae voverat, inter
alia regia dona memoriae consecrasse. Mirum, quod scribit Georgius
Agricola, lapidem Eislebanum aliquando Galli effigiem referre. |
Sulle
sommità delle torri più alte viene abitualmente collocata la figura di
un gallo fusa in ottone, e per lo più dorata, applicata su una lamina
girevole al vento. A Monza nella Gallia Transpadana si può vedere una
gallina insieme ai pulcini qui realizzata in oro dal re Teodorico.
Paolo Morigia attesta che questa gallina d’oro con sette
pulcini
anch’essi d’oro è stata realizzata per ordine della regina
Teodolinda appassionata studiosa delle cose inerenti il Cristianesimo,
e che lei la consacrò alla memoria insieme agli altri doni regi nella
chiesa che aveva dedicato in Monza a San Giovanni Battista. È
straordinario ciò che scrive Georg Bauer, che talora la pietra di
Eisleben riporta la raffigurazione di un gallo. |
Quod
modo ad numismata attinet, in quibus imago Galli Gallinacei conspicitur,
statuendum est ea vel in Galli, vel in Deorum, quibus consecratus erat,
honorem, {cusa} <fusa> fuisse. In Mamertinorum in primis
numismatibus Gallus figura erecta, ita ut velut cucurrire velle videatur,
apparet cum astro prope eius collum: inscriptio est talis. {ΜΑΜΕΡΤΙΝΩΑ}
<ΜΑΜΕΡΤΙΝΩΝ>[16]
ΒΡΕΤΤΙΩΝ.
In altera nummi parte est figura erecta, pectus, ventremque duntaxat
velata, dextra baculum cum flagello, sinistra hastam tenens: humi prope
eam a dextra thorax, a sinistra parma iacet. Asis (regio puto sic dicta.
Nam et Ovidius[17],
teste Abrahamo Ortelio, ita Asiam vocat) puerum delphino insidentem
numis {insculpebant} <insculpebat>[18]:
Dardani<s> Gallorum pugnam: author est Pollux[19],
quod ideo fecisse eos Pierius Valerianus recte existimat, quoniam magnum
pugnacitatis decus sibi antiquitus usurparent. Hinc
honoratum semper apud Maronem Dardaniae nomen, cum secus Phryges fere
semper ceu imbelles notentur. |
Adesso,
per quanto riguarda le monete in cui si rileva la presenza dell’effige
di un gallo, bisogna stabilire se esse furono coniate in onore del gallo
oppure degli dei ai quali era sacro. Innanzitutto nelle monete dei
Mamertini è visibile un gallo in atteggiamento eretto come se
apparentemente volesse cantare, con un astro vicino al suo collo:
l’iscrizione è la seguente: mamertinøn brettiøn - dei Bruzzi. Nell’altro lato
della moneta si trova una figura eretta, con un velo solo a livello del
petto e del ventre, che tiene con la destra un bastone munito di
flagello, con la sinistra una lancia: a terra vicino a lei giace sulla
destra una corazza, sulla sinistra uno scudo piccolo e rotondo. Gli
Asiatici (ritengo che Asis è la cosiddetta regione asiatica.
Infatti anche Ovidio, come attesta Abraham
Oertel, chiama così
l’Asia) imprimevano sulle monete un ragazzo seduto su un delfino: i
Dardani - i
Troiani - vi raffiguravano un combattimento di galli: lo
scrive Giulio Polluce, e Giovan Pietro
Bolzani - alias Pierius
Valerianus - ritiene che l’hanno fatto a buon diritto in quanto nei
tempi antichi si attribuivano una grande reputazione di aggressività.
Per questo in Publio Virgilio Marone il nome di Dardania -
Troia -
è sempre stimato, mentre al contrario i Frigi sono quasi sempre
marchiati come codardi. |
Hubertus
{Goltius} <Goltzius> {Selenontinorum} <Selinuntiorum>
numismata, in quibus icon Galli conspicitur, depicta exhibet: in quorum
primo viri nudi in adversa parte imago est, pateram dextra, sinistra
lauri, vel olivae ramum tenentis: a dextra eius ara est, supra quam
ignis, et ante eam Gallus tanquam festinanter currens, a sinistra cippus,
cui insidit taurus, seu bos caput declinans, et cornibus suis incursum
minitans: supra tauri tergus folium selini[20]
herbae (quam Latini apium nuncupant) a qua {Selinontis}
<Selinuntis> urbs nomen obtinuit, item Selinus fluvius, qui haud
procul ab eius urbis moenibus praeterlabebatur. Inscriptio numi est
{ΣΕΛΙΝΩΝΤΙΩΝ} <ΣΕΛΙΝΟΝΤΙΟΝ>[21].
Ab altera numi parte biga est, cui duo insistunt viri nudi, quorum alter
qui est a dextra, lora equorum sinistra tenet, dextra sagittam tensi
arcus: qui vero a sinistra stat arcum iam dictum dextra retinet,
sinistra baculum, quo equos regat, et in hac parte nulla erat inscriptio,
contra ac in altero eorundem {Selenontinorum} <Selinuntiorum> numo,
in quo praedicta inscriptio est in parte bigae, in adversa vero istaec ΣΑΨΥΗ[22],
caetera eodem fere se habebant modo, nisi quod hic in ara focus non
adsit, et taurus in cippo elaborato consistat. Tertium a primo
differebat, quod ab utraque parte numi eadem inscriptio est {ΣΕΛΙΝΩΝΤΙΩΝ} <ΣΕΛΙΝΟΝΤΙΟΝ>, item in eo quod ab utraque cippi parte
lauri ramus dependet. |
Hubert
Goltz fornisce delle riproduzioni di monete degli abitanti di
Selinunte nelle quali si vede la figura di un gallo: sul recto della
prima di esse si trova la figura di un uomo nudo che tiene con la destra
una coppa, con la sinistra un ramo di alloro o di ulivo: alla sua
destra si trova un altare sul quale c’è del fuoco, e davanti
all’altare un gallo che corre quasi a rompicollo, alla sinistra si
trova un cippo sul quale sta seduto un toro, o un bue, con la testa
inclinata, e che minaccia un assalto con le sue corna: sopra alla
schiena del toro una foglia di sedano (che i Latini chiamano apio) dal
quale la città ha ricevuto il nome di Selinunte, lo stesso il fiume
Selinunte che scorreva non lontano dalle mura di quella città. La
scritta della moneta è selinontion. Sul verso della moneta c’è una biga sulla
quale si trovano due uomini nudi, e quello dei due che è a destra tiene
con la sinistra le briglie dei cavalli, con la destra la freccia di un
arco teso: quello che si trova a sinistra impugna il suddetto arco con
la destra, con la sinistra un bastone col quale poter governare i
cavalli, e su questo lato non c’era alcuna iscrizione, e invece in
un’altra moneta degli stessi abitanti di Selinunte, nella quale si
trova l’anzidetta iscrizione sul lato dove si trova la biga, sul lato
opposto si trova questa, sapsyh,
le altre cose erano disposte quasi allo stesso modo, salvo che in questa
sull’altare non c’è fuoco e il toro sta su un cippo elaborato. La
terza differiva dalla prima in quanto su entrambi i lati della moneta si
trova la stessa scritta selinontion,
e parimenti per il fatto che da ambedue i lati del cippo pende un
ramo di alloro. |
Quartum
numisma ab omnibus diversum est. Hic enim nuda illa imago, quam Herculis
esse remur, dextra pateram, ut in superioribus, sed sinistra clavam
gestat aculeis armatam, et a parte dextra altare quidem astat, sed sine
foco, ac magis quam in illis elaboratum, praeterea ante id serpens est
capite erecto: a sinistra parte Gallus, atque demum supra eam Selini
folium cum inscriptione ut in secundo, sed transpositis literis, nempe
hoc modo ΗΥΨΑΣ.
In
aversa numi parte eadem imago taurum cornu prehensum retinens, sinistra
erecta clava minitans: fuerit autem haud dubio taurus
Eric<h>t<h>onius, quem Hercules [306] superasse dicitur:
inscriptio {ΣΕΛΙΝΩΝΤΙΩΝ} <ΣΕΛΙΝΟΝΤΙΟΝ>. |
La
quarta moneta è diversa da tutte le altre. Infatti qui quella figura
nuda che pensiamo essere di Ercole, con la destra porta una coppa, come
nelle precedenti, ma con la sinistra porta una clava munita di aculei, e
se ne sta dritta dal lato destro dell’altare, ma senza fuoco, più
elaborato che nelle altre, inoltre davanti all’altare c’è un
serpente con la testa eretta: sul lato sinistro dell’altare c’è un
gallo e infine al di sopra una foglia di sedano con una scritta come
nella seconda moneta, ma con le lettere trasposte, e cioè in questo
modo, hypsas. Sul recto
della moneta c’è la stessa figura che trattiene un toro preso per un
corno, e che con la sinistra minaccia tenendo alzata la clava: senza
dubbio sarà stato il toro Erittonio - il toro furioso che imperversava
nell’isola di Creta - che si dice sia stato sconfitto da Ercole: la
scritta è silinontion. |
[1] Storie I. (Aldrovandi)
[2] In Avibus. (Aldrovandi) - Gli uccelli, 483
[3] L. Cur Pythia non amplius carmine respondeat. (Aldrovandi) - In Sententiae (ed. by A. Elter) in Index Lect. Hib. ... (Bonn, 1892). (Lind, 1963) § Forse Lind ha scambiato Clitarco gnomologo – che scrisse The sentences of Sextus, ed. H. Chadwick, Cambridge, 1959 – con Clitarco di Colofone. § In base al rimando fornito da Aldrovandi dovrebbe trattarsi dell’opera Sugli oracoli pitici di Plutarco che va invece riferita alla citazione tratta da Plutarco del paragrafo seguente, come si può correttamente desumere da Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 404: In Apollinis Delphici templo chirotechnae (id est opifices manuarii) frigida quaedam et curiosa fecerunt, ut qui manui Apollinis gallinaceum imposuit, ut horam matutinam et tempus instantis ortus designaret, Plutarchus in libro Cur Pythia non amplius carmine respondeat. - Sempre a pagina 404 di Gessner si trova il brano tratto da Clitarco tramite lo Scoliaste: Quanquam enim (inquit Scholiastes) Persae omnes tiaram ferrent, solis tamen regibus erectam ferre fas erat: caeteris complicata erat vel in frontem prona vergebat, ut Clitarchus tradit. § I frammenti delle Storie d'Alessandro di Clitarco di Colofone sono contenuti in Jacoby, F., Die Fragmente der griechischen Historiker, I, Leiden 19572; II A, Berlín 1926; II B, Berlín 1929; III A, Leiden 19542; III B, Leiden 1950; III C, Leiden 1958.
[4] Aldrovandi non dà nessuna referenza per questa notizia tratta da Plutarco, ma dovrebbe trattarsi del Cur Pythia non amplius carmine respondeat o Sugli oracoli pitici di Plutarco, erroneamente riferito poc’anzi a Clitarco. Si veda Pizio.
[5] Naturalis historia XXXV,24-25: Quam primam arbitror picturam externam Romae publicatam, deinde video et in foro positas volgo. Hinc enim ille Crassi oratoris lepos agentis sub Veteribus; [25] cum testis compellatus instaret: dic ergo, Crasse, qualem me noris? Talem, inquit, ostendens in tabula inficetissime Gallum exerentem linguam.
[6] De Oratore II,266. (Aldrovandi)
[7] Aldrovandi ne ha già parlato a pagina 272. § Cicerone De Oratore II,266: Valde autem ridentur etiam imagines, quae fere in deformitatem aut in aliquod vitium corporis ducuntur cum similitudine turpioris: ut meum illud in Helvium Manciam "iam ostendam cuius modi sis," cum ille "ostende, quaeso"; demonstravi digito pictum Gallum in Mariano scuto Cimbrico sub Novis distortum, eiecta lingua, buccis fluentibus; risus est commotus; nihil tam Manciae simile visum est; ut cum Tito Pinario mentum in dicendo intorquenti: "tum ut diceret, si quid vellet, si nucem fregisset." § Quintiliano, Institutio oratoria VI,3,38: Rarum est ut oculis subicere contingat, ut fecit C. Iulius: qui cum Helvio Manciae saepius obstrepenti sibi diceret: "iam ostendam qualis sis", isque plane instaret interrogatione qualem tandem se ostensurus esset, digito demonstravit imaginem Galli in scuto Cimbrico pictam, cui Mancia tum simillimus est visus: tabernae autem erant circa forum ac scutum illud signi gratia positum.
[8] Periegesi della Grecia I, Attica, 30,1. (Aldrovandi) - Aldrovandi ne ha già parlato a pagina 268 dove viene discussa anche tutta la problematica di Meles, Meletus e Melitus, nuovamente esposta appena più avanti.
[9] In dictione Miletus. (Aldrovandi) - Conrad Gessner ha invece “in dictione Melitus” - Referenza già data a pagina 268 da Aldrovandi e nel lessico Suida la voce Melitus suona Mélitos.
[10] Il nome greco di persona Mélës,
Mélëtos, accusativo Mélëta, Melete in italiano, viene
latinizzato da Giglio Gregorio
Giraldi in Meletum anziché Meletem. Se la sua
flessione latina corrisponde a quella del fiume della Ionia Meles,
anche il nome di persona fa Meletem all’accusativo. La conferma
l'abbiamo da Ludwig Dindorf alias Ludovicus Dindorfius (Lipsia
1805-1871), che pubblicò il Pausaniae descriptio Graeciae a Parigi
nel 1845: al nominativo scrive Meles, all'accusativo Meletem. §
Ecco il testo di Pausania in traduzione inglese, Description of Greece
I, Attica, 30,1: Before the entrance to the Academy is an altar to Love,
with an inscription that Charmus was the first Athenian to dedicate an altar
to that god. The altar within the city called the altar of Anteros (Love
Avenged) they say was dedicated by resident aliens, because the Athenian
Meles, spurning the love of Timagoras, a resident alien, bade him ascend to
the highest point of the rock and cast himself down. Now Timagoras took no
account of his life, and was ready to gratify the youth in any of his
requests, so he went and cast himself down. When Meles saw that Timagoras
was dead, he suffered such pangs of remorse that he threw himself from the
same rock and so died. From this time the resident aliens worshipped as
Anteros the avenging spirit of Timagoras. (Description of Greece
with an English Translation by W.H.S. Jones, Litt.D. in 4 Volumes. Volume 1.
Attica and Corinth, Cambridge, MA, Harvard University Press; London, William
Heinemann Ltd., 1918)
[11] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 404: In excelsarum turrium apicibus gallinacei icon ex orichalco conflata, et inaurata plerunque, imponi solet, lamina ad ventum versatili. Vide Emblema Alciati quod in fine historia galli recitabitur.
[12] Lib. 1 c. 8 hist. Medio. (Aldrovandi) - Historia dell'antichità di Milano, Venezia 1592.
[13] Impossibile risalire alla fonte degli erronei 12 pulcini, anziché 7 come attesta il manufatto che ancor oggi possediamo. § Ecco cosa troviamo in Historia dell'antichità di Milano (1592) I,8 quando Morigia sta elencando ciò che Teodolina donò alla Chiesa di San Giovanni Battista di Monza: [...] e vi lasciò ancora un tesoro, e una Pitta con docici (sic!) Pulcini d'oro masiccio (sic!) [...]. § È assai verosimile che 12 anziché 7 sia un madornale errore di Paolo Morigia. Scrisse di lui Girolamo Tiraboschi (gesuita, storico della letteratura ed erudito italiano, 1731-1794): le sue opere sono assolutamente mancanti di spirito critico. Questo ce lo riferisce www.provincia.va.it. Se non bastasse, l'Enciclopedia Biografica Universale Treccani (2007) aggiunge: scrisse moltissimo, accompagnando a un'estrema credulità la cura di raccogliere il maggior numero possibile di notizie e fatti. § Chi troppo vuole nulla stringe!
[14] Introvabili nel web Theogilla nonché Theogilia. Raro Teodelinda. In inglese suona sia come Theodelinda che come Theodolinda. Paolo Morigia usò Teodolina. § Si potrebbe ipotizzare che Aldrovandi ribattezzò Teodolinda con Theogilla, ma l'illazione di cui si parla nella nota seguente fa sorgere il sospetto che Aldrovandi abbia tratto Theogilla da un'altra fonte di cui non dà referenza. § Lind (1963) ha tradotto con Theogilla.
[15] Si tratta di un'illazione di Aldrovandi, in quanto Paolo Morigia né in I,8 di Historia dell'antichità di Milano (1592) cui sta facendo riferimento Aldrovandi, né in altri punti di quest'opera, si sogna di affermare che la chioccia coi 7 pulcini - 12 per Morigia - venne realizzata per ordine di Teodolinda. Ecco le parole di Morigia che sta elencando ciò che la regina donò alla Chiesa di San Giovanni Battista di Monza da lei fatta edificare come oraculum nel 595: [...] e vi lasciò ancora un tesoro, e una Pitta con docici (sic!) Pulcini d'oro masiccio (sic!) [...]. § Il Dizionario della lingua italiana di Niccolò Tommaseo e Bernardo Bellini (1865-1879) riferisce che pitta equivale a gallina: Pitta s. f. per Gallina è voce fanciullesca, ma su per la Montagna pistojese lo dicono anche gli adulti. § In dialetto valenzano (Valenza – AL) e nelle aree circostanti si usa pita con una sola t per indicare la chioccia. Potrebbe trattarsi di un vocabolo di origine onomatopeica che rispecchia il continuo petulante richiamo emesso della chioccia ai suoi pulcini. Che pita indichi petulanza lo conferma ciò che si dice a una persona noiosa: Fa nijnta la pita – Non fare la chioccia ~ A t'è nuius acmé na pita – Sei noioso come una chioccia. § Grazie a Fernando Civardi veniamo a sapere che anche a Milano la chioccia è detta pita, mentre a Motta Visconti (MI) è detta pitt. § Da non confondere la pitta di Morigia con pitta (voce di origine telugu, lingua dravidica parlata nell'India centro-orientale) che identifica un genere di uccelli passeriformi con una ventina di specie diffuse in Africa, Asia e Australia, come per esempio la Pitta del Bengala, Pitta brachyura.
[16] Ulteriore dimostrazione degli errori contenuti nel greco che ci ammannisce Aldrovandi. È possibile contraddire Ulisse anche se non disponiamo del testo di Hubert Goltz dal quale ha desunto le notizie numismatiche. Le numerose monete dei Bruzzi reperibili nel web portano come leggenda mamertinøn e non mamertinøa. Si veda il lessico alla voce Mamertini.
[17] Metam. (Aldrovandi) - Metamorphoses V,648-649: Iam super Europen sublimis et Asida terram | vectus erat iuvenis: Scythicas advertitur oras. - IX,447- 449: Sponte fugis, Milete, tua, celerique carina | Aegaeas metiris aquas, et in Aside terra | moenia constituis positoris habentia nomen.
[18] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 404: Asis (regio puto sic dicta) puerum delphino insidentem numis insculpebat, Dardanis gallorum pugnam, Pollux lib. 9. et Caelius.
[19] Onomastikón lib. 9. (Aldrovandi)
[20] Il sostantivo greco neutro sélinon viene tradotto con apio, sedano, prezzemolo. Il nome scientifico del prezzemolo è Petroselinum hortense, dal greco petrosélinon, sedano che nasce tra le pietre, da pétra, pietra+sélinon, sedano.
[21] Ennesima dimostrazione degli errori di cui straripa il greco propinatoci da Aldrovandi. È possibile contraddire Ulisse anche se non disponiamo del testo di Hubert Goltz dal quale ha desunto le notizie numismatiche. Le numerose monete di Selinunte reperibili nel web, e non solo nel web, portano come leggenda selinontion e non selinøntiøn. § Inoltre è assai verosimile che si tratti di tetradracme e la tetradracma in greco suona tetrádrachmon che è di genere neutro, cui si adatta perfettamente l'aggettivo selinontion = di Selinunte = tetradracma di Selinunte. § A essere precisi selinontion andrebbe scritto selinoyntion, ma non ci è più possibile redarguire gli abitanti di Selinunte.
[22] Si tratta della scrittura speculare di hypsas. § Nella leggenda della moneta la lettera h indica l'aspirazione, sostituita poi dallo spirito aspro che oggi si rappresenta così: ‛. Infatti la traslitterazione dal greco del fiume Ipsas, oggi Belice, corrisponde a Hypsâs che è di genere maschile e dove la y è accompagnata dallo spirito aspro che nel nostro alfabeto viene espresso con H oppure h a seconda se il vocabolo inizia con la maiuscola o con la minuscola. § Per il fiume Belice si veda il lessico alla voce Selinunte.