Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

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Herodotus[1] vero eos ait primos galeis cristas imposuisse, et clypeis signa adiunxisse, et lora scutorum excogitasse. Hinc praeterea factum est, ut Persae Caras omnes ἀλεκτρυόνας dicerent, id est, Gallos, διὰ τούς λόφους , id est, a conis, quos in galeis portabant, ad quod lepidissimus fortasse Aristophanes[2] allusit, dum Gallos quandoque imperitasse Persarum gentibus dicat: quo argumento etiam Persica appelletur avis Gallus, atque eo item nomine cyrbasiam, et tiaram gestat, quod regibus tantum licebat, tradente Clitarcho[3].

In verità Erodoto scrive che essi - i Carii - furono i primi a collocare i cimieri sugli elmi, e ad attaccare degli emblemi sugli scudi rotondi, e a ideare le cinghie di cuoio degli scudi. Per cui ne è pure derivato il fatto che i Persiani chiamavano tutti i Carii alektryónas, cioè galli, dià toús lóphous, cioè a causa dei cimieri che portavano sugli elmi, cosa alla quale forse alluse lo spiritosissimo Aristofane quando dice che i galli un tempo regnarono sulle popolazioni dei Persiani: per questo motivo il gallo verrebbe anche chiamato uccello persiano, e parimenti, come riferisce Clitarco di Colofone, per lo stesso motivo porta anche sulla testa una tiara detta kyrbasìan - turbante aguzzo dei Persiani, che era permessa solo ai re.

In Apollinis Delphici celeberrimo templo, ut Plutarchus[4] author est, eius Dei imago erat, quae manu Gallinaceum tenebat, ut horam matutinam, et tempus instantis ortus designaret. Gallum in foro Romano depictum fuisse ex Plinio[5] habemus: deinde video, inquit, et in foro {positus} <positas> vulgo. Hinc enim ille Crassi oratoris lepos agentis sub veteribus, cum testis (alias reus) compellatus instaret: Dic ergo, Crasse, qualem me reris? Talem, inquit, ostendens in tabula pictum inficetissime (alias infacetissime) Gallum exerentem linguam. Quod forte Plinius ex Cicerone[6] transcripsit. Quintilianus tamen id factum e C. Iulio narrat. Illum enim obstrepenti Helvio[7], ac saepius instanti qualem se tandem ostensurum esset, digito monstrasse imaginem Galli pictam in scuto {Mariani Cimbrici} <Mariano Cimbrico>, cui tunc Helvius simillimus videbatur.

Come riferisce Plutarco, nel celeberrimo tempio di Apollo di Delfi vi era una rappresentazione del dio che teneva con la mano un gallo affinché indicasse il mattino e il momento dell’imminente sorgere del sole. Attraverso Plinio possiamo sapere che nel foro romano era stato dipinto un gallo, e dice: E quindi vedo che dei dipinti sono stati collocati dappertutto anche nel foro. Infatti da ciò è nata quella battuta dell’oratore Lucio Licinio Crasso che stava disquisendo sulle botteghe dei cambiavalute situate sul lato meridionale del foro, quando un osservatore (cioè la parte in causa) accusato lo incalzò: Dimmi dunque, o Crasso, come pensi che io sia? Così, rispose, mostrando su un pannello un gallo dipinto che tirava fuori la lingua in modo alquanto insulso. Forse Plinio ha trascritto ciò prendendolo da Cicerone. Tuttavia Quintiliano narra che ciò fu messo in atto da Gaio Giulio Cesare. Infatti costui con un dito mostrò a Elvio, che lo importunava schiamazzando e lo incalzava piuttosto spesso chiedendo che una volta per tutte gli facesse vedere come era l’immagine di un gallo dipinta su uno scudo che Gaio Mario aveva conquistato ai Cimbri, al quale Elvio in quel momento sembrava rassomigliare assai.

Notissima insuper historia est apud Pausaniam[8], et Suidam[9] (variant tamen nonnihil inter se) Athenienses Anterotis aram constituisse, in qua pueri nudi, et formosi signum erat, in ulnis geminos sustinentis generosos Gallos, et se in caput {impellentes} <impellentis>, quibus Timagoram, et {Meletum} <Meletem>[10] qui amore perierunt, significabant. Gestat autem puer Gallinaceos: quod una cum duobus Gallis, quos a {Meleto} <Melito> sibi dono datos ulnis gestabat, ex arce Athenis se praecipitasset<.>

Inoltre è arcinota una storia che si trova in Pausania e nel lessico Suida (tuttavia sono un po’ diverse tra loro) che gli Ateniesi eressero l’altare di Anteros sulla quale si trovava la rappresentazione di un fanciullo nudo e avvenente che sosteneva sugli avambracci una coppia di galli di razza, e che si gettava giù a capofitto, coi quali indicavano Timagora e Melete che morirono per amore. Infatti il fanciullo porta i galli: in quanto si sarebbe precipitato in Atene dall’acropoli insieme ai due galli che portava sugli avambracci e che gli erano stati dati in dono da Melito.

Gallinacei icon in excelsarum turrium {ex}[11] apicibus ex orichalco conflata, et inaurata plerunque, imponi solet, lamina ad ventum versatili. Monzae in Gallia Transpadana Gallina videtur una cum pullis ex auro Theodorico rege ibi facta. Paulus Morigia[12] hanc auream Gallinam cum duodecim [septem[13]] pullis pariter aureis Theogillae[14] reginae Christianarum rerum studiosissimae iussu confectam testatur[15], eamque ab illa in templo, quod Monzae D. Io. Baptistae voverat, inter alia regia dona memoriae consecrasse. Mirum, quod scribit Georgius Agricola, lapidem Eislebanum aliquando Galli effigiem referre.

Sulle sommità delle torri più alte viene abitualmente collocata la figura di un gallo fusa in ottone, e per lo più dorata, applicata su una lamina girevole al vento. A Monza nella Gallia Transpadana si può vedere una gallina insieme ai pulcini qui realizzata in oro dal re Teodorico. Paolo Morigia attesta che questa gallina d’oro con sette pulcini anch’essi d’oro è stata realizzata per ordine della regina Teodolinda appassionata studiosa delle cose inerenti il Cristianesimo, e che lei la consacrò alla memoria insieme agli altri doni regi nella chiesa che aveva dedicato in Monza a San Giovanni Battista. È straordinario ciò che scrive Georg Bauer, che talora la pietra di Eisleben riporta la raffigurazione di un gallo.

Quod modo ad numismata attinet, in quibus imago Galli Gallinacei conspicitur, statuendum est ea vel in Galli, vel in Deorum, quibus consecratus erat, honorem, {cusa} <fusa> fuisse. In Mamertinorum in primis numismatibus Gallus figura erecta, ita ut velut cucurrire velle videatur, apparet cum astro prope eius collum: inscriptio est talis. {ΜΑΜΕΡΤΙΝΩΑ} <ΜΑΜΕΡΤΙΝΩΝ>[16] ΒΡΕΤΤΙΩΝ. In altera nummi parte est figura erecta, pectus, ventremque duntaxat velata, dextra baculum cum flagello, sinistra hastam tenens: humi prope eam a dextra thorax, a sinistra parma iacet. Asis (regio puto sic dicta. Nam et Ovidius[17], teste Abrahamo Ortelio, ita Asiam vocat) puerum delphino insidentem numis {insculpebant} <insculpebat>[18]: Dardani<s> Gallorum pugnam: author est Pollux[19], quod ideo fecisse eos Pierius Valerianus recte existimat, quoniam magnum pugnacitatis decus sibi antiquitus usurparent. Hinc honoratum semper apud Maronem Dardaniae nomen, cum secus Phryges fere semper ceu imbelles notentur.

Adesso, per quanto riguarda le monete in cui si rileva la presenza dell’effige di un gallo, bisogna stabilire se esse furono coniate in onore del gallo oppure degli dei ai quali era sacro. Innanzitutto nelle monete dei Mamertini è visibile un gallo in atteggiamento eretto come se apparentemente volesse cantare, con un astro vicino al suo collo: l’iscrizione è la seguente: mamertinøn brettiøn - dei Bruzzi. Nell’altro lato della moneta si trova una figura eretta, con un velo solo a livello del petto e del ventre, che tiene con la destra un bastone munito di flagello, con la sinistra una lancia: a terra vicino a lei giace sulla destra una corazza, sulla sinistra uno scudo piccolo e rotondo. Gli Asiatici (ritengo che Asis è la cosiddetta regione asiatica. Infatti anche Ovidio, come attesta Abraham Oertel, chiama così l’Asia) imprimevano sulle monete un ragazzo seduto su un delfino: i Dardani - i Troiani - vi raffiguravano un combattimento di galli: lo scrive Giulio Polluce, e Giovan Pietro Bolzani - alias Pierius Valerianus - ritiene che l’hanno fatto a buon diritto in quanto nei tempi antichi si attribuivano una grande reputazione di aggressività. Per questo in Publio Virgilio Marone il nome di Dardania - Troia - è sempre stimato, mentre al contrario i Frigi sono quasi sempre marchiati come codardi.

Hubertus {Goltius} <Goltzius> {Selenontinorum} <Selinuntiorum> numismata, in quibus icon Galli conspicitur, depicta exhibet: in quorum primo viri nudi in adversa parte imago est, pateram dextra, sinistra lauri, vel olivae ramum tenentis: a dextra eius ara est, supra quam ignis, et ante eam Gallus tanquam festinanter currens, a sinistra cippus, cui insidit taurus, seu bos caput declinans, et cornibus suis incursum minitans: supra tauri tergus folium selini[20] herbae (quam Latini apium nuncupant) a qua {Selinontis} <Selinuntis> urbs nomen obtinuit, item Selinus fluvius, qui haud procul ab eius urbis moenibus praeterlabebatur. Inscriptio numi est {ΣΕΛΙΝΩΝΤΙΩΝ} <ΣΕΛΙΝΟΝΤΙΟΝ>[21]. Ab altera numi parte biga est, cui duo insistunt viri nudi, quorum alter qui est a dextra, lora equorum sinistra tenet, dextra sagittam tensi arcus: qui vero a sinistra stat arcum iam dictum dextra retinet, sinistra baculum, quo equos regat, et in hac parte nulla erat inscriptio, contra ac in altero eorundem {Selenontinorum} <Selinuntiorum> numo, in quo praedicta inscriptio est in parte bigae, in adversa vero istaec ΣΑΨΥΗ[22], caetera eodem fere se habebant modo, nisi quod hic in ara focus non adsit, et taurus in cippo elaborato consistat. Tertium a primo differebat, quod ab utraque parte numi eadem inscriptio est {ΣΕΛΙΝΩΝΤΙΩΝ} <ΣΕΛΙΝΟΝΤΙΟΝ>, item in eo quod ab utraque cippi parte lauri ramus dependet.

Hubert Goltz fornisce delle riproduzioni di monete degli abitanti di Selinunte nelle quali si vede la figura di un gallo: sul recto della prima di esse si trova la figura di un uomo nudo che tiene con la destra una coppa, con la sinistra un ramo di alloro o di ulivo: alla sua destra si trova un altare sul quale c’è del fuoco, e davanti all’altare un gallo che corre quasi a rompicollo, alla sinistra si trova un cippo sul quale sta seduto un toro, o un bue, con la testa inclinata, e che minaccia un assalto con le sue corna: sopra alla schiena del toro una foglia di sedano (che i Latini chiamano apio) dal quale la città ha ricevuto il nome di Selinunte, lo stesso il fiume Selinunte che scorreva non lontano dalle mura di quella città. La scritta della moneta è selinontion. Sul verso della moneta c’è una biga sulla quale si trovano due uomini nudi, e quello dei due che è a destra tiene con la sinistra le briglie dei cavalli, con la destra la freccia di un arco teso: quello che si trova a sinistra impugna il suddetto arco con la destra, con la sinistra un bastone col quale poter governare i cavalli, e su questo lato non c’era alcuna iscrizione, e invece in un’altra moneta degli stessi abitanti di Selinunte, nella quale si trova l’anzidetta iscrizione sul lato dove si trova la biga, sul lato opposto si trova questa, sapsyh, le altre cose erano disposte quasi allo stesso modo, salvo che in questa sull’altare non c’è fuoco e il toro sta su un cippo elaborato. La terza differiva dalla prima in quanto su entrambi i lati della moneta si trova la stessa scritta selinontion, e parimenti per il fatto che da ambedue i lati del cippo pende un ramo di alloro.

Quartum numisma ab omnibus diversum est. Hic enim nuda illa imago, quam Herculis esse remur, dextra pateram, ut in superioribus, sed sinistra clavam gestat aculeis armatam, et a parte dextra altare quidem astat, sed sine foco, ac magis quam in illis elaboratum, praeterea ante id serpens est capite erecto: a sinistra parte Gallus, atque demum supra eam Selini folium cum inscriptione ut in secundo, sed transpositis literis, nempe hoc modo ΗΥΨΑΣ. In aversa numi parte eadem imago taurum cornu prehensum retinens, sinistra erecta clava minitans: fuerit autem haud dubio taurus Eric<h>t<h>onius, quem Hercules [306] superasse dicitur: inscriptio {ΣΕΛΙΝΩΝΤΙΩΝ} <ΣΕΛΙΝΟΝΤΙΟΝ>.

La quarta moneta è diversa da tutte le altre. Infatti qui quella figura nuda che pensiamo essere di Ercole, con la destra porta una coppa, come nelle precedenti, ma con la sinistra porta una clava munita di aculei, e se ne sta dritta dal lato destro dell’altare, ma senza fuoco, più elaborato che nelle altre, inoltre davanti all’altare c’è un serpente con la testa eretta: sul lato sinistro dell’altare c’è un gallo e infine al di sopra una foglia di sedano con una scritta come nella seconda moneta, ma con le lettere trasposte, e cioè in questo modo, hypsas. Sul recto della moneta c’è la stessa figura che trattiene un toro preso per un corno, e che con la sinistra minaccia tenendo alzata la clava: senza dubbio sarà stato il toro Erittonio - il toro furioso che imperversava nell’isola di Creta - che si dice sia stato sconfitto da Ercole: la scritta è silinontion.


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[1] Storie I. (Aldrovandi)

[2] In Avibus. (Aldrovandi) - Gli uccelli, 483

[3] L. Cur Pythia non amplius carmine respondeat. (Aldrovandi) - In Sententiae (ed. by A. Elter) in Index Lect. Hib. ... (Bonn, 1892). (Lind, 1963) § Forse Lind ha scambiato Clitarco gnomologo – che scrisse The sentences of Sextus, ed. H. Chadwick, Cambridge, 1959 – con Clitarco di Colofone. § In base al rimando fornito da Aldrovandi dovrebbe trattarsi dell’opera Sugli oracoli pitici di Plutarco che va invece riferita alla citazione tratta da Plutarco del paragrafo seguente, come si può correttamente desumere da Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 404: In Apollinis Delphici templo chirotechnae (id est opifices manuarii) frigida quaedam et curiosa fecerunt, ut qui manui Apollinis gallinaceum imposuit, ut horam matutinam et tempus instantis ortus designaret, Plutarchus in libro Cur Pythia non amplius carmine respondeat. - Sempre a pagina 404 di Gessner si trova il brano tratto da Clitarco tramite lo Scoliaste: Quanquam enim (inquit Scholiastes) Persae omnes tiaram ferrent, solis tamen regibus erectam ferre fas erat: caeteris complicata erat vel in frontem prona vergebat, ut Clitarchus tradit. § I frammenti delle Storie d'Alessandro di Clitarco di Colofone sono contenuti in Jacoby, F., Die Fragmente der griechischen Historiker, I, Leiden 19572; II A, Berlín 1926; II B, Berlín 1929; III A, Leiden 19542; III B, Leiden 1950; III C, Leiden 1958.

[4] Aldrovandi non dà nessuna referenza per questa notizia tratta da Plutarco, ma dovrebbe trattarsi del Cur Pythia non amplius carmine respondeat o Sugli oracoli pitici di Plutarco, erroneamente riferito poc’anzi a Clitarco. Si veda Pizio.

[5] Naturalis historia XXXV,24-25: Quam primam arbitror picturam externam Romae publicatam, deinde video et in foro positas volgo. Hinc enim ille Crassi oratoris lepos agentis sub Veteribus; [25] cum testis compellatus instaret: dic ergo, Crasse, qualem me noris? Talem, inquit, ostendens in tabula inficetissime Gallum exerentem linguam.

[6] De Oratore II,266. (Aldrovandi)

[7] Aldrovandi ne ha già parlato a pagina 272. § Cicerone De Oratore II,266: Valde autem ridentur etiam imagines, quae fere in deformitatem aut in aliquod vitium corporis ducuntur cum similitudine turpioris: ut meum illud in Helvium Manciam "iam ostendam cuius modi sis," cum ille "ostende, quaeso"; demonstravi digito pictum Gallum in Mariano scuto Cimbrico sub Novis distortum, eiecta lingua, buccis fluentibus; risus est commotus; nihil tam Manciae simile visum est; ut cum Tito Pinario mentum in dicendo intorquenti: "tum ut diceret, si quid vellet, si nucem fregisset." § Quintiliano, Institutio oratoria VI,3,38: Rarum est ut oculis subicere contingat, ut fecit C. Iulius: qui cum Helvio Manciae saepius obstrepenti sibi diceret: "iam ostendam qualis sis", isque plane instaret interrogatione qualem tandem se ostensurus esset, digito demonstravit imaginem Galli in scuto Cimbrico pictam, cui Mancia tum simillimus est visus: tabernae autem erant circa forum ac scutum illud signi gratia positum.

[8] Periegesi della Grecia I, Attica, 30,1. (Aldrovandi) - Aldrovandi ne ha già parlato a pagina 268 dove viene discussa anche tutta la problematica di Meles, Meletus e Melitus, nuovamente esposta appena più avanti.

[9] In dictione Miletus. (Aldrovandi) - Conrad Gessner ha invece “in dictione Melitus” - Referenza già data a pagina 268 da Aldrovandi e nel lessico Suida la voce Melitus suona Mélitos.

[10] Il nome greco di persona Mélës, Mélëtos, accusativo Mélëta, Melete in italiano, viene latinizzato da Giglio Gregorio Giraldi in Meletum anziché Meletem. Se la sua flessione latina corrisponde a quella del fiume della Ionia Meles, anche il nome di persona fa Meletem all’accusativo. La conferma l'abbiamo da Ludwig Dindorf alias Ludovicus Dindorfius (Lipsia 1805-1871), che pubblicò il Pausaniae descriptio Graeciae a Parigi nel 1845: al nominativo scrive Meles, all'accusativo Meletem. § Ecco il testo di Pausania in traduzione inglese, Description of Greece I, Attica, 30,1: Before the entrance to the Academy is an altar to Love, with an inscription that Charmus was the first Athenian to dedicate an altar to that god. The altar within the city called the altar of Anteros (Love Avenged) they say was dedicated by resident aliens, because the Athenian Meles, spurning the love of Timagoras, a resident alien, bade him ascend to the highest point of the rock and cast himself down. Now Timagoras took no account of his life, and was ready to gratify the youth in any of his requests, so he went and cast himself down. When Meles saw that Timagoras was dead, he suffered such pangs of remorse that he threw himself from the same rock and so died. From this time the resident aliens worshipped as Anteros the avenging spirit of Timagoras. (Description of Greece with an English Translation by W.H.S. Jones, Litt.D. in 4 Volumes. Volume 1. Attica and Corinth, Cambridge, MA, Harvard University Press; London, William Heinemann Ltd., 1918)

[11] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 404: In excelsarum turrium apicibus gallinacei icon ex orichalco conflata, et inaurata plerunque, imponi solet, lamina ad ventum versatili. Vide Emblema Alciati quod in fine historia galli recitabitur.

[12] Lib. 1 c. 8 hist. Medio. (Aldrovandi) - Historia dell'antichità di Milano, Venezia 1592.

[13] Impossibile risalire alla fonte degli erronei 12 pulcini, anziché 7 come attesta il manufatto che ancor oggi possediamo. § Ecco cosa troviamo in Historia dell'antichità di Milano (1592) I,8 quando Morigia sta elencando ciò che Teodolina donò alla Chiesa di San Giovanni Battista di Monza: [...] e vi lasciò ancora un tesoro, e una Pitta con docici (sic!) Pulcini d'oro masiccio (sic!) [...]. § È assai verosimile che 12 anziché 7 sia un madornale errore di Paolo Morigia. Scrisse di lui Girolamo Tiraboschi (gesuita, storico della letteratura ed erudito italiano, 1731-1794): le sue opere sono assolutamente mancanti di spirito critico. Questo ce lo riferisce www.provincia.va.it. Se non bastasse, l'Enciclopedia Biografica Universale Treccani (2007) aggiunge: scrisse moltissimo, accompagnando a un'estrema credulità la cura di raccogliere il maggior numero possibile di notizie e fatti. § Chi troppo vuole nulla stringe!

[14] Introvabili nel web Theogilla nonché Theogilia. Raro Teodelinda. In inglese suona sia come Theodelinda che come Theodolinda. Paolo Morigia usò Teodolina. § Si potrebbe ipotizzare che Aldrovandi ribattezzò Teodolinda con Theogilla, ma l'illazione di cui si parla nella nota seguente fa sorgere il sospetto che Aldrovandi abbia tratto Theogilla da un'altra fonte di cui non dà referenza. § Lind (1963) ha tradotto con Theogilla.

[15] Si tratta di un'illazione di Aldrovandi, in quanto Paolo Morigia né in I,8 di Historia dell'antichità di Milano (1592) cui sta facendo riferimento Aldrovandi, né in altri punti di quest'opera, si sogna di affermare che la chioccia coi 7 pulcini - 12 per Morigia - venne realizzata per ordine di Teodolinda. Ecco le parole di Morigia che sta elencando ciò che la regina donò alla Chiesa di San Giovanni Battista di Monza da lei fatta edificare come oraculum nel 595: [...] e vi lasciò ancora un tesoro, e una Pitta con docici (sic!) Pulcini d'oro masiccio (sic!) [...]. § Il Dizionario della lingua italiana di Niccolò Tommaseo e Bernardo Bellini (1865-1879) riferisce che pitta equivale a gallina: Pitta s. f. per Gallina è voce fanciullesca, ma su per la Montagna pistojese lo dicono anche gli adulti. § In dialetto valenzano (Valenza – AL) e nelle aree circostanti si usa pita con una sola t per indicare la chioccia. Potrebbe trattarsi di un vocabolo di origine onomatopeica che rispecchia il continuo petulante richiamo emesso della chioccia ai suoi pulcini. Che pita indichi petulanza lo conferma ciò che si dice a una persona noiosa: Fa nijnta la pita – Non fare la chioccia ~ A t'è nuius acmé na pita – Sei noioso come una chioccia. § Grazie a Fernando Civardi veniamo a sapere che anche a Milano la chioccia è detta pita, mentre a Motta Visconti (MI) è detta pitt. § Da non confondere la pitta di Morigia con pitta (voce di origine telugu, lingua dravidica parlata nell'India centro-orientale) che identifica un genere di uccelli passeriformi con una ventina di specie diffuse in Africa, Asia e Australia, come per esempio la Pitta del Bengala, Pitta brachyura.

[16] Ulteriore dimostrazione degli errori contenuti nel greco che ci ammannisce Aldrovandi. È possibile contraddire Ulisse anche se non disponiamo del testo di Hubert Goltz dal quale ha desunto le notizie numismatiche. Le numerose monete dei Bruzzi reperibili nel web portano come leggenda mamertinøn e non mamertinøa. Si veda il lessico alla voce Mamertini.

[17] Metam. (Aldrovandi) - Metamorphoses V,648-649: Iam super Europen sublimis et Asida terram | vectus erat iuvenis: Scythicas advertitur oras. - IX,447- 449: Sponte fugis, Milete, tua, celerique carina | Aegaeas metiris aquas, et in Aside terra | moenia constituis positoris habentia nomen.

[18] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555) pag. 404: Asis (regio puto sic dicta) puerum delphino insidentem numis insculpebat, Dardanis gallorum pugnam, Pollux lib. 9. et Caelius.

[19] Onomastikón lib. 9. (Aldrovandi)

[20] Il sostantivo greco neutro sélinon viene tradotto con apio, sedano, prezzemolo. Il nome scientifico del prezzemolo è Petroselinum hortense, dal greco petrosélinon, sedano che nasce tra le pietre, da pétra, pietra+sélinon, sedano.

[21] Ennesima dimostrazione degli errori di cui straripa il greco propinatoci da Aldrovandi. È possibile contraddire Ulisse anche se non disponiamo del testo di Hubert Goltz dal quale ha desunto le notizie numismatiche. Le numerose monete di Selinunte reperibili nel web, e non solo nel web, portano come leggenda selinontion e non selinøntiøn. § Inoltre è assai verosimile che si tratti di tetradracme e la tetradracma in greco suona tetrádrachmon che è di genere neutro, cui si adatta perfettamente l'aggettivo selinontion = di Selinunte = tetradracma di Selinunte. § A essere precisi selinontion andrebbe scritto selinoyntion, ma non ci è più possibile redarguire gli abitanti di Selinunte.

[22] Si tratta della scrittura speculare di hypsas. § Nella leggenda della moneta la lettera h indica l'aspirazione, sostituita poi dallo spirito aspro che oggi si rappresenta così: ‛. Infatti la traslitterazione dal greco del fiume Ipsas, oggi Belice, corrisponde a Hypsâs che è di genere maschile e dove la y è accompagnata dallo spirito aspro che nel nostro alfabeto viene espresso con H oppure h a seconda se il vocabolo inizia con la maiuscola o con la minuscola. § Per  il fiume Belice si veda il lessico alla voce Selinunte.