Ulisse Aldrovandi
Ornithologiae tomus alter - 1600
Liber
Decimusquartus
qui
est
de Pulveratricibus Domesticis
Libro
XIV
che tratta
delle domestiche amanti della polvere
trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti
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Chrysippus[1]
scribit, quendam somnium suum, quo ova a lecto suo pendentia viderat{;}<,>
ad [273] divinatorem retulisse: audiisseque ex illo, inventurum se ubi
foderet, thesaurum. Et cum, vase, in quo aurum, argentumque erat invento
ad vatem argenti nonnihil attulisset, dixisse illum, τοῦ δὲ νεοττοῦ οὐδὲν μοι δίδως<;> hoc est, de vitello vero nihil ne mihi dabis? Author
est Suidas[2].
Lusit autem is pulchre circa somnium ovorum, in quibus candidum, et
luteum continentur, illud ad argentum, hoc ad aurum referens, cum in
somnii interpretatione, tum magis argenti <tantum[3]>
parte muneri oblata. |
Crisippo
scrive di aver riferito a un indovino un suo sogno nel quale aveva visto
delle uova che pendevano dal suo letto: e che aveva sentito dire da lui
che dove si fosse messo a scavare avrebbe trovato un tesoro. E siccome
dopo aver trovato un vaso in cui c’era dell’oro e dell’argento
aveva portato un pochino d’argento al vate, costui disse toû dè
neottoû oudèn moi dídøs? cioè, ma non mi darai niente del
tuorlo? Ce lo riferisce il lessico Suida. Lui scherzò bene sul sogno
delle uova, nelle quali sono contenuti il bianco e il giallo, riferendo
il primo all’argento, il secondo all’oro, dal momento che
nell’interpretazione di un sogno a quei tempi agli indovini veniva
dato in dono solo un pezzo d’argento. |
Cleomenes
Cleombroti, ut refert Plutarchus[4],
cum quidam ei Gallinaceos pugnaces offerret, {quos pugnando etiam pro
victoria emori dicebat} <quos pugnando pro victoria etiam emori
dicebat>[5]:
quin tu de illis potius, dixit mihi dato, a quibus occiduntur. Illi
enim praestabunt. Ab Alcibiade Socratem interrogatum, cur tam iurgiosam
uxorem domo non exigeret, ferunt respondisse, cur tu Gallinas clamosas
alis? Cumque Alcibiades respondisset, quia sibi ova parerent, dixisse,
et uxorem sibi liberos parere. |
Come
riferisce Plutarco, Cleomene
II, figlio di Cleombroto
II, siccome un
tale gli offriva dei galli da combattimento affermando che combattendo
per la vittoria morivano pure, disse: orsù, me li darai preferibilmente
scegliendoli tra quelli dai quali vengono uccisi. Essi infatti saranno
migliori. Raccontano che Socrate, interrogato da
Alcibiade perché
non scacciasse di casa una moglie tanto petulante, rispose: perché
allevi le galline che schiamazzano? E siccome Alcibiade aveva risposto
che era perché gli facevano le uova, allora egli disse che anche sua
moglie gli faceva dei figli. |
PROVERBIA. |
PROVERBI |
Aliquot
proverbiorum in superioribus rubricis, maxime capite de magnanimitate[6]
meminimus, qualia in primis sunt,
Gallus insilit[7].
Ἀλεκτρυών ἐπιπηδᾷ. Egregie, apteque quadrat,
ubi quis vel in acie, pugnave succumbens vel in disputatione resumptis
viribus praelium redintegrat. Similis paroemia est, αἶρε πλῆκτρον ἀμυντήριον,
id est, tolle calcar ultorium: cuius
etiam mentionem fecimus[8].
Recte autem dicitur, cum quis sese ad vindictam praeparat. Extat adagium
apud Aristophanem[9], Αἶρε πλῆκτρον εἰ
μάχει,
id est, tolle calcar si pugnas.
Metaphora ut videtur sumpta est a ferreis illis stimulis, qui Gallis
pugnaturis a dominis alligantur, quo se in pugna tueantur. |
Nei
capitoli precedenti, soprattutto nel capitolo riguardante il coraggio,
abbiamo citato alcuni proverbi, i quali sono innanzitutto, Il gallo
va all’assalto. Alektryøn epipëdâi. Si adatta
in modo egregio e appropriato a quando qualcuno, venendo sconfitto in
battaglia o in combattimento oppure durante una disputa, dopo aver
riacquistato le forze riprende il combattimento. Simile è il proverbio aîre
plëktron amyntërion, cioè, metti lo sperone vendicatore: del
quale abbiamo pure fatto menzione. Lo si dice giustamente quando
qualcuno si prepara alla vendetta. Si trova un adagio in Aristofane, Aîre
plëktron ei máchei, cioè, Metti lo sperone se combatti. A
quanto pare la metafora è stata desunta da quei pungoli di ferro che
vengono legati dai proprietari ai galli che stanno per combattere
affinché si possano difendere durante lo scontro. |
Proverbiali
etiam ioco dici diximus[10]
ἡττήθης τινός
ἀλεκτρυόνος in famulos, qui dominos suos a tergo sequuntur, supplices videlicet, et
abiecti, quales scilicet Galli esse solent in pugna superati, quia victi
silere solent, canere victores. Cui finitimum est ἐνδομάχας
ἅτ'ἀλέκτωρ,
id
est, domi pugnas ad instar Galli[11].
Item
et illud: Gallus in suo
sterquilinio plurimum potest[12]. Nam
dicuntur eiuscemodi proverbia in eos, qui domi viribus praestant, in
bello vero, vel alibi cuivis virtute cedunt, pugnacitateque. Αὐτὸς
αὐτὸν αὐλεῖ,
idest, {ipsemet} <ipse
semet> canit {seu} <seu>[13]
ipse
suimet tibicen <est>. Proverbium
hoc a Gallis desumptum apparet: nam his praecipue mos est, cum se e
pugna prorumpunt, canere si victores sint, quasi victoriae suae
tibicines, quare proverbium convenit, cum alias, tum in illos, qui
semetipsos laudant, Thrasones, nasutulosque, de quibus Plato[14]
forte dicebat: Videmur mihi <ignavi>[15]
Galli in morem, quum ante victoriam a sermone resilierimus, canere. |
Abbiamo
detto che come facezia sotto forma di proverbio si dice anche hëttëthës
tinòs alektruónos - sei
stato sconfitto da un qualche gallo - nei
confronti dei servi che
seguono i padroni stando alle loro spalle, cioè supplichevoli e
dimessi, proprio come sono soliti comportarsi i galli sconfitti in
combattimento, poiché se sconfitti sono soliti tacere, ma a cantare se
sono vincitori. Al quale è simile endomáchas hát'aléktør, cioè, combatti in casa tua come un
gallo. Uguale è anche quell’altro: un gallo è estremamente potente nel suo letamaio. Infatti
siffatti proverbi vengono detti nei confronti di quelli che a casa loro
sono superiori per forze, ma in guerra o da un’altra parte sono
inferiori alle doti e alla combattività di chicchessia. Autòs
autòn auleî, cioè, egli canta se stesso ossia egli
stesso è il flautista di se stesso. È chiaro che questo proverbio
è stato desunto dai galli: infatti quando si lanciano fuori da un
combattimento sono soprattutto loro ad avere l’abitudine di cantare se
sono vincitori, come se fossero dei flautisti della loro vittoria, per
cui il proverbio si addice non solo in altre circostanze ma anche a
coloro che lodano se stessi, gli smargiassi
- come un Trasone, e gli spiritosetti, dei quali forse parlava
Platone - nel dialogo Teeteto: Socrate:
Sembra che noi, alla stregua di un gallo vile, cantiamo vittoria
prima di avere vinto, balzando giù dal ragionamento. |
Cicero[16]
quoque proverbialiter scribit{,} <: similitudo vituperationis
causa> ut in invidiam adducat hoc modo. Iste
qui divitias suas iactat, sicut Gallus e Phrygia, aut <h>ariolus
quispiam depressus, et oneratus auro clamat et delirat. |
Anche
Cicerone. scrive sotto forma di proverbio: Una similitudine allo scopo
di biasimare affinché induca all’invidia deve essere fatta in questo
modo: Costui che ostenta le sue ricchezze grida e delira come un
- sacerdote - Gallo della Frigia o come un indovino sommerso e
sovraccarico d’oro. |
Ὅταν Νίβας
κοκκύσῃ,
id
est[17],
cum Nibas coccyssaverit. Simillimum est adagium illi ad Graecas
Kalendas. Tradunt enim, ut annotavimus, in Thessalonica Macedoniae
civitate vicum esse, cui nomen Nibas, ubi Galli nunquam vocem {a}edant.
Hesychius addit, Nibades dici capras cristatas, ut ab iis expectetur τὸ κοκκύζειν,
quod est Gallinaceorum.[18] |
Hótan
Nìbas kokkýse, cioè quando Nibas avrà cantato. È un
proverbio molto simile a quello che dice alle Calende greche.
Infatti, come abbiamo riferito, raccontano che nei pressi della città
macedone di
Tessalonica esiste un villaggio il cui nome è Nibas,
dove i galli non canterebbero mai. Esichio di Alessandria aggiunge che
delle capre fornite di ciuffo vengono dette di Nibas, in quanto ci si
aspetterebbe da loro che cantino – tò kokkýzein, il che è
caratteristico dei galli. |
Socratis Gallus.
Hoc
adagii vice Nonius Marcellus e Varrone citat in {significacionem}
<significationem> calvitiei, apud quem se invenisse quispiam ait,
cum dormire coepisset tam glaber, quam Socratis Gallus, esse factum
ericium cum pilis, et proboscide. Sentit quisquis illic loquitur, se cum
iret cubitum, fuisse levi corpore, nec ullos habuisse pilos toto corpore,
in somno transformatum in ericium, qui totus hirsutus est, et {suum}[19]
<suium> more proboscidem habet. Scio,
inquit author adagiorum[20]
locum esse mendosum, et Aldina editio pro Gallo legit calvum: et
fortassis non male: nam nostra editio Varronis verba ita recitat.
Invenisse <se> cum dormire coepisset tam glaber, quam Socrates,
calvum esse factum ericium e pilis albis: Conveniet adagium in nudos, et
inopes. |
Il
gallo di Socrate. Nonio Marcello cita ciò come se fosse un
proverbio traendolo da Varrone per significare la calvizie, e in Nonio
un tale dice di essersi ritrovato trasformato in un riccio con gli
aculei e la proboscide, mentre aveva iniziato a dormire che era glabro
tanto quanto il gallo di Socrate. Chiunque è in grado di capire che
quel tale là vuol dire che quando se ne andava a dormire era con il
corpo liscio e che non aveva alcun pelo in tutto il corpo, e che durante
il sonno si trasformò in un riccio che è tutto ispido. E che ha il
muso come i maiali. L’autore degli Adagia - Erasmo da Rotterdam - dice: so che il passo è sbagliato, e l’edizione
Aldina per gallo - gallus - ha calvo - calvus: e forse
non è sbagliato: infatti la nostra edizione di Varrone riferisce le
parole nel modo seguente: Mentre aveva cominciato a dormire che era
glabro quanto Socrate si ritrovò a essere un riccio calvo dagli aculei
bianchi: Il proverbio si attaglierà a coloro che sono nudi e poveri. |
Vesparum examen metuit Phrynichus, velut Gallinaceus:
Hic Phrynichus Tragicus[21]
Mileti captivitatem agebat: Athenienses vero metuentem, per{r}horrescentemque
lachrymantes eum eiecerunt: Author est Aelianus[22]:
sed alii aliter. Quadrat in damnum passos. Indecens
est, ut Gallina ante Gallum cantet: hoc est, non decet, ut mulier
pro viro gubernacula teneat, quod neque animi magnitudo, qua potissimum
civitatis salus nititur, neque consilium, quod ad urbanarum rerum
temperationes maximam vim habet, satis praesidii ad constituendam remp.
in ea vigeat. Feliciter natum, Albae
Gallinae filium dicunt, ut Iuvenalis[23]{.}<:>
quia tu Gallinae filius albae{:}<.>
Vel quod laeta, et auspicata {latini} <Latini> alba vocant,
vel quod proverbium alludit ad fatalem illam Gallinam[24],
de qua antea cum auguriis ageremus, ex Suetonio [274] locuti fuimus. |
Frinico
ebbe paura di uno sciame di vespe, come un gallo:
Questo Frinico scrittore di tragedie si trovava prigioniero a
Mileto:
infatti gli Ateniesi in lacrime scacciarono lui pieno di paura e di
terrore: ne è autore Eliano: ma altri lo hanno raccontato
diversamente. Si addice a coloro che hanno subìto un’ammenda. È
sconveniente che una gallina canti davanti a un gallo: cioè, è
sconveniente che una donna tenga i timoni al posto di un uomo, in quanto
né la nobiltà d’animo su cui si sostiene moltissimo la salvezza di
uno Stato, né la saggezza che ha la massima importanza per
l’organizzazione equilibrata delle cose di una città, in lei non si
trova un aiuto sufficiente per riordinare una repubblica. Uno che è
nato felicemente lo chiamano Figlio di una gallina bianca, come
Giovenale: Perché tu sei figlio di una gallina bianca. O perché
i Latini chiamano bianche le cose liete e con favorevoli auspici, oppure
perché il proverbio allude a quella gallina voluta dal fato di cui
abbiamo parlato in precedenza, deducendo i dati da Svetonio, mentre ci
occupavamo dei vaticini. |
[1] In lib. De Orac. (Aldrovandi) - Stoicorum veterum fragmenta.
[2] In {νεοτὸν} <νεοττὸν> (Aldrovandi) – Il lessico Suida lo riferisce alla voce neottòn accusativo di neottós o neossós = piccolo di uccello, uccellino, tuorlo d'uovo.
[3] Conrad Gessner Historia
Animalium III (1555), pag. 452-453: Et cum vase in quo aurum argentumque
erat invento, ad vatem argenti nonnihil attulisset: dixisse illum, Τοῦ
δὲ νεοττοῦ
οὐδὲν μοι
δίδως; hoc est, De
vitello vero nihil ne mihi dabis? Suidas
in Νεοττόν.
Lusit autem is pulchre circa somnium ovorum, in quibus candidum et luteum
continetur, illud ad argentum, hoc ad aurum referens, [453] cum in somnii
interpretatione, tum magis argenti tantum parte muneri oblata.
[4] Moralia, in Laconicis. (Aldrovandi)
[5] La posizione di etiam è corretta e sensata nel testo di Gessner, col quale si emenda quello di Aldrovandi. - Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 407: Cleomenes Cleombroti cum quidam ei gallinaceos pugnaces offerret, quos pugnando pro victoria etiam emori dicebat: Quin de illis potius (dixit) mihi dato a quibus occiduntur. illi enim praestabunt, Plutarchus in Laconicis.
[6] A pagina 236.
[7] Già citato a pagina 237.
[8] A pagina 238.
[9] Gli uccelli, 759. - Già citato a pagina 238.
[10] A pagina 237: superatus
es a Gallo quopiam. § Questo
proverbio/facezia è pronunciato da Euelpide negli Uccelli di
Aristofane ai versi 70-71: Ἐυε.
ἡττήθης τινὸς
|
ἀλεκτρυόνος.
§ Nella nota a piè pagina di pagina 237 abbiamo
dimostrato come erroneamente sia stato attribuito a un fantomatico Eudemo
anziché a Euelpide nel proverbio IV,2,78 (Chiliadis IIII Centuria II –
LXXVIII) degli Adagia di Erasmo del 1550 (Lugduni, apud Sebastianum
Gryphium).
[11] Citato a pagina 236
come Domi pugnans more Galli.
§ Confronta Pindaro Olimpiche XII 20-21 ἐνδομάχας
ἅτ'ἀλέκτωρ | συγγόνῳ
παρ’ἑστίᾳ.
[12] Già citato a pagina 236. § La fonte è Lucio Anneo Seneca, Apocolocyntosis 7,3: Claudius ut vidit virum valentem, oblitus nugarum intellexit neminem Romae sibi parem fuisse, illic non habere se idem gratiae: gallum in suo sterquilino plurimum posse.
[13] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 405-406: Ipse semet canit, Αὐτὸς [406] αὐτὸν αὐλεῖ, ipse suimet tibicen est: proverbium conveniens cum alias tum in illos qui semetipsos laudant, qui mos est gallis gallinaceis, etiam quum e pugna se proripuerint.
[14] In Theaeteto. (Aldrovandi)
- Aldrovandi omits the word agennous, “low-born”. (Lind, 1963)
[15]
Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 406: Plato in
Theaeteto, [...], id est, Videmur mihi ignavi galli in morem, quum ante
victoriam a sermone resilierimus canere, Erasmus.
[16] L. 4 ad Herenn. (Aldrovandi) - Il trattato Rhetorica ad Herennium venne ritenuto di Cicerone per tutto il Medioevo, dal quale egli attinse per il suo De inventione, ma è di un anonimo. - Rhetorica ad Herennium IV: Ut in invidiam adducat, hoc modo: "Iste, qui divitias suas iactat, sicut Gallus e Phrygia aut hariolus quispiam depressus et oneratus auro clamat et delirat."
[17] Dei galli di Nibas si è gia parlato a pagina 193 e 203.
[18] Conrad Gessner è di avviso alquanto diverso. Secondo lui si tratta di semplici capre selvatiche che vivono sulle cime innevate, e non di capre fornite di lóphos, cioè di ciuffo, o magari di una cresta carnosa come quella del gallo. Secondo lui si tratta solo di come vengono interpretate le parole greche: ciò può creare l’equivoco e far nascere una nuova razza di capre, le capre di Nibas, che invece sono semplici capre delle nevi. Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 406: Tradunt in Thessalonica Macedoniae civitate vicum esse, cui nomen Nibas, ubi galli nunquam vocem aedant [edant], (ut Nibas per synecdochen dicatur pro gallinaceis qui in eo vico sunt.) Hesychius addit (ait) nibades dici capras cristatas, ut ab iis expectetur tó kokkýzein, quod est gallinaceorum, Erasmus. Nibádes, hai toús lóphous échousai aîges, Hesych. et Varinus. ego capras feras quae montium iuga nivosa incolunt, interpretarer, non ut Erasmus cristatas, nam et níba nivem exponunt: et niphóbolon, hupselón.
[19] Anche in Erasmo troviamo suum.
[20] Conrad Gessner Historia
Animalium III (1555), pag. 410: Socratis gallus, aut callus, Nonius
Marcellus e Varrone citat Socratis gallum in significationem calvitiae [calvitiei]:
invenisse se, quum dormire coepisset tam glaber quam Socratis gallus, esse
factum ericium cum pilis et proboscide. Sentit quisquis illic loquitur, se
quum iret cubitum fuisse laevi corpore, nec ullos habuisse pilos toto
corpore. in somno transformatum in ericium, qui totus hirsutus est, et {suum}
<suium> more proboscidem habet. Scio locum esse mendosum. Aldina
aeditio pro gallo legit calvum. ego calvum malim, etc. Adagium
conveniet in nudos et inopes, Erasmus. Nostra aeditio Varronis verba sic
citat, Invenisse se cum dormire coepisset tam glaber quam Socrates, calvum
esse factum ericium e pilis albis etc.
[21] Se ne parla già a pagina 237.
[22] Variae historiae Libri XIIII - XIII,17: Proverbium, et de Phrynicho - Vesparum examen metuit Phrynichus velut gallinaceus: proverbium convenit in eos, qui damnum patiuntur. cum enim Phrynichus tragicus Mileti captivitatem ageret, Athenienses metuentem perhorrescentemque lachrymantes eiecerunt. (Claudii Aeliani opera quae extant omnia Graece Latineque, Tiguri, apud Gesneros Fratres, 1556, pagina 501– Iusto Vulteio VVetterano interprete)
[23] Satyra 13. (Aldrovandi) - Satira XIII,141.
[24] Si tratta della gallina di bianca di Livia Drusilla o Giulia Augusta, di cui si parla anche a pagina 260.