Ulisse Aldrovandi

Ornithologiae tomus alter - 1600

Liber Decimusquartus
qui est 
de Pulveratricibus Domesticis

Libro XIV
che tratta delle domestiche amanti della polvere

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

273

 


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Chrysippus[1] scribit, quendam somnium suum, quo ova a lecto suo pendentia viderat{;}<,> ad [273] divinatorem retulisse: audiisseque ex illo, inventurum se ubi foderet, thesaurum. Et cum, vase, in quo aurum, argentumque erat invento ad vatem argenti nonnihil attulisset, dixisse illum, τοῦ δὲ νεοττοῦ οὐδὲν μοι δίδως<;> hoc est, de vitello vero nihil ne mihi dabis? Author est Suidas[2]. Lusit autem is pulchre circa somnium ovorum, in quibus candidum, et luteum continentur, illud ad argentum, hoc ad aurum referens, cum in somnii interpretatione, tum magis argenti <tantum[3]> parte muneri oblata.

Crisippo scrive di aver riferito a un indovino un suo sogno nel quale aveva visto delle uova che pendevano dal suo letto: e che aveva sentito dire da lui che dove si fosse messo a scavare avrebbe trovato un tesoro. E siccome dopo aver trovato un vaso in cui c’era dell’oro e dell’argento aveva portato un pochino d’argento al vate, costui disse toû dè neottoû oudèn moi dídøs? cioè, ma non mi darai niente del tuorlo? Ce lo riferisce il lessico Suida. Lui scherzò bene sul sogno delle uova, nelle quali sono contenuti il bianco e il giallo, riferendo il primo all’argento, il secondo all’oro, dal momento che nell’interpretazione di un sogno a quei tempi agli indovini veniva dato in dono solo un pezzo d’argento.

Cleomenes Cleombroti, ut refert Plutarchus[4], cum quidam ei Gallinaceos pugnaces offerret, {quos pugnando etiam pro victoria emori dicebat} <quos pugnando pro victoria etiam emori dicebat>[5]: quin tu de illis potius, dixit mihi dato, a quibus occiduntur. Illi enim praestabunt. Ab Alcibiade Socratem interrogatum, cur tam iurgiosam uxorem domo non exigeret, ferunt respondisse, cur tu Gallinas clamosas alis? Cumque Alcibiades respondisset, quia sibi ova parerent, dixisse, et uxorem sibi liberos parere.

Come riferisce Plutarco, Cleomene II, figlio di Cleombroto II, siccome un tale gli offriva dei galli da combattimento affermando che combattendo per la vittoria morivano pure, disse: orsù, me li darai preferibilmente scegliendoli tra quelli dai quali vengono uccisi. Essi infatti saranno migliori. Raccontano che Socrate, interrogato da Alcibiade perché non scacciasse di casa una moglie tanto petulante, rispose: perché allevi le galline che schiamazzano? E siccome Alcibiade aveva risposto che era perché gli facevano le uova, allora egli disse che anche sua moglie gli faceva dei figli.

PROVERBIA.

PROVERBI

Aliquot proverbiorum in superioribus rubricis, maxime capite de magnanimitate[6] meminimus, qualia in primis sunt, Gallus insilit[7]. Ἀλεκτρυών ἐπιπηδᾷ. Egregie, apteque quadrat, ubi quis vel in acie, pugnave succumbens vel in disputatione resumptis viribus praelium redintegrat. Similis paroemia est, αἶρε πλῆκτρον ἀμυντήριον, id est, tolle calcar ultorium: cuius etiam mentionem fecimus[8]. Recte autem dicitur, cum quis sese ad vindictam praeparat. Extat adagium apud Aristophanem[9], Αἶρε πλῆκτρον εἰ μάχει, id est, tolle calcar si pugnas. Metaphora ut videtur sumpta est a ferreis illis stimulis, qui Gallis pugnaturis a dominis alligantur, quo se in pugna tueantur.

Nei capitoli precedenti, soprattutto nel capitolo riguardante il coraggio, abbiamo citato alcuni proverbi, i quali sono innanzitutto, Il gallo va all’assalto. Alektryøn epipëdâi. Si adatta in modo egregio e appropriato a quando qualcuno, venendo sconfitto in battaglia o in combattimento oppure durante una disputa, dopo aver riacquistato le forze riprende il combattimento. Simile è il proverbio aîre plëktron amyntërion, cioè, metti lo sperone vendicatore: del quale abbiamo pure fatto menzione. Lo si dice giustamente quando qualcuno si prepara alla vendetta. Si trova un adagio in Aristofane, Aîre plëktron ei máchei, cioè, Metti lo sperone se combatti. A quanto pare la metafora è stata desunta da quei pungoli di ferro che vengono legati dai proprietari ai galli che stanno per combattere affinché si possano difendere durante lo scontro.

Proverbiali etiam ioco dici diximus[10] ἡττήθης τινός ἀλεκτρυόνος in famulos, qui dominos suos a tergo sequuntur, supplices videlicet, et abiecti, quales scilicet Galli esse solent in pugna superati, quia victi silere solent, canere victores. Cui finitimum est ἐνδομάχας ἅτ'ἀλέκτωρ, id est, domi pugnas ad instar Galli[11]. Item et illud: Gallus in suo sterquilinio plurimum potest[12]. Nam dicuntur eiuscemodi proverbia in eos, qui domi viribus praestant, in bello vero, vel alibi cuivis virtute cedunt, pugnacitateque. Αὐτὸς αὐτὸν αὐλεῖ, idest, {ipsemet} <ipse semet> canit {seu} <seu>[13] ipse suimet tibicen <est>. Proverbium hoc a Gallis desumptum apparet: nam his praecipue mos est, cum se e pugna prorumpunt, canere si victores sint, quasi victoriae suae tibicines, quare proverbium convenit, cum alias, tum in illos, qui semetipsos laudant, Thrasones, nasutulosque, de quibus Plato[14] forte dicebat: Videmur mihi <ignavi>[15] Galli in morem, quum ante victoriam a sermone resilierimus, canere.

Abbiamo detto che come facezia sotto forma di proverbio si dice anche hëttëthës tinòs alektruónos - sei stato sconfitto da un qualche gallo - nei confronti dei servi che seguono i padroni stando alle loro spalle, cioè supplichevoli e dimessi, proprio come sono soliti comportarsi i galli sconfitti in combattimento, poiché se sconfitti sono soliti tacere, ma a cantare se sono vincitori. Al quale è simile endomáchas hát'aléktør, cioè, combatti in casa tua come un gallo. Uguale è anche quell’altro: un gallo è estremamente potente nel suo letamaio. Infatti siffatti proverbi vengono detti nei confronti di quelli che a casa loro sono superiori per forze, ma in guerra o da un’altra parte sono inferiori alle doti e alla combattività di chicchessia. Autòs autòn auleî, cioè, egli canta se stesso ossia egli stesso è il flautista di se stesso. È chiaro che questo proverbio è stato desunto dai galli: infatti quando si lanciano fuori da un combattimento sono soprattutto loro ad avere l’abitudine di cantare se sono vincitori, come se fossero dei flautisti della loro vittoria, per cui il proverbio si addice non solo in altre circostanze ma anche a coloro che lodano se stessi, gli smargiassi - come un Trasone, e gli spiritosetti, dei quali forse parlava Platone - nel dialogo Teeteto: Socrate: Sembra che noi, alla stregua di un gallo vile, cantiamo vittoria prima di avere vinto, balzando giù dal ragionamento.

Cicero[16] quoque proverbialiter scribit{,} <: similitudo vituperationis causa> ut in invidiam adducat hoc modo. Iste qui divitias suas iactat, sicut Gallus e Phrygia, aut <h>ariolus quispiam depressus, et oneratus auro clamat et delirat.

Anche Cicerone. scrive sotto forma di proverbio: Una similitudine allo scopo di biasimare affinché induca all’invidia deve essere fatta in questo modo: Costui che ostenta le sue ricchezze grida e delira come un  - sacerdote - Gallo della Frigia o come un indovino sommerso e sovraccarico d’oro.

Ὅταν Νίβας κοκκύσῃ, id est[17], cum Nibas coccyssaverit. Simillimum est adagium illi ad Graecas Kalendas. Tradunt enim, ut annotavimus, in Thessalonica Macedoniae civitate vicum esse, cui nomen Nibas, ubi Galli nunquam vocem {a}edant. Hesychius addit, Nibades dici capras cristatas, ut ab iis expectetur τὸ κοκκύζειν, quod est Gallinaceorum.[18]

Hótan Nìbas kokkýse, cioè quando Nibas avrà cantato. È un proverbio molto simile a quello che dice alle Calende greche. Infatti, come abbiamo riferito, raccontano che nei pressi della città macedone di Tessalonica esiste un villaggio il cui nome è Nibas, dove i galli non canterebbero mai. Esichio di Alessandria aggiunge che delle capre fornite di ciuffo vengono dette di Nibas, in quanto ci si aspetterebbe da loro che cantino – tò kokkýzein, il che è caratteristico dei galli.

Socratis Gallus. Hoc adagii vice Nonius Marcellus e Varrone citat in {significacionem} <significationem> calvitiei, apud quem se invenisse quispiam ait, cum dormire coepisset tam glaber, quam Socratis Gallus, esse factum ericium cum pilis, et proboscide. Sentit quisquis illic loquitur, se cum iret cubitum, fuisse levi corpore, nec ullos habuisse pilos toto corpore, in somno transformatum in ericium, qui totus hirsutus est, et {suum}[19] <suium> more proboscidem habet. Scio, inquit author adagiorum[20] locum esse mendosum, et Aldina editio pro Gallo legit calvum: et fortassis non male: nam nostra editio Varronis verba ita recitat. Invenisse <se> cum dormire coepisset tam glaber, quam Socrates, calvum esse factum ericium e pilis albis: Conveniet adagium in nudos, et inopes.

Il gallo di Socrate. Nonio Marcello cita ciò come se fosse un proverbio traendolo da Varrone per significare la calvizie, e in Nonio un tale dice di essersi ritrovato trasformato in un riccio con gli aculei e la proboscide, mentre aveva iniziato a dormire che era glabro tanto quanto il gallo di Socrate. Chiunque è in grado di capire che quel tale là vuol dire che quando se ne andava a dormire era con il corpo liscio e che non aveva alcun pelo in tutto il corpo, e che durante il sonno si trasformò in un riccio che è tutto ispido. E che ha il muso come i maiali. L’autore degli Adagia - Erasmo da Rotterdam - dice: so che il passo è sbagliato, e l’edizione Aldina per gallo - gallus - ha calvo - calvus: e forse non è sbagliato: infatti la nostra edizione di Varrone riferisce le parole nel modo seguente: Mentre aveva cominciato a dormire che era glabro quanto Socrate si ritrovò a essere un riccio calvo dagli aculei bianchi: Il proverbio si attaglierà a coloro che sono nudi e poveri.

Vesparum examen metuit Phrynichus, velut Gallinaceus: Hic Phrynichus Tragicus[21] Mileti captivitatem agebat: Athenienses vero metuentem, per{r}horrescentemque lachrymantes eum eiecerunt: Author est Aelianus[22]: sed alii aliter. Quadrat in damnum passos. Indecens est, ut Gallina ante Gallum cantet: hoc est, non decet, ut mulier pro viro gubernacula teneat, quod neque animi magnitudo, qua potissimum civitatis salus nititur, neque consilium, quod ad urbanarum rerum temperationes maximam vim habet, satis praesidii ad constituendam remp. in ea vigeat. Feliciter natum, Albae Gallinae filium dicunt, ut Iuvenalis[23]{.}<:> quia tu Gallinae filius albae{:}<.> Vel quod laeta, et auspicata {latini} <Latini> alba vocant, vel quod proverbium alludit ad fatalem illam Gallinam[24], de qua antea cum auguriis ageremus, ex Suetonio [274] locuti fuimus.

Frinico ebbe paura di uno sciame di vespe, come un gallo: Questo Frinico scrittore di tragedie si trovava prigioniero a Mileto: infatti gli Ateniesi in lacrime scacciarono lui pieno di paura e di terrore: ne è autore Eliano: ma altri lo hanno raccontato diversamente. Si addice a coloro che hanno subìto un’ammenda. È sconveniente che una gallina canti davanti a un gallo: cioè, è sconveniente che una donna tenga i timoni al posto di un uomo, in quanto né la nobiltà d’animo su cui si sostiene moltissimo la salvezza di uno Stato, né la saggezza che ha la massima importanza per l’organizzazione equilibrata delle cose di una città, in lei non si trova un aiuto sufficiente per riordinare una repubblica. Uno che è nato felicemente lo chiamano Figlio di una gallina bianca, come Giovenale: Perché tu sei figlio di una gallina bianca. O perché i Latini chiamano bianche le cose liete e con favorevoli auspici, oppure perché il proverbio allude a quella gallina voluta dal fato di cui abbiamo parlato in precedenza, deducendo i dati da Svetonio, mentre ci occupavamo dei vaticini.


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[1] In lib. De Orac. (Aldrovandi) - Stoicorum veterum fragmenta.

[2] In {νεοτὸν} <νεοττὸν> (Aldrovandi) – Il lessico Suida lo riferisce alla voce neottòn accusativo di neottós o neossós = piccolo di uccello, uccellino, tuorlo d'uovo.

[3] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 452-453: Et cum vase in quo aurum argentumque erat invento, ad vatem argenti nonnihil attulisset: dixisse illum, Τοῦ δὲ νεοττοῦ οὐδὲν μοι δίδως; hoc est, De vitello vero nihil ne mihi dabis? Suidas in Νεοττόν. Lusit autem is pulchre circa somnium ovorum, in quibus candidum et luteum continetur, illud ad argentum, hoc ad aurum referens, [453] cum in somnii interpretatione, tum magis argenti tantum parte muneri oblata.

[4] Moralia, in Laconicis. (Aldrovandi)

[5] La posizione di etiam è corretta e sensata nel testo di Gessner, col quale si emenda quello di Aldrovandi. - Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 407: Cleomenes Cleombroti cum quidam ei gallinaceos pugnaces offerret, quos pugnando pro victoria etiam emori dicebat: Quin de illis potius (dixit) mihi dato a quibus occiduntur. illi enim praestabunt, Plutarchus in Laconicis.

[6] A pagina 236.

[7] Già citato a pagina 237.

[8] A pagina 238.

[9] Gli uccelli, 759. - Già citato a pagina 238.

[10] A pagina 237: superatus es a Gallo quopiam. § Questo proverbio/facezia è pronunciato da Euelpide negli Uccelli di Aristofane ai versi 70-71: Ἐυε. ἡττήθης τινὸς | ἀλεκτρυόνος. § Nella nota a piè pagina di pagina 237 abbiamo dimostrato come erroneamente sia stato attribuito a un fantomatico Eudemo anziché a Euelpide nel proverbio IV,2,78 (Chiliadis IIII Centuria II – LXXVIII) degli Adagia di Erasmo del 1550 (Lugduni, apud Sebastianum Gryphium).

[11] Citato a pagina 236 come Domi pugnans more Galli. § Confronta Pindaro Olimpiche XII 20-21 ἐνδομάχας ἅτ'ἀλέκτωρ | συγγόνῳ παρ’ἑστίᾳ.

[12] Già citato a pagina 236. § La fonte è Lucio Anneo Seneca, Apocolocyntosis 7,3: Claudius ut vidit virum valentem, oblitus nugarum intellexit neminem Romae sibi parem fuisse, illic non habere se idem gratiae: gallum in suo sterquilino plurimum posse.

[13] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 405-406: Ipse semet canit, Αὐτὸς [406] αὐτὸν αὐλεῖ, ipse suimet tibicen est: proverbium conveniens cum alias tum in illos qui semetipsos laudant, qui mos est gallis gallinaceis, etiam quum e pugna se proripuerint.

[14] In Theaeteto. (Aldrovandi) - Aldrovandi omits the word agennous, “low-born”. (Lind, 1963)

[15] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 406: Plato in Theaeteto, [...], id est, Videmur mihi ignavi galli in morem, quum ante victoriam a sermone resilierimus canere, Erasmus.

[16] L. 4 ad Herenn. (Aldrovandi) - Il trattato Rhetorica ad Herennium venne ritenuto di Cicerone per tutto il Medioevo, dal quale egli attinse per il suo De inventione, ma è di un anonimo. - Rhetorica ad Herennium IV: Ut in invidiam adducat, hoc modo: "Iste, qui divitias suas iactat, sicut Gallus e Phrygia aut hariolus quispiam depressus et oneratus auro clamat et delirat."

[17] Dei galli di Nibas si è gia parlato a pagina 193 e 203.

[18] Conrad Gessner è di avviso alquanto diverso. Secondo lui si tratta di semplici capre selvatiche che vivono sulle cime innevate, e non di capre fornite di lóphos, cioè di ciuffo, o magari di una cresta carnosa come quella del gallo. Secondo lui si tratta solo di come vengono interpretate le parole greche: ciò può creare l’equivoco e far nascere una nuova razza di capre, le capre di Nibas, che invece sono semplici capre delle nevi. Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 406: Tradunt in Thessalonica Macedoniae civitate vicum esse, cui nomen Nibas, ubi galli nunquam vocem aedant [edant], (ut Nibas per synecdochen dicatur pro gallinaceis qui in eo vico sunt.) Hesychius addit (ait) nibades dici capras cristatas, ut ab iis expectetur tó kokkýzein, quod est gallinaceorum, Erasmus. Nibádes, hai toús lóphous échousai aîges, Hesych. et Varinus. ego capras feras quae montium iuga nivosa incolunt, interpretarer, non ut Erasmus cristatas, nam et níba nivem exponunt: et niphóbolon, hupselón.

[19] Anche in Erasmo troviamo suum.

[20] Conrad Gessner Historia Animalium III (1555), pag. 410: Socratis gallus, aut callus, Nonius Marcellus e Varrone citat Socratis gallum in significationem calvitiae [calvitiei]: invenisse se, quum dormire coepisset tam glaber quam Socratis gallus, esse factum ericium cum pilis et proboscide. Sentit quisquis illic loquitur, se quum iret cubitum fuisse laevi corpore, nec ullos habuisse pilos toto corpore. in somno transformatum in ericium, qui totus hirsutus est, et {suum} <suium> more proboscidem habet. Scio locum esse mendosum. Aldina aeditio pro gallo legit calvum. ego calvum malim, etc. Adagium conveniet in nudos et inopes, Erasmus. Nostra aeditio Varronis verba sic citat, Invenisse se cum dormire coepisset tam glaber quam Socrates, calvum esse factum ericium e pilis albis etc.

[21] Se ne parla già a pagina 237.

[22] Variae historiae Libri XIIII - XIII,17: Proverbium, et de Phrynicho - Vesparum examen metuit Phrynichus velut gallinaceus: proverbium convenit in eos, qui damnum patiuntur. cum enim Phrynichus tragicus Mileti captivitatem ageret, Athenienses metuentem perhorrescentemque lachrymantes eiecerunt. (Claudii Aeliani opera quae extant omnia Graece Latineque, Tiguri, apud Gesneros Fratres, 1556, pagina 501– Iusto Vulteio VVetterano interprete)

[23] Satyra 13. (Aldrovandi) - Satira XIII,141.

[24] Si tratta della gallina di bianca di Livia Drusilla o Giulia Augusta, di cui si parla anche a pagina 260.