Conrad Gessner

Historiae animalium liber III qui est de Avium natura - 1555

De Ovo

trascrizione di Fernando Civardi - traduzione di Elio Corti

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DE  OVO ET SI IN PRAECEDENTIBUS IN A. B. ET D. NIHIL

dictum sit: visum est tamen hic in Philologia, eodem de ovo ordine pertractare,

quem in ipsis alioqui animalibus servamus: ut in a. conferantur,

quae ad nomina et denominationes pertinent, in b. partes etc.

A proposito dell'uovo, anche se nei precedenti paragrafi A, B e D si è detto qualcosa: tuttavia è sembrato giusto esaminare a fondo e con ordine qui, nella parte filologica, sempre l'uovo, un ordine che del resto osserviamo appunto negli animali: affinché nel paragrafo a vengano raccolti quei dati che riguardano i nomi e le denominazioni, in b le parti etc.

<a.> ova Hebraice bezah dici invenio, Arabice beid vel baid apud Avicennam. non probo enim quod [451] apud Serapionem naid legitur. Sylvaticus baadh scribit pro Arabica voce. Idem barch et elbair nescio cuius linguae vocabula, (Arabica et corrupta conijcio) ova interpretatur. Munsterus in Lexico trilingui beza et beia scribit, ביצא ,ביעא.

a. Trovo che le uova sono dette bezah in ebraico, in Avicenna in arabo suonano beid oppure baid. Non approvo il fatto che in Serapione si legge naid. Matteo Silvatico per il termine arabo scrive baadh. Sempre lui riporta barch e elbair col significato di uova, non so in che lingua siano tali vocaboli (ritengo sia arabo e che sia alterato). Sebastian Münster nel lessico trilingue scrive beza e beia.

Ovum Latini a Graeco ᾠόν dixerunt, interposita v. litera euphoniae causa. Graeci vero ὠόν quasi οἶον, hoc est solitarium. singula enim pariuntur, Etymologus[1]. Hodie vulgo αὐγό nominant[2]. Itali ovo, Galli oeuf. Germani ey. Angli an egge. Ovum ex poetis aliqui[3] ὤϊον vocant, vel ὄιϊον, (si recte scribitur, Eustatius[4] hoc omittit ὤεον et ὤϊον tantum ponit, etc.) Alexis ἡμίτομα ὠῶν dixit[5]. Ὠΐου πολύ λευκότερον, Sappho[6]. alii ὤεον, Athenaeus[7]. Alii ὠάριον diminutiva forma, Idem et Eustathius. Κτίλα τ’ὤεα βρύχων, Nicander[8]. id est mansuetarum ovium ova comedens. Ὤβεα, τὰ ὠά, Ἀργεῖοι, τὰ ἀργά ὦτα, Hesych. Ὠβεοκόπτας, serpentes nimirum ab ovis devorandis. ἀπὸ τούτου ὠβήλ <,> ὠόν, id est ovum, et nux vel lignum Persici, τοῦ περσικοῦ τὸ ἐντός, Idem. Ἄρκηλα, ovum sed Cretes hystric{h}em sic vocant, Hesych. et Varinus. Cyami nomine non aliud intellexisse videtur Pythagoras quam ovum, quod sit in eo animalium κύησις, id est foetura. Vide in f. infra.

I Latini dissero ovum dal greco øión con interposizione della lettera v per motivi di eufonia. Ma i Greci dicevano øón simile a oîon, cioè solitario. Infatti vengono deposte uno alla volta, l'Etymologicon magnum. Oggi comunemente lo chiamano avgó. Gli Italiani ovo, i Francesi oeuf. I Tedeschi ey. Gli Inglesi an egge. Alcuni poeti chiamano l'uovo øïon, oppure óiïon (se è scritto correttamente, Eustazio omette il secondo termine e riferisce solamente øeon e øïon, ecc.). Alessi disse hëmítoma øøn - metà delle uova. Øíou polý leukóteron - molto più candido di un uovo, Saffo. Altri dicono øeon, Ateneo. Altri dicono øárion al diminutivo, sempre lui ed Eustazio. Ktíla t'øea brýchøn - divorando le care uova, Nicandro, cioè, divorando le uova delle mansuete pecore. Øbea tà øá, Argeîoi, hë tà argá øta - øbea sono le uova per gli abitanti dell'Argolide, oppure le orecchie splendenti, Esichio. Øbeokóptas - i rompitori di uova, i serpenti rompiuova -, cioè i serpenti cosiddetti dal fatto che divorano le uova. Apò toútou øbël, øón - da questo øbël, uovo -, cioè l'uovo, e il nocciolo o seme della pesca, toû persikoû tò entós - ciò che sta dentro alla pesca, sempre lui. Árkëla è l'uovo, ma i Cretesi chiamano così il porcospino, Esichio e Guarino. Sembra che Pitagora col termine cyamos - la fava - non abbia voluto dire altro che uovo, in quanto in esso si trova il prodotto del concepimento - kýësis - degli animali, cioè ciò che nascerà. Vedi più avanti al paragrafo f.

Ovatus in similitudinem ovi factus. Aliis turbinatio {pyri} <piri>, aliis ovata species (Caelius ovalem figuram dixit) ceu malorum aliquibus, Plinius lib. 15[9]. Aurum ovatum, ovo illitum. quoniam ovi albo antea illito, aera ac marmora auri et argenti laminis decorarent[10]. Hinc illud subiit, auro sacras quod ovato Perducis facies, Persius Sat. {2.} <3.[11]> nec obstat quod ovum habeat primam longam. pleraque enim derivativa primitivorum naturam non servant. Hoc Plinius lib. 35.[12] de marmoribus loquens innuere videtur: quum inquit Claudii principatu[13] inventum, (Neronis vero) maculas quae non essent in crustis inserendo, unitatem variare, ut ovatus esset Numidicus, ut purpura distingueretur {Sinnadicus} <Synnadicus>. Nonnulli ovatum aurum dici aiunt, ovatione victoriaque quaesitum: vel ingens et copiosum, quantum ovationibus comparatur. Ovatio, tempus quo gallinae ova faciunt, {Plinius lib. 29} <?>[14]. Certa luna capiendum censent, tamquam congruere ovationem etiam (alias, operationem eam) serpentium humani sit arbitrii. <, Plinius lib. 29.[15]>

Ovale: fatto a somiglianza di un uovo. Il frutto del sorbo - in alcune specie ha la forma conica della pera, in altre ha un aspetto ovale (Lodovico Ricchieri ha detto che ha una forma ovale) oppure in alcune ha l'aspetto delle mele, Plinio nel libro XV. L'oro all'uovo: è quello cui è stato spalmato dell'uovo. In quanto, dopo avergli prima spalmato del bianco d'uovo, decoravano i bronzi e i marmi con lamine d'oro e d'argento. Da qui ti venne in mente di ricoprire le facce sacre con oro spalmato d'uovo, Persio Satira 3. Né rappresenta un ostacolo il fatto che il sostantivo ovum abbia la prima vocale lunga. Infatti la maggior parte dei derivati non conserva la caratteristica degli elementi originari. Sembra che Plinio accenni ciò - la decorazione dei marmi - nel libro XXXV parlando dei marmi quando dice: durante il principato di Claudio (cioè di Nerone) si è escogitato che  inserendo delle chiazze, se non erano presenti nei bassorilievi, cambiavano la monocromia, in modo tale che la pietra - il marmo - della Numidia risultasse con degli ovali, in modo tale che quella di Sinnada risultasse fregiata di porpora. L'ovazione è il periodo in cui le galline depongono le uova, non Plinio - ma non si conosce la fonte di Gessner, forse lui stesso. Essi - i Magi, sacerdoti zoroastriani - sono del parere che - quell'uovo di serpente - deve essere raccolto in un certo periodo della fase lunare, come se anche la produzione di uova dei serpenti (ossia, quel modo in cui sono prodotte) dipendesse dalla volontà umana, Plinio libro XXIX.

Ovare, per onomatopoeiam, ut et Graecis ὤζειν, quod Hesychius interpretatur βοᾷν, καὶ λέγειν ὤ ὤ, καὶ θαυμάζειν. Ovatio dicebatur etiam parvus triumphus, ab ovo: vel potius ab ohe interiectione gaudentium, quasi ohatio. Vel a voce militum, quae fiebat geminato oo. litera, per interpositionem v. euphoniae causa. α, (penanflexum[16]) μηλωτή, διφθέρια, et fimbria vestis sive inferior: sive superior circa collum, quam et περιστόμιον vocant, et περιτραχήλιον, et στόμα ἐνδύματος. alii ἀνάκλασιν ἐνδύματος interpretantur, in Psalmo[17] ἐπὶ τὴν αν τοῦ ἐνδύματος αὐτοῦ, Suidas. Apud Hesychium scribitur ὤα paroxytonum, τοῦ προβάτου ἡ μηλωτή, etc. Ὦα, id est fimbria vestis, ab ove dicta est, quoniam veteres solebant pellem ovillam extremis vestibus assuere quo minus attererentur, Eustathius. Dicitur etiam ᾦον (in plurali ᾦα) tabulatum in domo superius apud Lacedaemonios, quod et ὑπερᾦον vocatur, Idem. Ὤα pro οἴα, per ectasin et synaeresin. est enim pellis ovilla. ὄις autem ovis. sed ὄα per ο. breve, fimbriam vestis significat secundum Ael. Dionysium, Varinus. Ὄα etiam sorbum arborem significat et fructum ipsius, id est sorba, non mespila ut quidam scripsit. Sunt et quae vulgo dici solent ὠά τάριχα, id est ova salsa inveterataque, abdicandi usus. Nunc ova piscium salita in offas, aut in pastillos durata, inclusaque membranulis oà taricha dicuntur, inter lautissimos recepta cibos, Hermolaus[18].

Ovare - celebrare l'ovazione - come anche per i Greci øzein - gridare oh, ha un'origine onomatopeica, ed Esichio lo parafrasa con boâin, kaì légein ø ø, kaì thaumázein - gridare, e dire oh oh, e guardare con ammirazione. Anche il piccolo trionfo veniva detto ovazione,  da ovo, o meglio, dall'esclamazione ohe di coloro che si rallegrano, quasi fosse una ohatio. Oppure dal grido dei militari, che, rappresentandolo con una lettera dell'alfabeto, diventava una doppia o con interposizione di una v per motivi di eufonia. Øa - orlo [non øá le uova] (properispomeno, cioè, con l'accento circonflesso sulla penultima sillaba - come nell'atticista Elio Dionisio), mëløtë - pelle di pecora, diphthéria - piccole pelli, è anche un orlo sia inferiore di un vestito, sia superiore intorno al collo, che chiamano anche peristómion - apertura, e peritrachëlion - collare, e stóma endýmatos - bocca del vestito. Altri lo interpretano come anáklasin endýmatos - piega del vestito, nel salmo 132/133 epì tën øan toû endýmatos autoû - sull'orlo della sua veste, il lessico Suida. In Esichio viene scritto øa, parossitono, toû probátou he mëløtë - la pelle della pecora, etc. Øa [con l'accento circonflesso sulla penultima], cioè orlo del vestito, ha preso il nome dalla pecora, in quanto gli antichi erano soliti cucire della pelle di pecora all'estremità dei vestiti affinché si logorassero di meno, Eustazio. Presso gli Spartani è pure detto øion (øia al plurale) il piano superiore della casa, detto anche hyperøion, sempre Eustazio. Øa invece di oía per allungamento di una vocale breve e per sineresi - fusione in una sola sillaba di due o più vocali. Infatti è la pelle di pecora. In effetti óis è la pecora. Ma óa con la o breve secondo Elio Dionisio significa orlo del vestito, Guarino. Óa significa anche albero del sorbo e il suo frutto, cioè la sorba, non il nespolo come qualcuno ha scritto. Ci sono anche quelle che comunemente sogliono dirsi øá táricha - uova salate, cioè uova sotto sale e fatte invecchiare, usate come scarto. Adesso le uova salate dei pesci confezionate in bocconi, oppure rese dure facendone delle pastiglie e racchiuse in membrane sottili, vengono dette táricha, ammesse tra i cibi sontuosi, Ermolao Barbaro.

Epitheta. Κτίλα ὤεα, id est mansuetarum avium ova, Nicander[19]. Ovum leve, teres, tractabile, apud Textorem[20]. niveum, Sereno. Ovum pro arborum fructu apud Empedoclem lector accuratus inveniet, Caelius. Recentiores quidam barbari scriptores cephaleam, id est gravem capitis dolorem, qui unam duntaxat in partem et spatium quantum ab ovo occuparetur incumbit, ovum appellant. Ὠόν etiam genus est poculi. item ὠοσκύφιον poculum duplici fundo (διπύθμενον) ab ovo poculi genere et scypho dictum, Eustatius: Athenaeus lib. 11[21]. apud quem legimus pocula quaedam uno et simplici esse fundo, ut phialas et similia eius pocula. alia vero duplici quod praeter fundum proprium τὸν κατὰ τὸ {κῦτος συγχαλκευόμενον} <κύτος συγκεχαλκευμένον> ὅλῳ τῷ ἀγγείῳ, aliud extrinsecus ab acutiore figura in latiorem desinens, pedis et basis loco appositum habeant, eiusmodi sunt ooscyphia, cantharia, etc. Οἶνος κεκραμένος ἐν ὠῷ χρυσῷ, οὗ ὁ αὐτὸς βασιλεύς πίνει, Dinon in Persicis citante Athenaeo[22].

Epiteti. Ktíla øea, cioè, le uova degli uccelli domestici, Nicandro. Uovo liscio, privo di sporgenze, maneggevole, in Jean Tixier. Bianco come la neve, per Sereno Sammonico. Il lettore accurato troverà in Empedocle che l'uovo è definito un frutto degli alberi, Lodovico Ricchieri. Alcuni incolti scrittori più recenti chiamano uovo la cefalea, cioè il grave mal di testa che opprime solamente da un lato e per lo spazio che sarebbe occupato da un uovo. Øón è anche un tipo di coppa - una coppa ovale. Parimenti øoskýphion è una coppa con doppio fondo (dipýthmenon - a doppio fondo) cosiddetto in quanto appartiene al tipo di tazze di forma ovale e da skýphos, tazza, Eustazio: Ateneo libro XI. Nella cui opera leggiamo che alcune tazze avevano un fondo puro e semplice, come le coppe e le tazze similari. Ma altre avevano un doppio fondo in quanto oltre al proprio fondo tòn katà tò kýtos sygkechalkeuménon hóløii aggeíøi - quello sotto la cavità saldata insieme a tutto il recipiente, avevano un altro fondo posto esternamente che da una forma piuttosto acuta finiva in una più larga, debbono avere un appoggio al posto di un piede e di una base, e di tal guisa sono  gli øoskýphia, i canthária - piccole coppe, etc. Oînos kekraménos en øøi chysøi, hoû ho autòs basileús pínei - vino mescolato in una coppa ovale d'oro, che il re stesso beve, Dinone nella Storia della Persia citato da Ateneo.

Ὠοτόκα ζῶα, animalia ovipara Aristoteli[23]. unde verbum ὠοτοκεῖν fit, hoc est ova parere. et nomen substantivum ὠοτοκία. Ὠοφυλακεῖν custodire ova, In Lexico vulgari. Ἐπώζειν verbum dicitur de avibus quae ovis incubantes clamant, Aristophanis interpres. sed videtur potius simpliciter incubare significare, factum per {syncopem} <syncopen> a verbo ἐπωάζειν, quo Aristophanes et Athenaeus utuntur. Hinc nomen ἐπωασμός incubatio: et ἐπωαστικαί ἀλεκτορίδες, gallinae in incubando assiduae, apud Aristotelem[24]. Ὠοειδής, ovatus, oviformis.

Øotóka zøa, per Aristotele sono gli animali ovipari. Da cui deriva il verbo øotokeîn, cioè partorire uova. Nonché il sostantivo øotokía. Øophylakeîn significa custodire le uova, nel comune lessico grecolatino. Si usa il verbo epøzein per gli uccelli che schiamazzano mentre stanno incubando le uova, il traduttore di Aristofane. Ma sembra piuttosto che significhi semplicemente incubare, derivato dalla sincope del verbo epøázein - stare sulle uova, verbo di cui si servono Aristofane e Ateneo. Da cui il sostantivo epøasmós, l'incubazione, e epøastikaí alektorídes, le galline diligenti nel covare, in Aristotele. Øoeidës, ovale, foggiato a uovo.

Propria. Ad {Gallinam} <Gallinas[25]> villa Caesarum fuit ad Tyberim, etc. vide infra inter Auguria[26]. Ab insula Baltia non longe Oonae separantur, quas qui habent vivunt ovis avium marinarum et avenis vulgo nascentibus, Solinus ex Xenophonte Lampsaceno, et Mela[27]. Oonae locus Septentrionalis ab avibus copiosis dictus, quarum ova rapta incolae sale condiunt, et servant in multum tempus ad cibum, Zieglerus in Schondia sua.

Nomi propri. Sulle rive del Tevere c’era una villa dei Cesari detta Alle Galline, etc. vedi oltre tra i presagi. Le isole Oone non sono molto distanti dall'isola Baltia, e coloro che le abitano vivono delle uova degli uccelli marini e delle avene che nascono dappertutto, Solino che lo trae da Senofonte di Lampsaco, nonché Pomponio Mela. Le isole Oone sono una località settentrionale così denominata dall'abbondanza di uccelli, le cui uova, dopo averle rubate, gli abitanti le condiscono con sale e le conservano come cibo per molto tempo, Jacob Ziegler nella sezione dedicata a Schondia del suo trattato di geografia.

b. Kembergi uno a Vvitemberga miliario[28] nata est gallina quadrupes, quae anteriores pedibus posterioribus oppositos et inversos habuit, anno Salutis 1522. ut amicus fide dignus ad nos scripsit[29]. C. Claudio, M. Perpenna coss. pullus gallinaceus quadrupes natus, Iul. Obsequens[30].

¶ b. A Kemberg che si trova a un miglio da Wittenberg - oggi in Sassonia-Anhalt - nell'anno della Salvezza 1522 è nata una gallina con quattro zampe le cui zampe anteriori erano contrapposte e dirette in senso inverso rispetto a quelle posteriori, come mi scrisse un amico degno di fede. Durante il consolato di Caio Claudio e di Marco Perpenna è nato un pulcino di gallina con quattro zampe, Giulio Ossequente.

Ova decumana, id est magna, Festus[31]. Galedragon Xenocrates herbam spinosam, caule [452] ferulaceo, cui summo capite inhaereat simile ovo, etc. Plinius[32]. ea non alia quam dipsacos est.

¶ Uova decumana - enormi, cioè grandi, Festo. Senocrate di Afrodisia - chiama - galedragon / gallidraga un'erba spinosa dal gambo simile a una verga, alla cui estremità superiore si trova attaccato un qualcosa che è simile a un uovo, etc. Plinio. Essa altro non è che un cardo - il Dipsacus pilosus, come lo descrive e raffigura Rembert Dodoens.

 

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[1] Vincenzo Tanara (Bologna inizi del 1600 - 1665/1669) con la sua mente flessibile e arguta nel suo L'economia del cittadino in villa (pagina  205 - edizione veneziana del 1661 - Libro III - il cortile) ci ammannisce quest'altra interpretazione: "La parola d'ovo in Greco vuol dir Solitario, perche le Galline, come hò detto, lo fanno volontieri in luogo scuro, e remotto."

[2] L’etimologia di αγό e dell’equivalente βγό è la seguente: τά ά > ταυά > τ΄αγά / τ΄βγά che sono ovviamente il plurale di uovo. La forma attualmente in uso è αγό, mentre è passata in secondo piano la forma dimotikí βγό.

[3] Saffo in Ateneo Deipnosophistaí II,50,57d.

[4] p. 1686,47 ad Odysseam XI 302.

[5] Ateneo Deipnosophistaí II,50,57e.

[6] Ateneo Deipnosophistaí II,50,57d.

[7] Ateneo Deipnosophistaí II,50,58a.

[8] Theriaca 452.

[9] Naturalis historia XV,85: Sorbis quadruplex differentia. Aliis enim eorum rotunditas mali, aliis turbinatio piri, aliis ovata species, ceu malorum aliquibus: haec obnoxia acori.

[10] Ne ha già parlato a pagina 433.

[11] Satira 3: Hinc illud subiit, auro sacras quod ovato | perducis facies. 'nam fratres inter aenos, | somnia pituita qui purgatissima mittunt, | praecipui sunto sitque illis aurea barba.' - Da qui ti venne l'idea di spalmare una tinta d'oro, di quello da ovazioni, sui volti degli dèi, perché tra i fratelli di bronzo, quelli che mandano sogni liberi dal catarro, abbiano il primo posto e la barba dorata. (da www.betashare.it/latin/Persio/Saturae/3) § Persio nella terza satira propone la necessità di studi rigidi e severi perché possano essere formativi.

[12] Naturalis historia XXXV,3: Hoc Claudii principatu inventum, Neronis vero, maculas, quae non essent in crustis, inserendo unitatem variare, ut ovatus esset Numidicus, ut purpura distingueretur Synnadicus, qualiter illos nasci optassent deliciae.

[13] Il latino princeps denota colui che prende il primo posto, composto da primus ‘primo’ e capere ‘prendere’,  col derivato. principatus ‘primo posto, preminenza’, poi ‘dignità imperiale’. Nella storia romana il principato - principatus - era il regime instaurato da Augusto e che perdurò nei primi due secoli dell'Impero romano. Il termine principato va connesso con princeps, una qualifica di Augusto quale senatore che occupava il primo posto nel Senato romano e al quale competeva di parlare per primo: una qualifica quindi più di prestigio che di potere e tale era lo spirito cui Augusto intese improntare il suo regime e lo dice esplicitamente nelle Res Gestae, quando afferma di aver avuto la stessa potestas degli altri magistrati, ma di averli superati tutti in auctoritas, cioè in prestigio e consenso. La vita della res publica romana doveva continuare a svolgersi retta dalle magistrature tradizionali e non con magistrature non previste dalla prassi costituzionale, come invece aveva preferito Cesare, ma al di sopra e al di fuori c'era il potere protettivo del principe. Il termine principato decadde gradualmente quando i poteri dell'imperatore assunsero carattere assolutistico e si ebbe allora il passaggio al dominatus, il potere assoluto. Dominus era il padrone di casa, la domus. § Imperatore deriva dal latino imperare ‘comandare’ col significato di ‘prendere delle misure, preparare’ (composto da in- e parare) attraverso il senso intermedio e comune di ‘ordinare’. Da Augusto in poi assunse il significato di capo dello Stato romano. Nell'antica Roma imperator era il titolo di chi ricopriva un'alta carica, poi limitato al campo militare e dato per acclamazione al comandante vittorioso, che era posto dopo il nome con un numero indicante quante volte era stato ricevuto. L'ebbe per primo forse Scipione l'Africano, Pompeo se ne fregiò undici volte, Cesare l'ottenne a vita. Ottaviano lo prese come prenome, ma la pratica divenne regola solo con Nerone a indicare il capo dell'Impero romano.

[14] Assente ovatio nell'enorme indice redatto da Joannes Harduinus per l'edizione da lui curata di Caii Plinii Secundi Naturalis Historiae Libri xxxvii (Parigi, 1685). Assente qualsivoglia riferimento a Plinio anche in Thesaurus Linguae Latinae (2007). § Una fonte cui non poteva attingere Gessner per puri motivi cronologici e che afferma quanto sta riferendo, è rappresentata dal Thresor de la langue françoyse di Jean Nicot (1606) da cui riportiamo alcuni vocaboli connessi con il francese geline, la gallina. geline: Geline, f. ou poulle, Gallina. Les gelines crient, Pipant gallinae. Gelines d'Afrique, Meleagrides. Ce temps que les gelines pondent, Ovatio.§ Il vocabolo ovatio, ma con tutt'altro significato rispetto a quello di Jean Nicot, è presente - per esempio -  nell'analisi stilistico-grammaticale dell'Eneide stilata da Servio. Ma la ovatio di Servio si riferisce all'ovazione, che presso gli antichi Romani era un'onoranza inferiore al trionfo, tributata ai generali vittoriosi: il duce vincitore aveva l'onore delle corona di mirto e in Campidoglio sacrificava pecore, oves, da cui ovatio. Anticamente (Servio) e in tempi recenti (Michel Bréal, 1832-1915) insistono sul fatto che il sacrificio in questo piccolo trionfo era di pecore, e non di tori come in quello maggiore, deducendone, con scarso seguito, che il vocabolo ovazione sia derivato da oves, pecore: unde et ovatio dicta, Servio. § Virgilio Eneide IV,543: Quid tum? Sola fuga nautas comitabor ovantis? - Che dunque? mi unirei sola fuggiasca ai marinari glorianti? (traduzione di Giuseppe Albini, 1963) § Ecco il testo completo di Servio nel commento all'Eneide IV,543: ovantes laetantes. Abusive: nam proprie ovatio est minor triumphus. Qui enim ovationem meretur, et uno equo utitur et a plebeis, vel ab equitibus Romanis deducitur ad Capitolium et de ovibus sacrificat, unde et ovatio dicta: qui autem triumphat, albis equis utitur quattuor et senatu praeeunte in Capitolio de tauris sacrificat. Et bene duo diversa posuit 'fuga' et 'ovantes', ut gravius esset cum his qui ovarent ire fugientem.

[15] Naturalis historia XXIX,52-53: Praeterea est ovorum genus in magna fama Galliarum, omissum Graecis. Angues enim numerose convoluti salivis faucium corporumque spumis artifici conplexu glomerant; urinum appellatur. Druidae sibilis id dicunt in sublime iactari sagoque oportere intercipi, ne tellurem attingat; profugere raptorem equo, serpentes enim insequi, donec arceantur amnis alicuius interventu; experimentum eius esse, si contra aquas fluitet vel auro vinctum; [53] atque, ut est Magorum sollertia occultandis fraudibus sagax, certa luna capiendum censent, tamquam congruere operationem eam serpentium humani sit arbitrii. Vidi equidem id ovum mali orbiculati modici magnitudine, crusta cartilaginis velut acetabulis brachiorum polypi crebris, insigne Druidis. - Also, there is another kind of egg, held in high renown by Gauls, but omitted by the Greek writers. For many snakes twining together use saliva from their throats and foam round their bodies to make a skillful ball. This is called urinum. The Druids say that the snakes' hissing throws the eggs in the air. The egg must be caught in a cloak, so it does not touch the ground. The robber must ride away quickly, as the serpents will follow him until he crosses a river. A genuine egg will float against the current of a stream, even if set in gold. But Magi tend to be devious and cunning to hide their frauds. They pretend that these eggs can only be taken on a certain day of the moon; as though humans could make snakes behave this way at the right time! I myself have seen one of these eggs: it was round, about as large as a medium apple; the shell was cartilage, and with many cup-marks like those on the arms of the octopus, famous among Druids. I have left urinum untranslated. Ovum urinum means a wind egg. It seems doubtful if this is really describing a fossil. Pliny says that the shell is cartilaginis, which seems to mean cartilage or gristle. You cannot describe a stone fossil like this! This passage is also in Book XXIX, on the medicinal uses of animal products, while the other fossil references are in Book XXXVII, on gemstones and semi-precious stones. People have thought that echinoids were eggs. Pliny the Elder might have mentioned them as snakes' eggs (although the description does not sound quite right). Other people called them tortoise eggs turned to stone, and in Kent, they were just called chalk eggs. Echinoids live in the sea. Their name is derived from echinos (Greek) which means 'hedgehog'. They are also called sea urchins ('urchin' is an old word for a hedgehog). (http://gwydir.demon.co.uk/jo/fossils/index.htm)

[16] Elio Dionisio fr. 266 ὦα. (Vocabolario della lingua greca, Loescher 2004)

[17] Ps 132: 1 Ὠιδὴ τῶν ἀναβαθμῶν· τῷ Δαυιδ. Ἰδοὺ δὴ τί καλὸν ἢ τί τερπνὸν ἀλλ’ἢ τὸ κατοικεῖν ἀδελφοὺς ἐπὶ τὸ αὐτό; 2 ὡς μύρον ἐπὶ κεφαλῆς τὸ καταβαῖνον ἐπὶ πώγωνα, τὸν πώγωνα τὸν Ααρων, τὸ καταβαῖνον ἐπὶ τὴν ᾤαν τοῦ ἐνδύματος αὐτοῦ· 3 ὡς δρόσος Αερμων ἡ καταβαίνουσα ἐπὶ τὰ ὄρη Σιων· ὅτι ἐκεῖ ἐνετείλατο κύριος τὴν εὐλογίαν καὶ ζωὴν ἕως τοῦ αἰῶνος. (versione dei Settanta) - Salmo 133: [1] Canto delle ascensioni. Di Davide. Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme! [2] È come olio profumato sul capo, che scende sulla barba, sulla barba di Aronne, che scende sull'orlo della sua veste. [3] È come rugiada dell'Ermon, che scende sui monti di Sion. Là il Signore dona la benedizione e la vita per sempre. (edizione della CEI, 1974)

[18] Corollarium in Dioscoridem II,254 (1516).

[19] Theriaca 452.

[20] Joannes Ravisius Textor alias Jean Tixier (1480-1524) Specimen epithetorum.

[21] Deipnosophistaí: dipýthmenon XI,76,488f - øoskýphion XI,110,503e.

[22] Deipnosophistaí XI,110,503f.

[23] Historia animalium 489a 34 - De generatione animalium 754a 21. (Vocabolario della lingua greca, Loescher 2004)

[24] Historia animalium 560a 3. (Vocabolario della lingua greca, Loescher 2004)

[25] Svetonio De vita Caesarum - Galba 1: Progenies Caesarum in Nerone defecit; quod futurum, compluribus quidem signis, sed vel evidentissimis duobus apparuit. Liviae, olim post Augusti statim nuptias Veientanum suum revisenti, praetervolans aquila gallinam albam ramulum lauri rostro tenentem, ita ut rapuerat, demisit in gremium; cumque nutriri alitem, pangi ramulum placuisset, tanta pullorum suboles provenit, ut hodieque ea villa ad Gallinas vocetur, tale vero lauretum, ut triumphaturi Caesares inde laureas decerperent; fuitque mox triumphantibus, illas confestim eodem loco pangere; et observatum est, sub cuiusque obitum arborem ab ipso institutam elanguisse. Ergo novissimo Neronis anno et silva omnis exaruit radicitus, et quidquid ibi gallinarum erat interiit; ac subinde tacta de caelo Caesarum aede, capita omnibus simul statuis deciderunt, Augusti etiam sceptrum e manibus excussum est. - Plinio, Naturalis historia XV, 136-137: Sunt et circa Divum Augustum eventa eius digna memoratu. Namque Liviae Drusillae, quae postea Augusta matrimonii nomen accepit, cum pacta esset illa Caesari, gallinam conspicui candoris sedenti aquila ex alto abiecit in gremium inlaesam, intrepideque miranti accessit miraculum. Quoniam teneret in rostro laureum ramum onustum suis bacis, conservari alitem et subolem iussere haruspices ramumque eum seri ac rite custodiri: [137] quod factum est in villa Caesarum fluvio Tiberi inposita iuxta nonum lapidem Flaminiae viae, quae ob id vocatur Ad Gallinas, mireque silva provenit. Ex ea triumphans postea Caesar laurum in manu tenuit coronamque capite gessit, ac deinde imperatores Caesares cuncti. traditusque mos est ramos quos tenuerunt serendi, et durant silvae nominibus suis discretae, fortassis ideo mutatis triumphalibus.

[26] La corposa sezione dei presagi inizia a pagina 409.

[27] Non disponiamo delle fonti citate da Gessner, ma possiamo riportare due passi di Plinio tratti da Naturalis historia. § IV,95: Xenophon Lampsacenus a litore Scytharum tridui navigatione insulam esse immensae magnitudinis Baltiam tradit. Eandem Pytheas Basiliam nominat. feruntur et Oonae, in quibus ovis avium et avenis incolae vivant. § XXXVII,35-36: In eadem sententia et Metrodorus fuit. Sotacus credidit in Brittannia petris effluere, quas electridas vocavit, Pytheas Guionibus, Germaniae genti, accoli aestuarium oceani Metuonidis nomine spatio stadiorum sex milium; ab hoc diei navigatione abesse insulam Abalum; illo per ver fluctibus advehi et esse concreti maris purgamentum; incolas pro ligno ad ignem uti eo proximisque Teutonis vendere. [36] Huic et Timaeus credidit, sed insulam Basiliam vocavit. Philemon negavit flammam ab electro reddi. Nicias solis radiorum sucum intellegi voluit hoc; circa occasum vehementiores in terram actos pinguem sudorem in ea relinquere, oceani deinde aestibus in Germanorum litora eici.

[28] Kemberg è un comune tedesco situato nel distretto di Wittenberg nello Stato federato della Sassonia-Anhalt. Il centro di Kemberg e quello di Wittenberg distano 10,9 km in linea retta, mentre Gessner afferma che le due città distano un miglio, verosimilmente un miglio romano - pari a 1,48 km - visto che ce lo tramanda in latino: Kembergi uno a Vuitemberga miliario. Non sappiamo a quanto equivalesse il miglio di Zurigo, ammesso che esistesse. Può darsi che Gessner facesse riferimento alla distanza fra Kemberg e la periferia del territorio di Wittenberg. Oppure che colui che gli aveva fornito la distanza tra le due città intendesse per miglio quello olandese di un tempo, visto che Wittenberg era stata fondata nel XII secolo da immigrati provenienti dalle Fiandre. Il vecchio miglio olandese era pari a 7408 m. Praticamente equivalenti erano i valori in aree di lingua tedesca: miglio austriaco = 7585 m, miglio del Reno (di Prussia) = 7532 m. L'ideale assai improbabile è che il miglio riferito da Gessner corrispondesse al vecchio miglio norvegese, 11.295 m, praticamente equivalente alla nostra misurazione in linea d'aria.

[29] Da un punto di vista cronologico possiamo solo ipotizzare trattarsi di Licostene, alias l'umanista ed enciclopedista alsaziano Conrad Wolffhart (1518-1561). Ma nel suo Prodigiorum ac ostentorum chronicon (1557) tra le tante immagini non riporta l'iconografia di questa gallina descritta da Gessner. Anche la gallina quadrupes di Aldrovandi raffigurata a pagina 324 di Ornithologiae tomus alter (1600) non corrisponde a quella descritta da Gessner. Sono tuttavia disponibili varie altre mostruosità collezionate da Aldrovandi.

[30] Liber prodigiorum, cap. 53, C. Claudio M. Perpenna coss. Bubo in aede Fortunae Equestris comprehensus inter manus expiravit. Faesulis fremitus terrae auditus. Puer ex ancilla natus sine foramine naturae qua humor emittitur. Mulier duplici natura inventa. Fax in caelo visa. Bos locuta. Examen apium in culmine privatae domus consedit. Volaterris sanguinis rivus manavit. Romae lacte pluit. Arretii duo androgyni inventi. Pullus gallinaceus quadripes natus. Fulmine pleraque icta. Supplicatio fuit. Populus Cereri et Proserpinae stipem tulit. Virgines viginti septem carmen canentes urbem lustraverunt. Maedorum in Macedonia gens provinciam cruente vastavit. [anno 662 ab Urbe condita - 92 aC]

[31] De verborum significatione: Decumana ova dicuntur et Decumani fluctus, quia sunt magna; nam et ovum decimum majus nascitur, et fluctus decimus fieri maximus dicitur. § Decumanus o decimanus, nel senso di enorme, deriva da decem, forse perché il numero dieci era considerato sacro dai Pitagorici.

[32] Una gran confusione! Nell'edizione latina curata da Jacques Daléchamps (1587) questa pianta suona Galedragon e a bordo pagina troviamo il suo equivalente Gallidraga, mentre nel titolo di questo capitolo sta scritto de galedrago. Nell'edizione curata da Johannes Harduinus (1685) suona solamente Gallidraga e nella relativa nota si legge che forse corrisponde alla terza dipsacos di Rembert Dodoens, ossia la Virga Pastoris da lui stesso raffigurata sotto il nome di Dipsacus tertius nel suo Stirpium historiae pemptades sex (1583 - V,16 De Dipsaco) dove afferma che non senza motivazioni (non temere) corrisponde al Galedragon di Plinio (tratto da Senocrate) e che ha delle infiorescenze rotondeggianti delle dimensioni di una noce. Anche nel testo latino che accompagna la traduzione francese di Émile Littré (1850) suona solamente Gallidraga (come in altre edizioni più recenti) e la pianta viene identificata con il Dipsacus pilosus L.. § Impossibile trovare una parola greca che suoni più o meno galedragon. § Ecco il testo di Plinio tratto da un'edizione contemporanea (2002) di Naturalis historia XXVII,89: Gallidragam vocat Xenocrates leucacantho similem, palustrem et spinosam, caule ferulaceo, alto, cui summo capite inhaereat simile ovo.