Raccolta di Ulisse Aldrovandi
Ornithologiae tomus alter - 1600
Amare teneramente
A proposito della gallina, una composizione in sei versi eis philostorghían - sull’amare teneramente - tratta da Alfeo di Mitilene è presente tra gli epigrammi greci – vedi Antologia Palatina:
La gallina domestica, ricoperta dai fiocchi di neve
invernali,
avvolgeva i pulcini con le ali che
fanno da nido,
finché il gelo del cielo la uccise. Infatti rimase
a lottare contro le nubi del cielo che stanno in aria.
Procne,
e Medea,
madri che state nell'Ade, abbiate vergogna,
ricevendo insegnamento da ciò che fanno gli uccelli.
Francisco Sánchez ce li tramanda tradotti così da un certo Alphonsus Nunius di Mitilene, un giovane dall’ingegno eccezionale e suo amico:
La gallina coperta dalle nevi invernali
Nel nido fatto di piume riscalda gli amati figlioli.
Finché il feroce gelo non l’uccise, e
La genitrice rimase nuda per le nevi del cielo.
Abbiate vergogna, o crudele Medea e malvagia Procne,
e, o madri, adesso imparate ciò che fanno gli uccelli.
Dice che gli stessi versi li ha tradotti anche suo padre Fernando Sánchez, ma quasi perifrasticamente in questo modo:
Il canuto dicembre, e il gelo invernale che
infuria
Aveva intessuto di neve i monti e i campi.
La gallina, mite uccello, non era stata in grado
Di proteggere i pulcini dal freddo
Né è in grado di tenere lontana la morte
Dai cari figlioletti, tuttavia fa un nido
Con le sue piume, e posa su di loro le ali,
E riacquistano la vita che avevano perso.
Ma lei stessa perse la vita, e volentieri
Sopportò la morte. Tuttavia in modo diverso Procne
E la donna della Colchide - Medea - audaci ambedue
Hanno sopportato di dover insozzare le mani col proprio sangue.
Sempre di lui, in un altro modo:
Atroce fremeva il gelo, la gallina lasciò cadere
le penne
Per scacciare il freddo lontano dai figli, e morì.
Da ciò o feroce Medea, da ciò o Procne imparate: e infatti costei
Ha dato due volte la vita ai pulcini, e muore.
Nikolaus Reusner a proposito dello stesso amore della gallina verso i pulcini ha l’emblema che segue, sotto il titolo il nulla quando Cristo è stato accolto con tristezza:
Rapisce i pulcini, e li sventra con le zampe
adunche
Il nibbio vorace, nel caso in cui uno sconsiderato errore
sia in atto.
La gallina li raduna e li ricopre sotto le ali sicure
Dopo aver attestato con il chiocciare che è una madre devota.
Il terribile Satana affligge i santi, e li tormenta,
E con qualsiasi artifizio gli è possibile nuocere li danneggia.
O Cristo tu li proteggi sotto la potente ombra delle ali,
E tu solo li rendi sicuri dal crudele nemico.
Indovinelli
Giulio Cesare Scaligero, corifeo dei poeti del nostro secolo, ha formulato questi due indovinelli sulla gallina, il primo dei quali suona così:
Colei
che ha la luce prima del giorno, ha le tenebre prima delle tenebre,
Così sarà allo stesso tempo sia zelante che pigra.
Possiamo chiederci se il genitore è nato prima o dopo,
Questo che c’è adesso c’è stato anche prima.
La peggiore diventa migliore, sia per la tua che per la sua discendenza:
Ma almeno successivamente la vita peggiore per te è la migliore.
Anche se innanzitutto tutte queste cose, e soprattutto quelle che vengono dette nel primo distico, riguardano il gallo, tuttavia il poeta ha preferito dirlo a proposito della gallina, in quanto è lei, e non il gallo, a venir ingrassata per le mense più laute. In verità il significato del primo distico è questo: Siccome questo animale ha riconosciuto la luce prima del giorno e la notte prima della notte, tuttavia non si dedica al cibo prima della luce, né al riposo prima della notte, giustamente viene detto pigro nei riguardi di ambedue le attività: anche se per altri versi l'animale è per natura zelante, a che scopo infatti si rifugerebbe nottetempo nelle tenebre? Perché andrebbe ad appollaiarsi di sera molto prima della notte? Il secondo distico allude a quell’argomento comune e trito che anche prima abbiamo toccato per inciso, e cioè se sia esistita prima la gallina o l’uovo. Il terzo distico a mio avviso va inteso così: Quella gallina che è più pingue, e più adatta a essere mangiata, essa è peggiore delle altre per la tua e la sua discendenza, cioè per la prole che nascerà, che è tanto tua che sua, in quanto è evidente che uccidendo la gallina annulli la speranza di una prole futura: e così costei è peggiore per la sua e la tua prole, e successivamente per te la vita sarà migliore, in quanto è ovvio che nutrito da un così lauto cibo puoi provvedere all’incolumità della tua vita.
Epitafio
Epitafio di Anite dedicato al gallo, contenuto tra gli epigrammi greci:
Ouk éti
m'høs tò páros pykinaîs pterýgessin eréssøn
Órseis ex Eunês, órthrios egrómenos.
Ê gàr s'hypnøonta sínis lathrëdòn epelthøn
Ékteinen laimøi rhimpha
katheìs ønycha.
Non più ti svegli così presto, non batti con fitte ali | come prima e mi spaventi su dal letto: Ah! Ti | uccise un ladro, che di nascosto ti avvicinò nel sonno e | ti abbattè le sue unghie nella gola all'improvviso.
Sentenze
Leggiamo che Platone definì l’essere umano un animale a due zampe senza piume: e Diogene Cinico per beffarsi di lui gettò nella sua Accademia un gallo spiumato, gridando che questo era l’uomo di Platone, per cui successivamente Platone per differenziarlo - dal gallo - aggiunse platyónychon, cioè fornito di unghie larghe.
Diogene Cinico, quando lo incontrava, salutava così un citaredo che tutte le volte che cantava veniva abbandonato dagli ascoltatori: Salve o gallo. Per cui lui, colpito dalla novità del modo di salutare, avrebbe detto: Perché così? Diogene disse: perché col tuo canto svegli tutti. Dedusse la burla dall’ambiguità di una parola greca. Infatti si dice anageírein sia quando qualcuno sveglia uno che dorme, come sogliono fare quei galli che cantano male, sia quando qualcuno fa alzare uno che sta seduto, come lui – il citaredo - è solito fare.
Gaio Giulio Cesare (altri riferiscono questa battuta a Lucio Licinio Crasso) disse all’impresario di opere pubbliche Elvio, che piuttosto frequentemente lo importunava schiamazzando, ti farò anche vedere come sei: e Giulio mostrò col dito a Elvio che lo incalzava un gallo raffigurato su uno scudo che Gaio Mario aveva conquistato ai Cimbri, deformato da nodi, con la lingua eretta, le guance cascanti, al quale l’impresario in quel momento sembrò assai somigliante. Nelle vicinanza del Foro c’era una bottega e quello scudo vi fu messo per insegna. Ne seguì un’enorme risata da parte di tutti.
Crisippo scrive di aver riferito a un indovino un suo sogno nel quale aveva visto delle uova che pendevano dal suo letto: e che aveva sentito dire da lui che dove si fosse messo a scavare avrebbe trovato un tesoro. E siccome dopo aver trovato un vaso in cui c’era dell’oro e dell’argento aveva portato un pochino d’argento al vate, costui disse toû dè neottoû oudèn moi dídøs? cioè, ma non mi darai niente del tuorlo? Ce lo riferisce il lessico Suida. Lui scherzò bene sul sogno delle uova, nelle quali sono contenuti il bianco e il giallo, riferendo il primo all’argento, il secondo all’oro, dal momento che nell’interpretazione di un sogno a quei tempi agli indovini veniva dato in dono solo un pezzo d’argento.
Come riferisce Plutarco, Cleomene II, figlio di Cleombroto II, siccome un tale gli offriva dei galli da combattimento affermando che combattendo per la vittoria morivano pure, disse: orsù, me li darai preferibilmente scegliendoli tra quelli dai quali vengono uccisi. Essi infatti saranno migliori.
Raccontano che Socrate, interrogato da Alcibiade perché non scacciasse di casa una moglie tanto petulante, rispose: perché allevi le galline che schiamazzano? E siccome Alcibiade aveva risposto che era perché gli facevano le uova, allora egli disse che anche sua moglie gli faceva dei figli.
Proverbi
Il gallo va all'assalto
Nei capitoli precedenti, soprattutto nel capitolo riguardante il coraggio, abbiamo citato alcuni proverbi, i quali sono innanzitutto, Il gallo va all’assalto. Alektryøn epipëdâi. Si adatta in modo egregio e appropriato a quando qualcuno, venendo sconfitto in battaglia o in combattimento oppure durante una disputa, dopo aver riacquistato le forze riprende il combattimento.
Metti lo sperone vendicatore
Simile è il proverbio aîre plëktron amyntërion, cioè, metti lo sperone vendicatore: del quale abbiamo pure fatto menzione. Lo si dice giustamente quando qualcuno si prepara alla vendetta. Si trova un adagio in Aristofane, Aîre plëktron ei máchei, cioè, Metti lo sperone se combatti. A quanto pare la metafora è stata desunta da quei pungoli di ferro che vengono legati dai proprietari ai galli che stanno per combattere affinché si possano difendere durante lo scontro.
Sei stato sconfitto da un qualche gallo
Abbiamo detto che come facezia sotto forma di proverbio si dice anche hëttëthës tinòs alektruónos - sei stato sconfitto da un qualche gallo - nei confronti dei servi che seguono i padroni stando alle loro spalle, cioè supplichevoli e dimessi, proprio come sono soliti comportarsi i galli sconfitti in combattimento, poiché se sconfitti sono soliti tacere, ma a cantare se sono vincitori.
Combatti in casa tua come un gallo
Al quale è simile endomáchas hát'aléktør, cioè, combatti in casa tua come un gallo. Uguale è anche quell’altro: un gallo è estremamente potente nel suo letamaio. Infatti siffatti proverbi vengono detti nei confronti di quelli che a casa loro sono superiori per forze, ma in guerra o da un’altra parte sono inferiori alle doti e alla combattività di chicchessia.
Egli canta se stesso
Autòs autòn auleî, cioè, egli canta se stesso ossia egli stesso è il flautista di se stesso. È chiaro che questo proverbio è stato desunto dai galli: infatti quando si lanciano fuori da un combattimento sono soprattutto loro ad avere l’abitudine di cantare se sono vincitori, come se fossero dei flautisti della loro vittoria, per cui il proverbio si addice non solo in altre circostanze ma anche a coloro che lodano se stessi, gli smargiassi - come un Trasone, e gli spiritosetti, dei quali forse parlava Platone - nel dialogo Teeteto: Socrate: Sembra che noi, alla stregua di un gallo vile, cantiamo vittoria prima di avere vinto, balzando giù dal ragionamento.
Costui grida e delira come un Gallo
Anche Cicerone scrive sotto forma di proverbio: Una similitudine allo scopo di biasimare affinché induca all’invidia deve essere fatta in questo modo: Costui che ostenta le sue ricchezze grida e delira come un - sacerdote – Gallo della Frigia o come un indovino sommerso e sovraccarico d’oro.
Quando Nibas avrà cantato
Hótan Nìbas kokkýse, cioè quando Nibas avrà cantato. È un proverbio molto simile a quello che dice alle Calende greche. Infatti, come abbiamo riferito, raccontano che nei pressi della città macedone di Tessalonica esiste un villaggio il cui nome è Nibas, dove i galli non canterebbero mai. Esichio di Alessandria aggiunge che delle capre fornite di ciuffo vengono dette di Nibas, in quanto ci si aspetterebbe da loro che cantino – tò kokkýzein, il che è caratteristico dei galli.
Il gallo di Socrate
Il gallo di Socrate. Nonio Marcello cita ciò come se fosse un proverbio traendolo da Varrone per significare la calvizie, e in Nonio un tale dice di essersi ritrovato trasformato in un riccio con gli aculei e la proboscide, mentre aveva iniziato a dormire che era glabro tanto quanto il gallo di Socrate. Chiunque è in grado di capire che quel tale là vuol dire che quando se ne andava a dormire era con il corpo liscio e che non aveva alcun pelo in tutto il corpo, e che durante il sonno si trasformò in un riccio che è tutto ispido. E che ha il muso come i maiali. L’autore degli Adagia - Erasmo da Rotterdam - dice: so che il passo è sbagliato, e l’edizione Aldina per gallo - gallus - ha calvo - calvus: e forse non è sbagliato: infatti la nostra edizione di Varrone riferisce le parole nel modo seguente: Mentre aveva cominciato a dormire che era glabro quanto Socrate si ritrovò a essere un riccio calvo dagli aculei bianchi: Il proverbio si attaglierà a coloro che sono nudi e poveri.
Frinico ebbe paura di uno sciame di vespe come un gallo
Frinico ebbe paura di uno sciame di vespe, come un gallo: Questo Frinico scrittore di tragedie si trovava prigioniero a Mileto: infatti gli Ateniesi in lacrime scacciarono lui pieno di paura e di terrore: ne è autore Eliano: ma altri lo hanno raccontato diversamente. Si addice a coloro che hanno subìto un’ammenda.
È sconveniente che una gallina canti davanti a un gallo
È sconveniente che una gallina canti davanti a un gallo: cioè, è sconveniente che una donna tenga i timoni al posto di un uomo, in quanto né la nobiltà d’animo su cui si sostiene moltissimo la salvezza di uno Stato, né la saggezza che ha la massima importanza per l’organizzazione equilibrata delle cose di una città, in lei non si trova un aiuto sufficiente per riordinare una repubblica.
Figlio di una gallina bianca
Uno che è nato felicemente lo chiamano Figlio di una gallina bianca, come Giovenale: Perché tu sei figlio di una gallina bianca. O perché i Latini chiamano bianche le cose liete e con favorevoli auspici, oppure perché il proverbio allude a quella gallina voluta dal fato di cui abbiamo parlato in precedenza, deducendo i dati da Svetonio, mentre ci occupavamo dei vaticini.
Latte di galline
Orníthøn gála, latte di galline, si dice nei confronti dei ricchi e per coloro ai quali qualsiasi cosa è sovrabbondante, come la cornucopia, oppure si dice di cose che si trovano raramente, e per questo preziose, come se fosse un’iperbole che sta a significare che non manca assolutamente nulla. Plinio, nella prefazione alla storia del mondo, deridendo alcuni deliziosi e meravigliosi titoli dei Greci dice: Diedero il titolo di këríon perché volevano intendere il favo del miele, altri kéras Amaltheías - il corno della capra Amaltea - che è la cornucopia, tanto da farti sperare che in quel libro potrai bere latte di gallina.
Aristofane ha fatto menzione della stessa cosa:
Egø gàr oud’án orníthøn gála
Antì toû bíou láboim’án oû me nûn apostereîs, cioè:
Per
Ercole, non prenderò latte di gallina
per questa vita, che adesso mi togli.
Eustazio cita dall'opera Sulla natura di Anassagora questo adagio, il cui titolo è Øá, Le uova.
Se ne legge anche un altro sempre in Aristofane che suona così:
Døsomen hymîn
Autoîs, paisí, paídøn paisín
Plouthygíeian, eudaimonían,
Bíon, eirënën, neótëta, géløta,
Choroús, thalías, gálat'orníthøn.
Øste paréstai hymîn kopiâin
Hypò tôn agathôn. cioè:
Daremo a voi stessi, ai figli, ai
figli dei figli,
un’abbondanza di condizioni di buona salute,
felicità, ricchezze, pace,
giovinezza, riso, danze,
giorni di festa, latte di galline,
affinché vi stufiate per l’abbondanza di cose buone.
Strabone, nel lodare i campi degli abitanti dell’isola di Samo in quanto erano estremamente fruttiferi di ogni sorta di prodotto, aggiunge quello di cui in proposito comunemente ci si vantava, e cioè che producevano anche latte di gallina, ed esiste testimonianza che questo adagio lo si ritrova anche nel commediografo Menandro.
Ateneo riporta questi senari tratti da Mnesimaco, uno scrittore della commedia di mezzo:
Kaì tò legómenon
Spaniøteron párestin orníthøn gála,
Kaì phasianós apotetilménos kalôs. cioè:
Come cosa rara basta il latte di
gallina,
e un fagiano dalle piume strappate molto bene.
E ancora nello stesso libro riporta da Nicandro - non da Numenio di Eraclea:
Ëd’hóper
órnithos kaléetai gála, cioè:
Anche quello che viene detto latte di gallina.
Anche in un’altra composizione Aristofane fa dire a Pistetero - Gabbacompagno - rivolto a Ercole queste parole:
Katastësø s'egø | Týrannon, orníthøn paréxø
soi gála,
Io ti renderò signore
assoluto, ti darò latte di galline.
A questo proposito lo scoliaste di Aristofane dice che questo proverbio si attaglia a coloro che sono molto fortunati e posseggono tutto, tanto da riuscire a ricavare qualcosa da cose impossibili. E infatti non può mai accadere che si riesca a ottenere latte dalle galline. Ma gli uomini fortunati, se lo volessero, possono procurarsi anche questo. Lo ricorda anche il lessico Suida. Boúlointo mèn àn kaì orníthøn gála paracheîn, Se infatti volevano versare sopra anche il latte di galline, Sinesio di Cirene nelle epistole.
Siccome le notizie che qua e là sono state tramandate dagli autori a proposito delle uova spiccano più per le uova di questi volatili rispetto alle altre, mi è pertanto sembrato opportuno collocare in questo punto anche i proverbi che prendono origine dalle uova, affinché il lettore non venga privato di nulla che sia in grado di illustrare, ampliare e spiegare la ricerca sugli uccelli.
Saldi l'uovo con la colla
Øón kollëeis (se è riportato in modo esatto, preferirei kollâis), cioè, Saldi l'uovo con la colla. Viene riferito da Diogeniano di Eraclea. Si dà da fare in modo ridicolo colui che tentasse di rappezzare e ricongiungere con della colla un guscio d’uovo che si è rotto. Si potrà dire nei confronti di coloro che inutilmente si sforzano di ottenere cose possibili da cose impossibili, come sono quelli che la gente comune chiama alchimisti, i quali appunto, applicandosi per ottenere dell’oro da quelle cose che oro non sono, perdono l’oro che prima possedevano, e l’olio, e la fatica - sprecano tempo ed energie.
Dall’uovo alle mele
Dall’uovo alle mele - dall’antipasto alla frutta - ha detto Orazio in modo figurato sotto forma di proverbio per indicare dall’inizio alla fine di un banchetto. Infatti dice:
Se gli fosse andato a genio
avrebbe intonato dall’uovo alle mele “evviva Bacco”,
ora con tutta la voce che possiede,
ora con questa nota più bassa che risuona con il tetracordo.
E infatti anticamente iniziavano il pranzo con le uova e finivano con le mele. Noi partiamo dall’insalata condita con aceto, ma perlomeno ci troviamo d’accordo con loro in quanto lo terminiamo con le mele o le pere. Sarà più bello se la si tira più in lungo, dall’uovo alle mele: cioè, per tutta la conversazione, per tutta la navigazione, o per tutta l’attività.
Partendo dall’uovo gemellare
Coloro che risalgono a una cosa partendo da più lontano di quanto è necessario vengono bollati con questo verso di Orazio: Né si incomincia a parlare della guerra di Troia partendo dall’uovo gemellare - quello con due tuorli da cui nacque Elena.
È uscito da un uovo
Ex øoû exêlthen, È uscito da un uovo: dicono che viene abitualmente detto di giovani molto belli e attraenti, come se tu negassi che sono nati nel modo abituale per gli esseri umani, bensì da un uovo come Castore e Polluce. Dal momento che nelle favole dei poeti si trova il fatto che Leda, figlia di Testio - moglie di Tindaro, da un rapporto sessuale avuto con Giove partorì due uova, da uno dei quali nacquero i gemelli Castore e Polluce, dei ragazzi dalla bellezza spettacolare: dall’altro uovo nacque Elena, il cui aspetto è stato decantato dalle opere letterarie di tutti.
Nato dallo stesso uovo
Nato dallo stesso uovo: questo proverbio forse è stato detto solo da Orazio. Dal momento che riguarda anche la favola relativa a Leda la quale, resa gravida da Giove che si era trasformato in cigno, partorì un uovo dal quale nacquero i due gemelli Castore e Polluce, come abbiamo detto. Pausania riferisce che questo uovo viene esposto presso gli Spartani e che è tenuto sospeso con bende dalla volta di un tempio.
In verità se qualcuno mutasse questo assioma in nati dagli stessi genitori, o istruiti dallo stesso precettore, o in così simili per carattere che si potrebbe pensare che sono nati dallo stesso uovo, sarebbe equivalente come proverbio, come se tu dicessi: Il volto, il carattere, il comportamento, le azioni, e insomma per tutte quante le caratteristiche essi corrispondono talmente l’uno all’altro che saresti pronto a giurare che sono nati dallo stesso uovo. Infatti Aristotele dimostra che può accadere che secondo natura da uno stesso uovo nascano due pulcini.
Un uovo non è poi così simile a un uovo
Presso gli autori si trovano alcuni adagi relativi alla similitudine, alla marea dei quali appartiene il seguente: Un uovo non è poi così simile a un uovo, a proposito di cose che hanno una somiglianza indistinguibile. Per cui Marco Tullio Cicerone diceva: Ti rendi conto di come è proverbiale la similitudine delle uova tra loro? Nondimeno, siamo venuti a sapere questo, che a Delo, senza danno per quelle cose, sono stati moltissimi ad allevare abitualmente numerosissime galline per motivi di lucro. Essi, una volta che avevano guardato un uovo, erano soliti dire quale gallina l’avesse deposto. Lo stesso proverbio viene riferito da Marco Fabio Quintiliano. Viene impiegato anche da Seneca in un libello che si è dilettato a comporre nei riguardi dell’imperatore Claudio. Numerose volte ho valutato scrupolosamente nella mia mente non senza stupore la sorprendente e quasi perfetta somiglianza delle uova tra loro. Infatti se li paragoni l’uno all’altro l’ago della bilancia viene ingannato e la vista di chi sta guardando si indebolisce: assolutamente tanto grande è l’uguaglianza e tanto grande è la equivalenza.
Molto più candido di un uovo
Øíou polý leukóteron, cioè, Molto più candido di un uovo, ha detto Saffo in Ateneo.
La leggenda di Alettrione
Luciano, e Lodovico Ricchieri desumendola da lui, raccontano la favola di un certo giovane detto Alettrione di nome, cioè Gallo, il quale era diventato talmente amico di Marte da diventare subito suo commensale e al corrente dei suoi intrallazzi amorosi. Pertanto, siccome Marte si recava spesso da Venere, Alettrione doveva fare da accompagnatore. Poiché Marte aveva soprattutto il sospetto che il Sole, se si fosse accorto della cosa, la riferisse a Vulcano, ordinò al giovane di montare di guardia davanti all’ingresso, affinché appena il Sole fosse comparso lo rendesse noto. Ma per caso avvenne che, siccome il giovane che si era addormentato era venuto meno al suo servizio di guardia e la sorveglianza era diventata cieca, e che con l’arrivo del Sole a loro insaputa Marte e Venere furono colti abbracciati, in quanto si dice che essi se ne stavano a letto confidando su ambedue le orecchie di Alettrione. Vulcano, diventato ancora più certo, in seguito intrappolò e irretì tutti e due con delle catene molto sottili che in precedenza aveva a lungo rielaborato a tale scopo: ma infine quando Marte venne liberato da tali catene divenne proprio alquanto irritato nei confronti di Alettrione, e non fece sbollire la sua ira prima di aver trasformato in un volatile con il suo nome il mal fidato guardiano, e in modo tale che sembrasse fiero della sua cresta così come quando viveva da uomo ostentava il cimiero.
E per questo i galli, per scusarsi presso Dio del ricordo dell’antico misfatto, e per scontare la pena sul modello del danno arrecato, per sempre debbono osservare l’usanza di cantare molto tempo prima, non appena hanno avuto il presentimento che il sole sta per sorgere: per cui Ausonio:
Dopo che Marte è stato scoperto, la tonta guardia del corpo canta tre volte gli squillanti segnali dell’Aurora che incalza.
Favole
Il cane e il gallo
Un cane e un gallo, alleatisi tra loro, viaggiavano insieme, e al sopraggiungere della sera il gallo dormiva su un albero su cui era salito, ma il cane presso la radice di un albero dal tronco vuoto. Siccome il gallo, come è suo solito, aveva cantato durante la notte, la volpe, come lo udì, si precipitò, e rimanendo in basso lo pregava che scendesse da lei, in quanto bramava abbracciare un animale così degno di lode per il canto. Ma il gallo disse di svegliare prima il portinaio che dormiva presso la radice, affinché quando costui l'avesse concesso lui sarebbe sceso. E mentre lei chiedeva che lui stesso lo chiamasse, il cane, alzandosi improvvisamente la sbranò. Morale. La favola significa che le persone assennate quando insultano dei nemici, incaricano coloro che sono più forti ricorrendo a uno stratagemma. Esopo.
Il gatto e il gallo
Un gatto – una donnola? una faina? - dopo aver catturato un gallo, siccome per ovvi motivi voleva divorarlo, lo accusava dicendo che era molesto per gli esseri umani, in quanto schiamazzava durante la notte e non permetteva loro di godere del sonno. Ma lui rispondeva che lo faceva nel loro interesse, affinché venissero incitati allo svolgimento delle abituali occupazioni, il gatto adduceva un altro motivo, che si comportava con empietà nei confronti della natura dal momento che si accoppiava con la madre e le sorelle. Ma siccome diceva che faceva anche questo per il tornaconto dei padroni, in quanto ne consegue che depongono per loro molte uova, il gatto lo prevenne dicendo: ma se tu possiedi in abbondanza tante risposte evidenti, io tuttavia non me ne starò digiuno; e lo divorò. Morale. La favola significa che quando un’indole malvagia desidera peccare, se non può farlo con un pretesto verosimile, allora agisce malvagiamente in modo palese.
I galli e la pernice
Un tale che aveva a casa sua dei galli mandò a pascolare con essi anche una pernice che aveva comprato, e siccome essi la percuotevano e la scacciavano, lei si rattristava parecchio, ritenendo che doveva soffrire queste cose dai galli in quanto era forestiera. Ma poco dopo vedendo che essi combattevano anche tra loro, e che si uccidevano, dissipata la tristezza, disse: ma io d’ora in poi non mi rattristerò vedendo che anche loro combattono fra loro. Morale. La favola significa che le persone assennate sopportano facilmente le ingiurie recate da estranei quando si accorgono che non si trattengono neanche dal recarle ai loro simili.
Due galli che combattono
Mentre due galli combattevano a causa delle galline loro mogli, uno mise in fuga l’altro, e quello che era stato sconfitto, recatosi in un luogo scuro, si nascose: ma quello che aveva vinto, posatosi in alto, e stando ritto sopra a un muro elevato si mise a gridare a gran voce, e subito un’aquila avventandosi in volo lo rapì. Ma quello che se ne stava nascosto nelle tenebre, uscito dal suo nascondiglio montò le galline in modo spavaldo. Morale. La favola insegna che il sovrano si contrappone ai superbi, e che concede la benevolenza agli umili.
Il gallo e la gemma
Un gallo mentre ruspava del letame urtò una gemma, e dal momento che ne ignorava l’uso diceva tra sé e sé: se qualche orafo trovasse questa gemma nulla di più gradito potrebbe accadergli. Io apprezzo di più un grano di orzo. La morale significa che molti quando danno un giudizio sulle cose importanti le disprezzano come se fossero del tutto insignificanti e inutili. Potrai leggere la stessa storiella contenuta in questi quattro versi:
Mentre
scava col rigido becco il letame, mentre va alla ricerca affannosa del cibo,
mentre rimane stupito per il ritrovamento di un diaspro,
un gallo dice:
Una cosa preziosa e di splendida bellezza in un posto spregevole
rimanendo in questa sporcizia per me non rappresenta assolutamente un raccolto.
La gallina e la rondine
Una gallina avendo trovato delle uova di serpente, dopo averle riscaldate con diligenza le fece schiudere. Ma una rondine, avendola vista, disse: o demente, perché le allevi? Un volta che saranno cresciute sarai tu la prima alla quale esse inizieranno a recare danno. La favola significa che la cattiveria è implacabile, anche se riceve dei grandissimi benefici.
La gallina che depone uova d'oro
Un tale che aveva una gallina che faceva delle uova d’oro, convinto che al suo interno ci fosse un mucchio d’oro, dopo averla uccisa scoprì che era uguale alle altre galline. Costui, speranzoso di trovare una grande quantità di ricchezze si privò anche di quelle piccole. La favola insegna che bisogna accontentarsi delle cose presenti e rifuggire dall’insaziabilità.
Su questa favola esiste la seguente composizione dell’autore greco Babrio:
Étikte chrysoûn øòn órnis
eisápax,
Kaì tis planëtheís chryserastës / chryseoastës tèn phréna,
Ékteine taútën chrysòn høs labeîn théløn.
Elpís dè, meîzon dôron ølékei týchës. cioè:
Una gallina depose una sola volta
un uovo d’oro.
E un avaro ingannato nei suoi ragionamenti
la uccise per poter prendere l’oro.
Ma la speranza distrusse il più grande dono della fortuna.
Morale. È rivolta a coloro che nella speranza di lucro cadono in un danno dovuto alla meschinità.
La donna e la gallina
Una donna vedova aveva una gallina che le faceva un uovo tutti i giorni, ma convinta che se avesse dato più orzo alla gallina essa avrebbe deposto due volte al giorno, così fece. Ma la gallina diventata grassa non riuscì a deporre nemmeno una volta al giorno. La favola indica coloro che a causa dell’avarizia desiderano troppo e lasciano perdere ciò che sta davanti agli occhi.